Pietro NENNI - Deputato Maggioranza
V Legislatura - Assemblea n. 185 - seduta del 21-10-1969
In materia di politica estera
1969 - Governo II Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 400
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , lo scarso interesse che, in questa fase della politica generale del nostro paese, si manifesta attorno ai problemi di politica estera nei confronti dei più impellenti e difficili problemi della politica interna , ha fatto dire a qualcuno che molto probabilmente un dibattito come quello che è stato posto oggi all' ordine del giorno della Camera è « un diversivo » . io non credo, onorevoli colleghi , che si possa parlare di diversivo: vi è infatti un rapporto indissolubile fra la politica estera e quella interna, l' una essendo alternativamente funzione dell' altra. i medesimi problemi di schieramento che in questo momento impegnano i partiti, in particolare dopo la scissione socialista, si ripresentano tali e quali, sia che si tratti di definire una linea generale di politica estera , sia che si tratti di definire una linea generale di politica interna . sono convinto, perciò, che il dibattito in corso sarà tanto più utile quanto meglio sottolineerà e confermerà il valore della politica estera elaborata negli ultimi anni e, in particolare, le forme concrete di azione e di iniziativa nel campo europeo e in quello mondiale che tale politica ha assunto nel corso della presente legislatura. di questa politica i principi generali sono stati questa mattina ribaditi e puntualizzati dal ministro degli Esteri , con un rigore logico del quale gli siamo grati. ma, come sempre, il problema politico non si esaurisce nella riconferma o nell' aggiornamento di una direttiva generale, bensì trova concretezza nella sua applicazione ad una situazione in continuo movimento, come appunto è la situazione attuale. è codesto rapporto dialettico tra i principi e i fatti in movimento che io vorrei sottolineare, accennando ad alcuni dei maggiori problemi del momento e alla incidenza su di essi della nostra iniziativa e della nostra attività. i criteri della politica estera del nostro paese sono quelli ai quali si è richiamato stamani l' onorevole Moro, e cioè: la valorizzazione dell' Organizzazione delle Nazioni Unite come centro universale di incontro fra le nazioni grandi e piccole, militarmente potenti o pressoché disarmate, economicamente in pieno sviluppo o sottosviluppate; l' accettazione del patto atlantico come strumento difensivo entro i limiti geografici del territorio che copre, come fattore dell' equilibrio mondiale sul quale attualmente si regge la pace; l' impegno europeo, vale a dire lo sforzo inteso a realizzare l' integrazione economica e politica dell' Europa democratica, creando nel mondo un nuovo polo di direzione e di iniziativa, vicino ai due — USA e Unione Sovietica che nel ventennio trascorso hanno esercitato anche nel nostro continente una funzione non solo di supremazia, ma di egemonia, e vicino al terzo polo, quello cinese, che va assumendo una sempre maggiore consistenza. rispetto all' Onu il problema del quale vorrei brevemente parlare è quello del seggio cinese nell' Assemblea e nel Consiglio di sicurezza . l' onorevole Moro ha detto nei giorni scorsi alla ventiquattresima sessione dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite (e ha ripetuto questa mattina alla Camera) che il Governo si augura che si possa raggiungere su tale questione una soluzione in armonia con il carattere universale dell' Organizzazione. il problema ci interessa sotto molti aspetti. ci interessa in relazione alla rappresentatività dell' Onu, che rimane limitata e mutilata finché la Cina non vi è rappresentata; ci interessa in rapporto alla funzione mondiale, oltre che asiatica, della Repubblica popolare cinese , funzione che cresce e si estende a mano a mano che il suo sistema politico e sociale interno si consolida, collocando la Cina su posizioni di contestazione e di aperto conflitto non soltanto nei confronti degli USA, ma dell' Unione Sovietica , in forme e modi che costituiscono, in quest' ultimo caso, la più grossa contraddizione del mondo contemporaneo, e che vanno sconvolgendo i dati tradizionali delle relazioni intercontinentali, fino a far dire, con una evidente punta di assurdità, che l' Europa non finisce agli Urali, ma al fiume Ussuri. né si tratta soltanto, fra Mosca e Pechino, dei contrasti ideologici per la soluzione dei quali il Primo Ministro cinese Ciu En-Lai , con una nozione molto orientale del tempo, chiede per la Cina diecimila anni. quelli ideologici sono problemi di un grande interesse, e purtuttavia non sono quelli che hanno dato al contrasto fra Mosca e Pechino il carattere di drammaticità che ha assunto. si tratta di questioni di frontiere nella Siberia e nell' Asia centrale, le regioni del mondo dove la bizzarria della storia e della geografia ha creato una situazione assurda, collocando la popolazione più numerosa e prolifica del mondo a lato di territori tanto vasti quanto spopolati. su questa situazione da due giorni la tensione polemica e la febbre bellica hanno ceduto il passo al buon senso dei negoziati in corso a Pechino. ed è bene che sia così. nessuno infatti più di noi si augura che questi contatti possano concorrere a rendere meno aspra e meno tesa la situazione in Estremo Oriente . tornando alla questione del seggio cinese all' Onu, voglio dire che esso ci interessa anche rispetto alle relazioni bilaterali del nostro paese con la Cina. io ebbi occasione di annunziare alla Camera il 24 gennaio scorso l' intenzione del Governo di allora di procedere al riconoscimento della Repubblica popolare cinese . ciò ha dato luogo a successive prese di contatto diplomatiche non pur anco concluse a causa di lentezze alle quali, probabilmente, non è stata estranea l' attesa di Pechino circa il voto che verrà espresso all' Assemblea dell' Onu proprio sulla questione del seggio cinese. non vi possono essere a tale proposito incertezze ed equivoci di nessun genere. l' ingresso della Cina nell' Onu e il ristabilimento di relazioni diplomatiche normali tra Roma e Pechino comportano l' abbandono della tesi delle « due Cine » . diversamente non si potrà fare nessun passo in avanti, e tanto varrebbe allora rinunciare, una volta per sempre, a porre la questione dell' universalità dell' Onu e quella del riconoscimento bilaterale: ciò che mi auguro non avvenga né nell' ambito dell' Onu né, soprattutto, per parte nostra. più complessa, onorevoli colleghi , ma ricca di possibilità concrete e di prospettive favorevoli, a breve e a lungo termine , è l' azione che il nostro paese può svolgere nel campo dell' Alleanza Atlantica e fuori. tale azione muove, come ho già detto, dal riconoscimento del fatto che l' Alleanza Atlantica è, nella presente fase storica, un fattore, ad un tempo, di sicurezza, di equilibrio e di movimento verso il superamento dei blocchi militari. questa è e deve rimanere la caratteristica della nostra politica estera : la ricerca, cioè, di una collaborazione con i paesi a diverso sistema economico , sociale e politico, nel comune sforzo di organizzazione della pace, nella iniziativa dello sviluppo economico , nell' impulso alle relazioni culturali ed umane. è questo che l' Italia ha fatto con la Jugoslavia, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. la recente visita di Stato del presidente della Repubblica in Jugoslavia, con il carattere popolare oltre che ufficiale che ha assunto, ha giustamente sottolineato l' importanza dei risultati già conseguiti e ha aperto una nuova fase di relazioni ancor più amichevoli, suscettibili di ottenere altri ed ancor più importanti risultati. quello che l' Italia ha fatto con la Jugoslavia è pronta a farlo con tutti i paesi animati da una eguale volontà di progresso nella pace. è questo il motivo della nostra adesione all' idea di una conferenza paneuropea e della proposta, che io presentai nell' aprile scorso al Consiglio ministeriale della NATO a Washington, di una conferenza est ovest aperta ai paesi europei neutrali e non impegnati, dalla Svezia alla Jugoslavia, nonché agli USA e al Canada, per motivi che attingono la loro validità sia dalla storia, sia dall' attualità geopolitica. beninteso, non ignoriamo quali e quanti siano gli ostacoli e le difficoltà da sormontare. l' ultimo e il più grave è quello rappresentato dall' occupazione militare della Cecoslovacchia da parte delle truppe del blocco di Varsavia e dagli sviluppi che l' occupazione ha avuto. onorevoli colleghi , poco più di un anno fa, prendendo la parola in quest' Aula sugli avvenimenti di Praga, in un momento di profonda emozione del paese e del Parlamento, iniziai il discorso citando l' ordine del giorno con il quale l' assemblea nazionale cecoslovacca solennemente dichiarava di « considerare l' occupazione della Repubblica cecoslovacca da parte delle forze armate del Patto di Varsavia illegale e contraria ai trattati internazionali, alla Carta delle Nazioni Unite , al Patto di Varsavia » . l' assemblea invitava il governo cecoslovacco ad insistere in modo risoluto perché fosse fissata al più presto la data del ritiro delle truppe straniere. a distanza di poco più di un anno, la medesima assemblea ha votato, il 16 ottobre scorso, una risoluzione dove si può leggere che le due Camere del parlamento cecoslovacco, riunite in seduta comune , « dichiarano di apprezzare il disinteressato aiuto internazionale dei cinque paesi socialisti fratelli dato al nostro popolo nei critici giorni dell' agosto 1968 per sconfiggere la controrivoluzione e difendere il socialismo » . tutto il dramma cecoslovacco, più lacerante oggi di un anno fa, è nel confronto fra le due risoluzioni, quella dell' agosto 1968 e quella dell' ottobre 1969. in mezzo ci sono le sconfitte di un popolo; la persecuzione delle avanguardie intellettuali, studentesche, operaie, che avevano promosso e sostenuto la primavera di Praga; l' umiliazione e la dispersione dei quadri dirigenti comunisti che quel moto avevano sostenuto, indirizzandolo verso un traguardo nell' ambito stesso del comunismo. e ciò malgrado, la politica della distensione deve andare avanti. lo abbiamo detto un anno fa, lo ripetiamo oggi. ma deve andare avanti purché sia chiaro che questo non significa passare la spugna dell' oblio sul dramma cecoslovacco; che questo non significa riconoscimento di una normalizzazione che è un' imposizione, sotto la quale cova il fuoco dell' indignazione popolare. purché sia chiaro che fra gli obiettivi della distensione c' è, ed è preminente, la rivendicazione per tutte le nazioni, per tutti i popoli, del diritto all' indipendenza e alla libertà. purché sia chiaro che l' Italia andrà alla conferenza paneuropea anche per dire che c' è oppressione contro l' insieme delle nazioni quando una di esse è oppressa. non si tratta, come da taluni si dice, di voler essere più cecoslovacchi dei cecoslovacchi. si tratta di dire, noi, quello che i cecoslovacchi non possono più dire, dopo aver dimostrato, nel dirlo, un coraggio e un ardimento che hanno loro valso tanti consensi e tanta ammirazione. solo così, onorevoli colleghi , le riserve e le critiche di tanti comunisti, e dei comunisti italiani, non rischieranno di degradarsi al livello della omertà. continui, quindi, onorevole Moro, l' opera quotidiana di sprone e di impulso verso la distensione; solleciti le decisioni preliminari per la riunione della conferenza paneuropea ; ricerchi ed assecondi ogni possibilità di migliorare le relazioni con i paesi dell'est e di approfondire con Mosca il discorso sui presupposti e gli sviluppi della distensione. si sono create per questo condizioni più favorevoli dopo le elezioni presidenziali francesi del 16 giugno scorso; se ne sono create di ancora più favorevoli con le elezioni politiche del 28 settembre nella Germania federale e con la nomina, avvenuta questa mattina, a cancelliere della Repubblica federale del leader della socialdemocrazia tedesca Willy Brandt, al quale da questi banchi auguriamo il successo che la sua opera merita. naturalmente non chiediamo alla Democrazia Cristiana né al Governo monocolore che essa esprime in questo momento e neppure al ministro degli Esteri di rallegrarsi dell' insuccesso elettorale, del resto relativo, del partito che ne rappresenta in Germania gli ideali. ma sappiamo di poter chiedere all' onorevole Moro ed al suo acuto senso della responsabilità e della equità. che egli colga quanto di obiettivamente c' è di favorevole nel cambio di potere che è avvenuto a Bonn. gli chiediamo di assecondare lo sforzo del nuovo cancelliere per sviluppare rapporti nuovi tra la Germania federale e i suoi vicini dell' est e la stessa Germania comunista. anche in questo campo, onorevoli colleghi , le cose saranno difficili e già una volta l' attuale cancelliere della Germania federale si è urtato, nella sua qualità di vicecancelliere e di ministro degli Esteri , nel rifiuto comunista della sua politica verso l' est, accusata di essere niente altro che un tranello e addirittura assunta a prova di una pretesa collusione occidentale nel moto di rinnovamento della Cecoslovacchia. altre e diverse valutazioni sembrano farsi strada a Mosca e a Varsavia, se non addirittura a Berlino ovest. e un indice da raccogliere con sollecitudine da parte nostra, da parte cioè di un paese i cui interessi in Europa e nel mondo coincidono sempre con la causa della distensione e della pace. le considerazioni che ho sviluppato sul carattere globale della politica della distensione e della pace valgono naturalmente in ogni caso, in ogni campo, in ogni circostanza; valgono (lo dissi un anno fa e desidero ripeterlo) per la guerra nel Vietnam e per il peso in essa esercitato dall' intervento militare americano, che non è più soltanto criticato, ma apertamente avversato da una parte importante del popolo americano . ci commosse più di un anno fa il gesto eroico del giovane cecoslovacco Jan Palach che si trasformò in una torcia umana per attestare la sua fede nella libertà. ci ha commosso il gesto disperato dei due ragazzi americani del collegio di Glassboro, che nel Moratorium day si sono lasciati morire per protesta contro la guerra nel Vietnam e per sottolineare con la loro morte l' amore della vita nella pace. sollecitiamo una politica americana e una politica vietnamita che rendano possibile un armistizio; sollecitiamo decisioni dalla conferenza di Parigi tali da porre fine rapidamente a una guerra che non ha più senso, se mai ne ha avuto uno, che sul piano militare non ha avuto soluzione, nonostante la supremazia americana; sollecitiamo, in definitiva, una politica impostata sul diritto di autodeterminazione del popolo vietnamita e di tutti i popoli. nel Medio Oriente il campo di azione del nostro paese è quello indicato nelle parole dell' onorevole Moro. non era difficile prevedere che la sostituzione della mediazione delle cosiddette quattro grandi potenze, o delle due autentiche grandi potenze, a quella affidata dal segretario generale dell' Onu all' ambasciatore Jarring non poteva dare grandi risultati. così è stato. il momento più prossimo alla possibilità di annodare un negoziato di pace tra lo Stato di Israele e gli Stati arabi è stato quello recente in cui è sembrato che fosse possibile riesumare la cosiddetta formula di Rodi, cioè la formula delle trattative indirette fra israeliani e arabi che permisero nel 1949 l' accordo per un armistizio. con ciò prendeva consistenza il nostro suggerimento di passi contestuali e paralleli dei belligeranti fino alla conclusione della pace. ma il giuoco serrato delle interpretazioni, se si fosse cioè trattato nel 1949 di negoziati indiretti o diretti, ha spezzato anche questo tenue filo. rimangono di fronte due posizioni di difficile conciliazione: quella israeliana dei negoziati diretti e quella araba del rifiuto di trattative e del riconoscimento diretto o indiretto. rimane la realtà della guerriglia da parte dei palestinesi e della guerra di logoramento da parte dei maggiori protagonisti del conflitto. ma forse si ha torto di credere che tutto rimanga immobile sotto la crosta, dura da spezzare, delle intransigenze ufficiali. le incertezze delle scorse settimane a proposito, appunto, di questa rievocazione della formula di Rodi, ne sono una prova. ad osservatori attenti del dramma medio orientale e del dramma palestinese non è sfuggita la tendenza dei popoli di codesta tormentata regione, che è stata sovente motivo ed occasione di contrasti e di appetiti colonialisti tra le grandi potenze, ad avviare un discorso sulla necessità e l' urgenza dei popoli dell' una o dell' altra razza o religione di elevarsi da oggetto a soggetto della storia. vorrei dite adesso una parola sull' esclusione della Grecia dal Consiglio d' Europa , dagli organismi comunitari e dall' Alleanza Atlantica . a questo problema ha accennato questa mattina il ministro degli Esteri . egli ha ricordato l' impegno che, su richiesta italiana, il comitato dei ministri del Consiglio d' Europa assunse nella riunione del 6 maggio scorso a Londra, di riunirsi non oltre dicembre per prendere una decisione definitiva. esistevano già allora le condizioni per l' esclusione della Grecia dal Consiglio d' Europa , ma sopravvivevano illusioni e considerazioni di modi, di tempi e di interessi, senza rapporto con la realtà, ma dure ad arrendersi: soprattutto l' illusione che fosse possibile una liberalizzazione o addirittura una democratizzazione della dittatura militare greca. tutto questo è stato liquidato dai fatti e dal rincrudimento del regime militare e poliziesco, per cui allo stato delle cose , e in maniera definitiva, una sola decisione è possibile nella riunione di dicembre del comitato dei ministri del Consiglio d' Europa : quella della esclusione della Grecia finché non siano ristabiliti ad Atene le pubbliche libertà, l' ordinamento costituzionale e un libero Parlamento. si andrà così incontro ad una aspirazione profonda del popolo ellenico e alla sua manifesta volontà di libertà e di giustizia; troverà la sua logica sanzione il principio, che vale anche per la Spagna e per il Portogallo, che nelle istituzioni comunitarie hanno il loro posto naturale soltanto i paesi democratici. ed eccomi, onorevoli colleghi , al problema dei problemi della politica estera italiana: l' unità dell' Europa. credo che la questione da esaminare sia quella di che cosa fare per l' Europa al prossimo vertice dell' Aja. i governi si accingono a parteciparvi con un senso di notevole inquietudine, desiderosi di salvare l' impresa europea nella quale i nostri paesi sono ormai impegnati da molti anni, e tuttavia incerti su che cosa fare, poiché per la costruzione europea è ormai giunta l' ora della verità. i problemi si sono moltiplicati e accavallati. la comunità economica europea, benché fondata solo da sei nazioni, è stata concepita fin dall' inizio e può alla lunga restare in piedi solo se è pronta ad accogliere nel suo seno tutti i popoli democratici d' Europa che ne vogliano far parte. eppure si continua a tener chiusa la porta dinanzi a paesi che hanno tutte le carte in regola per entrare. l' unione doganale , ormai quasi completata, ha giovato non poco alle economie dei sei paesi, ma poiché le ha rese molto più collegate e interdipendenti di quanto fossero mai state nel passato, esige che ci si muova con sollecitudine verso la vera e propria unione economica . altrimenti la stessa unione doganale è condannata a dissolversi. le recenti vicende monetarie francesi e tedesche hanno già obbligato a separare di nuovo i mercati agricoli di quei due paesi. il ritardo nostro e quello belga nel mettere in atto l' imposta sul valore aggiunto vanifica in parte quella libertà di movimento delle merci che credevamo ormai raggiunta. siamo in ritardo nello stabilimento d' una comune politica commerciale , che si doveva introdurre per la fine di quest' anno. la mancanza di una comune politica di programmazione, nella quale dovrebbero essere inquadrate le programmazioni nazionali, spinge le nostre economie su vie divergenti, rendendole incapaci di sviluppare i rami più avanzati dell' industria e di tener testa con successo alle tendenze egemoniche dell' industria americana. il persistente rifiuto di adottare un comune piano di riforma delle antiquate strutture agricole di tutti i nostri paesi ci obbliga a ridurre tutta la politica agricola comune ad un assurdo e costoso finanziamento di alti prezzi che non potrà più durare a lungo. non solo noi, ma il mondo intero ha bisogno d' una certezza monetaria europea, poiché l' Europa è il primo centro commerciale mondiale, mentre le nostre politiche monetarie continuano invece a restare nazionali e sempre più spesso divengono un elemento di inquietudine sul mercato mondiale, accrescendo l' incertezza invece di farla sparire. il perché di queste resistenze e reticenze nazionali, di questa paralisi crescente della comunità economica , non è difficile da individuare. si esita a creare un comune sistema economico europeo, nonostante tutti gli evidenti suoi vantaggi, perché non abbiamo ancora nemmeno l' inizio d' una vera e propria comunità politica . non è infatti possibile mettere insieme le nostre risorse e le nostre capacità produttive, diventando irrevocabilmente uniti, se non c' è anche il fermo e irrevocabile proposito di dare all' Europa una sola voce e una sola volontà nella politica internazionale , in modo ben più organico di quello che si è tentato di fare fino ad oggi con l' Ueo. è giunto il momento di comprendere che i nostri rapporti con l' America potranno cessare di essere rapporti di dipendenza di fatto e diventare rapporti di partnership tra uguali solo se l' Europa si comporterà come un' unità politica. è giunto il momento di comprendere che il lungo negoziato per la sicurezza europea, di cui ho già sottolineato la necessità e l' importanza, non potrà approdare a risultati positivi finché l' est non avrà come valido interlocutore una comunità politica dei paesi democratici di Europa, capaci di impegnare tutti egualmente i suoi membri a quei nuovi accordi di buon vicinato e di crescente cooperazione sui quali si dovrà fondare la pace nel nostro continente. se questi, onorevoli colleghi , sono gli obiettivi alla cui realizzazione il prossimo vertice europeo dovrà impegnarsi con i fatti e non solo con solenni dichiarazioni, ci corre l' obbligo di dire che questa realizzazione non potrà essere l' opera di una breve conferenza di ministri, ma sarà un lavoro di anni. come affrontarlo questo lavoro? con una ennesima, solenne dichiarazione di buone intenzioni che saranno poi dimenticate con la stessa rapidità con cui saranno state fatte? gingillandoci attorno alle priorità nel trittico della diplomazia francese — completamento, rafforzamento e ampliamento del MEC — del quale lei, onorevole Moro, ha detto giustamente che i tre elementi sono politicamente collegati e debbono pertanto essere discussi parallelamente? scoraggiando in Gran Bretagna la buona volontà europeistica del Governo, del parlamento, dei partiti e dell' opinione pubblica ? Parigi ha fatto un notevole passo in avanti dai veti gollisti al su ricordato trittico, ma non può non rendersi conto che allo stato delle cose il problema è quello di associare al MEC la Gran Bretagna e i paesi che con essa battono alle porte, per poi affrontare assieme la necessaria opera del completamento e rafforzamento dei trattati di Roma . certo, onorevoli colleghi , al prossimo vertice si dovranno prendere alcune decisioni di emergenza; si dovrà decidere di dare inizio al negoziato con l' Inghilterra e sarà saggio che il mandato di negoziare sia dato alla commissione, sola interprete comune di tutti nella messa a punto del trattato di adesione. si dovrà prendere una decisione provvisoria per il finanziamento dell' attuale politica agricola . ci si dovrà impegnare a ristabilire una certezza nella convertibilità delle nostre monete. ma il segno che ci si sarà messi su una nuova strada non sarà dato da queste misure, sarà dato dalla decisione di mettere in piedi senza indugi un corpo politico europeo permanente, dotato di grande autorità, interessato per la sua stessa natura a lavorare con continuità per anni e decenni alla costruzione progressiva dell' Europa, un corpo politico che rappresenti tutti i nostri popoli. il popolo europeo , principale interessato al successo dell' impresa, è stato finora il grande assente e bisogna invece chiamarlo ora a partecipare all' impresa. l' Europa sarà frutto ed espressione della democrazia europea, oppure non sarà. noi abbiamo già un Parlamento europeo ; un impegno, finora non mantenuto, di farlo eleggere direttamente; abbiamo il dovere di estendere le sue funzioni di controllo sulle attività della comunità economica . ebbene, al vertice dell' Aja noi dovremo esigere con fermezza con questo impegno venga mantenuto. si chieda all' attuale Parlamento europeo di riesaminare le varie proposte finora fatte di elezioni europee e di proporre, nel più breve termine possibile, un progetto di legge elettorale europeo. i governi si impegnino fin d' ora a ratificare quella legge e a procedere subito alle elezioni. si decida di riconoscere a tale Parlamento eletto non solo maggiori mezzi di controllo sulla Comunità Europea ma anche il diritto di partecipare ad ogni ulteriore atto di costruzione europea. sarà allora possibile fare un passo dopo l' altro, procedere programmaticamente e ci sarà la garanzia della continuità del lavoro. ci sarà un dialogo continuo e permanente tra i governi nazionali, rappresentanti le esigenze particolari delle loro nazioni e il Parlamento europeo eletto a suffragio universale e portatore del punto di vista comune, del grado di consenso popolare, della legittimità democratica europea. il nostro Governo sostiene da tempo la tesi delle elezioni europee , ma sarà quella dell' Aja la grande occasione per battersi a fondo per ottenere che il Parlamento abbia infine la sua origine popolare e che diventi uno degli attori permanenti ed autorevoli della costruzione europea. onorevoli colleghi , quelli che ho indicato sono alcuni dei problemi di maggiore importanza che condizionano l' avvenire del mondo e quello dell' Europa, cui siamo più strettamente interessati. ci sono nel Parlamento e nel paese le competenze e le volontà necessarie per un valido contributo italiano alla loro soluzione. molto, nella crisi di sfiducia dei giovani verso le istituzioni nazionali ed internazionali, è frutto dell' inefficienza di tali istituzioni; molte inquietudini della nostra epoca dipendono dalla incertezza della pace. la mia conclusione si ricollega, quindi, alla premessa. la politica estera , della quale l' onorevole Moro ha indicato le linee essenziali, è giusta ed ha il nostro consenso. ma come non si possono sviluppare una politica generale del paese e una politica interna organica in una situazione generale di crisi degli indirizzi di fondo e degli schieramenti di poteri, così, in tali condizioni, non si potrebbe portare avanti con la necessaria iniziativa la politica estera . affretti, quindi, il Parlamento la soluzione dei problemi di base del paese nel settore della politica internazionale . la posta è rappresentata dalla pace, che venticinque anni dopo la seconda guerra mondiale non è così a pezzi da far temere una terza conflagrazione, ma non è neppure così salda e sicura da consentirci di guardare con serenità al domani del nostro paese.