Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
V Legislatura - Assemblea n. 18 - seduta del 25-07-1968
Concernente il ripiano dei disavanzi di amministrazioni locali
1968 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 158
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , desidero esprimere la sodisfazione del gruppo repubblicano per l' annunzio dato dal Governo di voler firmare il trattato di non proliferazione : desidero esprimere questa sodisfazione per il fatto in sé e per il quadro di equilibrio internazionale in cui il trattato si colloca. come i colleghi sanno, questa dell' adesione dell' Italia al trattato di non proliferazione è stata una battaglia coerente e tenace del gruppo repubblicano, in qualche momento una battaglia isolata e difficile. ma noi crediamo di aver compiuto il nostro dovere, di aver collocato questo fatto nei precedenti della politica democratica italiana, e di avere, sul terreno in cui era possibile per l' Italia dare un contributo alla pace e alla distensione, spinto a dare questo concreto e preciso contributo. tralascio di risalire ai precedenti storici o ai richiami storici in questa materia. dato che oggi l' Europa si trova nelle condizioni in cui si trova, non sono certo i nostalgici, coloro che l' hanno distrutta, che ci possono richiamare alle nostre responsabilità. essi hanno un solo dovere: tacere. perché, signor presidente , mai nessun regime come i due in questione, dei quali l' uno era l' evidente servo dell' altro, è arrivato a distruggere un' intera civiltà. quindi non mi soffermo su questi precedenti storici che dovrebbero costituire la vergogna perenne di coloro che ancora riflettono tale mondo. mi riferisco alla azione che l' Italia ha esplicato in questo campo. e il nostro primo riferimento è alla coerenza che la politica di un paese democratico deve avere. dopo il primo trattato tra la Russia e gli USA, che sospendeva parzialmente gli esperimenti nucleari, fu l' Italia agli inizi del 1965 a lanciar l' idea di addivenire ad un trattato che impedisse la disseminazione delle armi atomiche . e fu l' Italia che, per dare il tempo necessario alla realizzazione di tale trattato, presentò a Ginevra un progetto di moratoria nucleare riguardante i paesi non nucleari. è evidente, onorevoli colleghi , che quando l' Italia a Ginevra prese questa iniziativa, trattandosi di un' iniziativa importante, che ha attirato l' attenzione del mondo, ebbe tempo e modo di riflettere sulle conseguenze di essa. e noi abbiamo sempre detto che comprendevamo che tutte le riserve possibili fossero state valutate prima dell' assunzione dell' iniziativa medesima, ma che qualunque riserva a posteriori , nel corso della trattativa, doveva essere coerente con l' impostazione che il nostro paese aveva dato al problema. questo può essere un primo argomento, che richiama naturalmente le forze politiche e parlamentari e la diplomazia di un grande paese a vedere la sua azione internazionale nella coerenza che essa deve sempre avere. ma noi ci siamo domandati, in tutto questo periodo, se veramente uno degli argomenti fondamentali usati contro il trattato di non proliferazione , che cioè questo attuasse una specie di restrizione quanto all' uso pacifico dell' energia atomica e alla possibilità di sviluppo di tutte le ricerche e di tutte le tecnologie in questo campo; ci siamo domandati — dicevo — se questa riserva che a un certo punto è apparsa all' orizzonte della nostra discussione avesse un fondamento. dai documenti che abbiamo pubblicato, dalle riunioni, dai chiarimenti che abbiamo avuto coi maggiori competenti della scienza nucleare del nostro paese ci è parso ben evidente, chiarissimo, che in nessun caso la firma di un trattato di non proliferazione nucleare poteva porre il problema di una limitazione dello sviluppo della ricerca scientifica , delle tecnologie e dell' uso pacifico dell' energia nucleare . si sentono parlare molti « sapienti » in questo campo. Albonetti è un funzionario, piccolo e assai improvvido. di contro ad Albonetti, noi citiamo il nome del professor Amaldi, che è il maggiore scienziato nucleare che abbia il nostro paese! citiamo il nome del professor Bernardini, che è uno dei maggiori scienziati del nostro paese, e ha fama internazionale: citiamo cioè i più alti rappresentanti della scienza nucleare nel nostro paese, citiamo coloro che hanno dato all' Italia la possibilità di partecipare alla gara nucleare pacifica con altezza di propositi e di realizzazioni. questa nostra impostazione, che fa riferimento al pensiero scientifico, non è stata mai smentita. io ho il diritto di giudicare qualcuno piccolo o grande, dentro e fuori di qui. non si tratta di un collega; si tratta di un funzionario, e io ho il diritto di giudicarlo per quello che è. questa, che poteva essere una preoccupazione di fondo, a giudizio dei maggiori scienziati italiani non ha alcun fondamento. nel trattato, attraverso norme esplicite, è riconosciuto il diritto di ogni paese a sviluppare l' energia atomica in senso pacifico e ad approfondire le ricerche, dando impulso alla tecnologia. d' altra parte, onorevole ministro, ella stesso ha chiarito questo aspetto del problema e ne ha indicato la corretta impostazione quando ha detto che in gran parte lo sviluppo della produzione nucleare in senso pacifico, lo sviluppo delle ricerche e lo stesso scambio delle esperienze tra i vari paesi dipendono da quello che desiderano fare le grandi potenze. ora non deve sfuggire alla Camera che una delle situazioni paradossali in cui ci troviamo, con riguardo all' energia atomica, è che i grandi paesi nucleari, le superpotenze, impegnate non solo nella gara nucleare tra di loro, ma anche nel controllo di quello che avviene nel mondo, avrebbero sempre minor interesse a favorire lo sviluppo dell' energia a scopi pacifici nel resto del mondo. cioè sfugge alla comprensione che una garanzia di limitazione dello sviluppo in senso militare è la sola via che possa consentire un più largo sviluppo della ricerca, un più largo scambio di esperienze e la più larga utilizzazione dell' energia nucleare a scopi pacifici. quando noi ci poniamo il problema della limitazione degli armamenti, e ce lo poniamo in tutti i paesi, ce lo poniamo nel senso che la limitazione degli armamenti può sprigionare energie — nel senso di utilizzazione di capitali, di mezzi, di ricerche, di tecnologia — nel campo pacifico, per lo sviluppo della vita civile. no, onorevole collega, ella non comprende il problema. le potenze militarmente più forti sono tanto più forti anche in questo campo che guardano con non molta attenzione alla gara della Francia o della Cina: ella lo sa bene. se si tratta di conservare un divario di ordine militare, con la conseguenza che può avere nell' ordine della utilizzazione interna tecnologica, questi guardano con molto distacco a quello che avviene nei paesi che hanno iniziato la gara nucleare sul terreno militare. lei non trova molte preoccupazioni negli USA o nella Russia per quanto fa la Francia. quindi non è da questo punto di vista , cioè fondandosi sullo sviluppo militare, che si può colmare il cosiddetto gap tecnologico in campo nucleare fra la Russia, gli USA e la Francia. basta leggere quello che scrivono i maggiori tecnici francesi della materia per constatare che il generale De Gaulle , mettendosi nella gara nucleare, ha investito miliardi e miliardi di franchi in uno sforzo di concorrenza che non lo porterà a nulla, perché il ritardo rispetto alle potenze nucleari militari aumenta, non diminuisce. ma troverà anche detto dai francesi più riflessivi che l' essersi il generale De Gaulle fissato su questo problema ha impedito lo sviluppo tecnologico della Francia in altri campi. ha impedito cioè che la Francia si trovasse, in altri settori industriali, avanzata rispetto alla stessa Italia, proprio perché lo sforzo militare le ha tolto possibilità di competizione tecnologica in altri campi. e tanto questo è vero che la Gran Bretagna , che era entrata nella gara degli armamenti, va disarmando da questo punto di vista perché ha altre esigenze di rinnovamento della sua struttura industriale e tecnologica e sente che, premuta da interessi militari, forse può perdere ancora terreno. l' idea che su un fondamento militare si possa costruire l' avvenire di un paese dal punto di vista della ricerca scientifica e tecnologica, a mio giudizio, e a giudizio dei maggiori scienziati, è priva di fondamento. non c' è nessun rapporto tra lo sviluppo di una forza militare e lo sviluppo di una tecnologia, sopratutto quando i maggiori paesi possono liberare certe loro forze dall' impiego militare, per dare questi mezzi allo sviluppo pacifico dell' energia nucleare . d' altra parte è evidente — e lo ha detto lo onorevole ministro — che in questo campo noi ancora dipendiamo da quello che ci possono dare gli USA, né sapremmo poter fare a meno di quello che gli USA possano compiere in questo campo. e quando si firmerà il trattato potremo compiere uno sforzo congiunto da parte di tutti i paesi affinché il processo di sviluppo nel campo pacifico sia accelerato. in altri termini dobbiamo chiarire, onorevoli colleghi , se noi abbiamo una preoccupazione di gara militare o se. abbiamo invece, veramente, una preoccupazione di sviluppo scientifico e tecnologico. se abbiamo preoccupazioni di gara militare, devo dire che veramente si illude colui che crede che con il riservarsi la libertà in questo campo si possa colmare, ciò che richiederebbe impegno di vastissimi mezzi, il distacco che esiste tra le grandi potenze militari e questi paesi che tentano l' armamento nucleare. vi è in più il pericolo che noi non entriamo in gara con le grandi potenze, ma che entriamo in una gara di piccole e medie potenze, che finirà con l' esaurire le risorse di queste ultime in una pressoché inutile competizione militare. quindi, dal punto di vista del partito repubblicano , non esiste nessuna preoccupazione che riguardi lo sviluppo della nostra ricerca scientifica o tecnologica. anzi, nel fatto che in sede di utilizzazione pacifica il nostro paese è tra i più avanzati del mondo, troviamo la controprova dell' asserzione che l' applicazione delle nostre risorse allo sviluppo civile ci è stato ripagata con un maggiore progresso. se noi ci fossimo posti problemi di sviluppo militare senza applicare i mezzi allo sviluppo civile, probabilmente ci saremmo trovati in condizioni molto peggiori, senza per questo potere ambire di colmare il distacco che sul terreno militare esiste in questo campo. cioè dobbiamo prendere atto della realtà della situazione internazionale e degli equilibri che essa comporta. l' onorevole ministro ha detto che noi approfondiremo le conversazioni in questo campo. ed è giusto che lo facciamo: cercheremo di arrivare ad accordi ben precisi, cercheremo di garantirci in ogni caso la possibilità di avere i mezzi di scambio, di esperienze, di ricerche affinché il nostro ritmo di sviluppo tecnologico in senso pacifico non venga meno. questo non ci deve far dimenticare cosa potrebbe voler dire per il mondo il fatto che non si sottoscriva il trattato, il fatto, cioè, che per una ragione o per l' altra il trattato non possa essere realizzato. molte volte ho sentito parlare, in questa Camera, di contributo che la democrazia del nostro paese deve dare al processo di distensione e di pace. se queste non sono parole vuote, retorica esercitata sulla pelle di questo o quell' altro paese che si trovi nella competizione mondiale, è necessario, da parte nostra, sapere individuare il terreno sui cui può essere portato questo nostro contributo. desidero d' altra parte dire, e con questo mi riferisco alle preoccupazioni che riguardano lo sviluppo dell' unità europea, che, in un certo senso, molti importanti paesi europei rinunciarono a porsi sul terreno di una compartecipazione, anche dal punto di vista militare, dell' utilizzazione dell' energia nucleare allorché venne fatta cadere la proposta di forza multilaterale nucleare. questa proposta venne fatta cadere da molti paesi europei con decisioni che sono state ampiamente discusse. quello è stato il punto limite della partecipazione dell' Europa all' armamento nucleare; quella è stata cioè l' ultima proposta che avrebbe consentito all' Europa di aprirsi questa possibilità. allorché questa proposta è caduta, è apparso evidente, e l' Italia con la sua iniziativa lo ha sottolineato, che ci saremmo trovati nella condizione per cui il problema dell' unità europea non si sarebbe più potuto porre come problema che implicasse l' armamento nucleare. non si poteva passare dall' aver respinto la forza multilaterale a volere un armamento nucleare atomico dell' Europa. è stata respinta dalla Gran Bretagna , dall' Italia e dagli altri paesi europei . pretendere di passare dalla proposta di forza multilaterale alla proposta di armamento atomico nucleare dell' Europa era un controsenso assoluto: aver fatto cadere quella proposta, ci portava a concepire l' unità europea al di fuori di uno sforzo militare sul terreno nucleare. implicitamente cioè si riconosceva che il problema dell' armamento nucleare e dell' equilibrio in materia di avanzamento nucleare era affidato alle due superpotenze, USA da una parte e Urss dall' altra. e vengo al quadro internazionale in cui abbiamo collocato questo problema con estremo realismo. cosa abbiamo detto in tutti questi anni? abbiamo detto tre cose. l' onorevole Servello, illustrando i pericoli dell' armamento, si sostituiva alle valutazioni che in proposito ha il dovere di fare un altro grande paese, quello degli USA. egli dava lezione e diceva: la Russia avanza nei suoi armamenti, gli americani si fanno imbrogliare, facciamo noi una piccola bomba così sostituiamo gli USA in questo sforzo. è evidente che la responsabilità dell' equilibrio del mondo per molto tempo è affidata alle due superpotenze e noi non possiamo velleitariamente sostituire a questa situazione un' altra che non ha alcuna base concreta realizzabile. abbiamo detto che bisognava facilitare il secondo atto di distensione fra le due superpotenze; ve ne era già stato uno nel 1963. il fatto che non si potesse andare avanti su questa linea, evidentemente ci avrebbe fatto regredire ad una situazione pressoché di guerra fredda . è stata questa la prima nostra considerazione, che non è smentita dai fatti. è chiaro che la firma del trattato di non proliferazione ha rappresentato, agli occhi del mondo, la possibilità di consolidare la via della coesistenza pacifica e della distensione. abbiamo detto che il trattato poteva essere un punto centrale. noi abbiamo vissuto e viviamo l' angoscia di molti conflitti locali: il conflitto dell' Estremo Oriente , quello del Vietnam. ma una delle proposizioni che noi abbiamo sostenuto tenacemente (i colleghi ce ne daranno atto) è che nessun problema oggi si colloca sulla scena del mondo indipendentemente dal problema dell' equilibrio tra i due blocchi . quindi, un passo fatto sulla via della distensione e della pace probabilmente può facilitare la soluzione di problemi collaterali che rientrano in questo quadro di equilibrio. ora a me non pare che quest' altra nostra constatazione sia stata smentita. è chiaro che il problema del Vietnam rimane grave; che il problema dell' Estremo Oriente rimane grave; ma è altrettanto chiaro che se si apre qualche spiraglio, se c' è una possibilità, se c' è una attenuazione della tensione in cui abbiamo vissuto fino ad alcuni mesi fa, questo è dovuto al fatto che le due superpotenze hanno potuto compiere un altro passo sulla via della distensione e della pace. il terzo tema, rispetto ai dubbi e alle incertezze che si sono manifestati in proposito, consiste nel fatto che noi concepiamo la via al disarmo estremamente graduale. io faccio questo se tu fai quello; io non faccio questo se tu non fai quello: ma questa è la via per non concludere nulla! abbiamo detto che la firma del trattato avrebbe offerto la possibilità di ulteriori passi. lo abbiamo detto moltissime volte in quest' Aula e non può certo dirsi che i fatti ci abbiano smentito. voi avete visto, onorevoli colleghi , che si è appena chiusa la questione del trattato di non proliferazione e si è subito aperta la possibilità di trattative sull' armamento antimissili, che è un altro dei problemi gravi, anzi drammatici, in cui è coinvolta l' umanità. non vorrei che qualcuno ritenesse che, essendovi un problema di missilistica tra gli USA e l' Unione Sovietica , noi dovremmo entrare nella gara missilistica, così come vorremmo entrare nella gara nucleare. è evidente che la possibilità di un' intesa fra USA e Russia in materia missilistica, a cui ci ha portato il trattato, costituisce un fatto di enorme importanza per lo sviluppo della società umana. tutti sanno, però, che cosa la gara missilistica rappresenti dal punto di vista degli sforzi che vengono richiesti, dal punto di vista dei costi. nei suoi confronti, la gara nucleare diventa quasi uno scherzo. se si esaminano i conti della gara missilistica, ci si può anche render conto di che cosa, a causa del rapporto fra le due superpotenze, possa avvenire di riflesso per l' umanità intera, giacché non v' è dubbio che il rapporto fra le due potenze condiziona lo sviluppo della vita pacifica degli altri popoli. così è stato possibile constatare subito la conseguenza che la firma del trattato di non proliferazione ha avuto per l' umanità. non ci siamo sbagliati nell' individuare nel trattato uno dei mezzi con cui si rafforzava e si mandava avanti il processo di coesistenza pacifica . e non che, da questo punto di vista , per quanto riguarda i controlli, dobbiamo vedere il problema unilateralmente; la Russia viene sì a controllare casa nostra, ma gli USA andranno a controllare la casa altrui, la casa del blocco sovietico. i paesi non nucleari saranno ammessi a questo controllo se nella Agenzia di Vienna si modificheranno gli organi rappresentativi, come suggeriva il ministro Medici. in sostanza, un problema di questo genere non può essere riguardato da una sola parte. nel tentativo di ricercare una soluzione ai problemi di equilibrio e di coesistenza pacifica , ogni paese deve comprendere quale sacrificio debba sopportare per assicurare la pace. né bisogna dimenticare che siamo sempre sull' orlo non di una piccola guerra o di una guerra convenzionale, bensì di un conflitto che farebbe cessare il discorso per tutti, per qualsiasi paese e per le sorti dell' intera umanità. ciò mi porta a considerare un ulteriore punto di questa discussione, a mio avviso, molto importante e grave. abbiamo sempre detto che la coesistenza si attua tra blocchi, che possono piacere oppure no, ma che sono il frutto di una situazione reale, che affida la pace del mondo alla possibilità che i due blocchi possano camminare sulla via della coesistenza. abbiamo rivendicato la necessità dell' esistenza di una zona di sicurezza occidentale garantita dagli USA e di una zona di sicurezza orientale garantita dalla Russia sovietica . abbiamo sempre detto che la politica francese e quella cinese non contribuiscono, con le loro iniziative autonome, al consolidamento della pace, ma sono elementi di disturbo in un processo che è l' unico a poter salvare l' umanità dalla catastrofe. noi abbiamo accettato questa posizione, ma gli amici e i colleghi che la discutono debbono anche dirci quale alternativa propongono. la moratoria era proposta allo scopo di addivenire al trattato. del resto il problema dell' equilibrio internazionale lo stiamo vivendo in questi giorni. onorevoli colleghi , vorrei intrattenermi un momento su questo punto. vi è una certa insofferenza per il fatto che due superpotenze siano garanti di questo equilibrio. ma vogliamo forse sviluppare l' anarchia del gioco di potenza? vogliamo dissociare questi blocchi senza sapere che cosa sostituire a questo equilibrio di sicurezza? con quali prospettive? sento parlare molto spesso di dissociazione dei blocchi, di iniziative di uscita da un blocco, dal patto atlantico o dal Patto di Varsavia . bisogna stare attenti. in questi giorni vedete, attraverso la Cecoslovacchia, quali sono i limiti imposti da valutazioni obiettive a questo gioco di dissociazione. devo dire che comprendo la logica cui porta un sistema di blocchi, che garantisce la sicurezza di una situazione. non sarei così leggero da pormi il problema di dove possa arrivare la Cecoslovacchia. si è visto cosa possa rappresentare per un popolo l' errore su questo terreno. quindi consiglierei alla Cecoslovacchia di comprendere i limiti di autonomia nel sistema. ma, come si vede questo problema per quanto riguarda il blocco orientale , così bisogna vederlo per quanto riguarda il blocco occidentale . non si possono usare in questo campo due pesi e due misure , onorevoli colleghi dell' estrema sinistra . non si può riconoscere che il blocco orientale abbia diritto di garantirsi una certa condizione di sicurezza e credere poi che il blocco occidentale , senza rischio obiettivo per la pace, possa essere dissolto. certamente, quando la Francia esce dal patto atlantico non ha alle sue frontiere le armate degli USA. però le conseguenze, dal punto di vista dell' equilibrio mondiale, possono essere le medesime: cioè, l' indebolimento della condizione di sicurezza di un grande paese occidentale ha l' equivalente nell' indebolimento della posizione di sicurezza della Russia sovietica . e quello che io rimprovero a voi, colleghi dell' estrema sinistra , è di considerare la fondatezza di queste esigenze solo con riguardo all' Oriente e non all' Occidente, e di trattare questo problema con estrema leggerezza, il che non è un avvio a condizioni di coesistenza pacifica , ma è un avvio a una condizione che aggrava i pericoli di guerra. come voi siete fermi, nelle vostre valutazioni, a riconoscere le condizioni di sicurezza nel mondo orientale, noi repubblicani siamo fermi nel riconoscere le condizioni di sicurezza nel blocco occidentale e nel volerle garantire, senza per questo non vedere come si può marciare verso la coesistenza pacifica e la distensione. sono i blocchi nel loro complesso che marciano, e la pace è affidata a questa capacità dei due blocchi di rompere le situazioni anarchiche, nazionalistiche o estremiste che siano (siano cinesi, siano golliste o siano « missine » ); la pace è affidata alla sua possibilità di inserirsi nella logica dei blocchi e di spingerli alla coesistenza e a conquistare altre posizioni di distensione, che sono posizioni di graduale disarmo in prospettiva. ho detto di stare attenti; i processi autonomi si sviluppano disgraziatamente in questo quadro, e questa è la realtà, tutto il resto è sogno. quando sento parlare con facilità di uscire dal patto atlantico o di uscire dal Patto di Varsavia mi viene da ridere. onorevoli colleghi dell' estrema sinistra , quante volte, obiettivamente, questo gioco di politica internazionale finisce col mettere in forse gli interessi dello sviluppo della coesistenza pacifica e della distensione! non ci potete accusare di non aver visto sempre chiaramente questo problema, non ci potete accusare di aver mai fatto una speculazione politica sulle difficoltà dell' una o dell' altra parte, dato che azioni sbagliate possono venire da qualunque paese. da questo angolo visuale noi abbiamo sempre criticato il generale De Gaulle come i cinesi. le azioni sbagliate in questo campo complicano i problemi del mondo e non ci fanno uscire dalle situazioni drammatiche in cui viviamo. e soprattutto non ci aprono alcuna prospettiva per il disarmo, perché se qualche speranza si ha in questo campo, la si ha, dopo quello che è avvenuto con il primo e con il secondo trattato, con quello che può avvenire attraverso la trattativa sull' armamento antimissilistico. quali altre prospettive di disarmo potete avere, rispetto a questi grandi fatti che, ripeto, possono determinare l' avvenire e il destino dell' umanità? che cosa potete sostituire? quando ci angosciamo su problemi particolari, dimentichiamo che la sorte del mondo è riposta esclusivamente sulla soluzione di grossi problemi, come quelli accennati. chiaro che l' autonomia dei due blocchi si sviluppa di più quando la loro sicurezza è assicurata, quando uno dei blocchi rispetto all' altro dà sicurezza, quando nessuno deve temere la prevalenza di un blocco sull' altro, perché è proprio qui che si ha la misura degli interessi di fondo. voi sapete che quando l' equilibrio attraverso i due blocchi non è assicurato, il pericolo di guerra aumenta. e non si fanno molti passi avanti dissociando, come si dice, il patto atlantico , anzi si fa avvicinare di più il pericolo di guerra; ugualmente non si fanno molti passi avanti per l' avvenire dei popoli cercando di dissociare il Patto di Varsavia sulla pelle di altri popoli, perché molte volte sulla pelle di altri popoli siamo facili nei nostri giudizi. la via della costruzione della pace, onorevoli colleghi , è lunga e faticosa e richiede molti sacrifici, molta consapevolezza, molto senso di responsabilità , molto realismo; richiede che si valutino bene la propria posizione e la propria responsabilità. e noi italiani abbiamo una responsabilità nel momento in cui possiamo dare, come attraverso il trattato diamo, un contributo alla pace. nostro dovere darlo, ma dobbiamo sapere qual è il limite di questa nostra posizione e renderci conto che siamo un elemento di un sistema che trova l' equilibrio con un altro sistema, senza dissociarci così facilmente da questa responsabilità. questa è la posizione dei repubblicani, che non credo sia demagogica, leggera o faziosa, né che prescinda dai veri interessi del nostro paese, interessi di vita pacifica, di sviluppo democratico, di ricerca, di arricchimento economico e sociale non solo per l' Italia, ma per gli altri popoli. infatti, quando la gara per questi costosi e terribili armamenti è limitata anche per le due grandi superpotenze, questo si riflette sulla sorte dell' umanità, questo fa sì che immense energie, che non trovano applicazione sul terreno della difesa militare, possano essere dedicate allo sviluppo della vita pacifica dei popoli e soprattutto dei popoli sottosviluppati. noi abbiamo collocato questo problema nell' ambito di quella che dovrebbe essere la visione di un equilibrio internazionale e di quelli che sono gli interessi democratici del nostro paese. siamo lieti che il Governo si accinga a firmare il trattato e siamo certi che questa rappresenterà una pagina di nobiltà, di devozione alla causa democratica da parte del nostro paese.