Giulio ANDREOTTI - Ministro degli Affari Esteri Maggioranza
IX Legislatura - Assemblea n. 492 - seduta del 04-06-1986
Sulla politica estera
1986 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 492
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , un tipo di dibattito come quello che abbiamo avuto oggi, non si presta ad una replica molto dettagliata, perché era inevitabile che il ministero dovesse dar conto di una serie di valutazioni e di notizie e che gli oratori intervenuti prendessero spunto ora da un argomento, ora dall' altro. mi sembra tuttavia che se ne possa trarre una valutazione globale che, vorrei dire, conferma quella che è una linea tradizionale nella nostra politica estera , che ha avuto sempre, come tendenza, quella di cercare di allargare i consensi intorno ai punti fondamentali sui quali si impernia la posizione internazionale della nostra nazione. mi sembra che oratori della maggioranza ed anche, in parte non esigua, oratori che della maggioranza non fanno parte, abbiamo preso varie posizioni: una posizione estremamente differenziata ha assunto l' onorevole Masina (non lo vedo qui presente, ma in questa sede si fa anche un lavoro per corrispondenza, tramite i resoconti dei nostri dibattiti parlamentari !), la cui indipendenza mi sembra sia emersa quasi più che altre volte nella valutazione di tutti questi punti, criticando che non vi sia stato smalto, che vi sia stato un po' di grigiore... c' è poco da dare smalto, nell' elencazione di questi problemi! ripeto che quello che conta è avere la riconferma che quando noi parliamo di sostegno di una linea di dialogo, di appoggio al negoziato, non è per una posizione romantica, o per l' illusione che sia facile risolvere, attraverso discussioni ed incontri, problemi di grande ampiezza e dallo spessore molto differenziato. il fatto è che noi crediamo che non esista altra strada, se non quella della catastrofe, quella dell' avventura. si tratta allora, sempre, di recuperare quegli spazi a volte considerevoli, altre volte estremamente ristretti, per poter collaborare a questo tipo di costruzione politica che registrò l' anno scorso due momenti di grande interesse, suscitatori di notevoli speranze: nel gennaio, con l' incontro a Ginevra dei due ministri degli affari esteri sovietico ed americano; in ottobre, con l' incontro dei massimi esponenti degli stessi due paesi. tutto questo è venuto fuori non occasionalmente, è il risultato di una politica verso la quale hanno spinto anche paesi che non sono le due superpotenze. le situazioni sembrano talvolta registrare, attraverso un moto omogeneo, passi avanti e passi indietro, ed è così; credo però che sfrondando tutto ciò che può indurre ad un pessimismo, vi siano tuttora notevoli elementi per poter credere ad una continuazione di questo dialogo che è stato ripreso lo scorso anno mediante diverse tattiche e metodi che possono essere o meno condivisi. quando non li si condivide, è buona regola utilizzare ciò che fu suggerito dall' allora Primo Ministro inglese Wilson il quale, conversando con l' onorevole Nenni, allora vicepresidente del Consiglio , disse: quando non si è d' accordo con un alleato, se vuoi essere efficace diglielo in un orecchio, se invece vuoi soltanto che lo si sappia, dillo pure in altre maniere. credo che questa sia una buona tattica ed i punti sui quali si possono avere delle differenziazioni — che in alcuni momenti sono molto accentuate — sono nel rispetto dell' economia di una alleanza. è normale il fatto che nelle forme più discrete, in quelle più rispettose, si possa dire che per alcuni argomenti le valutazioni non sono nello stesso modo configurate e prefigurate. riteniamo che sotto questo aspetto debba riferire in ordine a due questioni. che cosa facciamo nella comunità? vi è stata innanzitutto la delusione, in parte non piccola, per il minore risultato della conferenza intergovernativa rispetto a quella di Milano. la posizione iniziale di detta conferenza non era stata improvvisata o costruita con superficialità; vorrei ricordare che durante i lavori preliminari di Milano, fu presentato il rapporto Dough, elaborato dai rappresentanti personali dei vari capi di Stato . tale rapporto poteva essere considerato, accanto all' espressione più ampia del Parlamento europeo , una base della conferenza nella sua conclusione. sono stati invece compiuti molti passi indietro e molti capi di Stato e di Governo non hanno riconosciuto la paternità di quanto in loro nome era stato messo insieme dai rappresentanti della commissione Dough. dobbiamo ora cercare di lavorare su quello che esiste, tentando di fare in modo che l' obiettivo centrale, cioè la costruzione del mercato interno entro il 1992, possa essere raggiunto. poc' anzi l' onorevole Pannella ha citato l' atteggiamento assunto dal Parlamento danese allorquando ha ratificato l' atto unico . per essere esatti durante la discussione — chiederò i testi — è stato più volte fatto riferimento a ciò che lei ha prima citato. in definitiva si tratta di tradurre un testo dal danese, di leggerlo in modo da stabilire chi ha ragione. noi sappiamo che, del resto, vi può essere anche una sottile distinzione quando si cita il compromesso del Lussemburgo, il quale è sostanzialmente composto di due articoli. nell' articolo 1 si dice che, quando vi è in gioco un interesse vitale di uno dei paesi, bisogna fare ogni sforzo per cercare di arrivare ad un convincimento unanime per risolvere il problema di cui si tratta. nell' articolo 2 si dice — allora i paesi membri erano 6 — che la Francia riteneva che, se non si arriva ad un convincimento unanime, non si possa decidere. però si disse che questa era un' opinione soltanto della Francia, che gli altri non accettano. quindi la stessa citazione del compromesso di Lussemburgo potrebbe valere in un certo senso per l' articolo 1 e non per l' articolo 2. ma indipendentemente da questo — che ho dovuto sottolineare, dato che è stato un argomento importante qui evocato — certamente dobbiamo fare in modo che il lavoro di costruzione del mercato interno progredisca effettivamente e nello stesso tempo si dia in tempo utile per la sua terza composizione elettiva, un contenuto di competenze effettive al Parlamento europeo . i modi li vedremo; un gruppo di paesi potrà cercare di vivificare questo argomento attraverso una consultazione, così come Spinelli in parte aveva proposto. quello che importa, io credo, è che si abbia la sensazione precisa che quanto abbiamo detto, prima della conferenza e durante la conferenza, non era un argomento che può essere messo da parte e non considerato come valido. la Comunità, se non fa veramente un grande salto di qualità , è destinata ad avere una forte involuzione, tanto più che si troverà dinanzi a momenti di grande difficoltà internazionale. perché accanto al negoziato per il commercio internazionale vi è uno scontro di grandi interessi economici, in modo particolare di interessi agricoli, e se la Comunità non è preparata, anche a fare qualche revisione e qualche sacrificio interno (perché è giusto che questo debba essere fatto), vi è il rischio di andare molto indietro. e qualche sintomo già esiste. quando vedo che certi paesi cominciano a riprendere una filosofia delle proprie zone depresse per legittimare un intervento di carattere nazionale, che sostituisca la diminuzione dell' intervento di carattere comunitario, e quindi non impedisca quell' aumento ulteriore delle giacenze, con tutto quello che ne deriva di conseguenze negative, non soltanto finanziarie, io sono molto preoccupato. non possiamo, quindi, lasciare il discorso della Comunità ad un gruppo di affezionati o di esperti. è un grande discorso politico che dobbiamo dibattere anche nel nostro Parlamento. e dirò incidentalmente rifacendomi per un attimo a quello che ha detto l' onorevole Fiandrotti sull' Ueo — che occorre, anche per quei temi che fanno parte di dibattiti in assemblee di più Stati, discuterne qui dentro, in modo che i nostri colleghi membri di quegli organismi siano portatori di tesi verificate come valide o non valide nell' apprezzamento interno della nostra nazione, delle altre 6 nazioni in questo caso. quella che sembra, e talvolta è, una difformità tra posizioni estremamente avanzate di queste assemblee e posizioni invece molto avare in seno ai rappresentanti dei governi, dipende semplicemente dal fatto che non vi è una forma sufficiente di verifica e di elaborazione comune, prima di tutto in seno ai parlamenti nazionali. l' altro aspetto sul quale vorrei dire una parola concerne lo SDI, cioè la partecipazione di ditte e di centri di ricerca italiani al programma americano. ne abbiamo discusso abbastanza a lungo nell' altro ramo del Parlamento il 3 aprile scorso, con una relazione congiunta fatta dal ministro della Difesa e da me stesso. ma qual è la situazione? a mio avviso non è un espediente sostenere che oggi è intempestivo un giudizio di carattere tecnico-militare sul disegno globale. e tanto intempestivo che negli stessi USA, non solo nella fase di finanziamento dinanzi al Congresso, ma anche nelle più ampie discussioni dei centri accademici e persino dei centri governativi, sono emerse opinioni estremamente difformi. quindi fare oggi un discorso sulla validità e, di conseguenza, sulle ripercussioni per la difesa europea, nell' ipotesi che il programma possa essere attuato, è, a mio avviso, intempestivo. ritengo, però, che sarebbe grave se il Governo impedisse a centri di ricerca o a ditte di partecipare, su parti del programma, ad attività di ricerca (parlo di attività utilizzabili sotto molti aspetti, anche al di fuori dei risvolti militari, per esempio i laser, i calcolatori, i sensori). se si impedisse una tale partecipazione, credo che veramente faremmo un danno non giustificato. ma allora in che cosa subentra la — chiamiamola così — mano pubblica? la mano pubblica è rilevante sotto un duplice aspetto: da un lato possiamo, se richiesti, dare una certificazione della serietà delle ditte che chiedono di partecipare, dall' altro dobbiamo esigere condizioni, anche giuridicamente valide, per far sì che chi compia tali ricerche possa poi utilizzare i risultati e non essere semplicemente un operatore di commesse altrui, che deve trasferire la ricerca senza poterla utilizzare. ci si è chiesto se si debbano fare accordi segreti. a parte il fatto che io più vado avanti nella vita e più vedo che i segreti non esistono — per fortuna, in un certo senso — , ritengo che non vi sia alcuna necessità di invocare accordi segreti. sono clausole che si possono discutere apertamente e se ne potrà ulteriormente tornare a discutere. non c' è assolutamente nulla di particolarmente complicato in questo settore. mi scuso se non entro nel merito di tutti gli argomenti, anche di quelli che sono stati aggiunti al mio elenco, pur non piccolo. ritengo, pur tuttavia, che avremo altre occasioni per tornare ad affrontare tutti questi problemi. certamente avremo un' occasione in sede di esame, ormai abbastanza avanzato, della riforma della legislazione per la cooperazione allo sviluppo, così come un' altra occasione sarà costituita dalla discussione del disegno di legge di riforma del ministero degli affari esteri , che consentirà di svolgere un dibattito ampio su tutti gli aspetti su cui il ministero esercita la propria attività, compresi gli aspetti culturali e scientifici, così importanti. vorrei soltanto pregare i colleghi di tenere sempre conto della necessità di avere una linea nel dibattere questi problemi. infatti, molte volte le dichiarazioni individuali (nessun partito sfugge a questa metodologia, qualche volta un po' polverizzata) vengono messe in giro come delle linee, come dei mutamenti di strategia o di tattica, perché, trattandosi di materia internazionale, si ha una eco, almeno potenziale, che è più vasta di quella che si ha per i problemi interni. darò poi brevemente il mio parere sulle risoluzioni presentate. ma, per adesso, voglio dire che non credo sia giusto parlare di demagogia democraticista, come ha fatto poco fa l' onorevole Pannella, perché in un certo senso vi è anche una contraddizione. noi diciamo che, pur essendo legati (è la vita quotidiana ) ad un pragmatismo, ad una necessità di rapportare le cose possibili a quella che sarebbe la nostra volontà, ci sono però determinati principi che devono essere tenuti fermi. il principio sui diritti umani , ivi compreso il diritto alla informazione, è uno di questi principi. proprio per questo non dobbiamo considerare fuori posto che si sia fermi su alcuni principi. la condanna dell' apartheid non è un modo per salvarsi l' anima. si tratta, a mio avviso, di un giudizio di carattere politico, e di carattere politico concreto, nel senso che, ad esempio, ciò che ad alcuni è potuto sembrare un passo avanti, la creazione accanto al Parlamento dei bianchi di due parlamenti, uno per gli indi e uno per i meticci e niente di tutto ciò per i neri, che sono la stragrande maggioranza della popolazione, è un qualche cosa che, a mio avviso non è accettabile. la gradualità è spesso un metodo che può essere invocato, ma accade che, invece della gradualità, si viene sostanzialmente ad avere una provocazione. noi sappiamo bene quali siano tutte le difficoltà esistenti. sappiamo quale sia la contestazione che nello stesso gruppo degli africani esiste nei confronti delle posizioni di chi capisce che l' unico modo per costruire senza la violenza è costruire, non impedire che una costruzione venga fatta. credo anche che i tempi non siano tempi lunghi. allora, sotto questo profilo, io non so (forse non lo sa nemmeno il collega Pannella) se Nelson Mandela sappia governare o meno. tenete per molti anni un uomo in prigione e sarà certamente difficile dire se egli sia preparato oppure no. è certo, tuttavia, che tutti, anche i più moderati, dicono che, se non si libererà Nelson Mandela, se non ci sarà un interlocutore che possa veramente e senza ulteriori indugi aprire un discorso concreto e aggregare tutti coloro che vogliono raggiungere un risultato di superamento di questa assurda situazione, tutto questo non potrà nemmeno essere considerato. ma non credo che l' onorevole Pannella sia in contrasto con me su questo punto. purtroppo, non dipende né da me né da lui liberare Mandela, ma io credo che comunque il principio qui vada affermato. analogamente, quando parliamo del Cile, non lo facciamo per fare prediche nei confronti di altri paesi, ma per una oggettiva considerazione. oltretutto, se la situazione dura a lungo, se già in parte si è alterata quella concordia di tutte le forze democratiche e si stanno creando divisioni tra chi vuole passare senz' altro ad una forma violenta e chi, invece, ancora crede alla possibilità di una piattaforma di recupero, perché in questo caso si tratta di recupero, in un paese che ha vissuto in un regime democratico; se ci si trova di fronte a tempo ulteriore, la situazione rischia di andare verso la guerriglia, di andare verso un deperimento che si ripercuoterebbe su altri. basti pensare ai confini con l' Argentina e, con altri paesi vicini. si ripercuoterebbe, dicevo, sull' intera situazione e, forse, rimetterebbe in discussione anche quel che si è (e tutti abbiamo applaudito al riguardo) conquistato democraticamente, negli ultimi anni, superando i regimi delle dittature militari. non credo che debba ulteriormente soffermarmi su altri problemi, perché registro, con notevole soddisfazione, che vi è stata una cospicua concordia nelle valutazioni che sono state espresse. sono state presentate tre risoluzioni. per quanto concerne la risoluzione Piccoli e altri numero 6-00083, esprimo parere favorevole. si tratta della riaffermazione di una linea politica che è stata molto caratterizzante... dobbiamo impegnarci a fare in modo che venga ulteriormente portata avanti e che siano corretti gli inevitabili difetti esistenti; soprattutto che vengano formulati determinati programmi sentendo i diretti interessati, nelle forme che sarà possibile trovare, anche con forme di carattere straordinario. ripeto, sono favorevole a questa risoluzione. non accetto la risoluzione Ronchi numero 600085, per tutta una serie di motivi, di forma e di sostanza. per quel che riguarda la risoluzione Tremaglia numero 6-00084, non accetto la premessa, anche se l' idea di una possibile conferenza internazionale del Mediterraneo, per accertare le possibilità di dirimere in pace le controversie, è più che rispettabile. bisogna studiare tale ipotesi, studiarla insieme ai nostri partners europei (cosa che potremmo fare anche a tempi ravvicinati, avendo già alla fine di questa settimana una riunione informale dei ministri degli Esteri ). quindi accetto come raccomandazione la restante parte del dispositivo della risoluzione Tremaglia numero 6-00084, dalle parole: « invita altresì il Governo » alla fine della risoluzione. sì, signor presidente , ribadisco che mi limito ad accettare come raccomandazione la parte della risoluzione Tremaglia numero 6-00084 contrassegnata dalle parole: « invita altresì il Governo » .