Marco PANNELLA - Deputato Opposizione
IX Legislatura - Assemblea n. 492 - seduta del 04-06-1986
Sulla sfiducia al Governo
1986 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 301
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , colleghi, signor ministro, nella relazione del ministro degli Esteri troviamo la conferma della politica che il Governo ha condotto, con alcune sottolineature che a mio avviso non portano nulla di nuovo. certo, il problema non è quello di portare comunque qualcosa di nuovo, soprattutto in un dibattito che dopo tanti anni era evidente che sarebbe stato quello che è. è la prima volta da sette anni — lo ha già ricordato il presidente del mio gruppo — che facciamo un dibattito di politica estera di carattere generale e pieno; anche se vi sono stati dibattiti, come quello sui missili o su altri argomenti, che hanno avuto molto calore e molta importanza di congiuntura. in base all' ideologia della conferenza dei capigruppo che si è venuta rafforzando dal 1976 in poi, è invalsa la tesi che quanto più i dibattiti sono brevi tanto più sono tesi, pieni, tanto meno la logorrea rischia di stancare i colleghi e tanto più, quindi, si fa atto di Governo delle nostre assemblee e delle nostre responsabilità politiche . invece, oggi abbiamo avuto l' ennesima dimostrazione che se un dibattito nasce assolutamente circoscritto, non articolato, se i gruppi importanti non fanno parlare non solo i loro speaker ufficiali, ma neppure i loro addetti ai diversi settori (quello della politica estera o quello della politica tout court ), è evidente che poi i nostri colleghi restano fuori in « Transatlantico » ad aspettare il rito stanco di una votazione che non si sapeva nemmeno se ci sarebbe stata. così, naturalmente, da stamattina stiamo andando avanti con un dibattito di politica estera , senza che nelle tribune del corpo diplomatico ci sia un solo rappresentante, con pochissima attenzione, con una eccezione del tutto particolare, da parte della stampa, con una presenza di non molti deputati. perché? perché in realtà noi non facciamo un dibattito sulla politica estera generale, articolato, importante, tale da consentire il confronto di tesi e da interessare alle sue conclusioni da più di trent' anni . è tanto che non facciamo una riflessione sulla strategia del nostro paese, sui principi che devono ispirarla, sui suoi eventuali aggiornamenti. l' ultimo grande dibattito del genere si svolse in occasione della nostra adesione al patto atlantico ; in parte forse anche al momento della adesione alla CED. questo è un problema che è più urgente che mai affrontare. sono ormai anni che insisto, mi raccomando (per la fiducia che ho in lui) al presidente della Commissione esteri perché assuma l' iniziativa di istruire almeno per un anno, di preparare un grande dibattito sulla politica estera nel nostro Parlamento. purtroppo invece siamo arrivati a questo dibattito di una sola giornata. certo, so che a quest' ora è in corso un importante ricevimento sul Colle del Quirinale e, grazie anche al tempo un po' più primaverile e meno estivo, è certo un sacrificio stare qui invece che lì. ma credo anche che non ci siano motivazioni molto importanti per stare qui, se non quel senso (che riconosciamo al ministro) di forte adesione allo stile, alle opportunità, alle responsabilità istituzionali grazie alle quali il nostro ministro degli Esteri , di fronte ad un dibattito così stancante e stanco (perché è stancante e stanco), non ci ha da stamane lasciati neppure un istante. questa è dunque un' osservazione politica: discutere in Parlamento in questo modo della politica estera è un grave errore e poi diventa anche una colpa, perché — lo ripeto, signora presidente — questa solfa (le chiedo scusa) che viene sempre fuori dalla conferenza dei capigruppo , quella secondo cui un dibattito quanto più è breve tanto più è importante e partecipato, è falsa. questo significa solo che in partenza i grandi gruppi prepareranno l' intervento letto ed ufficiale di un loro speaker e che giustamente i nostri colleghi rimangono altrove, cosa che non accadrebbe forse se si sentissero più voci, se vi fosse maggiore impegno. comunque, per quello che mi riguarda, vorrei, con tutta l' umiltà necessaria, sperare di poter dare qualche suggerimento in questa sede, anche se forse lo stesso suggerimento avrebbe potuto essere dato magari in un colloquio meno affrettato alla buvette o altrove. ma facciamolo qui, perché dobbiamo pur onorare e rispettare le responsabilità che abbiamo. comincerò allora col ricordare che noi radicali abbiamo, anche un po' testardamente, anche quando apparentemente non era necessario, sottolineato che l' impegno sul fronte europeo di questo Governo e del suo ministro degli Esteri è stato sicuramente tale da meritare approvazione, consenso, anche riconoscimento di grandi capacità (comprese quelle tecniche, che non sono poi da sottovalutare) nella conduzione di una certa linea politica. nell' intervento di oggi, il ministro ha ovviamente introdotto questo tema e lo ha fatto a partire da una considerazione: i problemi più gravi che viviamo nel mondo sono quelli dei rapporti est ovest e l' Europa, per sua condizione geopolitica, è la più coinvolta in questa realtà, ergo, abbiamo bisogno, in fondo, di essere pilastro, ma pilastro europeo dell' Alleanza Atlantica . ecco, forse, signor ministro degli Affari esteri , per una volta lei è andato anche un po' al di là di dove arriviamo noi, i nostri amici repubblicani, io stesso: cioè, la motivazione istituzionale, comunitaria, federalista, europea, è autosufficiente, vale di per sé, cioè non ha bisogno di questo valore aggiunto , dell' essere quindi poi uno dei due pilastri dell' azione atlantica e del mondo atlantico. comunque, va bene , volevo solo dire che anche qui, quando lei nella sua relazione dice che « è necessario che l' Europa occidentale sia unita politicamente » , credo che, forse, siamo d' accordo profondamente; forse sarebbe utile dire « istituzionalmente » , che arrivi cioè ad una unità di tipo istituzionale perché, in fondo, si potrebbe anche parlare di unità politica, se in sede di cooperazione politica, per una volta, ci si trovasse tutti e dodici, od in undici, con l' eccezione che conferma la regola, d' accordo. il problema urgente è quello del soggetto politico che, permanendo soggetto politico nazionale, è totalmente inadeguato per fare qualsiasi cosa, anche quelle cose egregie, anche se non le condividiamo, ma sicuramente nobili ed interessanti, che ad esempio i nostri compagni di democrazia proletaria chiedono sempre che l' Italia faccia: sia presente ovunque, sia presente come forza di pace , eccetera. e illusorio cioè partire dalla convinzione che uno Stato nazionale possa permettersi di dare questo tipo di apporti che loro sollecitano, al di là, ora, del merito delle singole iniziative. a mio avviso è un errore culturale, un errore ideologico e purtroppo la scomparsa di Altiero Spinelli — senza peccare, io credo, di un' accentuazione romantica, di storiografia contemporanea, della visione della lotta politica — la scomparsa di Altiero Spinelli, dicevo, temo che si ripercuoterà quasi subito nel Parlamento europeo , togliendo forse ad esso la forza di essere quell' elemento di propulsione che è stato fino ad ora. se così è, se così rischia di essere, credo che noi dobbiamo a questo punto porci il problema come Governo, come paese e come Repubblica italiana , di muoverci, con iniziative più calcolate ed anche più ambiziose. l' idea di Spinelli, l' idea del Parlamento europeo ed in parte della commissione istituzionale, era quella di lasciare alla sua sorte l' atto unico al quale lei non poteva non rendere quel circoscritto e minimo omaggio che lei ha reso; ma che sappiamo benissimo essere messo in crisi di già, ufficialmente, da quella delibera del Parlamento danese che ha votato una legge che impedirà, a tutti i governi danesi, quali che essi siano, di accettare il voto a maggioranza nell' ambito del Consiglio della Comunità: l' hanno fatto per legge! un fatto, naturalmente, non notato e non riferito dalla nostra stampa, ma, nel momento in cui un Parlamento in Danimarca, dopo il referendum, ha stabilito questo, è indubbio che la possibilità, l' utilità, l' interesse stesso a ratificare — come vogliono — questo atto unico per il Parlamento italiano e per altri parlamenti, viene a mancare totalmente, anche se, nel dibattito in corso alla Camera alta in Gran Bretagna , vengono forse informazioni, indicazioni che possono apparire interessanti. resta quindi il fatto che noi dobbiamo porci un obiettivo, come Italia, per cercare (ecco, questo me lo chiedo ad alta voce, e lo chiedo però al ministro ed alle altre forze parlamentari), ora che siamo in dodici, con l' ingresso della Spagna e del Portogallo, se è immaginabile, se è possibile pensare, se non all' Europa a due velocità (vecchia storia), ad un' iniziativa politica, che ad esempio proponga l' iniziativa di referendum consultivi nei nostri paesi, per dare valore costituente al Parlamento europeo che deve essere eletto nel 1989? questa è una cosa sulla quale dobbiamo forse riflettere. il nostro ministero degli Esteri , a mio avviso, potrebbe aprire un nuovo fronte. potrebbe vedere se all' interno dei Dodici non sia possibile creare, anche grazie alle situazioni di opinione pubblica che esistono per esempio in Spagna, le condizioni perché con il Benelux — anche se sappiamo che purtroppo il Benelux di oggi non è più quello con il quale potemmo compiere dei passi avanti molto importanti nel periodo di De Gasperi e di Schumann — la Spagna, l' Italia, il Lussemburgo, l' Olanda con atti unilaterali annuncino, indipendentemente dalle decisioni che assumerà il Parlamento europeo , visto che la commissione istituzionale riuscirà inutilmente a lavorare in modo spedito, di volere con legge agire in questo senso. guai infatti a proporre referendum consultivi come quelli proposti dai compagni comunisti in occasione di Comiso; questo significherebbe aprire la strada alla possibilità di un uso pericoloso, anche plebiscitario, dell' istituto referendario sotto l' alibi consultivo il giorno in cui un Parlamento accettasse che l' Esecutivo possa di sua iniziativa fare questo. forse però i tempi sono ristretti per fare ciò. dovremmo riuscire per l' autunno, o al massimo per la prossima primavera, con altri due o tre Stati della Comunità ad indire questo referendum consultivo a favore di poteri di tipo costituente — secondo il vecchio progetto, il vecchio trattato del Parlamento europeo — al fine di assegnare allo stesso Parlamento europeo una capacità di impulso istituzionale, di proposta costituente. questo è quindi un suggerimento ed una sollecitazione che rivolgiamo al Governo ed al ministro degli Esteri , anche se formalmente non lo abbiamo voluto tradurre in una mozione, perché credo che sia opportuno, visto che ogni volta che si è trattato di compiere seri passi in avanti in direzione europea abbiamo a volte riscontrato l' unanimità, vedere se possiamo avere una forte maggioranza, se non la stessa unanimità, in questa direzione. il problema comunitario ci vedrà sempre più in situazioni difficili, l' atto unico , mano a mano che il tempo passerà, rivelerà la sua ingestibilità. signor ministro, il 22 giugno avremo la riunione dell' Aja e su questo lei non ci ha detto nulla perché probabilmente non stiamo preparando nulla. questa scadenza si avrà tra pochi giorni ed il Governo non ha immaginato nulla in proposito? cosa dirà l' Italia all' Aja? lasceremo completamente cadere questa occasione? temo purtroppo di sì. dobbiamo però rianimarci e rendere più precisi gli obiettivi concreti, immediati di partenza, non di arrivo, della nostra politica estera in termini europei. vi è un altro problema sul quale la riflessione radicale resta, soprattutto per colpa nostra, pericolosamente solitaria. e una riflessione che da molto tempo facciamo ad alta voce ed è nostra convinzione, signor ministro degli Esteri , che l' impostazione culturale di fondo, se lei vuole antropologica, che noi abbiamo in termini di rapporto est ovest e di rapporto di competizione, risenta pericolosissimamente della cultura, della ideologia, della politica degli anni Trenta nei confronti allora della situazione europea nazista e fascista, per quel che riguardava in quel momento soprattutto le democrazie occidentali (Francia ed Inghilterra). mentre noi siamo tutti tesi a discutere, a sperare, a temere sul fronte dei mancati accordi sulle armi, in realtà sono tuttora presenti i grandi problemi moderni, quelli che furono sottovalutati a Monaco da Francia ed Inghilterra; non a caso ho ricordato il segretario generale del Quai d' Orsay di allora, il poeta Saint John Perse , noto come Alexis de Saint Leger , il quale si dimise dopo Monaco. capì che era stato un errore gravissimo quell' accordo, anche quelle gratifiche di pacifismo date a Mussolini, il quale era sembrato mediatore rispetto alla protervia tedesca, ma il fatto è che continuiamo oggi a giocare, a commettere un errore ancora più grave. abbiamo le Maginot dei missili ma le vere armi sono l' arma alimentare , l' arma tecnologica, l' arma della propaganda, l' arma dell' informazione, l' arma della differenza, l' arma dei miti. quell' arma che ha consentito alla « piccola » , in fondo, Russia della rivoluzione sovietica , grazie ad una grande convinzione ideale, di divenire quella che è divenuta, anche nei lustri più recenti. ancora vediamo che, malgrado la crisi della società sovietica, malgrado la crisi del mito sovietico, si continua in realtà a far cadere sempre più bastioni in giro nel mondo e a profittare del disordine, non solo economico, esistente. quello che è accaduto con la centrale nucleare di Chernobyl è un' illustrazione di quello che abbiamo cercato sempre di dirvi. vi è un sistema totalitario che sempre più è in condizione — adesso anche con Gorbaciov — di capire le differenze con l' avversario, di capirne gli elementi di forza e di debolezza: l' uso, ad esempio, dei mass-media nell' Occidente, l' inserirsi nei meccanismi decisionali ed elettivi dell' Occidente si affinerà sempre di più con Gorbaciov. è una classe dirigente che è cresciuta sapendo un po' come funziona la democrazia occidentale, e quindi non dovendo affidare nel modo grezzo degli anni Cinquanta unicamente a spie, provocazioni e forze politiche le speranze come sistema di prevalere, la necessità come sistema di prevalere. ebbene, quando diciamo, per esempio, che noi commettiamo lo stesso errore di sottovalutazione del pericolo totalitario come pericolo di guerra, che fu commesso negli anni 70 — ed a più riprese in Parlamento abbiamo detto che era dovere della NATO, dovere dell' Italia, di esigere il pieno, assoluto, ampio rispetto degli accordi di Helsinki, per difendere i diritti di informazione, i diritti umani fondamentali dell' operaio sovietico, del lavoratore in Europa orientale , delle donne e degli uomini, il loro diritto a sapere; quando già dicevamo in quest' Aula, nel 1977 che la maggioranza di unità nazionale rischiava di instaurare, di scegliere il nucleare in Italia nemmeno secondo il parametro americano, ma secondo l' irresponsabilità sovietica che sta installando il nucleare senza il controllo delle popolazioni, senza il controllo della democrazia (lo farà quindi al minor prezzo possibile risparmiando sulla sicurezza estrinseca e su quella intrinseca, risparmiando su tutti gli elementi che possono gravare sulla economicità del chilowattore nucleare), il cittadino del paese totalitario, che non sa, che non ha diritto di informarsi, non ha diritto di parlare, se fanno lì il nucleare o le armi chimiche , è una bomba non solo per quella società, ma anche per noi. emblematicamente l' assenza di controllo, l' assenza della possibilità di aver paura o di aver ragione, nel sistema totalitario sovietico, l' aver consentito quindi l' efficienza totalitaria a 4 o 5 mila chilometri da qui, ha portato a che cosa? a qualcosa che certo riguarda molto di più, non sappiamo quanto, le popolazioni di Ucraina o quelle della Russia europea, ma che si traduce già adesso in nocumento, in danno, in pericolo. ma davvero possiamo ritenere che il sistema sovietico sia in grado, adesso, di darci serie garanzie che non sia possibile o addirittura probabile che un' altra Chernobyl si verifichi? le condizioni strutturali dell' Unione Sovietica le conosciamo e sappiamo che un sistema totalitario, anche senza cattiveria, può permettersi di fare delle « economie » negli investimenti produttivi, che invece non può permettersi uno Stato di democrazia politica occidentale. il potere totalitario, che abbiamo dinanzi alla tecnologia nucleare, fa dell' Unione Sovietica e del mondo orientale una bomba oggettiva, al di là della pace che vuole o può sicuramente volere il dirigente sovietico. altrimenti perché staremmo tanto a lottare, ad interrogarci, perché saremmo scandalizzati sul piano dell' onestà individuale — me lo consenta, signor presidente — del voto di ieri sulla risoluzione Rognoni, firmata anche da Zangheri, rispetto a tutti gli impegni presi, rispetto al congresso del partito comunista , alla base comunista, alle cose raccontate in giro, a quello che i rappresentanti democristiani affermano in Consiglio comunale a Latina? nella risoluzione votata ieri dalla Camera abbiamo deciso di non fare niente, tranne che organizzare una conferenza, laddove un Parlamento ha il dovere di non rinunciare a dire la sua parola, soprattutto quando, dopo dieci anni, dispone di tutti i dati di riflessione possibili! certo, se guardiamo alle pagine vergognose di propaganda diffuse dall' Enel in questi giorni, vediamo che viene detto che questa è la situazione nucleare in Unione Sovietica , questa è la situazione nucleare negli USA e questo è il progetto italiano. e una truffa, perché tutti pensano che quelle sono le centrali americane e sovietiche, ma queste altre sono le centrali italiane. no, quelle sono le centrali che forse si faranno, non le centrali attualmente esistenti in Italia! in queste pagine pubblicate sui giornali, con il denaro del contribuente, si fa della cialtroneria, con grande irresponsabilità, ma il Governo non può tollerare tutto ciò! non può tollerarlo, perché poi come facciamo a chiedere i danni all' altra parte? in quelle pagine si confonde deliberatamente la sicurezza estrinseca e quella intrinseca e si pongono problemi di parametri sulla sicurezza intrinseca, e ci si chiede se vi sia, di per sé, il pericolo che il nocciolo, rispetto a se stesso , se ne vada a spasso ! in termini di politica internazionale la NATO, l' Occidente e le democrazie politiche non possono continuare a non porsi interrogativi di fondo. noi non possiamo stare a questo gioco, per cui si giustificano con una strategia militare di nuova dissuasione o di nuovo contenimento le cifre astronomiche — è il caso di dirlo — destinate ai nuovi progetti per lo scudo stellare, mentre dall' altra parte si ha regolarmente il rifornimento sempre crescente di armi alimentari. se voi ricordate — è una cosa su cui noi radicali abbiamo cercato molto spesso di richiamare l' attenzione del nostro Governo e dell' Alleanza Atlantica — siamo partiti con Carter che aveva fissato un tetto di 17 milioni di tonnellate di cereali vendibili all' Unione Sovietica , poi siamo arrivati a 25 milioni, a 30 ed ora a 33 milioni di tonnellate . ma l' arma alimentare esiste! tant' è vero che in Etiopia continuano ad arrivare pochi — ma molto pubblicizzati sui giornali — sostegni alimentari sovietici, che molto spesso sono cereali provenienti dagli Stati centrali dell' America, riserva elettorale del presidente Reagan. quando gli amici del gruppo di democrazia proletaria , molto comprensibilmente e con molta onestà — al contrario di altri, che abbiamo sentito proprio in queste ultime ore — pongono interrogativi rilevanti sul Mediterraneo, sui vari focolai di oppressione e di guerra nel mondo, non a caso però rimuovono totalmente le cose più spaventose, che non sono, ahinoi, la inesistente o scarsa democrazia di Duarte, bensì la situazione peggio che nazista della Cambogia. di questa non si dice una parola! è vero che inorridimmo con Pol Pot , eccetera, ma oggi, quando si comincia a leggere quello che costa al Vietnam stesso in termini di mutamento o di conferma delle proprie caratteristiche, quella occupazione prolungata (ebbene, non c' è nessuno qui che si pone questi problemi!), quando vediamo quello che accade altrove... l' Afghanistan diventa un fatto di propaganda. è come la fame nel mondo ; ci sono 50 persone che rischiano di morire di fame, siamo terrorizzati e impediamo loro di morire; ce ne sono 50 milioni, ci rassegniamo. quindi, abbiamo problemi di democrazia e di rispetto dei diritti umani nelle aree medio orientali , nelle aree dell' America Latina e in altre aree, dove possiamo manifestare perché hanno ammazzato tre persone, sette, quindici, venti nei giorni precedenti; ma sull' Afghanistan ed anche sull' Iran, sull' Iraq e sulla Cambogia niente, a livello delle forze politiche , se non dei piagnistei vuoti! signor ministro degli Esteri , io credo che forse dovrebbe esserci un minimo di interesse ad ascoltare questa voce solitaria e testarda dei radicali, che insiste su questo tasto. al momento della formazione del Governo un segnale venne dato, quando si previdero — mi pare — 3 miliardi per la costituzione di quella agenzia che avrebbe dovuto fornire informazioni, che avrebbe dovuto fornire questo bene dovuto da Helsinki e dovuto, quindi, anche da noi, della difesa del diritto ad essere informati e ad avere i diritti fondamentali garantiti ad est come diritto nostro, come bene proprio. se i nostri vicini, cioè, non vivono pagando le spese della democrazia politica e di una vita civile, da ciò noi saremo direttamente insidiati, perché quella economia porterà a catastrofi storiche ai nostri vicini e a noi stessi. allora, dobbiamo ritrovare non l' afflato — che so io — di crociata o missionario, ma ritrovare, nella sua concretezza, il valore ideale della difesa, (prima che di un sistema di alleanze), di un sistema politico , di un regime politico , usando l' arma della superiorità della società di democrazia politica rispetto a quella che non fa pagare i costi della democrazia politica, ma che va avanti in modo efficientistico, altrimenti avremo le nubi di Chernobyl sempre più gravi, sempre più di frequente, e la strategia della NATO, che è quella del conflitto costante, ma del serbare interesse alla stabilità dei governi, invece che giocare apertamente alla destabilizzazione del sistema avversario, noi possiamo soltanto lottare in termini di pace, durante la pace, se vogliamo evitare la guerra. la pace deve essere una pace di conflitto, di lotta civile, politica, se vogliamo impedire quell' altra. e il nostro confronto storico (è lì che io non comprendo più i compagni di democrazia proletaria : non possiamo fare l' economia di questa analisi) è proprio quel sistema che fornisce al complesso militare e industriale nessuna resistenza. nel mondo della democrazia politica, nel mondo occidentale, negli USA, almeno una resistenza alle istituzioni rispetto allo strapotere della forza militare e industriale, questo almeno c' è; in alcuni momenti può prevalere, mentre la logica totalitaria non a caso è la logica anche di un' organizzazione militare della società. nei paesi totalitari non può che trovare la sua piena omogeneità con l' aberrazione di fondo degli interessi del complesso militare e industriale. concludo, signor ministro degli Esteri , grazie anche a questo clima e al numero dei presenti, eliminando quindi il sospetto di chissà quale voglia di ulteriore provocazione radicale, nel dire di nuovo ad alta voce qualcosa che non è stata raccolta. il fatto che noi radicali siamo attenti ai problemi e alla vita della non violenza e che gli si dia corpo, difficilmente viene contestato; che siamo attenti ai problemi del diritto alla vita come presupposto dei diritti borghesi, chiamati un giorno « di coscienza » , credo che cerchiamo di farne non solo proclamazione ma anche attenzione concreta nella vita di ogni giorno e per la valutazione delle politiche perseguite. stiamo molto attenti alla demagogia democraticistica e egualitaristica! sento personalmente (credo, signora presidente, signor ministro, di poterlo fare anche a nome del mio gruppo e dei miei altri compagni, ma non lo farò, perché ci tengo a farlo personalmente) che la demagogia egualitaristica, umanistica e pacifista, anche, rispetto a situazioni storiche determinate (lei si risentiva prima, sul problema di Duarte, signor ministro, e la capivo, ma occorre andare al di là), è spaventosamente pericolosa, ad esempio nella situazione del Sudafrica. non è vero che il premio Nobel Tutu sia politicamente un non violento . lo schema non è questo. e una persona di pace! è una persona di pace, è una persona di grande prestigio, ma una persona che dice: la non violenza sarà possibile fino a questo punto, oltre, però, no! quindi, a ciascuno i suoi meriti e demeriti; il non violento è quello che dice: la non violenza va bene , grosso modo, fino ad un certo punto, ma oltre no... e Tutu è in giro, dicendo tutto ciò, il che è molto comprensibile. a questo punto non è possibile una soluzione non violenta in Sudafrica. c' è questa orribile apartheid. dirò qui, perché me lo hanno perdonato — ma non solo perdonato — i nostri colleghi, ufficialmente rappresentanti dell' Africa, Caraibi e Pacifico, almeno in quattro grosse conferenze internazionali, che fino a quando i tassi di mortalità di tutti i paesi circostanti quelli dell' apartheid, cioè di sistemi « altri » (parlo sia di quello della Costa d'Avorio , che quello del Burkina Faso che quelli di Dakar, per parlare del migliore a mio avviso, fino a quelli dell' Etiopia), fino — dunque — a quando i tassi di mortalità , cioè, l' olocausto... dei sistemi citati sarà infinitamente maggiore dei tassi di mortalità dei barbari regimi dell' apartheid sudafricana, commetteremo, in termini di ragione e di onestà intellettuale, per motivi che storicamente conosciamo e dai quali si è coinvolti, un errore gravissimo. non è un caso che vi siano — si legge costantemente — dei neri (adesso si ricomincia a dire « dei negri » ) ammazzati, ma non si mette mai in rilievo che in questi giorni, in queste settimane ed in questi mesi, il numero dei collaborazionisti neri, dei poliziotti neri, ammazzati — e ammazzati selvaggiamente — dalle forze di liberazione, che chiedono giustamente la liberazione di Mandela... anche perché i martiri non servono né a se stessi né agli altri. è urgente, per il bene della società, liberarli. ma guai a chiedere a priori che un martire sia un grande uomo politico , un grande statista o sia necessariamente portatore di bene politico! io dico: « Mandela subito libero! » . se uno mi dicesse « Mandela al potere » , per quel poco che per venti anni ho letto e cercato di capire, direi: è la distruzione di tutto... ha le capacità del martire, non ha le capacità dell' uomo democratico, di Stato, politico...! non può averle, non è colpa sua! ecco la colpa dei regimi non democratici! come ieri è stato qui ricordato, è nella libertà che si educa alla libertà e si cresce alla libertà e non, evidentemente, nella dittatura. dobbiamo, signor ministro degli Esteri (è quanto chiedo), compiere sulla realtà sudafricana una riflessione e un intervento molto coraggioso. e non è più coraggioso quello che è conforme alla retorica, a quel che è divenuto la retorica umanistica, « antifascista » (tra virgolette). dobbiamo dire che i diritti dei Bantu sono pari a quelli degli altri. dobbiamo dire che in realtà si sta lottando oggi contro Botha e, ripeto, contro Botha (non parlo del suo partito o delle componenti liberali bianche, né del fatto che gli afrikaners non permettono a Botha ormai di andare nelle loro zone), e che, quindi, stiamo pagando forse una eccessiva rigidità. signor ministro, è quanto dissi già allora, in occasione del pur meritorio suo viaggio all' epoca del semestre italiano, perché le cose non stanno come si dice. questo vale al limite anche per il Cile. dobbiamo fare questa riflessione. in Algeria ce la siamo cavata appena. nel Medio Oriente — e sono contento che sia presente il presidente Rognoni perché qui di tratta di uno scontro in parte di sensibilità, ma forse temo che sia non solo di sensibilità — il problema del popolo palestinese c' è — Dio se c' è! — ed è grave. è importante. dobbiamo riuscire a risolverlo, ma il problema è anche un altro. io non sono disposto a che da parte nostra e del mondo si ripercorra il vecchio cammino di errore, facendo coincidere con il mito o la realtà della indipendenza nazionale, quale essa sia, il bene delle donne e degli uomini di un popolo. lo ripeto: abbiamo dei siriani che non sono infinitamente più sfortunati di persone che vivono, magari non indipendenti, all' interno di regimi autoritari ma non totalitari e non militaristi. il numero degli assassinati da Hassad e da quel regime è spaventoso. il problema è che dobbiamo farci carico di non dare quei tipi di riconoscimento. quando stavano per ammazzare Arafat, mi pare a Tripoli, signor ministro degli Esteri , lei ci può dare atto che i radicali furono i primi a muoversi di notte e di giorno, gridando continuamente perché non si interveniva. lo facemmo allora con Cheysson, con gli altri e qui, ma il problema è di avere una indipendenza e di riconoscere una struttura soprattutto militare, checché se ne dica, per colpa anche degli israeliani, che realizzi una indipendenza da partito unico . signor presidente , se riuscissimo a fare ciò che speriamo — due Stati federali o federati o comunque due Stati — la Cisgiordania e l' altro; indipendenti, quanti sarebbero poi gli arabi viventi in territorio israeliano che andrebbero a vivere nel paese a partito unico , anche se con lingua solamente araba? dobbiamo proporci delle strategie possibili, agire ed intervenire. in Etiopia, signor ministro degli Esteri — non è una nostra fissazione; lo leggiamo ora sul Sunday Times ; non sarà credibile — il tasso di mortalità — continuiamo ad operare secondo questo punto di riferimento — che si denunciava già molto elevato per le deportazioni, risulta ancora maggiore nelle villaggizzazione che si sta realizzando in questi momenti. perché? perché fare l' economia ancora una volta del giudizio di un regime... un regime militare può fare la guerra, non la guerra contro il grano fino in fondo. lo dico perché... lo dico, Giadresco, per poter poi, purtroppo — dico purtroppo — fra sette, otto o dieci anni, quando ci arriverete voi, affermare che inutilmente lo avevamo già detto noia quel tempo, come su tutto, come sull' Europa, sulla federazione europea, sulle libertà, sulla democrazia. ma cosa credi che ad un tratto noi nel Sudafrica vogliamo che non abbiano i diritti civili ? ma io dico che se voi continuate ad avere l' atteggiamento che avete avuto, a compiere l' analisi che avete fatto, per esempio nel Burundi, dove c' è l' apartheid, dove c' è una piccola minoranza feroce (voi siete specialisti dell' analisi di classe), dove i tassi di mortalità oggi crescono, perfino lì che hanno terreni prosperi — Ruanda, Burundi, eccetera — se voi in base ai miti che sono stati i nostri prima dei vostri, della libertà ovunque e per tutti, non delle dittature del proletariato e via dicendo... voi, al solito, arrivate con venti anni di ritardo e rischiate di aiutare a combinare dei disastri, come avete sempre fatto quando avete combattuto l' Europa degli anni 50, quando avete scoperto nel 1959 le vie nazionali al socialismo e vi si applaude. perfino sulla CED voi rivedrete fino in fondo il vostro giudizio. voi avete creduto, per atto di realismo storico che sotto la tettoia nucleare dei missili era più facile realizzare l' eurocomunismo e il socialismo. lo disse Berlinguer. no! la tettoia era quella di De Gasperi , era quella di Sforza, era quella de Il Mondo di Pannunzio, perfino con i suoi errori a favore di Suez. parlo di quegli errori. signor ministro degli Esteri , lei sa che noi soprattutto siamo gente di azione, che ci appassioniamo alle cose delle quali intuiamo che ci sia un alto grado di fattibilità. di qui il tentativo di cominciare a riflettere sull' interesse occidentale ed europeo ad usare ufficialmente l' arma della propaganda, l' arma dei diritti delle persone prima che di quello delle genti. ho paura — lo ripeto — del diritto all' indipendenza delle genti quando poi quella indipendenza è strutturata in quel modo perché il contributo, la possibilità di morte, di infelicità, di non libertà e lì ancora maggiore. straniero per un popolo non è colui che parla la lingua straniera , straniero è colui che è straniero alla sua libertà, al suo benessere, alla dignità della sua persona. a Perez possiamo attribuire delle colpe e muovere delle critiche gravissime ma è pur sempre diverso; ha la colpa di avere rimosso nei giorni scorsi un' istituzione di controllo molto importante; per non aver denunciato la tortura e l' assassinio di due prigionieri-terroristi e di averne nominata un' altra in mezzo allo scandalo di quella società. probabilmente pagherà questo gesto dal punto di vista elettorale. Assad una cosa del genere non potrebbe mai farla perché è impossibile la separazione dei poteri in quel paese. per concludere mi auguro che sia possibile: primo, ottenere che il nostro Governo molto presto individui un piano di azione (con la Spagna o con altri) spinelliano, concreto, per il prossimo anno per compiere alcuni passi in avanti prima del 1989 in direzione del trattato per l' Unione Europea ; secondo, mi auguro che la riflessione ma anche delle azioni comincino ad essere compiute perché Chernobyl, dopo le teorie radicali, ha dimostrato l' interesse obiettivo, come bene del nostro Stato, della Repubblica e delle nostre genti, della libertà, dei diritti all' informazione, dei diritti politici di coloro che invece li hanno conculcati per esigenze vitali, inalienabili, del sistema sovietico. mi auguro con questo mio intervento di avere arricchito l' idea stessa delle armi che possono essere usate da un paese e da una Europa che voglia fino in fondo essere un certo tipo di Europa: l' Europa della tolleranza, del dialogo, delle lotte civili, capace oggi di vincere con delle armi che siano di civiltà, anziché di barbarie.