Ciriaco DE MITA - Deputato Opposizione
IX Legislatura - Assemblea n. 4 - seduta del 10-08-1983
Informativa urgente del Governo sui recenti episodi di violenza avvenuti a Bari, Rovigo e Agrigento
1983 - Governo II Amato - Legislatura n. 13 - Seduta n. 815
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole presidente del Consiglio , siamo ad un passaggio delicato e difficile della nostra vicenda democratica. la politica stenta a tenere il passo con le grandi trasformazioni che investono la società civile , mentre la pubblica opinione mostra insofferenza verso i ritardi culturali che il sistema dei partiti svela nel rispondere alle domande nuove. il risultato elettorale del 26 giugno, che ha certamente penalizzato il nostro partito, riflette questo stato di cose . non a caso la forte flessione della Democrazia Cristiana non corrisponde al rafforzamento di una ipotesi alternativa, ma c' è piuttosto la dispersione del consenso in direzioni diverse ed a volte contraddittorie. c' è spesso il prevalere di visioni corporative e localistiche. quella che viviamo è probabilmente una crisi di crescita e non il riflusso verso un passato non ripetibile. neppure si tratta di una crisi di rigetto della democrazia, giacché anzi i convincimenti democratici — se così può dirsi — mutano di qualità, si rivolgono ad obiettivi diversi, a traguardi solo qualche anno fa impensabili. tuttavia, come in tutti i momenti critici, sussiste una fondamentale ambiguità sui possibili sbocchi ove manchi una reale capacità del sistema democratico di cogliere e governare il processo in atto. ciò che più intensamente avvertiamo è quella che definiamo concordemente come una crisi di identità dei partiti, che si ripercuote sulle stesse istituzioni. è una crisi complessa generata da cause solo parzialmente dominabili, il cui esito non è esclusivamente rimesso alla nostra responsabilità. siamo all' interno di un mondo che si evolve, talvolta scompostamente, ubbidendo anche a spinte che provengono in modo continuo ed incessante dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche. dobbiamo perciò avere consapevolezza dei limiti propri di ciascun sistema politico nazionale e di quanto sia difficile tenere un equilibrio pacifico in un mondo nel quale la legge della giungla e quella del taglione sembrano sopraffare la legge umana del confronto, del negoziato, della ricerca costante di ciò che può unire. chi ha questa consapevolezza ha il dovere di scoraggiare i facili schematismi, quel modo elementare e poco responsabile di dividere il mondo tra buoni e cattivi. naturalmente rivendicando per sé tutto il bene ed addossando agli altri ed agli avversari tutto il male. noi non ci sentiamo e non siamo fatalisti; la nostra ispirazione ideale ci induce a non arrenderci davanti ad alcuna difficoltà, anche quella attuale, e soprattutto a non disertare né i compiti che ci sono stati rimessi, né quelli che ci siamo assunti; ci sentiamo impegnati a collegarci intimamente ai grandi processi modificativi delle comunicazioni e della reciproca conoscenza tra i popoli, caricandoci di quella parte di responsabilità che ci compete, perché questo processo maturi nella libertà e nella pace. guardiamo perciò con realismo, e dunque con preoccupazione, a quanto accade nella comunità internazionale e ci coinvolge direttamente o indirettamente, ponendo limiti seri alle nostre stesse aspirazioni, che perciò vanno commisurate col metodo del possibile, benché il possibile non sia dato astratto, ma qualcosa di concreto, da rivendicare e da costruire pazientemente giorno per giorno. il quadro internazionale si presenta carico di tensioni e di conflitti. in nessuna area, in nessun settore si intravede una prospettiva risolutiva che non sia legata ad un processo di distensione tra le due superpotenze, processo di cui non si coglie nemmeno l' inizio. agli equilibri di Yalta ed alla logica bipolare, che mostra certo le sue crepe, non succede ancora una logica multipolare nella ricostruzione di un clima di fiducia. ciò che l' atto di Helsinki del 1975 pareva aver messo in discussione resta ancora oggi il riferimento di ogni vertenza internazionale. si avverte in maniera diffusa il bisogno di ricostruire misure di fiducia reciproca in Europa ed in vastissime zone del pianeta che, senza equivoche e pericolosissime rotture con le superpotenze, siano però in grado di fissare un nuovo quadro della cooperazione est ovest , che faccia a sua volta avvertire i suoi benefici anche nei rapporti nord sud . ma un tale traguardo non pare prossimo e intanto si nota una forte spinta all' anarchia internazionale, nella quale la tensione fra est ed ovest esercita una funzione di preoccupante destabilizzazione complessiva. dominante, e dunque prioritario, diventa così il problema della riduzione e del controllo degli armamenti, che costituiscono l' oggetto delle difficili trattative di Ginevra fra USA ed Unione Sovietica . mentre si discute su come limitare il riarmo e la corsa alle dotazioni più sofisticate e micidiali, di fatto questa spirale continua a salire ed a farsi estremamente preoccupante, da quando l' Unione Sovietica ha dichiarato l' intenzione di avvicinare alla frontiera dei blocchi sistemi d' arma costituiti dagli ss20. in questo contesto l' attuazione delle decisioni prese in sede NATO nel 1979 è necessaria e non eludibile. la verifica di impegni precisi, presi alla luce dello sviluppo delle possibili intese e Ginevra, avrà infatti un senso se alla ripresa dei negoziati si avranno, se non dei risultati già definitivi, almeno serie intese di massima, le quali passino dalle questioni d' impostazione e di principio ai modi concreti per ridurre i potenziali delle parti. non meno minacciosa della corsa agli armamenti appare l' alta cifra dell' indebitamento mondiale, specialmente quello del terzo mondo , che crea incertezza e instabilità alla radice stessa della cooperazione mondiale. c' è una contraddizione netta fra gli sforzi che vengono compiuti per verificare lo stato di salute dell' economia mondiale e la destinazione di risorse crescenti al riarmo. si tratta di sforzi che vengono annullati, oltre che dalla tensione fra i blocchi, anche da un traffico internazionale delle armi che sfugge a regole accettate e procura altresì tensioni d' ordine civile nei paesi attraverso i quali quei traffici vengono incanalati. esistono d' altronde focolai attivi di guerra, come quella fra Iran e Iraq, o come il conflitto del Libano. la irrisolta questione dei palestinesi, sommatasi ora ad una questione libanese, nella quale si constata che contrapposte forze di invasione minacciano addirittura la spartizione del Libano e la dissoluzione di quello Stato, richiama un più maturo senso di responsabilità di tutto l' arco dei paesi che s' affacciano sul Mediterraneo. è forse questo il momento di tentare una conferenza internazionale del tipo di quella che era stata progettata a Ginevra, che non fu realizzata proprio nel 1977 e che avrebbe potuto condurre ad un accordo che oggi è più urgente che mai. anche altre aree strategicamente rilevanti sono inquiete. con quanto accade in America Latina , in Argentina, in Cile il quadro internazionale si oscura ancora. esiste e si diffonde un campo di inquietudini che non possono non richiamare il massimo senso di responsabilità . è in corso una crisi dei paesi non allineati e sono in crisi anche le alleanze di blocco. insomma, si avverte una fragilità morale crescente delle intese di Yalta, che costituiscono la base politica di legittimazione dell' attuale assetto europeo, ma non si delineano né altri poli né altri assetti che valgano ad assicurare la conservazione degli equilibri internazionali e ad allargare gli spazi di pacifiche relazioni anche tra sistemi politici diversi. forse si impone una nostra riflessione più attenta al tema generale della pace, che abbiamo troppo legato a fattori transitori ed anche fragili. forse dobbiamo riuscire a creare nelle sedi internazionali nelle quali operiamo una diversa idea della cooperazione, della collaborazione e della formazione di convinzioni comuni a cavallo dei sistemi diversi, come lo stesso atto di Helsinki prevede. forse dobbiamo chiederci meglio quale sia la natura vera delle minacce che gravano su noi come sugli altri, per comprendere come non si tratti solo di questioni militari e di competitività sui mercati, ma di un diverso uso delle risorse della terra e della terra stessa, della difesa della natura e dell' ambiente come di quella dei diritti civili o della lotta contro la violenza diffusa, che ha trovato nel terrorismo espressioni mostruose, capaci forse di riprodursi, anche se colpite con fermezza dagli apparati statali. il problema della sicurezza è ineludibile, ma deve avere per sfondo una visione della pace come architettura politica che non neghi i conflitti, ma metta a confronto interessi contrastanti e riesca a far vedere fino alla evidenza come il danno di una « colluttazione » sia sempre maggiore di quello che qualsiasi compromesso può produrre. certo, i principi ed i valori non possono essere oggetto di compromessi. noi, infatti, rifiutiamo le alternative disperate che sollecitano ed accettano un male per evitarne un altro. noi vogliamo vivere e vivere liberi, vogliamo garantire ai nostri giovani di vivere nella libertà. su questo non potremo mai cedere, anche se non intendiamo trascurare nulla che possa in qualche modo condurci verso sbocchi nuovi e positivi. su questo crediamo che esista un forte interesse nazionale unitario. ma perché questo interesse diventi azione politica occorre confrontarsi nella chiarezza e nella certezza che non vi siano strumentalizzazioni, le quali vadano poi in direzioni diverse da quelle dichiarate. anche per questo pensiamo che l' azione del governo , che è in linea di continuità con impegni solennemente presi in Parlamento alla fine del 1977 da uno schieramento molto vasto, non debba minimamente oggi attenuarsi. quello schieramento — ricordiamolo — fu considerato in funzione di uno sviluppo della pace, la cui necessità non solo non è oggi diminuita, ma si è purtroppo terribilmente accentuata. abbiamo tuttavia coscienza che questa sola scelta non è sufficiente a rimuovere i rischi di involuzione internazionale connessi alla crisi degli schemi bipolari che, per essere superati senza ulteriori rischi degenerativi, più che venire contraddetti pretendono un grande lavoro di elaborazione e di costruzione di vie pacifiche in tutte le direzioni. la situazione internazionale è strettamente collegata con l' osservazione delle dinamiche dei fatti economici. abbiamo proposto una linea di politica economica non derivata dai desideri e dalle emozioni, ma fondata sulle condizioni oggettive della nostra economia anche in rapporto alle possibilità migliori e maggiori di altre economie. abbiamo avuto — non esitiamo a sottolinearlo — il coraggio della impopolarità temporanea, purché questo servisse ad avviare un processo di revisione capace di ricreare le condizioni, diffuse e certe, per assicurare nuova occupazione ed aumento di competitività. la nostra era e resta una scelta per il paese — il contrario esatto di una scelta di parte formulata a favore di una classe o di una corporazione — , una scelta che obiettivamente è la sola in grado, oggi, di portarci fuori dalla crisi. perciò l' abbiamo sostenuta e confermata. a momenti eccezionali corrispondono misure adeguate e severe. non possiamo ignorare le contraddizioni, gli indebitamenti insostenibili, le spese improduttive, né accettare concezioni autarchiche che sono, purtroppo, largamente presenti anche in settori che vorrebbero essere all' avanguardia del processo di trasformazione della società. si tratta, in sostanza, di recuperare in concreto un sistema di regole per il buon governo , non applicando schemi classici e astratti, o remoti ed irripetibili, ma criteri di gestione che sono alla base, ormai presso qualsiasi regime economico e politico, di amministrazioni le quali non vogliano solo conservare l' esistente, quasi che tutto il contorno resti immobile e dominabile, bensì evolversi e svilupparsi, tenendo sempre conto di ciò che muta attorno e dell' incidenza che quei mutamenti finiscono con l' avere sul sistema. la linea del rigore è sostanzialmente una politica di oggettiva valutazione ed utilizzazione delle risorse reali, perché quelle potenziali possano davvero potenziarsi e non si disperdano. l' opposizione a questa linea, invece, sempre di più risente di schematismi antichi, di concezioni classiste ormai esauste, di pregiudizialismi che si scontrano duramente con la necessità di portare razionalità nella politica e nell' economia. la fase che viviamo, purtroppo, non consente discussioni e dialettiche sulla distribuzione delle risorse. il problema che tutti, comunque ci collochiamo in questo Parlamento, siamo chiamati ad affrontare e risolvere è di come rimettere ordine nell' economia nazionale per rendere efficiente un meccanismo il quale consenta, prima di tutto, la creazione stessa di risorse. l' accordo che ha reso possibile la costituzione di questo Governo — verso il quale esprimiamo la nostra fiducia — rimuove indubbiamente alcune incertezze del recente passato e contribuisce a creare le condizioni necessarie per praticare una politica rigorosamente mirata all' abbattimento del differenziale inflattivo, non per un mero riequilibrio ma perché l' economia nazionale, nel suo complesso, recuperi rapidamente, rispetto a quella spirale inflazionistica che non penalizza solo il capitale ma anche il lavoro, la produttività del sistema e dunque la sua competitività. critiche anche ingiuste sono state mosse a questa impostazione politica, perché numerosi pregiudizi restano nel dibattito fra le forze politiche e le forze sociali . il Governo non è una parte: esso deve commisurare i propri orientamenti e le proprie decisioni sull' interesse della collettività; è un organo che deve scegliere politicamente fra interessi contrapposti, non però in base ad un pregiudizio di favore per questa o quella parte in contrasto, ma nel superiore interesse del paese. quando il Governo si attiene a questa linea di condotta, dimostra di saper governare. nell' immediato dopoguerra, quando nelle campagne fortissima si levò la protesta bracciantile e contadina, e il lodo del 1947 non riusciva a contenere gli opposti interessi di proprietari e conduttori della terra, De Gasperi ebbe il coraggio di organizzare la riforma agraria . la riforma, certo, penalizzava qualcuno; però non aveva quel fine, ma piuttosto quello di favorire la ripresa produttiva della terra di creare nuove occasioni di lavoro, di formare un nuovo ceto agricolo, di avviare un meccanismo i cui effetti giungessero anche alla gran massa dei consumatori. per quella sua grande riforma, De Gasperi incontrò resistenze nei proprietari, molti dei quali voltavano le spalle alla Dc, ed incontrò anche dure resistenze nelle sinistre, che respingevano ideologicamente il riformismo senza rendersi conto degli effetti trasformatori e pacificamente rivoluzionari che esso introduceva. ma la scelta degasperiana era giusta e le incomprensioni di allora sono solo testimonianze delle incomprensioni che accompagnano l' esperienza politica di chi le riforme le attua e non si limita ad evocarle, nonché delle arretratezze culturali e comunque delle insufficienze propositive di opposizioni che si mostrano più preoccupate di conservare rendite elettorali che di rimuovere le difficoltà reali. governare è decidere. nessuno può realisticamente immaginare che la ripresa — una qualsiasi ripresa — sia possibile attraverso un processo di maturazione spontanea, attraverso automatismi di mercato, quasi che davvero possa aversi qui da noi, come in qualsiasi parte del mondo, un' inversione di tendenza , una determinazione di indirizzo, senza un centro di Governo e di guida. contenimento del deficit pubblico, controllo del costo del lavoro , eliminazione degli effetti perversi dell' inflazione, sono tutti aspetti di una medesima preoccupazione: riassestare l' economia nazionale a livelli competitivi con quelli di nazioni anche meno dotate della nostra. la proposta di Governo, alla quale non vengono contrapposti progetti alternativi ed egualmente concreti, è diretta ad arrestare l' inflazione e a creare le condizioni di una possibile ripresa. non si tratta di una politica in due tempi tra loro separati, ma di un medesimo unico disegno di risanamento e sviluppo; due obiettivi tra loro interdipendenti e conciliabili, essendo il risanamento l' humus stesso per una possibile e programmata ripresa e lo sviluppo l' effetto implicito di un riordino dell' economia. in questa proposta, un ruolo essenziale è quello della politica dei redditi , il cui effetto si ripercuote significativamente sulla stessa riduzione del disavanzo. l' esperienza degli ultimi mesi ci ha dimostrato che la proposta, accettata nella sua filosofia generale, rischia di arenarsi in trattative nelle quali ciascuno tende a salvaguardare il massimo dei propri interessi, oggettivamente impedendo la soluzione e in sostanza deludendo le intese di massima pur concordate. ciò non sta ad indicare che la proposta non sia valida, ma solo che esistono procedure diverse per disattenderla, che esistono varchi nei quali l' interesse più forte riesce a penetrare e ad imporsi sia pure in negativo. di fronte a tali rischi, purtroppo non soltanto teorici, è necessaria una determinazione dell' Esecutivo. la via più giusta, più utile, la via maestra è certamente quella dell' accordo. per questo, anche nel programma del Governo si individuano strumenti finalizzati a creare le condizioni di affidabilità delle proposte. ma se ciò non accadesse, se egoismi, pregiudizi, pigrizie, faziosità, tendessero a riproporsi in contrapposizione all' interesse generale e comune, il Governo avrebbe il dovere di intervenire e le forze politiche che lo appoggiano il dovere di sostenerlo. una loro passività significherebbe oggettivamente cedimento agli interessi della parte più forte e fornirebbe un altro contributo all' ulteriore aggravamento della situazione. la politica dei redditi e quella di riduzione del disavanzo vanno accompagnate da una ristrutturazione dei meccanismi di amministrazione della spesa pubblica . non è a generici e disinvolti tagli alla spesa sociale, onorevole Berlinguer, che si deve far ricorso per riportare ordine ed efficienza nell' economia nazionale. questa maggioranza, ed in particolare la Democrazia Cristiana , che di essa è parte rilevantissima, numericamente e politicamente decisiva, non si propone alcuna soppressione del sistema dei servizi sociali conseguito nel nostro paese, non intende mettere in discussione le conquiste sociali acquisite: si tratta piuttosto di spezzare la logica degli automatismi, di stabilire una graduatoria ed una scelta dei bisogni, di fissare le possibilità ed i limiti dell' intervento pubblico. una azione rigorosa di risanamento crea le condizioni della ripresa, che va guidata verso l' aumento dell'occupazione , specie giovanile, e orientata particolarmente verso il Mezzogiorno, nella consapevolezza che anche il sud non è più tutto uguale e che esistono al suo interno aree che da troppo tempo pagano fortemente il costo della crisi. con un buon lavoro di confronto, senza innalzare paratie ideologiche, siamo riusciti a varare questo Governo, sulla base della rinnovata solidarietà dei cinque partiti, della collaborazione tra il Partito di maggioranza relativa e formazioni intermedie, non meno essenziali a qualificare l' alleanza. abbiamo accettato la scelta del presidente Pertini di affidare all' onorevole Craxi l' incarico di ricostruire la solidarietà, interrotta dalla prova elettorale anticipata, che aveva bloccato l' opera intensa e meritoria del pur breve Governo Fanfani. la Dc ha apprezzato la franca disponibilità socialista ad una nuova stagione di collaborazione con la Democrazia Cristiana , in una situazione in movimento, diversa dal passato, che a un Partito Democratico della Sinistra , come il Psi, pone problemi non facili, che la Democrazia Cristiana non ignora e non sottovaluta. abbiamo sempre detto che il ruolo di guida all' interno di una coalizione viene indicato dall' elettorato, che stabilisce quale sia il Partito di maggioranza relativa. e una buona regola, che non va certo messa da parte. a questo ruolo, indubbiamente assai rilevante, non abbiamo tuttavia assegnato e non vogliamo assegnare né il significato di una affermazione di potere né di una questione di prestigio o di principio. quando l' accordo tra i partiti assume il respiro di un progetto comune, valido per l' intera legislatura, la guida del Governo può essere anche alternata secondo criteri di opportunità. e questa rinnovata solidarietà dei partiti democratici non è sommatoria di seggi elettorali , ma è il risultato di una scelta politica comune ai cinque partiti che le hanno dato vita e che la animano, ciascuno con la propria specificità e le proprie qualità. essa tuttavia ha possibilità di grande significato ed ha senso se si fa concretamente carico dei problemi di Governo che questa società pone e che sono riassumibili in una diffusa domanda di rinnovamento. i cinque partiti hanno saputo trovare una composizione dei loro contrasti preelettorali e l' intesa ha consentito di formare un Governo al quale rivolgiamo con convinzione il nostro augurio. ma questo è l' avvio di un processo che dobbiamo consolidare e che riguarda certo in primo luogo la maggioranza, la sua iniziativa e capacità di proposta, ma interessa e coinvolge, pur nella distinzione dei ruoli, tutti i partiti. sarebbe infatti difficile ricomporre e consolidare un qualsiasi equilibrio se non cercassimo insieme, forze di Governo e di opposizione, una possibile rilettura critica della realtà che ci circonda, ognuno rinunciando ad interpretazioni di comodo e di superficie. avvertiamo tutti che la società nella quale continuiamo ad operare come soggetti, politici prevalenti è cambiata, è diversa da quella che i padri della Repubblica ci hanno consegnato; non sempre conveniamo che tutti abbiamo dato un contributo a questo cambiamento con indicazioni, lotte, iniziative, condizionamenti, omissioni, non sempre abbiamo il coraggio di aggiornare il nostro stesso lessico col quale, tra l' altro, dobbiamo cercare di comunicare con la realtà sociale alla quale molti dei nostri scontri risultano incomprensibili oltre che superati. la nuova realtà è oggi dinanzi a noi, una società trasformata che non segue più le antiche regole sulle quali abbiamo assieme animato una successione di fasi politiche in termini forse atipici rispetto ad altre nazioni dell' Occidente, ma con una nostra specificità largamente positiva che non abbiamo motivo alcuno di rinnegare. la società è cambiata e la democrazia con il concorso attivo e passivo di tutti noi è cresciuta; è cresciuta con l' allargamento dei suoi confini, con l' ingresso di nuove forze nelle istituzioni, ma è soprattutto cresciuta nel senso che la volontà popolare in tutte le possibili forme di manifestazione, in particolare a livello di pubblica opinione , è stata elemento determinante del cambiamento. la pubblica opinione è stata protagonista nell' ultimo quindicennio, sia con la contestazione che con le votazioni referendarie, ponendo sempre una domanda di partecipazione che tuttavia non può esaurirsi nel puro movimento e non può essere soddisfatta in un indifferenziato e inconcludente assemblearismo, bensì in nuove regole di convivenza democratica. certo, la domanda di partecipazione ubbidisce ad una esigenza democratica, ma essa si intreccia con una domanda di decisione che ora sta crescendo nella pubblica opinione e che tuttavia non può essere accolta fuori dalle istituzioni. anche quella di decidere è una domanda di democrazia; se però la risposta a tale domanda venisse data solo con la preoccupazione di individuare e rafforzare la sede decisionale indipendentemente dalla verifica democratica sarebbe grave il rischio di un salto nel mutamento di regime. la verifica democratica, che evita ogni rischio di deviazione, si realizza infatti con le libere elezioni, prospettando agli elettori proposte affermative. la domanda di decisione e la domanda di partecipazione si saldano allora e trovano adeguate risposte ove si offrano all' elettorato chiare indicazioni di alternative e chiare possibilità di scelta, non tra ideologie astratte ma tra concrete proposte di Governo. c' è un aspetto più profondo su cui dobbiamo riflettere: quando il sistema non riesce a corrispondere alla spinta sociale, alle domande della gente interpretandole in una proposta di Governo e realizzando precisi atti di Governo, il potere, per così dire, viene evocato dalla volontà della gente stessa. il desiderio della gente condiziona allora la tecnica del comando ed impone soluzioni che in qualche modo per essere isolate sono o rischiano di essere disordinate o dirompenti. è accaduto così, ad esempio, con la « legge-Valpreda » . in tal modo non è più solo il consenso che fonda la legittimità del potere, è proprio un potere immediato esercitato quasi direttamente, imponendosi sulle tecniche e sulle sedi istituzionali del comando. credo che questo sia un dato che i partiti non hanno ancora colto a pieno nelle sue implicazioni. come fronteggiarlo? ognuno, chi con maggiore, chi con minore capacità di approccio a siffatta nuova realtà, è alle prese con questo dato che, penso, impone innanzitutto un profondo rinnovamento del modo stesso di fare politica, del modo stesso di essere dei partiti nella società richiedendo a tutti di adeguare la propria struttura tradizionale, non di mutare identità, ma di qualificare meglio la propria specificità anche per essere meglio compresi. si dice che la società si è secolarizzata; ma ogni società trasformata, in qualche modo, si secolarizza e mette in crisi i vecchi riferimenti ideali. tutte le società europee si sono secolarizzate, anche se attraverso processi lunghi e, tra l' altro, non conoscendo in genere le stesse divisioni ideologiche che noi abbiamo vissuto. da noi la trasformazione è avvenuta in tempi così rapidi da distruggere qualunque elemento di aggregazione, rendendo così difficile, estremamente difficile, ogni tentativo di riordino. il processo di trasformazione che altrove, in tempi lunghi, è stato assorbito, operando ricomposizioni che sono andate in parallelo con il cambiamento, qui da noi ha finito con l' essere assunto in termini quasi esclusivamente negativi, disaggreganti, anarcoidi, rendendo estremamente difficoltosa la pure necessaria opera di ricomposizione. ora noi dobbiamo affrontare innanzitutto una crisi economica , che ci impone di ricreare le condizioni dell' accumulazione e della ripresa. questo è certo, ed a questo impegno non possiamo sottrarci. ma dobbiamo anche affrontare una crisi politica , una crisi della politica. dobbiamo avere consapevolezza, allora, che le democrazie si organizzano, vivono e prosperano non assumendo a proprio riferimento soltanto i fatti e gli obiettivi economici: senza un riferimento a valori spirituali, a un' idea più generale dell' uomo e del suo rapporto con il proprio prossimo, le democrazie non hanno regole di ricomposizione, non possiedono la necessaria carica morale per rinnovarsi e divenire sempre più aperte ai nuovi bisogni, alle nuove domande di libertà che il progresso stesso vuole. la crisi della politica, la necessaria rifondazione di un potere in crisi, la ricostituzione delle regole del potere democratico, dell' ordine democratico, non si affrontano allora, né si risolvono, sostituendo alle vecchie culture in crisi un mero pragmatismo o l' empiria scettica. appare essenziale, invece, il recupero di una profonda ispirazione ideale ed in fondo religiosa. e questo che induce noi democratici cristiani a perseguire con forza il nostro impegno di rinnovamento per essere in grado, con la nostra forza, con la nostra capacità di rappresentanza, e soprattutto con la nostra proposta e la nostra iniziativa, di coltivare nella società nazionale un' idea di spiritualità, un supplemento d' anima, il cui bisogno è largamente avvertito anche e forse particolarmente in una società secolarizzata. per questo penso che chi parla di superamento del ruolo storico della Democrazia Cristiana , in questa Italia che cambia e che vuole continuare a progredire, evidentemente esprime un proprio desiderio, magari anche legittimo, spesso derivato da antiche e mai sopite frustrazioni e ambizioni, ma non coglie nel segno profondo delle cose. lo stesso risultato elettorale del 26 giugno, il più basso della nostra esperienza storica, contestuale, tuttavia, ad uno sforzo serio e avviato per rinnovare il nostro stesso modo di essere , ci ha confermato come primo partito d' Italia. oso affermare allora, proprio nel momento difficile che viviamo, la legittima consapevolezza che senza di noi questa democrazia correrebbe un grave rischio di impoverimento, di degenerazione e forse di involuzione, non per il solo nostro dato numerico — che pure condiziona, in democrazia, ogni scelta, secondo le regole acquisite alla comune coscienza dei democratici occidentali — ma per la qualità della nostra ispirazione. ci rendiamo conto delle difficoltà dell' impegno che comporta il dirsi cristianamente ispirati in un' attività politica; ma sentiamo che proprio questo rende tuttora essenziale e non sostituibile il nostro contributo alla difesa e alla crescita della democrazia italiana. non abbiamo mai pensato, non potremmo mai pensare di mandare dispersa, per eccesso di pragmatismo, pur nella razionalità della politica che abbiamo concorso a rivendicare, la nostra ispirazione, che conduce, deve condurre, anche quando è rischioso, al buon governo , a far bene le cose della città che appartengono a tutti. da qui la nostra specifica tendenza a superare i pur legittimi interessi di parte in una concezione più generale della società, ricercando con pazienza e persino con umiltà un punto di incontro che faccia salvi i diritti di ciascuno, garantendo però, in primo luogo, l' interesse superiore della comunità nazionale. si collega anche qui il nostro impegno per la lotta alla criminalità organizzata , la cui diffusione, i cui strumenti di penetrazione e di arricchimento, come la droga in particolare, la cui suggestione preoccupante su alcune leve giovanili disorientate e disoccupate sono per certi aspetti la prova più lampante ed il segno più tragico della crisi dei valori morali. le ferme e convinte parole pronunciate dal presidente del Consiglio al riguardo costituiscono un impegno che va perseguito con sicura determinazione. di recente, il professor Alberoni ha affermato che la crisi della politica travolge anche la morale della politica e giustifica ogni abuso, ogni eccesso: il nostro sistema politico-culturale è così passato quasi istantaneamente dal fideismo allo scetticismo, dal fanatismo al cinismo. se tutto ciò fosse vero, saremmo una società senza avvenire, una democrazia senza futuro. noi avvertiamo il rischio enorme della eccessiva diffusione degli egoismi, che conducono il sistema politico sull' orlo della frantumazione; ma siamo qui, vogliamo essere qui per evitare questo rischio, per contribuire alla ricostruzione delle ragioni delle unità oltre la diaspora corporativa degli egoismi, per ricreare momenti di aggregazione e di Governo. abbiamo proposto, ben prima della consultazione elettorale, la questione dell' alternativa, che è un problema reale di questa società trasformata che chiede di cambiare. abbiamo chiesto che una coalizione nascesse e si consolidasse in quanto alternativa ad altre proposte, anche se tuttora non precisate. l' alternativa di cui noi parliamo è in primo luogo una risposta di Governo della società che cambia; si contrappone non solo e non tanto alla proposta di chi persiste nel far riferimento al cosiddetto socialismo reale , ma anche all' ipotesi, fatta propria dal partito comunista , di un socialismo diverso, che in realtà non sappiamo dove sia, cosa sia e che neppure in maniera approssimativa viene indicato. ultimamente, a ridosso della soluzione della crisi ministeriale, il partito comunista ha preso a parlare di una proposta alternativa alla nostra, immaginando un assemblaggio di forze diverse e di opposta ispirazione, numericamente in grado di mettere all' opposizione la Democrazia Cristiana . ora questa posizione in realtà finisce per seguire, checché ne dica l' onorevole Berlinguer, una pura logica di potere; costituisce una semplice alternativa di potere indifferente alla qualità della proposta di Governo. per certi aspetti c' è una specie di riproposizione del « milazzismo » che certo non incoraggia una diversa attenzione del partito comunista per i problemi della governabilità e della trasformazione, ma si limita, oggi come allora, a candidarsi purchessia a subentrare alla Democrazia Cristiana nella gestione del potere, indipendentemente dal tipo di politica che ne può sortire. come si possono assumere, così semplicemente, partiti come il partito socialdemocratico e il partito repubblicano (ammesso che si pensi ad escludere il partito liberale ), e lo stesso partito socialista riformista dell' onorevole Craxi, quali elementi costitutivi di una alternativa alla Democrazia Cristiana , se non all' interno di una visione numerica e non politica dell' aggregazione antidemocristiana? come si può far riferimento al rigore repubblicano e dipingere nello stesso tempo la stessa linea di rigore, espressa dalla Dc, come una scelta di classe, restauratrice, e al limite addirittura non democratica? l' alternativa non può essere un assemblaggio di forze e di indirizzi contraddittori in funzione di una successione di potere. l' alternativa richiede un processo e sollecita contestualmente un adeguamento delle forze politiche alla realtà nuova che la trasformazione ha prodotto. noi sappiamo, per quanto ci riguarda, pur avendo avvertito prima di altri l' urgenza di tale revisione ed avendola avviata con coraggio, anche a costo di pagare qualche prezzo per il rinnovamento, che il passaggio verso l' alternativa è difficile. forse è più difficile per noi che per altre formazioni che non hanno la medesima funzione storica, che non hanno le stesse dimensioni a livello di rappresentanza. d' altra parte non è la prima volta che la Democrazia Cristiana si inerpica lungo passaggi difficili, ma esaurite tutte le fasi delle aggregazioni successive al nucleo storico delle forze democratiche, non possiamo non affrontare il difficile passaggio all' alternativa possibile. questa non va concepita in termini di schieramento, ma sostanziata e qualificata come una proposta di Governo. dobbiamo partire dal dato di una realtà complessa, di una società trasformata e senza rappresentanza per individuare un itinerario percorribile per concorrere a costruire un nuovo ordine che tuttavia non riduca gli spazi di democrazia accresciuti. dobbiamo invece incamminarci verso un domani che non conosciamo e che tuttavia in parte possiamo noi stessi determinare. e necessario che ognuno cambi qualcosa perché tutto cambi. in questo senso l' alternativa è un processo ed il rinnovamento istituzionale ne è lo strumento da costruire, con prudenza non disgiunta a decisione, tutti assieme, fuori da certezze, da dogmatismi, da consensi comunque acquisiti e mai messi in discussione. tale strategia non è solo nostra, non è sola di un partito, ma secondo noi è la linea per conservare e sviluppare la democrazia in Italia. sappiamo di muoverci lungo un percorso accidentato, ma sappiamo anche che in fondo alla strada difficile c' è la grande prospettiva della democrazia compiuta. la posta in gioco esige il cambiamento nei comportamenti dei partiti e la rimozione di antichi pregiudizi. l' alleanza dei cinque partiti è un' aggregazione di forze potenzialmente omogenee che possono muoversi ciascuna con la propria specificità verso quell' obiettivo. è in tale contesto, all' interno di questa linea strategica che si colloca la scelta di questo Governo. altro che gabbie, onorevole Berlinguer! non abbiamo alcun interesse a tacere che il dibattito che ha preceduto la formazione di questo Governo può alimentare dubbi, sospetti e forse anche qualche legittima domanda circa la consistenza politica, il significato e il ruolo di questa coalizione. ma in alternativa a questa maggioranza possono essere evocati i numeri, non certamente ragioni di aggregazione politica di più alto significato. se la domanda — che è insieme di partecipazione e di decisione — sollecita l' alternativa, questo Governo è, deve essere, una risposta di alternativa, di alternativa alle posizioni del partito comunista . ciò non ci impedisce, anzi ci impone ancor più, di conservare il valore fondamentale dell' unità, perché siamo consapevoli che l' alternativa stessa si costruisce se ed in quanto si ricercano e consolidano le ragioni fondamentali dell' unità nel sistema democratico, se ed in quanto, perciò, ci si impegni insieme, maggioranza ed opposizione, a rifondare le strutture del potere democratico. la necessaria politica istituzionale di riforma e di ricostituzione delle regole del potere costituisce perciò l' altra faccia dell' alternativa. siamo stati accusati qualche volta di ipotizzare un bipolarismo che mortificherebbe l' autonomia, la peculiarità delle diverse culture politiche , delle diverse forze politiche , contraddicendo la ricchezza democratica dell' assetto pluralistico del nostro sistema. non è così. pur avendo precisa consapevolezza della necessità di attivare meccanismi capaci di scoraggiare le spinte disgregatrici e frantumatrici del sistema, non pensiamo a radicali riforme elettorali , che caso mai debbono seguire e non precedere i processi politici. pur nella vigenza di un sistema proporzionale garante del pluralismo e tale da assicurare la libera raccolta del consenso, credo sia difficile negare che nel momento dell' elaborazione di una proposta di Governo e delle conseguenti scelte di alleanze si configura sempre una alternativa di Governo e di opposizione, di maggioranza e di minoranza. non è allora in discussione il contributo essenziale che ciascuna forza e ciascuna cultura può e deve dare all' elaborazione di proposte di Governo. la questione è un' altra: sui problemi concreti, quelli che la gente avverte e soffre, non si può continuare a misurarsi riproponendo pigramente, quasi come una posizione di rendita, vecchi schemi ideologici, ma solo costruendo proposte di Governo possibile. quella odierna, signor presidente del Consiglio , è la proposta di Governo oggi possibile. lei ne ha avviato il cammino con una correttezza ed una lealtà di cui voglio darle sinceramente atto. se — come credo — questa lealtà, nella attuazione del programma, nella chiarezza del quadro politico , nella coerenza dei comportamenti pratici, assisterà la vita della coalizione di cui noi ci sentiamo e siamo parte decisiva e determinante, il cammino potrà essere utile e fecondo. e con questo schietto augurio che dichiariamo la fiducia della Democrazia Cristiana .