Bettino CRAXI - Deputato Opposizione
IX Legislatura - Assemblea n. 281 - seduta del 14-03-1985
Sulla situazione politica interna
1985 - Governo Tambroni - Legislatura n. 3 - Seduta n. 317
  • Comunicazioni del governo

prendo la parola brevemente per ringraziare i numerosi colleghi che sono intervenuti nel dibattito, per inviare uno sguardo affettuoso ai banchi che ci hanno ascoltato nel corso di questa discussione e per sottolineare alcuni dei temi che sono stati affrontati nella seduta odierna. parto dall' ultimo tema trattato dall' onorevole Segni per ribadire — come egli ha auspicato — che l' Italia spinge per una evoluzione politico-istituzionale: non dimentichiamo però che, allo stato delle cose , siamo in un regime comunitario unanimistico e che più di una grande nazione appare assai prudente nell' accostarsi in questo momento sia al contenuto della problematica istituzionale sia alle relative procedure. ci proponiamo comunque di ricevere il rapporto definitivo del comitato Douc alla riunione del Consiglio europeo di marzo. in quel momento si tratterà di decidere se sarà già possibile preannunciare per il Consiglio europeo di giugno la convocazione di una conferenza intergovernativa , che allo stato delle cose non pare per altro possibile. in caso diverso, potremo svolgere un approfondimento sulla base di rapporti bilaterali, in particolare con i paesi che avanzano le obiezioni che appaiono più distanti dalla concezione evolutiva contenuta nelle proposte; per arrivare a giugno (dedicando una parte importante del Consiglio europeo di giugno a questa problematica) a raccogliere i consensi necessari per procedere alla convocazione di una conferenza intergovernativa sulla base di un progetto e di una procedura fissati, che consenta di prefigurare il punto di arrivo di questo processo. per far questo è vero che non occorre necessariamente l' unanimità se si innesta una doppia velocità, però occorre che almeno tra chi è disposto ad innestare la doppia velocità ci siano tutti i sei paesi del trattato originario, perché diversamente la situazione si presenterebbe ancora più complicata. allo stato delle cose , mi pare di aver colto una nota di grande prudenza anche a Bonn. e vengo rapidamente ad alcune delle questioni sulle quali si è maggiormente insistito nel corso della discussione di oggi. non ho detto alla Camera nulla di diverso da quanto avevo detto al Congresso americano , anche se certo in una forma diversa (al Congresso americano ho dovuto parlare per venti minuti, nei quali ho dovuto far rientrare la parte di ringraziamenti e di sottolineature etico-storiche). l' impostazione è esattamente la medesima e non c' era nulla da cambiare né rispetto ai commenti fatti in precedenza né rispetto alle posizioni che ho illustrato oggi. né di fronte al Congresso degli USA ho compromesso la posizione del Governo, facendo la cosa che mi sembrava essere la più semplice e logica e cioè manifestare interesse per il programma verso il quale si avvia l' amministrazione americana. noto comunque che gli osservatori dell' Europa orientale , nel giudicare il mio discorso al Congresso, sono stati assai più rispettosi e prudenti di quanto non si possa dire per alcune valutazioni che ho sentito echeggiare in quest' Aula, avendo essi in sostanza detto « egli è stato però molto cauto nel formulare un giudizio nei confronti del programma delle cosiddette guerre stellari » . e in effetti, benché il viaggio in America mi abbia consentito, grazie a vari incontri, di sapere un po' di più a proposito di questo programma, allo stato delle cose ci si trova pur sempre di fronte ad un programma che l' amministrazione vuole perseguire, che è oggetto di forti discussioni negli USA ed anche nell' ambito scientifico, come è stato ricordato. non capisco però per quale ragione ci si accanisca a citare le opinioni di coloro i quali sostengono (e certo sono molti) che si tratti di un programma irrealizzabile, che lo scopo che si vuol raggiungere (realizzare sistemi difensivi che possano costituire uno scudo globale, cioè che dallo spazio possano distruggere, non appena partano da terra, tutti i possibili sistemi missilistici immaginabili, garantendo una protezione assoluta, in pratica distruggendo la pericolosità dell' arma nucleare) sia uno scopo irraggiungibile. queste opinioni le ho raccolte in molte sedi, come per esempio al Mit, e del resto erano già echeggiate a Roma in un seminario di scienziati. addirittura, al Mit mi hanno detto che secondo loro, che sono in collegamento con scienziati di tutto il mondo, anche una parte degli scienziati sovietici ritiene che si tratti di un obiettivo irrealizzabile. di qui una certa opposizione di esponenti americani sulla base di varie ragioni. alcuni difendono le ragioni del contribuente (perché questo programma costerà — mi dicono — mediamente e per alcuni anni 20 dollari in più ad ogni contribuente americano); alcuni ritengono che le risorse debbano essere impiegate in altro modo; altri si oppongono perché ritengono che il medesimo risultato (nuove tecnologie, con ricadute importanti sui sistemi produttivi) possa essere raggiunto attraverso ricerche meno impegnative e meno costose. non capisco però perché in quest' Aula ci si sia tanto accaniti a dimostrare che questo sistema non si può realizzare: non si capisce bene se questa posizione (che ho sentito in particolare sostenere dal rappresentante del gruppo di democrazia proletaria ) derivi da una grande sensibilità per gli interessi del contribuente americano o da una particolare sensibilità per il punto di vista del governo sovietico ! questo punto proprio non mi è chiaro! non capisco per quale ragione ci si accanisca a dire che questo programma non si può realizzare. forse non si potrà realizzare, ma di certo un tratto di strada lo farà: se anche non potrà avere l' impiego militare di cui si dice, farà comunque un tratto di strada importante. prego, onorevole Napolitano! comunque, in sede scientifica si raccolgono effettivamente opinioni molto diverse. tutti però convengono nel dire che prima di un certo numero di anni non sarà possibile valutare l' effettivo sbocco della ricerca. ho sentito parlare in Inghilterra di un periodo di tre anni, mentre a Boston, presso l' Istituto del Massachusetts, si parla di più di tre anni. qualcuno, malignamente, dice: « Reagan tra quattro anni lascerà la patata bollente ad altri, perché intanto deve partire il programma di ricerca e, poi, non sarà più lui a dover decidere dell' impiego militare » . questi, però, sono aspetti appartenenti al dibattito interno degli USA. ciò che non mi sembra giusto è affrontare il problema con un accanimento fuori luogo , senza vederlo nella sua complessità e nella sua interezza. se si avvia una ricerca di queste proporzioni, infatti, di tale ampiezza, destinata ad ottenere dei risultati scientifici ed a provocare un salto di qualità delle tecnologie di grande rilievo, tutto il mondo industrializzato è interessato. non vorremmo trovarci, di qui a dieci anni, con un ulteriore gap tecnologico da colmare, che ci separi definitivamente dal processo di sviluppo . il problema esiste, è un problema europeo e adesso sono sensibili tutti i maggiori governi europei; si tratta di vedere come, attraverso quali forme, l' Europa intenda affrontarlo. a me interessava soprattutto capire quale fosse il rischio della incidenza troppo paralizzante di un dissenso in ordine a tale materia tra americani e sovietici in rapporto al negoziato di Ginevra. ho fatto ed ho sentito fare qualche riflessione: la prima è che, innanzitutto, gli americani, nelle condizioni preliminari relative al negoziato, hanno accettato di trattare la materia, mettendola in un « cesto » . il negoziato di Ginevra, pertanto, si apre questa volta su tre « cesti » e questa è anche la ragione per la quale può essere considerata, allo stato delle cose , obsoleta l' idea del congelamento. se, infatti, il negoziato, su esplicita richiesta sovietica, riguarda materie che non potranno essere portate a compimento se non quando sia fissato il legame che unisce i contenuti dei tre « cesti » , il processo diviene effettivamente più complesso. il timore, quindi, era ed è quello che la materia del terzo « cesto » possa in qualche modo finire per esercitare un ruolo paralizzante. il presidente degli USA ha fatto, di fronte alla delegazione italiana, una dichiarazione lapidaria, avendo detto che gli USA si adopereranno per ridurre la diffidenza sovietica. ed i negoziatori americani, che si apprestavano a partire per Ginevra e che ho avuto occasione di incontrare, hanno sostenuto con me che essi ritengono che questa sia materia sulla quale gli USA desiderano condurre la più ampia discussione ed il più ampio confronto con i sovietici, rilevando, fra l' altro, che l' Unione Sovietica non è affatto a digiuno in questo campo e che ha condotto sul terreno spaziale degli importanti esperimenti, i cui risultati interessano ai fini dello sviluppo futuro dell' insieme di queste ricerche concernenti lo spazio. Nitze, in particolare, mi è sembrato sostenere una posizione favorevole a discutere di tutto e, quindi, anche degli aspetti concernenti la difesa spaziale, dei loro sviluppi e delle connessioni con il sistema generale degli equilibri. vedremo se tali atteggiamenti di buona volontà , di apertura e di disponibilità avranno un seguito, come io mi auguro. in ogni caso, noi sappiamo che nella discussione in ordine a questo sistema difensivo in fase di progettazione sono emerse diverse e consistenti critiche e non solo quelle che riguardano la sua realizzabilità, ma anche quelle derivanti da una serie di interrogativi, alcuni soltanto teorici ed altri effettivamente esistenti e concreti. un primo interrogativo è quello relativo alla posizione degli alleati, cui gli USA, allo stato, garantiscono che, se mai questi sistemi dovessero entrare in funzione, essi riguarderanno anche loro; mentre un' ulteriore osservazione è quella che ho sentito riassumere nel binomio « scudo-spada » , nel senso, cioè, di dire che, trovato un sistema che distrugga le armi nucleari , gli uomini si sentiranno incoraggiati ad uccidersi con le armi convenzionali e finalmente potranno riprendere a fare le guerre che si sono sempre svolte, visto che non c' è più il pericolo della bomba atomica . questa è una considerazione un po' filosofica ed avveniristica, ma l' ho sentita fare in più di una sede, atlantica e non. per quanto riguarda il Centro-America noi abbiamo detto apertamente al presidente degli USA che per noi sarebbe un grande errore un intervento diretto americano. e dopo aver parlato con il presidente Reagan, ritengo che tale intervento non sia nell' ordine delle cose. l' amministrazione americana intende appoggiare la resistenza armata (o una parte di essa: questo punto non è stato chiarito) che è in corso contro il regime di Managua. ciò che importa allo stato delle cose è evitare che la situazione precipiti e si aggravi. è difficile discutere con due interlocutori di cui il primo ritiene sul terreno di poterla avere vinta nei confronti dell' altro, mentre il secondo è dell' avviso di poter ottenere sul terreno dei risultati concreti. abbiamo detto che non siamo in condizione di valutare quale sia la situazione militare e quali considerazioni spingano a mantenere viva una soluzione militare. noi abbiamo esplicitamente affermato che, se le cose stanno così, occorre lavorare con impegno perché si mantenga un canale di dialogo ed abbiamo consigliato, sia ad Ortega sia agli USA, di continuare i loro incontri. a Montevideo ho visto Ortega e Schultz e li ho invitati a continuare questo dialogo, sperando che risulti chiaro, da qui a non molto, che non esiste soluzione militare. in situazioni di quel tipo, cioè quando si combatte nella giungla, è molto difficile, con il ricorso delle armi, sradicare la guerriglia. esempi in questo senso li abbiamo nel Salvador e nello stesso Nicaragua. bisogna allora ricercare soluzioni politiche, che sono tutt' altro che facili, in quanto chi punta sulla carta militare sbaglia i suoi conti ed i fatti lo dimostreranno. per parte nostra abbiamo sempre mantenuto, nonostante le critiche rivolte al regime di Managua, la nostra posizione. avevamo molto insistito con il regime di Managua perché indicesse le elezioni, ma avendole esso addirittura anticipate, è difficile oggi contrapporre un valido argomento a quello del regime sandinista il quale domanda: perché l' opposizione non si è presentata alle elezioni? perché non ha partecipato alle elezioni che aveva chiesto? questo è un argomento forte, del resto è lo stesso che Duarte usa nel Salvador nei confronti della sua opposizione. è vero che in questo Stato non si sono offerte all' opposizione garanzie perché potesse partecipare alle elezioni, ma nel Nicaragua le garanzie minime — anche se elementi di autoritarismo nel sistema sono stati purtroppo introdotti — c' erano e quindi questo probabilmente è stato un errore. ritengo che il lavoro congiunto delle diplomazie debba proseguire, unitamente a quello svolto dai paesi del gruppo di Contadora, appoggiati da coloro i quali non vogliono che si apra nel Centro-America una crisi più grave. tutti insieme dovranno cercare il filo delle possibili e difficili, allo stato delle cose , soluzioni politiche. per quanto riguarda i nostri rapporti con il Nicaragua, abbiamo confermato gli impegni che avevamo. non vi era infatti alcuna ragione perché dovessimo modificarli. noi abbiamo degli impegni di cooperazione economica e delle promesse di realizzazione di un' importante centrale geotermica, attraverso una partecipazione italiana al finanziamento internazionale. abbiamo comunque confermato il nostro impegno di cooperazione. non è vero quello che ho sentito dall' onorevole Masina, perché non mi pare affatto che negli USA sia maturo il problema cileno. spero che maturi, noi abbiamo fatto una grande pressione e credo, semmai, di aver contribuito alla maturazione, cosa della quale non siamo ancora totalmente convinti. abbiamo posto il problema con molta forza sia al tavolo dell' incontro tra i governi o tra i rappresentanti dei governi, sia di fronte al Congresso. avevo avuto occasione di incontrare una serie di esponenti dell' opposizione cilena a Santiago; avevo incontrato anche il cardinale. credo che le condizioni siano mature perché si possa tentare di creare una situazione nuova, di dar vita ad una alternativa democratica. la via potrebbe essere quella di libere elezioni, questa è la tesi che ho sostenuto conoscendo la posizione del governo americano . abbiamo detto che non chiediamo una risposta subito, ma chiediamo di riesaminare la situazione cilena, alla luce non di ciò che è stato ma di ciò che è e di ciò che sarà, tenendo conto della nostra richiesta di un concerto internazionale che aiuti a riaprire la strada alla democrazia; non facile quando vi sono di mezzo unità militari che ancora appaiono fedeli al regime, il quale può protestare fin che vuole, ma il regime cileno non può in nessun modo vestire i panni del difensore dell' Occidente, della democrazia e della libertà. mi interessava sapere, nel corso degli incontri di Washington, qual era l' atteggiamento degli USA nei confronti del movimento in atto nel Medio Oriente , non avendo esattamente capito qual è la posizione dell' Unione Sovietica in questo momento. ho constatato che tutti sono molto prudenti. il ministro Gromyko, richiesto di un parere sull' accordo giordano-palestinese, ha cominciato a dirmi che non era esattamente informato; e poi ho capito che effettivamente l' Unione Sovietica in questo momento sta osservando gli sviluppi della situazione e non ha ancora deciso che linea seguire. così mi pare d' aver capito. siamo rimasti d' intesa che il governo italiano ed il governo sovietico si consulteranno, nell' ambito di un patto di consultazione che esiste da molto tempo sulla questione medio orientale . io ho molto criticato l' idea che l' Unione Sovietica potesse — l' ho fatto apertamente di fronte a Gromyko — ostacolare questo processo; pur sapendo che esistono interessi della Siria, paese particolarmente amico dell' Unione Sovietica , ma soprattutto amico di se medesimo. interessava conoscere la posizione degli USA, e la posizione degli USA mi sembra molto prudentemente attenta all' evolversi della situazione. c' è una certa sensibilità all' evolversi della situazione, c' è un appoggio, che è stato dichiarato e garantito, a re Hussein; si è consentita una formula attraverso la quale si è potuto dire che entrambi abbiamo valutato positivamente l' intesa giordano-palestinese. credo che, sotto questo profilo, gli USA non si esporranno fino a quando non si consoliderà un movimento importante, sostenuto dalle capitali arabe, che hanno come interlocutore Israele, e con un appoggio europeo, che è quello che noi non dobbiamo far mancare. penso ad una concertazione; penso che non sarà possibile la strada della conferenza internazionale, di cui parlano piuttosto i paesi arabi e che Israele rifiuta. mentre è possibile la strada di un negoziato diretto, assistito almeno da una concertazione internazionale, se le grandi potenze, Unione Sovietica e USA, vedranno con favore l' evolversi di un processo negoziale di questo tipo. diversamente le cose si presenteranno più complicate, e già del resto sono complicate per tanti aspetti, ai quali questa mattina ho fatto cenno nel corso della relazione che ho presentato al Parlamento. quello che interessava capire è che la posizione del governo americano è una posizione, diciamo, attenta all' evolversi di questa situazione. nel corso del dibattito ho sentito nuovamente riecheggiare la richiesta perentoria ai paesi arabi di riconoscere Israele. e un problema su cui, nei colloqui che ho avuto nei paesi arabi, mi sono sentito rispondere che si vede chiaramente che Israele è uno Stato della regione, che ha diritto a vivere in pace con gli Stati vicini, che ha diritto a normali relazioni diplomatiche ed ai mercati aperti. però Israele deve restituire i territori occupati , che non sono di Israele, ma arabi, e deve consentire di risolvere la questione palestinese . credo che in questa proposizione sia tutto l' insieme di questo complicatissimo problema, la cui soluzione passa inevitabilmente per questa strada. onorevole Rauti, le dico subito cosa intendevo quando ho parlato, a proposito della Libia, di una nostra disponibilità per soluzioni ragionevoli e giuste. con la Libia abbiamo certamente un rapporto difficile, però è un rapporto che si legge su molte cose, non esclusi gli importanti interessi che ci legano a quel paese, che è un paese rivierasco, dirimpettaio. il rapporto con l' Italia è difficile per tante ragioni, che appartengono alla politica ed in qualche caso alla psicologia. la Libia ci pone due problemi. innanzitutto ci pone il problema del risarcimento dei danni delle guerre coloniali , a partire dal 1911. quello del 1911 è un problema che non possiamo risolvere (a parte il fatto che la nostra diplomazia assicura che è stato già risolto, con modica somma, con re Idris ); ma non possiamo neppure ignorare che, se l' Italia ha costruito in Libia un certo numero di scuole, di strade, di ponti, ha anche ucciso tanta gente; pertanto si potrebbe anche pensare ad una riparazione morale, che assumesse la forma del dono, per esempio, di un ospedale per i feriti di guerra, per gli anziani. questo è un gesto morale che possiamo fare. la Libia ci pone poi un secondo problema: quello dei campi minati. esistono infatti molti campi minati nel periodo della guerra, che in passato ed ancora oggi provocano vittime fra i ragazzi che vi si avventurano. i libici chiedono perciò che questo problema sia risolto con la nostra collaborazione. noi siamo disponibili a compiere un' opera di questa natura, per lo sminamento dei campi minati dall' esercito italiano e — suppongo — dagli eserciti dell' Asse nel corso della, seconda guerra mondiale . queste sono le soluzioni ragionevoli e giuste, per il resto ci regoliamo secondo rapporti che debbono essere di reciproco vantaggio. mi dispiace — devo dire la verità — di essermi sentito aggredire, un po' come se io fossi andato in America in una posizione di subalternità — come si è detto — , in una posizione da suddito. non si è mai visto un padrone che tratta il suddito come gli USA ed il loro Congresso hanno trattato il rappresentante, in quel momento, del governo italiano e dell' Italia! è un omaggio che non è stato reso a me, o al Governo che ho l' onore di presiedere, ma all' Italia, cioè a tutti voi, e bisognava avere, in un certo senso, l' onestà di riconoscerlo e di sottolinearlo come un importante fattore di prestigio della nazione nel suo insieme. così io l' ho inteso e così io l' ho apprezzato. credo che la visita in America sia stata una visita utile, che ci consente di continuare, con una visione verificata, con elementi più aggiornati, la politica che stiamo conducendo, avvalendoci al meglio — come qualcuno ha detto — di strutture inadeguate. il problema delle strutture inadeguate si potrà risolvere, ma l' importante è procedere nella direzione giusta, secondo principi e obiettivi realistici, con la convinta volontà di difendere gli interessi nazionali .