Luigi BERLINGUER - Deputato Opposizione
IX Legislatura - Assemblea n. 124 - seduta del 07-04-1984
Conversione in legge del decreto-legge 15 febbraio 1984 n.10, recante misure urgenti in materi di tariffe, di prezzi amministrativi e di indennità di contingenza.
1984 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 124
  • Attività legislativa

mi chiedo innanzitutto, signor presidente , onorevoli colleghi , se, di fronte a tutto quello che è accaduto nei luoghi di lavoro, nel paese e nelle Camere, durante i 50 giorni trascorsi dall' emanazione del decreto, la maggioranza ed il Governo abbiano obiettivamente misurato e valutato tutti gli effetti negativi che sono stati prodotti dal provvedimento. vorrei invitare i colleghi ad una più approfondita riflessione su questo punto. nessuno può ignorare infatti che un atto, presentato come rivolto a garantire il risanamento economico, a favorire la ripresa produttiva, ossia un atto che avrebbe dovuto dimostrare una capacità di governare il paese in modo più efficiente del passato, ha provocato lacerazioni profonde nel corpo vivo della nazione, ha immesso veleni nella vita dei sindacati e delle imprese, nella vita parlamentare, nei rapporti politici tra i partiti di sinistra, per cui se questi guasti non saranno sanati, sarebbero compromessi, in modo grave, gli sforzi per ripristinare condizioni di normalità nelle relazioni sindacali e politiche e nel confronto sui problemi dell' economia. una preoccupazione questa che ritengo non sia solo della nostra parte, la quale è pronta a valutare tutti i passi che verranno presi per evitare quelle radicalizzazioni che mi è sembrato preoccupino l' onorevole Bodrato. non voglio negare che al momento della sua emanazione questo decreto poteva essere giudicato da taluni, nella maggioranza, una misura pesante, ma non dirompente; ma dirompente essa è stata e in modo via via così palese che negli ultimi giorni l' insostenibilità della sua formulazione è stata di fatto ammessa e riconosciuta da alcuni partiti di maggioranza e dallo stesso Governo con proposte o disponibilità di modifiche che però, pur non toccando la sostanziale iniquità dell' articolo 3, hanno ancor più aggrovigliato la matassa delle contraddizioni nelle quali la maggioranza si è cacciata con l' atto del 14 febbraio. ritornerò su questo punto, sulle convulse vicende degli ultimi giorni, ma prima vorrei ricordare gli effetti che il decreto ha avuto su vari aspetti della vita del paese. di uno di essi, tra i più gravi, la divisione del movimento sindacale , si è detto preoccupato anche il presidente del Consiglio , onorevole Craxi, nell' incontro di mercoledì scorso con i dirigenti delle confederazioni dei lavoratori. ma questa conseguenza era inevitabile di fronte al merito del provvedimento e al metodo con cui lo si è varato, andando contro le posizioni della più rappresentativa organizzazione sindacale . in realtà l' opposizione dei lavoratori al decreto è andata ben al di là della maggioranza della Cgil; è una parte grandissima delle masse lavoratrici e popolari che si è sentita colpita e ha reagito nei modi che si sono visti. è stato un grave errore di valutazione politica non aver previsto una lotta e una protesta così vigorose, così ampie, così prolungate; ma ancora più grave sarebbe oggi, dopo le tante manifestazioni svoltesi in tutto il paese, dopo gli orientamenti emersi da referendum e petizioni e soprattutto dopo il 24 marzo, ignorare questo dato di fatto e rifiutarsi di trarne le conseguenze. prendiamo atto che dopo il 24 marzo sono rimasti pochi i sostenitori della tesi secondo la quale quei grandi cortei, che abbiamo visto, di gente forte, serena, sicura delle proprie ragioni, che hanno percorso le strade e le piazze di Roma e quegli scioperi e quelle manifestazioni che li hanno preceduti e seguiti in ogni provincia e regione, sarebbero il prodotto della sobillazione e della organizzazione del partito comunista . è una tesi che suona offesa all' intelligenza di milioni di cittadini considerati come persone che non hanno una propria personalità, propri sentimenti, una propria capacità di giudicare e di intervenire nella lotta sindacale e politica, ma come terminali di un computer azionato dalla Cgil e dal partito comunista . mi guarderò dal cadere nell' errore opposto, di considerare a mia volta privi di discernimento quei lavoratori, che pure vi sono, che non hanno partecipato a questo movimento. sono però convinto — lo ha detto già il collega Reichlin — che la Cgil, prendendo la direzione del movimento, non solo ha operato in piena coerenza con le sue convinzioni e con le sue autonome deliberazioni, non solo ha cominciato a ricostruire — e questo ha un valore per tutti — un rapporto di fiducia tra sindacati e lavoratori che si era andato logorando seriamente, ma ha reso un servizio alla democrazia, giacché altrimenti non so dove le ondate di protesta sarebbero potute e potrebbero andare. non sarò certo, io, onorevoli colleghi , a sottacere la parte che hanno avuto anche il partito comunista , le sue organizzazioni, i suoi militanti nel dare vigore e forme democratiche e civili alle lotte dei lavoratori contro il decreto; ma se ci siamo impegnati in questa azione non è per motivi di orgoglio, di prestigio o di simbolo, ma perché una delle nostre funzioni è proprio quella di cercare di interpretare e rappresentare politicamente i diritti e le aspirazioni delle grandi masse lavoratrici e popolari. e i fatti hanno ancora una volta provato che il partito comunista italiano non è una realtà separabile da una parte rilevantissima del mondo del lavoro italiano, che non è qualcosa di amorfo o di manovrabile a piacimento di chicchessia, ma è una forza che ha acquisito una sua precisa coscienza e maturità politica formatasi storicamente lungo decenni di esperienze e di battaglie, di delusioni e di successi. alla formazione di questa coscienza ha contribuito in modo decisivo il nostro partito, che proprio perciò è diventato un consolidato punto di riferimento e di fiducia. chiunque governi in Italia non può ignorare questa realtà, questa coscienza politica, questa forza, questi legami, sicché si possono anche prendere, ovviamente, decisioni diverse da quelle che questa forza vorrebbe e chiede, ma si deve sapere che quando tali decisioni si mettono in aperto contrasto con essa e la feriscono e la offendono, è inevitabile — che questa forza, nel suo complesso di coscienze e di organizzazioni, reagisca in massa e con tanto maggiore vigore quanto più grave è l' offesa e non arroccandosi, ma al contrario, poiché è una forza politicamente intelligente, allargando, come ha fatto nelle settimane scorse, l' impostazione della propria battaglia e i propri legami con lavoratori e cittadini di diverso orientamento. se coloro che governano non comprendono questo dato della realtà politica italiana , possono lanciare tutte le campagne che ritengono contro le maggiori organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori e contro il Parlamento e i suoi regolamenti, ma non caveranno un ragno dal buco, non otterranno altro risultato che quello di avvelenare ulteriormente il clima politico e sociale e si rimetteranno in un vicolo senza uscita. ecco una delle riflessioni cui gli eventi di queste settimane dovrebbero indurre tutte le forze politiche e sindacali. ma vi è una cosa da aggiungere: quel dato della realtà che ora ho ricordato, che si è espresso in modo così evidente nell' opposizione e nella protesta di tanta parte del mondo del lavoro , può influire in diverso modo anche sul processo economico generale del paese e sulle singole imprese, come ben sanno molti imprenditori. se il rapporto con questa massa è positivo, si crea un clima da cui traggono beneficio le attività produttive e la complessiva produttività del sistema; se l' atteggiamento verso questa massa fa nascere uno stato d'animo diffuso di malcontento, d' irritazione, di esasperazione o di sfiducia, si determinano conflittualità, divisioni o svogliatezza che vanificano ogni politica economica di sviluppo, ogni sforzo per aumentare la produttività, aumentano tutti i costi economici e sociali in misura non paragonabile assolutamente, per le imprese e per l' economia nazionale, a quello che ci si ripropone di ricavare con i tagli proposti alla scala mobile . a parte queste considerazioni di ordine generale, ci sono state negli ultimi giorni due notizie, anche queste ricordate dal compagno Reichlin e da altri, che hanno fatto sentire ai lavoratori quanto fosse giustificata la loro immediata protesta e indignazione di fronte al decreto. la prima è la previsione, venuta da fonti ufficiali, che l' inflazione nel 1984 rimarrà intorno al 12 per cento ; previsione che fa saltare tutto il ragionamento economico che è stato posto a fondamento del decreto. l' altra notizia che ha fatto salire a mille l' indignazione non solo dei lavoratori, ma di tutti i cittadini onesti, è la pubblicazione del « libro bianco » del ministero delle Finanze , che nel modo più clamoroso ha dimostrato quanto sacrosanta sia stata e sia la ribellione dei lavoratori nel vedere ancora colpiti soltanto, unicamente i loro redditi, in un paese nel quale è divenuto ormai chiaro per tutti che i governi hanno vergognosamente disatteso l' applicazione del principio costituzionale, richiamato anche dai compagni che hanno argomentato le nostre pregiudiziali, che all' articolo 53 prescrive che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. una tassazione proporzionale ai redditi e la lotta contro la evasione: questo è un punto sul quale, onorevole Bodrato, non capisco l' enfasi sul vasto consenso; enfasi che dovrebbe essere posta, piuttosto, su altri temi, perché qui si tratta puramente e semplicemente di applicare le leggi e la Costituzione. dopo la pubblicazione di queste notizie e di questi dati di fonte ufficiale pare a me, onorevoli colleghi , che ostinarsi a mantenere in piedi il decreto rasenti i limiti — se mi si consente l' espressione — di un atto osceno in luogo pubblico. sta qui, credo, la spiegazione principale dei fatti politici degli ultimi giorni: lo sdegno, la protesta, le lotte dei lavoratori, la fermezza e le ragioni di giustizia che abbiamo posto alla base della nostra battaglia di opposizione, le due notizie che ora ho ricordato hanno cominciato a ritrovare riflessi, rispondenza nelle file della maggioranza. e sono divenuti così sempre più evidenti i segni di inquietudine, di imbarazzo, di disagio. si è avvertito, insomma, che la difesa del decreto nel testo che è davanti a noi non ha più argomenti. si sono avute così, dopo le prime critiche dei repubblicani quanto al metodo seguito e all' efficacia della manovra economica, certe riserve e titubanze democristiane, il documento dell' Esecutivo del partito socialista , la nuova consultazione del presidente del Consiglio con i sindacati. insieme a pretese irragionevoli e ad iniziative strumentali, vanamente protese a mettere sotto accusa la Cgil, sono venute avanti ora questa, ora quella proposta di modifica del decreto o di altri aspetti della politica economica del Governo; proposte che si sono, però, tutte arenate per i veti che sono venuti ora da questo, ora da quel partito della maggioranza, ora da questo, ora da quel dirigente sindacale. ognuna delle proposte avanzate, si trattasse dell' accorciamento della durata della validità delle norme dell' articolo 3 o del recupero per via fiscale o parafiscale nel caso di un' inflazione superiore al 10 per cento o dell' equo canone o del fisco, veniva bocciata, perché avrebbe fatto cadere una tessera del precario mosaico di consensi che erano stati dati al decreto (molti obtorto collo ) dai singoli partiti della maggioranza, nonché dalla Cisl e dalla Uil. questo rapido succedersi di reciproci veti e scavalcamenti altro non è che la conseguenza — pare a me — di quella corsa alla occupazione di posizioni del centro dello schieramento sociale e politico che è divenuta la preoccupazione dominante di tutte le formazioni che compongono il pentapartito. analizzammo questo aspetto della situazione politica italiana nella riunione di febbraio del nostro comitato centrale . ne ha parlato questa mattina il compagno Reichlin. osserviamo anche, però, che nel protendersi in questa corsa al centro, e quindi verso destra, i partiti della coalizione governativa e soprattutto i due maggiori, la Democrazia Cristiana e il partito socialista , si sono anche accorti (il movimento di queste settimane e le nostra battaglia hanno inciso, e come!) di lasciare scoperto uno spazio sempre più ampio all' opposizione dei lavoratori e a noi comunisti. di qui, le oscillazioni, lo « zigzagare » non solo della Democrazia Cristiana , ma anche degli altri partiti al Governo e delle varie componenti al loro interno, con comportamenti privi di intrinseca coerenza e di una logica comprensibile. dapprima, il partito socialista ha assunto la posizione di punta, scavalcando verso il centro tutti i partners della maggioranza e portandosi dietro i fedelissimi, da un certo tempo, alleati socialdemocratici e liberali. poi, ci sono state le prime timide perplessità del partito repubblicano e della Democrazia Cristiana . in questo ultimo partito ci si è cominciati a domandare se fosse davvero conveniente che il partito socialista portasse avanti la politica chiesta dalla Democrazia Cristiana , e molti poi si sono chiesti se si trattasse proprio della politica della Democrazia Cristiana . a quanto pare, nei giorni scorsi, la Democrazia Cristiana stava giungendo alla conclusione di prendere una sua iniziativa per differenziarsi rispetto ad una linea di rigida difesa del decreto. a questo punto, si è mosso il partito socialista con un documento del suo esecutivo, e si è fatto di nuovo avanti l' onorevole Craxi con la nuova convocazione dei sindacati. ma ciò, chiaramente, non ha destato grandi entusiasmi né nel partito repubblicano né nella Democrazia Cristiana , nella quale ultima — se ho ben capito — mentre alcuni esponenti hanno detto: si fa finalmente quello che abbiamo chiesto, altri si sono rimessi a fare gli oltranzisti di fronte ad un partito socialista ripresentato di nuovo all' opinione pubblica e criticato come oscillante ed ambiguo. da tutto questo agitarsi per ora non è venuto fuori niente di concreto. nessuna delle proposte di modifica prospettate è giunta al dibattito, al confronto, al voto nella sede parlamentare. peggio: con la decisione, a quanto pare, di porre anche alla Camera la questione di fiducia viene fuori la volontà di evitare un effettiva dialettica politica e parlamentare tra maggioranza e opposizione e all' interno stesso della maggioranza. e questo che si è voluto al Senato ed ora alla Camera. e non sono davvero i Regolamenti parlamentari ad impedire un libero ed aperto confronto! a proposito dei regolamenti, sembra che il Consiglio dei ministri — fatto abbastanza curioso — voglia aprire un secondo fronte di battaglia. ma state attenti! vi avevamo ammoniti a non tentare di riformare la scala mobile con un atto di imperio, passando sopra la verifica democratica del consenso dei sindacati e dei lavoratori. non avete voluto tener conto di cioè vi siete messi in un ginepraio. volete seguire lo stesso metodo per la riforma dei regolamenti? non attendetevi di ottenere risultati migliori! i regolamenti si possono e, per diversi aspetti, si devono migliorare (sono già stati, in parte, migliorati anche con il nostro contributo, e lo sapete, onorevoli colleghi ), si possono ulteriormente migliorare per adeguarli all' esigenza di un più snello funzionamento del Parlamento e di corretti rapporti tra il legislativo e l' Esecutivo. ma non dimentichiamo che il regolamento è la legge fondamentale di ogni Camera e che non si può e non si riuscirà a porre mano ad una sua riforma con i metodi intimidatori e prepotenti imposti dal Governo. si vuole forse fare scempio di quella fondamentale garanzia che sta a presidio di ogni autentico regime democratico, di quel cardine della nostra Costituzione che è il principio della divisione dei poteri? ci mancherebbe solo questo per aggravare la già acuta crisi del nostro sistema politico ; che l' Esecutivo riuscisse a mettersi in grado di schiacciare o di vanificare i poteri del legislativo! simili tentativi verranno respinti, e sono convinto che nella difesa delle essenziali prerogative del Parlamento, noi comunisti non saremo soli. tutto quello che ho detto finora sulla vicenda del decreto e sui suoi contraccolpi nella condotta del Governo e della maggioranza dimostra che il tipo di competizione politica che è in atto fra i partiti governativi porta, oltre tutto, a confondere, ad annebbiare, a stravolgere l' identità e la peculiarità di ciascuno di essi, la funzione specifica che essi hanno nella società. i partiti della coalizione governativa sono così entrati — a me pare — in una logica rovinosa, credo, anche per il meglio che ciascuno di essi ha espresso e dovrebbe rappresentare; ma rovinosa certamente per il paese, per la vita delle istituzioni, per i corretti rapporti parlamentari e politici, nonché per la funzione dei sindacati, per le loro relazioni con le controparti, con le istituzioni e con i partiti. questa è, onorevoli colleghi , la nostra più profonda preoccupazione. la nostra battaglia contro il decreto, vigorosa, ma argomentata e seria, non è stata fatta, non è fatta — l' ho già detto — per motivi di puntiglio o di prestigio, né unicamente per ragioni di prestigio sociale: essa è dettata dalla convinzione che — come i fatti di questi cinquanta giorni hanno dimostrato — il decreto ha introdotto nella vita sociale, sindacale, politica e parlamentare una carica disgregante, una logica di rotture che impedisce e blocca un reale e costruttivo confronto sui problemi concreti della nostra economia e dello Stato: la lotta contro l' inflazione e contro la disoccupazione, il risanamento delle finanze pubbliche, l' ammodernamento e le innovazioni nell' apparato produttivo, nell' amministrazione, nei servizi, l' aumento della produttività, la giustizia fiscale, la riforma del salario e della contrattazione, la moralizzazione della vita pubblica . su questi problemi, abbiamo elaborato ed avanzato negli ultimi tempi proposte serie — certo, più o meno dettagliate — e siamo pronti ad elaborarne di nuove insieme ad altri. ma dovrebbe ormai essere evidente per tutti che il decreto non solo ci allontana da tale confronto, così necessario, ma è fuorviante e deformante della sostanza che dovrebbe avere un dibattito politico e parlamentare e un dibattito fra i sindacati, in un momento così critico come quello che attraversa il paese. la condizione perché un tale dibattito costruttivo vi sia è che siano ripristinati una piena correttezza costituzionale e una normale dialettica democratica in tutti i campi: nei rapporti sociali e sindacali e in quelli politici e parlamentari. questa è l' esigenza che, oggi, noi consideriamo prioritaria. essa ci sembra corrispondere ad un interesse generale che non richiede certo il prolungamento dello scontro che, tuttavia, se costretti, noi continueremo a sostenere senza esitazione, schierandoci fermamente a difesa dei diritti dei lavoratori, della giustizia sociale , dei principi democratici, delle prerogative del Parlamento. ma non è questo l' auspicio nostro, non è questo l' augurio con cui voglio concludere il mio discorso. ho cercato di dimostrare — credo sulla base di argomenti e fatti oggettivi, non con pregiudiziali di parte — che lasciar cadere definitivamente il decreto non sarebbe un atto di resa, ma una prova di saggezza. e il mio augurio è, dunque, che questa prova sia data.