Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
IV Legislatura - Assemblea n. 829 - seduta del 27-02-1968
Misure urgenti in materi di tariffe, di prezzi amministrativi e di indennità di contingenza
1968 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 122
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole ministro del Tesoro , quasi all' inizio della presente legislatura il gruppo repubblicano propose al Governo — e se ne discusse in Parlamento — l' adozione di uno schema di politica dei redditi . tale proposta discese, come ho avuto l' onore di dire ripetutamente alla Camera, da una esperienza direttamente vissuta, secondo la quale era difficile entrare nel problema concreto della realizzazione di una politica economica programmata, se quest' ultima non fosse stata accompagnata da uno schema di politica dei redditi . eravamo allora nel pieno della fase recessiva, con gravi fenomeni di disoccupazione, e pareva ai repubblicani che la maniera migliore per affrontare e risolvere celermente tali questioni e per impostare correttamente il più vasto problema degli squilibri esistenti nella vita economica e sociale del nostro paese consistesse nell' adozione di una politica del genere. siamo alla fine della legislatura, e può essere utile stabilire se questa, che pareva una pregiudiziale posta dai deputati repubblicani, trovi conferma in quello che successivamente è avvenuto. il nostro esame, in certo senso consuntivo, deve necessariamente partire dal settore pubblico , perché in esso vi è la maggiore libertà ed elasticità di decisioni, almeno apparentemente. i settori direttamente produttivi, checché noi pensiamo di essi, sono sottoposti alla legge della competizione economica sul mercato interno ed internazionale, mentre evidentemente il settore pubblico , e la politica ad esso riferita, dipendono da decisioni autonome, ma non per questo meno importanti e meno gravide di incognite e di responsabilità. ecco perché da qualche tempo in qua, essendo fermamente convinti della necessità di realizzare una politica di programmazione del nostro paese, noi dedichiamo molta attenzione all' andamento del settore pubblico , non perché ci siamo convertiti a idee, come dice qualcuno, liberali o conservatrici, o perché abbiamo rovesciato la nostra maniera di porre i problemi, ma perché a noi pare che, nell' impostazione di una sinistra riformatrice, l' azione del settore pubblico deve essere un' azione di guida e di propulsione, quindi un' azione — oserei dire — di avanguardia, di punta. è pertanto assolutamente necessario che il settore pubblico , nel suo complesso, funzioni adeguatamente e rappresenti, in certo senso, l' esempio probante e continuo della sua capacità di impostare, esso stesso, nel suo seno, la politica di programmazione economica. ma qual è stato l' andamento del settore pubblico di questi anni e quale indicazione esso può dare per l' avvenire? vorrei al riguardo leggere pochissime cifre, ricordando che, nell' « ampio quadro del settore pubblico , noi comprendiamo l' attività dello Stato, delle aziende autonome, degli enti previdenziali e degli enti territoriali. abbiamo, quindi, un vastissimo campo nel quale il settore pubblico è direttamente impegnato, nelle sue articolazioni. nel 1966, primo anno del piano, il settore pubblico , nel suo complesso, ha registrato un deficit nella sua parte corrente di 323 miliardi di lire ; nel 1967 si è avuto un tenuissimo avanzo di 15 miliardi; nel 1968 un disavanzo della parte corrente di 750 miliardi di lire . volendo tentare una estrapolazione in base ad alcuni dati attuali fino alla conclusione del primo ciclo quinquennale del piano, rileveremo che il disavanzo di parte corrente di tutto il settore pubblico oltrepasserà i mille miliardi. comunque, siamo in questa situazione, che il settore pubblico , esso stesso, nel suo complesso, non solo non fa risparmio per investimenti o per spese in conto capitale , ma è stato e sarà costretto ad attingere al mercato monetario e finanziario per coprire addirittura le sue spese correnti . una condizione di questo genere non caratterizza l' azione dello Stato: questo lo debbo sottolineare. lo Stato cioè è riuscito, in questi anni del piano, a fare risparmio pubblico e quindi a sostenere con le sue fonti dirette una politica di investimenti. nel 1966 risulta che lo Stato ha fatto un risparmio di 432 miliardi, nel 1967 di 875, nel 1968 di 600. ma se lo Stato riesce a fare risparmio pubblico, e quindi attraverso le sue fonti, senza ricorrere sempre al mercato monetario e finanziario, riesce a fare investimenti, evidentemente il deficit degli altri organi del settore pubblico delle aziende autonome, degli enti previdenziali, degli enti territoriali, si fa molto maggiore, se il risultato complessivo, come abbiamo visto, è appunto che il settore pubblico non riesce a far fronte alle sue spese correnti senza ricorrere al mercato monetario e finanziario. in altri termini, se la condizione dello Stato in sé considerata appare più equilibrata, la situazione degli altri organi del settore pubblico appare estremamente preoccupante, se non addirittura paurosa. ci troviamo infatti di fronte ad organi del settore pubblico che non riescono più ad avere una funzione di propulsione, di spinta, di guida, e finiscono con l' avere necessità del mercato finanziario per alimentare se stessi , oserei dire per tenersi in piedi. e se questi sono i dati per quel che riguarda gli anni decorsi 1966-1967, con valutazioni consuntive, e l' anno 1968 con valutazioni preventive, noi possiamo tentare di spingere lo sguardo oltre questi anni e vedere, in via di previsione, che cosa potrà avvenire nel ciclo dei cinque anni in cui si esaurisce la prima fase della politica di programmazione. in base ad elementi di cui siamo già in possesso, ho detto che il disavanzo di parte corrente di tutto il settore pubblico supererà i 1.000 miliardi. ma nelle previsioni del piano le cose sarebbero dovute andare diversamente: secondo tali previsioni, tutto il settore pubblico doveva costituire un risparmio, evidentemente diretto ad una politica di investimenti, di una cifra aggirantesi sui 5.300 miliardi. se collochiamo, quindi, queste valutazioni e queste previsioni nel quadro del piano, constatiamo che le previsioni del piano sono venute meno, onorevoli colleghi , per circa 6.300 miliardi. noi cioè ci troviamo in deficit, o ci troveremo in deficit di disponibilità, per quanto riguarda l' equilibrio della parte corrente del settore pubblico , alla fine del piano quinquennale, di 6.300 miliardi. questo per quanto riguarda le prospettive per la spesa di parte corrente. possiamo ora tentare una valutazione, in base a quello che è avvenuto finora, delle spese in conto, capitale. nel 1966 le spese in conto capitale , di tutto il settore pubblico (Stato, aziende autonome, enti previdenziali, enti territoriali) ammontavano a circa 3200 miliardi; nel 1967 tali spese sono ammontate ad oltre 4000 miliardi; nel 1968, in via preventiva, si possono calcolare su una cifra di poco inferiore ai 4000 miliardi. se tentiamo una integrazione, per il 1969-1970, tenendo conto della legislazione vigente e non tenendo conto degli ulteriori stanziamenti per i terremotati in Sicilia né delle parti aggiuntive per quanto riguarda le pensioni di guerra e le pensioni di invalidità, noi arriviamo, per la spesa in conto capitale , ad una cifra di oltre 19 mila miliardi. quando noi prospettiamo questa cifra, onorevoli colleghi , teniamo conto di tutte le leggi di stanziamento e delle spese approvate dal Parlamento, ad esclusione di quelle che stanno maturando negli ultimi tempi. quindi noi abbiamo assunto impegni, già maturati per gli anni per i quali abbiamo il consuntivo e che matureranno, prevedibilmente, fra il 1968 e il 1970, di oltre 19 mila miliardi. nelle previsioni del piano, la spesa in conto capitale di tutto il settore pubblico , per i cinque anni, era calcolata intorno a 14.300 miliardi. noi, quindi, attraverso la nostra legislazione e gli impegni che siamo andati assumendo o prevedibilmente assumeremo, siamo passati, per quanto riguarda le spese in conto capitale , oltre le previsioni del piano, intorno a 5 mila miliardi, esattamente 4.900 miliardi. abbiamo, quindi, ripeto, un deficit rispetto alle previsioni del piano, per quel che riguarda le spese correnti , di oltre 6.300 miliardi, e abbiamo un eccesso di spesa in conto capitale , rispetto alle previsioni del « piano » , di circa 4.900 miliardi. non ci resta adesso che applicare questi dati sul terreno del mercato monetario e finanziario. il piano, in base all' andamento delle spese correnti e delle spese in conto capitale , stabiliva che il settore pubblico aveva necessità, nel quinquennio, di ricorrere al mercato monetario e finanziario per circa 9.000 miliardi. in base a quello che è successo e a quello che prevedibilmente succederà, siamo arrivati alla cifra di oltre 20 mila 200 miliardi. in altri termini, noi abbiamo impegnato il mercato monetario e finanziario, durante il quinquennio, per una cifra superiore di 11 mila miliardi alla cifra prevista dal piano, cioè abbiamo spiccato tratte per il settore pubblico in misura più che doppia di quella che era prevista dal piano. come reagirà il mercato finanziario e monetario a questa situazione? nel piano, secondo il testo approvato dal Parlamento, si dice che il mercato monetario e finanziario dovrà fornire, nel quinquennio, circa 9 mila miliardi al settore pubblico e quasi 13 mila miliardi al settore privato dell' economia, per un totale di circa 21.800 miliardi. di questi, in base a quello che sinora è avvenuto, il settore pubblico preventiva di assorbirne 20 mila e oltre. non so, onorevole ministro, se queste cifre trovino conferma nei dati posseduti dalle autorità di Governo; ma certo mi impressiona il fatto che, in base ad una specie di estrapolazione di cifre, si arrivi alla conclusione che, su di un totale di circa 22 mila miliardi di disponibilità del mercato finanziario e monetario, il settore pubblico ne assorbirà oltre 20 mila. in verità, se tutto dovesse procedere secondo questi dati, ci troveremmo in una situazione paradossale, di contrasto profondo tra il settore pubblico non direttamente produttivo, quello direttamente produttivo e il settore privato direttamente produttivo. chi dovrebbe avere priorità nell' acquisire le disponibilità del mercato monetario e finanziario, e quale lotta si accenderebbe mai nello accaparramento di queste disponibilità, e quale grado di priorità si dovrebbe assegnare alle più massicce richieste sul mercato monetario e finanziario? certamente l' onorevole ministro del Tesoro si troverebbe in un grave imbarazzo, perché egli, prima di dar luogo alla realizzazione di questi volumi di richiesta sul mercato finanziario , avrebbe la responsabilità di garantire la stabilità del sistema e soprattutto la stabilità monetaria, lo equilibrio della nostra condizione economica e finanziaria in generale. quindi, se dovessero cumularsi questi deficit di parte corrente, con gli stanziamenti per il settore pubblico che questa legislazione accumula e con le richieste del settore direttamente produttivo, sia pubblico sia privato, il ministro del Tesoro si troverebbe di fronte a problemi di ampia portata. la salvezza, in questa situazione, sta nel fatto che i tempi tecnici , con i quali dovremmo realizzare questi piani mirabolanti di investimenti in conto capitale del settore pubblico , sono così lunghi e così difficoltosi, che molti di questi stanziamenti continueranno a restare sulla carta. d' altra parte, se non restassero sulla carta, onorevoli colleghi , e se i tempi tecnici si accelerassero, e si accumulassero le scadenze degli impegni relativi al settore pubblico , il ministro del Tesoro sarebbe costretto a grosse manovre di tesoreria (che egli probabilmente mi dirà non aver fatto finora, non avendone avuta necessità). ma, onorevoli colleghi , possiamo andare avanti in una situazione in cui le previsioni del piano sono così totalmente smentite dalla realtà della nostra azione politica e legislativa? e possiamo dimenticare che mentre le spese correnti marciano e non comportano ritardi, le spese in conto capitale non producono gravi squilibri perché non marciano? possiamo cioè dimenticare che, in sostanza, attraverso la marcia lenta delle spese in conto capitale non realizziamo i fini della programmazione, ma, attraverso la marcia accelerata delle spese di parte corrente, diamo un ulteriore contributo alla mancata realizzazione dei fini della programmazione? mi pare infatti che tutti quanti, anche se ripeterlo disturba alcuni colleghi e amici dell' opposizione, partecipiamo a questa specie di gara per cui, in materia di spese correnti , ci troviamo sempre d' accordo, maggioranza ed opposizione, e in materia di spese in conto capitale , ci troviamo d' accordo nel fare leggi e stanziamenti abbondanti per risolvere un' infinità di problemi per poi magari lasciarli morire attraverso l' ostacolo dei tempi tecnici . mi fa piacere apprendere questo. però il discorso bisogna estenderlo non solo alle pensioni dei telefonici. gli squilibri sono lì ma sono anche in altri settori, e ciò ci dovrebbe indurre a una revisione generale. la verità, onorevoli colleghi , è che l' andamento del settore pubblico (perché siamo tutti per il settore pubblico ) ci trova responsabili un po' tutti. ma io non penso che noi possiamo fare del settore pubblico un mito: abbiamo l' obbligo di guardarvi dentro con attenzione. se il settore pubblico funziona così male, se vi sono le contraddizioni che credo di aver dimostrato con poche cifre, come possiamo noi dire, senza ricondurre questo settore ad un risanamento sostanziale, che chiunque deve obbedire alla legge della programmazione? in altri termini, questo settore pubblico deve essere un settore guida oppure no? per la sinistra deve essere un settore guida della programmazione o no? deve essere un settore parassitario? questo problema, onorevoli colleghi , dobbiamo risolverlo. devo ricordare che il problema del funzionamento del settore pubblico esiste anche nelle società socialiste, all' interno delle quali si comincia a guardare con attenzione al funzionamento di certe strutture burocratiche, rispetto al funzionamento delle strutture direttamente produttive. se questo problema esiste all' interno delle società socialiste, che hanno pubblicizzato tutti gli aspetti della vita economica, come possiamo noi dimenticare questo stesso problema? è possibile che noi si aiuti la conversione del settore pubblico , non verso un settore di spinta, attraverso il quale lo Stato possa realizzare la sua politica di programmazione, ma come un settore che vada degenerando fino ad assumere un ruolo parassitario nella vita nazionale? credo che questo problema vada posto; e credo che non ce lo siamo posto con il rigore necessario nel corso di questa legislatura (e dico questo con assoluta tranquillità). noi non possiamo certo iniziare una nuova legislatura trascurando la gravità della situazione in cui ci troviamo. e si badi, onorevoli colleghi , che non si tratta neanche più di un problema relativo all' attuazione, o meno, della programmazione economica, ma si tratta di vedere se un settore pubblico , così mal funzionante, non finisca veramente con l' incidere anche sui fatti congiunturali. noi abbiamo superato una crisi di recessione. se per avventura (e preoccupazioni in merito sono state avanzate dall' onorevole Giolitti), a causa della situazione internazionale, si dovesse creare per noi una situazione di difficoltà, la condizione del settore pubblico potrebbe rappresentare veramente una grossa palla di piombo, con grossissime difficoltà per noi, che dovremmo assicurare al sistema economico una sua competitività sul mercato internazionale. d' altra parte, quando le cifre sono quelle che grosso modo ho cercato di fornire, dobbiamo domandarci che contributo dia il settore pubblico alla lotta contro la disoccupazione. noi parliamo molto di disoccupazione e dei sistemi per eliminarla, ma dobbiamo chiederci se la maniera con cui procede il settore pubblico è la migliore, affinché esso dia il contributo che deve dare alla politica di lotta contro la disoccupazione. io so che l' aumento delle spese correnti attiva la domanda e quindi l' offerta, determinando incentivi alla ripresa o allo sviluppo economico . ma quando l' incentivazione della domanda e dell' offerta avviene attraverso la dilatazione delle spese correnti , senza una politica di investimenti, è chiaro che i riflessi sull' occupazione e quindi sulla possibilità di lotta contro la disoccupazione, si fanno estremamente labili e dubbiosi. passo alla seconda parte del mio discorso. vi è certamente una connessione tra quello che il settore pubblico può dare in materia di assorbimento della disoccupazione e quello che può dare il settore privato. quando il settore pubblico tende a gonfiarsi per un aumento delle spese correnti , come è accaduto in questi anni, non è che diminuisca soltanto la quota del risparmio che va all' industria privata: si potrebbe dire che ciò non ha importanza per noi, ma dimentichiamo che le imprese private trovano il loro equilibrio tra la pressione del settore pubblico e la pressione del settore salariale. la recessione ha dimostrato infatti che una forte pressione del settore pubblico e una forte pressione salariale porta alla trasformazione tecnologica, accelera il processo di trasformazione tecnologica dell' industria. l' azienda, quindi, finisce col trovare, entro certi limiti, il suo equilibrio. ma chi paga lo scotto della distorsione del processo? lo paga la classe lavoratrice del settore direttamente produttivo. noi finiamo con lo scaricare su una parte della classe lavoratrice le distorsioni che caratterizzano l' attività del settore pubblico . quella classe lavoratrice si trova premuta tra la necessità del profitto e dell' autofinanziamento dell' impresa e l' eccessivo peso delle strutture pubbliche. direi che oggi l' operaio non deve lottare soltanto contro il capitalista; deve lottare anche contro il processo di burocratizzazione e di costituzione di privilegi nel settore pubblico e contro la cattiva e disordinata amministrazione del settore pubblico . penso che sia un interesse comune delle forze più avanzate stabilire una capacità di sviluppo armonico nei vari settori della vita nazionale e soprattutto nei settori direttamente produttivi. guai se nei settori direttamente produttivi, pubblici o privati che siano, dove è impegnata la maggior parte della classe lavoratrice , noi creiamo un presupposto per cui le condizioni privilegiate finiscono col ridurre le possibilità di reddito da lavoro. qui le graduazioni — ne ho parlato mille volte — si fanno presto. in che modo possiamo trovare l' equilibrio tra le necessità di lotta contro la disoccupazione, la sottoccupazione, la redenzione delle aree depresse del Mezzogiorno per lo sviluppo dei servizi sociali , rispetto alla formazione e distribuzione del reddito nei settori direttamente produttivi e nel settore pubblico ? voi sapete che da alcuni anni non solo abbiamo avanzato l' esigenza che la politica di programmazione fosse accompagnata da una politica di controllo della formazione e della distribuzione dei redditi a tutti i livelli, ma abbiamo anche chiesto insistentemente che le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati operai si facessero protagonisti del processo di sviluppo economico. lo abbiamo chiesto insistentemente rilevando che non si può costruire una politica economica programmata senza che accanto allo Stato, i grandi protagonisti del processo di sviluppo stessero a controllare la formazione e la distribuzione del reddito. abbiamo certamente fatto dei progressi in questo campo. noi repubblicani abbiamo salutato con sodisfazione la convocazione di una conferenza triangolare sull' occupazione, le discussioni che sono intervenute nel corso di questa conferenza e il rapporto conclusivo. è stato un passo avanti nella direzione da noi ripetutamente indicata, che non si possono cioè risolvere i grandi problemi della vita nazionale facendo cadere dall' alto le soluzioni. abbiamo salutato con ancora maggiore sodisfazione la conferenza per la contrattazione programmata per aiutare lo sviluppo delle zone del Mezzogiorno. onorevole ministro, ella ricorderà che, avendo plaudito alla sua idea, abbiamo suggerito che i sindacati operai fossero presenti a questa contrattazione programmata; che dessero i loro pareri e le loro indicazioni al riguardo. noi riteniamo che, accanto alla ripresa economica , alla stabilità monetaria assicurata e alla formazione di valide riserve valutarie questi passi in avanti siano il fatto positivo di questa legislatura. ma dobbiamo con franchezza dire che queste conferenze si collocano ancora a valle del vero problema. noi abbiamo seguito attentamente i risultati della conferenza triangolare sull' occupazione e abbiamo potuto constatare che tutti hanno sentito il bisogno di chiedere maggiori investimenti per risolvere il problema della disoccupazione, e una dislocazione territoriale e settoriale degli investimenti tale da garantire l' assorbimento della disoccupazione. ci sono state indicazioni responsabili da parte di tutti — da parte dello Stato, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditorie al fondo c' è stata sempre questa richiesta di più massicci investimenti. ma i massicci investimenti, che non cadono dal cielo, collocati nel quadro dello sviluppo della richiesta in conto capitale nel nostro paese, rispetto alla richiesta di parte corrente, appaiono lontani da concrete possibilità. anche il problema della contrattazione programmata nel Mezzogiorno altro non è che il problema di più massicci investimenti nel Mezzogiorno, che risolvano insieme i problemi delle aree depresse e della disoccupazione. ma l' investimento si colloca a monte di queste conferenze. se non creiamo una politica che ci dia la possibilità di maggiori investimenti, potremo fare altre cento conferenze triangolari, ma non riusciremo ad affrontare concretamente il problema. quest' ultimo si colloca al punto della formazione e della distribuzione del reddito; al punto in cui bisogna decidere fra consumi attuali, investimenti e consumi futuri. è qui che si colloca il problema di incentivare e sviluppare, secondo le linee della programmazione, il sistema economico . se andiamo a valle, possiamo avere delle ottime ed equilibrate conclusioni, ma ciò rimarrà sulla carta. in altri termini, onorevoli colleghi , come ho avuto modo di ripetere, a nome del gruppo repubblicano, fin quasi alla noia, dobbiamo, decidere, se vogliamo una società di consumi immediati (società labile e fragile come la nostra) o vogliamo una società di consumi differiti; cioè, se vogliamo stabilire un rapporto investimenti-consumi, che ci apra una ampia prospettiva di sviluppo dei consumi per le classi lavoratrici , ma su un terreno di reale consistenza del nostro meccanismo di sviluppo. in un certo senso, qualche volta noi abbiamo l' impressione di vivere tutti alla giornata, in balia di un colpo di vento che ci può colpire e può veramente sovvertire tutti i nostri calcoli e le nostre posizioni. quando ci poniamo i problemi della scuola, ad esempio, con la gravità da essi oggi rivestita, oppure i problemi relativi agli squilibri della previdenza, dobbiamo sapere che non li risolviamo ponendoceli, ma tenendoli presenti a monte della loro considerazione. quando a monte noi esaminiamo altri problemi, allora decidiamo della scuola o della previdenza. noi crediamo di risolvere i problemi ponendoceli uno alla volta, ma essi — questo è il senso di una economia programmata — vanno sempre visti al momento della formazione e della distribuzione, a tutti i livelli, del reddito. se la politica di programmazione non è questo, secondo me non è niente e può dar luogo veramente ad amare sorprese nell' avvenire. noi ci possiamo trovare nella condizione di esserci impegnati, e di avere impegnato l' attenzione del paese, in una politica di programmazione economica e di trovarci poi di fronte a una scatola vuota che non abbiamo saputo riempire. onorevoli colleghi , il rapporto fra settori pubblici e settori direttamente produttivi; quello fra lavoratori del settore pubblico e lavoratori dei settori direttamente produttivi; quello tra occupazione e disoccupazione, fra aree soprasviluppate e aree sottosviluppate; quello fra sviluppo di consumi individuali e sviluppo di consumi sociali, tra consumi attuali e consumi futuri, costituiscono l' essenza della programmazione. li abbiamo mai affrontati questi problemi nella loro coerenza logica? abbiamo mai visto e ordinato le nostre decisioni settoriali nel quadro di una valutazione globale di questi problemi? a me pare francamente di no, tanto è vero che le nostre previsioni nella realtà dei fatti sono smentite. questa è una legislatura in cui abbiamo discusso di questi problemi, abbiamo fatto passi in avanti, ma non siamo arrivati alle ineluttabili conclusioni di politica economica , cui dobbiamo pervenire se vogliamo mantenere fede all' impegno di raggiungere un' economia programmata. siamo nello scorcio di una legislatura e quindi questo mio discorso vuole concludere una serie di appelli e di richiami che in verità non hanno avuto molto successo o hanno avuto assai parziale successo. glielo spiego subito. le dirò una cosa che forse non le riuscirà nuova, ma che ho il dovere di ripetere. le impostazioni di politica economica , quando la sinistra controlla così fortemente certi protagonisti del processo di sviluppo economico, non sono solo un fatto di maggioranza. non ho detto questo. in una tavola rotonda , alla quale era presente anche l' onorevole Giorgio Amendola, ho detto che sulla direzione della nostra politica economica il partito comunista , con le sue decisioni, esercita una influenza. chi può negare questo? ebbene, sul problema della politica di programmazione e sui fattori che possono veramente portarci alla realizzazione di una politica di programmazione economica, voi avete delle corresponsabilità. è inutile che lo neghiate. l' affermazione che tutto si risolva in sede di Governo, come se non agissero grandi masse al di fuori del Governo, è di sapore un po' ottocentesco. io ho posto un problema a voi, come l' ho posto alla maggioranza. è su questo problema che dovete decidere. il ministro Colombo lo conosce già. onorevole Ingrao, io sto male nella maggioranza, per quanto riguarda la comprensione concreta dei problemi da me posti, ma non starei meglio tra di voi, anzi starei anche peggio, perché voi riuscite a porre i problemi in maniera così contraddittoria che rimango veramente di sasso ogni volta che ne constato la impostazione. non possiamo porre questo problema sul piano del rapporto tra maggioranza e opposizione. il problema è piuttosto di vedere se noi riusciamo a maturare uno schema di azione di politica economica che sodisfi i bisogni del paese. questo riguarda sia la maggioranza sia l' opposizione. tale è stato il senso della mia polemica in questi anni, il senso dell' indicazione — a cui non è stata data risposta — di una politica economica programmata, coerente in tutte le sue parti. non c' è differenza su questi problemi. comunque, questo schema da me indicato, se non è stato adottato dalla maggioranza, non è stato accettato neppure da voi. questa è la ragione del nostro stato di disagio. chiedo ai ministri del bilancio e del Tesoro di parlare chiaramente sui problemi da me posti.