Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 791 - seduta del 11-01-1968
1968 - Governo VI Fanfani - Legislatura n. 9 - Seduta n. 632
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole ministro, ebbi l' onore di prendere la parola sul problema della scuola nel nostro paese, non essendo uno specialista della materia, ben dieci anni fa, in occasione della discussione relativa al bilancio della pubblica istruzione . presi la parola, onorevoli colleghi , per cercare di stabilire una connessione fra il problema della scuola, e della sua crisi come si presentava nel nostro paese, e i problemi che lo sviluppo economico , la trasformazione della nostra società e l' accelerazione della ricerca scientifica e tecnologica andavano ponendo. mi è parso interessante allora, ancor prima che entrassimo nel pieno della politica di programmazione, non limitarmi a considerare il problema della scuola da un punto di vista interno, ma estendere l' esame all' aspetto ben più ampio dei rapporti fra l' ordinamento scolastico e lo sviluppo della vita sociale nel nostro paese. fu in quell' anno 1957 che partì da noi la richiesta di una relazione informativa da parte del ministro della pubblica istruzione , che avrebbe potuto costituire la base delle nostre discussioni. sono note le vicende attraverso le quali è passato il problema della scuola da quella lontana data. fu costituita con la legge del 1962 una Commissione d' indagine e solo tra il 1963 e il 1964 noi potemmo avere la relazione informativa da parte del ministro della pubblica istruzione e le linee direttive per una politica scolastica pluriennale nel nostro paese. si tratta adesso, a distanza di tempo, e riferendoci appunto ad una delle più importanti riforme che riguardano l' organizzazione scolastica, la riforma universitaria , di vedere se abbiamo risolto i problemi dell' adeguamento di questo fondamentale organo della vita scolastica ai bisogni della società in trasformazione, della società a sviluppo scientifico e tecnologico accelerato, come è stato preventivato in tutta la fase di studio. desidero porre in rilievo una notazione che in proposito è contenuta nella relazione per la maggioranza, sebbene abbia l' impressione che il collega Ermini non abbia voluto dare, nel prosieguo della relazione, il rilievo che il preambolo stesso farebbe presupporre. mi è parso di rilevare, da tale notazione, che nella sua pregevole relazione il collega Ermini provi qualche diffidenza nell' accettare tutte le conseguenze che derivano dal carattere che vanno prendendo le società moderne con l' accentuazione del loro aspetto tecnologico e della ricerca scientifica e con quello che egli considera il rilievo dei problemi materiali che in tali società questa accentuazione va determinando. in questa osservazione iniziale non vorrei veder riflessa una posizione di diffidenza critica verso quella che viene considerata l' attuale società (o civiltà) del benessere o dei consumi e verso il presupposto di sviluppo scientifico e tecnologico, che questo tipo di società comporta. io credo, collega Ermini, che noi dobbiamo cessare di pensare che un tipo di sviluppo di questo genere uccida o sacrifichi i cosiddetti valori dello spirito e ci avvii ad una società a fini prettamente materiali, perché se noi guardassimo gli sviluppi tecnologici e scientifici propri di una società moderna con questo intento critico, evidentemente toglieremmo gran parte del suo valore alla riforma che ci accingiamo a fare. e d' altra parte non mi pare che i valori dello spirito siano difesi quando la cultura sia intesa soltanto in senso tradizionale e quando si creda che la cultura tradizionale ci esima dall' obbligo di considerare che il miglioramento delle condizioni umane e quindi lo strappare l' umanità, soprattutto le grandi masse, dalle condizioni di indigenza o di miseria, che sono state un grave retaggio storico in ogni tipo di civiltà, significhi abbassare i valori dello spirito o sopprimere il valore del tradizionale umanesimo. credo che il nostro tipo di cultura, ricco e moderno, sia salvaguardato quando ai problemi della diffusione del benessere materiale e della ricerca scientifica e tecnologica in campi specifici sia dato, nella nostra organizzazione universitaria, grande rilievo. e quando gli amici liberali si domandano a quale tipo di cultura, a quale modello culturale vuole obbedire questa riforma e si richiamano alla « riforma Gentile » per indicare una riforma che obbediva ad una esigenza culturale ben precisa, all' esigenza idealistica, debbo rispondere che questa nostra riforma universitaria se ha un senso, è quello di acquisire esperienze culturali che sono state estranee per molto tempo alla nostra tradizione. debbo ripetere in questa sede quel che ho già avuto occasione di dire in altre circostanze, che cioè la nostra tradizione culturale dei passati decenni è stata ricca nel momento idealistico come è stata ricca di conoscenza del pensiero marxista, ma è stata, purtroppo, povera di conoscenza di un tipo di cultura pragmatista di carattere sociologico-economico, un tipo di cultura che è stato caratteristico del mondo anglosassone. e che la nostra riforma sottintenda in certo senso la presenza di questo altro tipo di cultura rispetto alla cultura tradizionale, a me pare un elemento di rafforzamento del valore della riforma cui ci accingiamo e non un elemento di sua debolezza. perché, onorevoli colleghi , una cultura che rispecchi soltanto motivi tradizionali e storici, si riferisca soltanto a questi motivi e si metta in posizione di diffidenza verso l' accentuazione di certi tipi di ricerca del mondo moderno, avrà una conseguenza ben grave, che del resto noi vediamo rispecchiata negli stessi ceti dirigenti del nostro paese, quella di darci ceti dirigenti che non comprendono appieno la problematica di una società moderna, che possono costituirsi in posizione di diffidenza verso le articolazioni e di problemi di questa società moderna e soprattutto ceti dirigenti che possono non essere in grado di risolvere le contraddizioni proprie al nostro tipo di società. debbo dire che, dal punto di vista della acquisizione dei dati propri di una civiltà moderna, dell' analisi socioculturale che questa comporta, la relazione di minoranza del gruppo comunista merita la nostra attenzione. quando tale relazione, con dovizia di dati e con approfondimento di molti aspetti del problema, con riferimento ai problemi della massa studentesca, con riferimento ai problemi di una società in rapida trasformazione, si pone la questione del quadro in cui opererà la nuova università, secondo me tale relazione, che qualche volta è stata accusata di seguire da vicino l' esperienza anglosassone, rappresenta un utile contributo alla nostra discussione. soltanto che quando la stessa relazione della minoranza comunista trova insufficiente, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo, la soluzione che abbiamo dato al problema universitario rispetto ai bisogni della società e quando io stesso mi rendo conto come la maggioranza non abbia potuto risolvere il problema del completo adeguamento delle strutture universitarie ai bisogni della società non per ragioni ideologiche ma per ragioni di possibilità concrete, penso che si tratti di vedere che cosa abbiamo fatto e come abbiamo inquadrato questo problema per dare alla scuola, e per dare soprattutto alla vita universitaria, il rilievo che essa deve avere nella società moderna. ripeto qui un' osservazione che i repubblicani hanno già fatto in altre occasioni. le civiltà moderne, le civiltà del benessere, le civiltà dei consumi, contro le quali spesso si appunta la critica, non conoscono soltanto la espansione attuale dei consumi: accanto a questa espansione attuale dei consumi, qualche volta con sacrificio di essa, esse conoscono la necessità di forti investimenti per lo sviluppo futuro dei consumi e per lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica che quello sviluppo futuro comporta. cioè le società moderne non inseguono soltanto il consumo attuale, ma sanno porsi il problema delle strutture portanti sulle quali si fonderà l' espansione futura dei consumi; e fra queste strutture portanti le società moderne hanno posto in primo piano il problema della scuola. un atteggiamento di questo genere rispetto al problema della scuola noi constatiamo in regimi politici e sociali i più diversi, anzi contrapposti: la capacità di investimenti per l' espansione della ricerca tecnica e scientifica, della cultura ai fini della civiltà del benessere del futuro, è un esempio che ci danno parallelamente gli USA e la Russia sovietica ; ed è uno degli aspetti singolari di quelle esperienze anche se gli USA sono civiltà del benessere attuale oltre che del benessere futuro, mentre la Russia sovietica è forse più civiltà del benessere futuro che del benessere attuale. ora noi ci dobbiamo domandare, onorevoli colleghi di tutti i gruppi, se il nostro comportamento rispetto al problema del consumo attuale o del consumo futuro, del benessere attuale o del benessere futuro, sia coerente con l' impostazione che oggi in questa sede noi diamo al problema della scuola: e, sotto questo aspetto, la relazione della collega Rossana Rossanda Banfi non può essere esattamente apprezzata, se separata dal contesto di una valutazione globale. quando noi repubblicani, rispetto alle strutture portanti di una civiltà del domani, richiamiamo sempre tutti i gruppi, compresi i gruppi di estrema sinistra , a non condurre la loro azione politica nel senso di espansione dei consumi attuali, ci richiamiamo non ad una valutazione contingente, ma ad una politica che getti le basi per l' espansione di una civiltà del benessere nel futuro. questo è il problema di fondo che sempre sfugge alla nostra considerazione ogni volta che noi ci occupiamo di un settore e, separandolo dal contesto, ci accorgiamo che quel settore ha fondamentale importanza, ma poi siamo incapaci di collocarlo nella globalità della valutazione della nostra situazione e delle condizioni in cui si trova la società italiana . non si può quindi muovere accuse alla maggioranza e al Governo di avere predisposto, anche dal punto di vista quantitativo, una organizzazione universitaria inadeguata ai bisogni che questa società esprime, se in momenti precedenti o successivi noi non siamo in grado di arrestare l' espansione di consumi attuali per costruire i fondamenti di una società più avanzata sul terreno del benessere e quindi, implicitamente, più avanzata sul terreno dello sviluppo scientifico e tecnologico. di questa inadeguatezza delle soluzioni, anche quantitative, ai bisogni della società siamo corresponsabili tutti. mancata consapevolezza del grado di priorità in cui si pone il problema della scuola rispetto ad ogni altro bisogno, la mancata consapevolezza della continuità che deve esistere fra le varie generazioni che vivono la vita di una società, è una delle nostre responsabilità; né su questo punto — ripeto — può essere separata la responsabilità della maggioranza da quella dell' opposizione di sinistra. è questo un punto sul quale noi repubblicani insistiamo in ogni circostanza (e questo dell' università è uno dei problemi più indicativi in tale prospettiva), ammonendo che, se noi intendiamo comprendere il problema delle giovani generazioni e del loro inserimento nello sviluppo della vita della società, dobbiamo evidentemente essere capaci già da oggi dei sacrifici necessari per costruire la società del futuro. il ministro della pubblica istruzione sa che da molti anni questa è la nostra impostazione. noi riconosciamo priorità assoluta al problema di un' organizzazione scolastica adeguata ai bisogni della società. sappiamo che questa organizzazione della vita scolastica, e universitaria in particolare, nel nostro paese diventa l' elemento determinante del più accelerato sviluppo della nostra società in futuro. ma non basta che noi facciamo simili affermazioni, quando discutiamo dei problemi della scuola o della riforma universitaria : occorre che questo problema, con alcuni altri egualmente fondamentali della nostra vita collettiva, ci sia presente quando noi prendiamo altre determinazioni. la scuola, cioè, ci deve essere presente quando siamo chiamati a scegliere soluzioni in altri campi; non basta che stia di fronte a noi in tutta la sua importanza, al fine dello sviluppo della nostra società, nel momento in cui ci occupiamo specificamente di essa. detto questo, che appartiene più specificamente alla mia competenza; detto questo per ribadire ancora una volta che bisogna creare un legame stretto, un parallelismo tra lo sviluppo della nostra università, la sua attrezzatura, i suoi mezzi, le sue scelte qualitative e i bisogni di una società in via di trasformazione, il resto del problema può essere visto dall' interno; le strutture universitarie riguardano gli specialisti. mi limiterò a dire che se l' ordinamento qualitativo degli studi universitari è anch' esso, oltre l' elemento quantitativo, un fattore di soluzione dei problemi del rapporto fra università e società (anche se l' insufficienza quantitativa può alterare le nostre soluzioni qualitative), mi pare che questa legge — guardata nel suo complesso, collocata nelle difficoltà cui ci troviamo dinanzi nell' affrontare i problemi di queste strutture fondamentali della vita sociale del nostro paese, quali sono non soltanto quelli dell' università, ma anche, per esempio, quelli della giustizia — possa essere considerata una felice innovazione, un avvio a un rinnovamento delle strutture, una sperimentazione che non è certamente un punto di arrivo , ma una nuova esperienza su cui ci avviamo e che darà i suoi positivi risultati. sulla base dell' esperienza, andremo certa mente avanti, onorevole ministro, nelle soluzioni da adottare. dal suo interno l' università pone il problema di eliminare le degenerazioni che talune vecchie tradizioni e certe pur nobili impostazioni avevano creato. la antica università del maestro che insegna e intorno a cui stanno i discepoli è andata de generando, attraverso quello che il collega Codignola chiamava « mandarinismo » (ossia creazione di centri di potere ) fino a determinare un crescente distacco tra il docente e la massa degli studenti che affluiscono all' università. questa degenerazione — che, oltre che da elementi soggettivi, è derivata dal contrasto tra le vecchie strutture e la trasformazione rapida della società — è possibile che sia riassorbita e ci porti ad un nuovo tipo di ordinamento universitario attraverso gli istituti che la legge prevede. in sostanza, onorevoli colleghi , il problema è quello di passare dalla degenerazione « mandarinistica » e dalle cosiddette « baronie » , alla comunità universitaria, allo sviluppo dello spirito associativo nell' università che è coerente al metodo scientifico moderno, come è stato detto prima, per cui la ricerca e la scienza progrediscono attraverso il lavoro collegiale e non attraverso un ordinamento gerarchizzato. se il problema è di superare l' ordinamento gerarchizzato per arrivare ad esprimere nell' università un lavoro collegiale, associato, una comunità, a me pare che nella legge, per quanto se ne possano vedere i difetti, gli istituti fondamentali, per assicurare tale passaggio, siano ben presenti. dalla differenziazione dei titoli visti in un contesto unitario (diploma, laurea, dottorato di ricerca ; e per assicurare il contesto unitario siamo ormai d' accordo che gli istituti cosiddetti « aggregati » non debbano essere considerati); dal fatto che introduciamo il dipartimento, sia pure facoltativamente, ma come esperienza necessaria di una nuova maniera di organizzare il lavoro universitario (ed io sono d' accordo che il dipartimento possa costituire l' istituto nuovo rispetto alla facoltà); dal fatto che diversa mente è organizzato tutto il sistema di norme per addivenire ai concorsi universitari; dal fatto che negli organi di governo dell' università sono presenti tutti coloro che lavorano nell' università, non esclusi, naturalmente, gli studenti; da tutto questo complesso di nuovi istituti e di nuove norme, che possono ad un esame superficiale apparire frammentari, risulta l' indicazione della via da seguire per ché dall' università tradizionale, dall' università che ha subìto una degenerazione dalla base tradizionale, si passi ad un nuovo tipo di università. abbiamo quindi la possibilità di un' esperienza concreta, anche se controllata e prudente, di una trasformazione all' interno dell' università per adeguarla alle esigenze di una società moderna. e mi piace notare qui la presenza dell' amico Valitutti, per dirgli che io stesso considero il problema dell' autonomia universitaria degno della massima attenzione. ma, se è vero come è vero , che l' autonomia universitaria, come è stata tradizionalmente intesa, ha dato luogo a degenerazione del sistema; se è vero come è vero (e la relazione liberale non lo nega) che queste degenerazioni devono essere corrette, ebbene, è solo il passaggio dell' università, quale è stata tradizionalmente intesa, alla organizzazione comunitaria e collegiale, è solo questo passaggio che può, in un secondo tempo, consentire di approfondire il problema dell' autonomia universitaria. si può evitare di garantire un' autonomia capace di degenerazione, per arrivare ad un' autonomia che sia garantita dallo spirito democratico, dallo spirito comunitario, dallo spirito di ricerca associata che si deve creare nelle nostre università. io, collega Valitutti, non vedo altra maniera con cui questo problema possa essere, in base all' esperienza vissuta e in termini concreti, affrontato. e, d' altra parte, devo notare la contraddizione — in certo senso e da questo punto di vista — delle due relazioni, del partito liberale e del gruppo comunista, perché, mentre il gruppo liberale afferma la necessità di una maggiore autonomia ma respinge uno degli elementi che possono garantire lo sviluppo collegiale e comunitario della vita universitaria che è il dipartimento (contraddizione in termini, collega Valitutti, che ci porta ad un vecchio schema di organizzazione autonomistica e quindi capace di degenerazione), al contrario il gruppo comunista vede nell' organizzazione dipartimentale e nel lavoro collegiale la maniera di sganciare l' università dalle vecchie incrostazioni, senza per altro rendersi conto che questa esperienza si deve condurre in concreto e che un' accentuazione autonomistica, un' accentuazione del momento autonomistico, prima che si sia fatta l' esperienza concreta dei dipartimenti e prima che essi siano stati creati e resi operativi, sarebbe pericolosa. ci pare, quindi, che nel complesso noi abbiamo gli istituti per la trasformazione della vita universitaria e per l' adeguamento di questi istituti nel loro complesso — e quindi dell' università nel suo complesso — ai bisogni della società attuale. saranno ancora soluzioni quantitative e qualitative deficienti, ma la via è aperta per una trasformazione del genere indicato e i prossimi anni possono essere fecondi per approfondire la nostra conoscenza, per approfondire l' esame dei problemi e certamente anche per arrivare a soluzioni più avanzate e più coraggiose. naturalmente, se la collegialità della vita universitaria, se la creazione dello spirito comunitario che è proprio del metodo scientifico odierno, per cui il valore scientifico non può essere gerarchizzato né esprimersi in dati gerarchici, ma deve esprimersi in esempio e in stimolo; se questo processo può maturare e se questo processo noi accettiamo, il pieno impiego e dentro il pieno impiego la incompatibilità col mandato parlamentare sono conseguenze necessarie di tale impostazione. io non ho mai capito come si possano separare questi momenti dal contesto in cui noi abbiamo collocato il problema universitario. non riesco a capire come, avendo attraverso alcuni istituti stimolata la formazione di uno spirito comunitario, di una ricerca associata nel le università, ad un certo punto neghiamo il pieno impiego e la incompatibilità di alcune situazioni. se neghiamo questo, neghiamo il valore degli altri istituti. anche considerando tutto come una fase di sperimentazione, se non arriviamo alle conseguenze indicate, evidentemente abbiamo svuotato di ogni valore tutti gli altri istituti, dal dipartimento alla rappresentanza collegiale, alla diversificazione dei titoli di studio . non possiamo fare di questi due problemi un problema particolare su cui fondare una soluzione alternativa. per questi problemi non esistono soluzioni alternative. e questa società, proprio per la complessità dei suoi problemi, che postula il tempo pieno e che non può prescindere da esso. quando troviamo che le soluzioni quantitative sono insufficienti rispetto ai problemi posti dalla società come potremmo sottrarci, a maggior ragione, alla necessità di affermare il tempo pieno nelle università? vorrei financo dire che quando nella fase studentesca diamo alla laurea un valore scientifico professionale e al dottorato di ricerca un valore prettamente scientifico, quando noi diciamo allo studente che per realizzare un contributo alla scienza deve superare il momento professionale della laurea e pervenire al dottorato di ricerca , come possiamo capovolgere poi il problema in sede di docenza? come possiamo affermare che la professione costituisce un arricchimento della ricerca scientifica quando allo studente diciamo che la ricerca scientifica deve prescindere (perché non si può in essa esaurire) dal momento professionale? non significa staccare la scienza dalla professione, significa continuare la scienza. quando un giovane sa che continuare la scienza comporta certi distacchi professionali, come possiamo dire che il docente non sia impegnato a continuare la ricerca come ricerca scientifica ? come è possibile indicare un termine di età, di posizione accademica, nella ricerca scientifica ? nelle società del cosiddetto benessere, nelle società cosiddette materialiste, nelle società di consumo, il tempo pieno costituisce una garanzia fondamentale per creare i presupposti scientifici dello sviluppo di questo tipo di società. il pieno tempo si è fatto valere in tali società, non per staccare l' università dalla vita sociale ma per riaffermare il pieno impegno dell' università come fondamento di una vita sociale più ricca. un capovolgimento di questo punto di vista a noi pare assolutamente inconcepibile e finirebbe con il riflettere un motivo corporativistico, non un interesse generale. dobbiamo stare attenti acché nel momento in cui indichiamo allo studente una strada, non si faccia trapelare l' interesse corporativistico nel volere per i docenti una; strada che è contraria ai principi che affermiamo. la verità è che la vita universitaria vuole un pieno impegno; e non può non esprimere la perfetta adesione di chi lavora nelle università allo spirito cui è improntata la vita dell' università stessa. noi, onorevoli colleghi , non possiamo prescindere dall' impostazione che abbiamo data a questo disegno di legge , e non possiamo non riconoscerne le conseguenze ineluttabili. anche per questa ragione non riesco a comprendere quella disposizione, in base alla quale il 30 per cento dei docenti può non essere sottoposto alla regola del pieno tempo. ella, onorevole Ermini, ricorderà che di questo problema abbiamo parlato molto a lungo anche nel corso di conversazioni private. in base a quale principio si stabilirà chi dovrà entrare a far parte di questo 30 per cento , e chi no? personalmente ritengo che a questo punto sia assolutamente necessario mi sia consentito il termine saltare il fosso ed essere con seguenti con noi stessi e con i principi che affermiamo; dobbiamo essere fedeli ai principi di cui abbiamo affermato la validità, e dobbiamo essere fedeli a tali principi soprattutto per rispetto alle nuove generazioni che si affacciano oggi alla vita universitaria. può anche essere comprensibile la necessità di rispettare un diritto quesito, ma personalmente non riesco a trovare un criterio obiettivo con il quale si possa giustificare il mantenimento nel futuro del 30 per cento . naturalmente anche il problema dell' incompatibilità tra funzione parlamentare e funzione accademica deriva dalla stessa impostazione e dagli stessi principi; anche questo problema, infatti, non può essere considerato isolatamente. rispetto poi al problema del pieno tempo, riguardo al problema dell' incompatibilità c' è anche un aspetto forse più importante, che desidero in questo momento sottolineare, e che ho sottolineato, del resto, anche nel corso delle conversazioni che ho avuto con il collega Ermini. in fondo, sul problema dell' incompatibilità, si esprimono le due forze che noi riteniamo essere, in un certo senso, le forze guida della nostra società, quelle forze che sono rappresentate dalla classe politica e dalla classe culturale nella sua più alta qualificazione, la classe, cioè, dei docenti universitari. come potremmo noi, onorevoli colleghi , sottrarci al dovere di dare un esempio? rispetto alla complessità dei problemi della vita moderna, ed alla gravità dei compiti che sono assegnati da una parte alla vita universitaria e dall' altra alla vita politica, noi, a mio avviso, non possiamo esimerci dal dare questo esempio. non vorrei soffermarmi troppo a lungo su questo problema, problema che potrebbe anche essere posto in termini giuridici, in termini che altri definiscono di « doppio mandato » ; se consideriamo tuttavia le condizioni in cui ci troviamo rispetto allo Stato, dobbiamo riconoscere che il carattere esemplare delle nostre decisioni è necessario, e non solo è dettato dalle nostre coscienze, ma è dettato anche, secondo me, da ragioni di Stato. la classe politica e la classe culturale non possono rifuggire dalle proprie responsabilità. questo problema, del resto, è un problema che non investe i rapporti tra i diversi partiti. nel corso di conversazioni private, ho avuto modo di dire che avrei visto molto volentieri i 75 professori universitari che fanno parte del Parlamento esprimere le ragioni giuridiche che ostano al principio della incompatibilità, ma le ragioni morali, esemplari che lo rendono necessario. che il problema dell' incompatibilità come problema di classe dirigente nel mondo culturale e nel mondo politico potrebbe divenire oggetto di contrasto tra i partiti, questo non lo comprendo affatto. abbiamo bisogno di una indicazione esemplare. il collega Codignola ha citato in quanti paesi l' incompatibilità è operante, ma direi che, a prescindere da questo, ciò è più che mai necessario che avvenga, in questo momento, nel nostro paese. su questo possiamo essere tutti d' accordo e sarebbe opportuno che sulla questione non ci si fermasse molto di più. concludendo, per quello che posso dire come estraneo ai problemi interni della vita universitaria, per quello che posso giudicare guardando da profano alle disposizioni principali di questa legge, a me pare che se man teniamo fermi certi punti, se diamo una certa coerenza alle nostre affermazioni, nei punti della legge che abbiamo toccato, introduciamo un quadro legislativo che mi pare possa costituire la premessa di un ammodernamento della vita universitaria e del suo adegua mento alle necessità della vita sociale. e mi pare che soprattutto questo quadro possa dare ai giovani una speranza. ho detto prima che nella nostra azione quotidiana finiamo con l' avere un certo egoismo di gene razione: i problemi della generazione attuale ci sono più presenti dei problemi della generazione futura. ho cercato di chiarire questo concetto in termini economici. i termini del benessere attuale ci sono più presenti dei termini del benessere futuro, della civiltà futura. non è vero, ripeto, che questo sia un esempio che ci viene dato dalle civiltà del benessere. vorrei dire che questo egoismo di gene razione è più facile che vi sia in paesi di non grande sviluppo che in paesi di maggiore sviluppo. noi abbiamo questa colpevolezza che si esprime appunto attraverso la maniera con cui impostiamo il problema della scuola, quando della scuola trattiamo, prescindendo dalle valutazioni di ordine globale. l' onorevole ministro si può lamentare di questa facilità con cui noi sistemiamo i problemi scolastici di fronte a lui e dell' altrettanta facilità con cui risolviamo altri problemi senza tener conto dell' importanza del problema scolastico. tuttavia entro questi limiti, entro li miti qualitativi e quantitativi che sono dovuti al nostro egoismo di generazione, a me pare che la legge rappresenti un importante passo avanti. e per questo la voteremo.