Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 594 - seduta del 19-01-1967
Sfiducia al Governo
1967 - Governo IV Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 778
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , sul paragrafo 50 si concentra il problema della reale portata che noi diamo alla politica di programmazione economica; cioè su questo paragrafo si gioca l' interpretazione di fondo di una politica di programmazione economica. infatti, onorevoli colleghi , quando in materia di distribuzione di reddito, noi ci occupiamo di aumento di produttività, ci occupiamo, rispetto al risparmio normale che dà un sistema economico , della quota di maggiore accumulazione che può derivare dall' aumento della produttività stessa. quindi, quando ci poniamo determinati fini con la programmazione, è, oltre che dal risparmio storico, preesistente, dall' aumento della produttività che noi intendiamo trarre i mezzi per realizzare i fini della programmazione. ora ho l' impressione che i colleghi, su questo punto, credano di trovare soluzioni che possano conciliare in certo senso l' inconciliabile, cioè dare il maggior sfogo alla libera contrattazione fra sindacati operai e organizzazioni imprenditoriali, con le conseguenze che ha il gioco di queste forze, ed inserire in questo gioco il momento della programmazione. ma è chiaro che la possibilità di una maggiore accumulazione dipende dal rapporto che noi sappiamo creare tra il gioco delle libere forze e i fini della programmazione. se non sappiamo creare un determinato rapporto, evidentemente il gioco delle libere forze ci darà il risultato che ha sempre dato, sia in materia di consumi, sia in materia di investimenti. se non alteriamo il rapporto della libera contrattazione, del libero mercato, è perfettamente inutile che facciamo la programmazione e ne stabiliamo i fini. si tratta quindi di un problema centrale. ho sentito poco fa l' onorevole Storti affermare che, per i settori più arretrati o più depressi della nostra economia, si può provvedere con altri mezzi che non siano l' intervento per quel che concerne l' accumulazione disponibile attraverso l' aumento della produttività. egli ha citato una grande quantità di interventi che è possibile predisporre per portare i settori più arretrati al livello di quelli più avanzati. ma, a mio avviso, il problema ha bisogno di un' analisi attenta dal punto di vista quantitativo, poiché l' accumulazione è un fatto quantitativo. quando noi stabiliamo una destinazione a priori dell' aumento della produttività e l' affidiamo alla libera contrattazione e alla libera determinazione del mercato, per ciò stesso provochiamo una diminuzione considerevole del volume dell' accumulazione disponibile per trasformare le condizioni economiche dei settori più arretrati. non salviamo quindi la nostra coscienza quando, da una parte, rivendichiamo il diritto, che è paritetico, onorevole Storti, dei partecipanti al processo produttivo di distribuirsi l' aumento della produttività e, dall' altra, rispetto ai settori più arretrati, ci rimettiamo ad una politica di quantità, che non si sa bene da dove attinga le sue possibilità di accumulazione e di investimento. secondo, me, uno degli errori che commettiamo nell' esame di fenomeni puramente quantitativi, è di introdurre una visione per compartimenti stagni , il che rappresenta l' opposto assoluto del principio della programmazione. quando ci troviamo di fronte ad una economia dualistica, con aspetti così accentuati e così storicamente radicati come avviene per l' economia italiana , dobbiamo stare attenti a come risolviamo il problema della distribuzione dell' aumento della produttività. infatti, la maggiore fonte disponibile per rendere omogenea un' economia dualistica, è proprio l' aumento della produttività. non vi sono altre notevoli possibilità. immaginare che lo Stato, attraverso il proprio programma, per superare il dualismo del sistema economico , abbia altre fonti notevoli di manovra che non l' aumento della produttività che si aggiunge al risparmio normale, è un sogno. e questo sogno, che molto spesso vaga nei nostri discorsi sulla programmazione, ci fa sbattere la fronte contro la realtà dei fatti e delle cifre. d' altra parte, mi lasci dire, onorevole ministro, che nel paragrafo 50 c' è una indicazione di come vada distribuito l' aumento di produttività: che si riferisce più all' esperienza dei paesi ad alto sviluppo economico e a piena occupazione che ai paesi come il nostro e riguarda più l' aspetto monetario e antinflazionistico del problema che una politica di passaggio da un' economia dualistica a una economia omogenea. leggo, infatti, nel paragrafo 50 che il controllo dell' aumento della produttività e della sua distribuzione deve essere fatto al fine di evitare l' inflazione. questo è il problema classico delle economie ad alto sviluppo economico , delle economie a pieno impiego, delle economie che mancano di forze di lavoro , che si sogliono dire del benessere. in queste economie, il problema di come distribuire l' aumento della produttività ha non solo l' aspetto dell' eguaglianza o della giustizia nella distribuzione del reddito, ma un prevalente aspetto monetario e antinflazionistico. in altri termini, in quelle economie di pieno impiego e di alto sviluppo industriale , una sbagliata distribuzione dell' aumento della produttività può produrre effetti inflazionistici, ai quali si intende ovviare. ma questo è il caso limite. il riferirsi all' aumento medio della produttività, come noi abbiamo fatto, ci mette in condizioni di sicurezza monetaria, sulla traccia delle esperienze dei paesi ad economia altamente sviluppata ed a piena occupazione. ma noi siamo al di qua di questo limite. quindi il problema della distribuzione dell' aumento della produttività deve essere non solo visto in funzione della difesa contro fenomeni inflazionistici, ma con più vasta preoccupazione e tenendo presente che questa o quella disposizione, riguardi il capitale, l' impresa o il lavoro, accelera la possibilità di passare da una economia dualistica ad una economia omogenea, o la ritarda. cioè il fatto accumulazione è un fatto fondamentale per una economia dualistica, come il fatto accumulazione è stato un fatto fondamentale dell' economia depressa del mondo orientale, delle economie che sono passate al sistema comunista. la soluzione in una certa direzione del problema dell' accumulazione è stato il fattore più potente per la trasformazione di quelle economie da depresse ad industrializzate. quindi il problema dell' aumento della produttività non si può trattare a semplice fine di difesa monetaria: si deve trattare come il problema di fondo di un sistema economico dualistico. e a questo proposito devo ripetere agli amici sindacalisti della Cisl quello che dico loro da alcuni anni a questa parte. la contrattazione articolata è la contrattazione tipica dei paesi a più alto sviluppo economico . per quale motivo? perché quando un paese ha raggiunto la piena occupazione e gli alti salari e quando si presuppone, talvolta falsamente, che un tale paese abbia superato tutte le condizioni di una economia dualistica, si può entrare nella dinamica del tallonare l' aumento della produttività, non solo con riguardo ai singoli settori produttivi, ma con riguardo alle singole aziende, poiché siamo già a uno stadio altissimo di sviluppo economico . ma non bisogna confondere mai i problemi di una economia depressa con quelli di una economia dualistica e con quelli di una economia altamente sviluppata. la contrattazione articolata fu una invenzione degli USA. ma ritenere che le condizioni economiche fondamentali degli USA si siano riprodotte in Italia e ritenere che si possano utilizzare i sistemi sindacali dell' economia americana, a mio avviso, è una affrettata anticipazione di situazioni che si devono, sì, creare, ma che attualmente non esistono. da queste osservazioni mi pare si possa arguire che il problema della distribuzione dell' aumento di produttività, della maniera di considerare, rispetto ad esso, non solo i salari, ma i profitti e gli interessi di capitali, cioè tutti i fattori del reddito o gli elementi che concorrono alla distribuzione del reddito, è un problema importante della politica di programmazione in ogni paese, ma è un problema più che mai importante, fondamentale, della politica di programmazione dei paesi ad economia depressa o ad economia dualistica, quando si tenda, con essa, a risolvere i problemi di fondo , i cosiddetti squilibri economici che li caratterizzano. ora, rispetto agli obiettivi che una programmazione si pone e che possono essere realizzati più o meno celermente secondo l' intensità che noi diamo al processo di accumulazione, dobbiamo stare attenti a non creare qualsiasi tipo di parametro a priori che diminuisca le nostre possibilità. se voi continuate a credere che nell' aumento di produttività si possa esercitare la pura azione delle libere forze come avveniva prima della programmazione, voi con ciò stesso ritardate il conseguimento degli obiettivi della programmazione; cioè la parte depressa del paese (supponiamo il Mezzogiorno) pagherà in anni di depressione il carattere che voi avete impresso alla distribuzione dell' aumento di produttività. al limite, meno aumenti di produttività distribuite, più determinate elementi di accumulazione, e più accelerate il processo di passaggio da una economia dualistica ad una economia omogeneamente sviluppata. su questo non c' è dubbio: non vedo come un ragionamento di questo genere possa essere respinto. cioè ogni volta che l' aumento di produttività viene distribuito esclusivamente o prevalentemente fra coloro che partecipano al processo produttivo, si ritarda la trasformazione del settore depresso di un sistema economico e cioè si trasporta nel tempo e qualche volta non si risolve affatto il problema della depressione. la mia impressione è che, talvolta, volendo salvare capra e cavoli, noi rimandiamo nel tempo i fini della programmazione e ci manteniamo sostanzialmente fedeli, al momento preprogrammatorio, che è il momento di esclusivo giuoco delle forze spontanee del mercato. dopo di che, onorevoli colleghi , non capisco perché specialmente la sinistra si sia incaponita per anni a volere la programmazione: programmazione significa accelerazione del processo di accumulazione ai fini della soluzione dei problemi che la programmazione ha messo in luce. se negate la possibilità di accelerazione, negate la programmazione e quindi voi mi trovate estremamente riservato anche sulla formulazione che ha scelto il Governo. esso ha scelto un parametro per la distribuzione dell' aumento della produttività, che non deve essere scelto a priori in alcun caso. perché i repubblicani hanno insistito che l' utilizzazione dell' aumento della produttività, e quindi l' accelerazione dell' accumulazione, debba dipendere da uno scambio di punti di vista , da una trattativa globale fra il sindacato operaio, gli imprenditori e lo Stato? perché è solo attraverso questa dialettica che noi troveremo il punto « ottimale » ai fini della attuazione di una politica di programmazione. altrimenti non lo troveremo mai. trovo una profonda contraddizione fra la rivendicazione dell' autonomia della propria azione da parte dei sindacati operai e degli imprenditori e l' insistere sui fini della programmazione. l' autonomia da parte del sindacato operaio contiene in sé il principio dell' autonoma decisione dei sindacati padronali. la distribuzione della produttività con un certo sistema implica in sé la libertà di attribuirsi quote di aumento della produttività, anche della controparte, e ciò significa il sacrificio dal momento pubblico, che è il momento fondamentale della politica di programmazione economica. facendo il caso estremo, noi ci potremmo trovare in questa condizione; che i sindacati operai e i sindacati padronali trovino l' accordo nel distribuirsi l' aumento della produttività. ma chi paga quest' accordo? lo possono pagare quei ceti, quei territori, quelle condizioni di depressione, ai quali la programmazione deve servire. io vi ho richiamato sempre a porre una politica dei redditi in senso integrale. non è una scusa del sindacato operaio dire che, siccome il sindacato padronale non risponde sul terreno dei profitti, dell' aumento della produttività non ne deve rispondere esso stesso. perché con questa, che è una maniera di scaricarsi la coscienza, non raggiungiamo quello che secondo me è il punto fondamentale della politica di programmazione. osservo, in proposito, che nello stesso emendamento del deputato comunista Barca c' è finalmente il riconoscimento di quello che io vado dicendo da alcuni anni a questa parte. per la prima volta, infatti, in quell' emendamento Barca è affermato il principio che vi può essere una differenziazione di reddito non solo nel campo del profitto, ma anche nel campo del salario, e a questa differenziazione bisogna fare attenzione. per la prima volta nell' emendamento Barca si dice che sia nel campo del capitale e dell' impresa sia nel campo del lavoro possono esistere posizioni privilegiate rispetto ad altre posizioni. ma questo è porre in termini esatti e coerenti il problema; perché, onorevole Storti, in sostanza, vi volete mettere in mente che la contrattazione articolata e l' accaparramento dell' aumento di produttività sono pagati dagli operai disoccupati o sottoccupati? vi volete mettere in mente che il sindacato rappresenta non soltanto gli occupati, ma tutti i lavoratori o altrimenti diventa, anch' esso, una organizzazione di interessi costitutivi? bisogna stare attenti che, quando una categoria di lavoratori è fuori del processo produttivo, voi non la condanniate a rimanere permanentemente fuori del processo produttivo stesso e, per scaricarvi la coscienza, non facciate appello ad una possibilità dello Stato, che non esiste, e come se lo Stato avesse una fonte di accumulazione indipendente dalla produzione e dalla distribuzione del reddito che concretamente si verificano nel paese. d' altronde , lasciatemi dire che fin dai tempi di Salvemini questo problema è stato posto in luce. quando Salvemini rilevava l' esistenza di un certo accordo, in certe zone dell' Italia, per la distribuzione del reddito e che questo finiva con il sacrificare le masse contadine e i lavoratori delle zone arretrate, allora non faceva certo un discorso sulla politica dei redditi , ma intuiva che, in certi meccanismi del libero mercato e della libera contrattazione, c' era la difesa di certe posizioni e di certi interessi costituiti rispetto alla massa dei lavoratori e rispetto ai territori, che hanno bisogno essi della programmazione e della modificazione del meccanismo di sviluppo. si tratta, pertanto, di un problema di assai vaste dimensioni e conseguenze. ho l' impressione, onorevole ministro, che il Governo con la formula scelta ha cercato di salvare capra e cavoli, ma stiamo attenti che, ad un certo punto, a furia di emendamenti, non si finisca con l' esaltare, proprio in tema di programmazione, il sistema della libera contrattazione, il sistema totale del libero mercato. mi domando mille volte al giorno perché, se ad un certo momento riteniamo che il sistema della libera contrapposizione delle forze in giuoco sia quello che garantisce il maggiore risultato possibile, vogliamo il passaggio alla programmazione. ma chi ce l' ha fatto e ce lo fa fare? potevamo ben rimanere nel vecchio sistema, potevamo rimanere nel sistema, del libero giuoco e mantenerci fedeli alla politica tradizionale dello Stato. una certa politica di interventi per correggere certi squilibri, lo Stato l' ha sempre fatta: la fa il Governo di centrosinistra, la faceva anche Giolitti. attraverso il sistema fiscale lo Stato può cercare di correggere la distribuzione del reddito. il passaggio da una politica tradizionale di qualunque governo, anche conservatore, per intervenire in zone di sottosviluppo, a una politica di programmazione si ha proprio perché si pretende, si vuole raggiungere una visione globale dei problemi. ma se le organizzazioni che dominano il terreno della libera contrattazione dicono allo Stato: tu fai quello che vuoi, noi però ci riserviamo il diritto di dividerci, secondo le nostre forze, secondo i nostri desideri e secondo la nostra possibilità di contrattazione, l' aumento di produttività; esse non fanno che costringere la politica dello Stato nei limiti tradizionali. difatti, lasciatemi dire una cosa che ho ripetuto sempre in quest' Aula: quando voi rimproverate il Governo di fare una politica tradizionale, come è avvenuto anche in materia di alluvioni (ho avuto qui la franchezza di dirlo), è perché voi togliete al Governo e allo Stato i mezzi nuovi e moderni di intervento e lo riportate su linee di intervento tradizionali. e qui finisce con l' esservi — lasciatemelo pur dire — una certa solidarietà fra le due parti nel relegare la funzione dello Stato ai margini. quando, onorevoli Storti e Scalia, mi dite: ma, in fondo, gli imprenditori accettano la contrattazione articolata, rispondo: lo so benissimo che l' accettano; e perché non la devono accettare? gli imprenditori non vogliono discutere il problema degli aumenti di produttività con il potere politico . preferiscono discuterli con voi. ma il problema di discutere l' aumento di produttività sorge soprattutto nei confronti del potere politico che assume, attraverso la programmazione, responsabilità assai vaste e precise. non mi meraviglia — ripeto — che i dirigenti delle grandi industrie preferiscano la contrattazione articolata. perché mi dovrei meravigliare? preferendo la contrattazione articolata, pongono, con voi, un limite all' intervento dello Stato, quindi pongono un limite alla programmazione. vogliamo superare questo punto, andare oltre e vedere il problema come va visto, vogliamo essere coerenti con la passione con cui abbiamo impostato la politica di programmazione? possiamo fare questo salto. ma questo salto finora non c' è. ella lo sa, onorevole ministro, che su questo punto sono stato sempre molto critico. questo salto non c' è nel documento del Governo. ma figuratevi se c' è, se voi il momento della libera contrattazione e del giuoco delle forze spontanee lo portate al di là degli stessi limiti fissati dal Governo. veramente non rimane quasi nulla! e veramente mi viene l' angoscia o il dubbio che per vedere il passaggio, il salto dell' economia italiana , da economia dualistica ad economia omogenea, debba aspettare la nascita di nipoti o di pronipoti. del resto, onorevoli colleghi , non è poi problema questo che possiamo considerare della luna. quando voi vedete, coesistere, nel nostro paese, aspetti di organizzazione industriale estremamente avanzati, pubblici o privati che siano, e quando voi vedete che cosa è l' economia di zone depresse (la pastorizia in Sardegna o l' agricoltura in Sicilia, con i fenomeni di mafia e di brigantaggio ad esse connesse), voi potete constatare come un certo giuoco di forze spontanee riesca a far coesistere, nel tempo, due strutture economiche perfettamente agli antipodi. ora, penso che, se la programmazione non ha per fine di rendere omogeneo, nel giro di alcuni anni, un sistema economico , non so che cosa essa voglia dire. oso dire che nei paesi ad alto sviluppo economico si può fare a meno della programmazione e oserei dire che, se la Germania e gli USA o la Gran Bretagna hanno tardato ad entrare nel processo della programmazione, è perché non hanno i fenomeni che premono alle nostre reni, non hanno il fenomeno della sottoccupazione, della disoccupazione, di un' agricoltura arretrata e di vaste zone del territorio arretrate; e quindi si possono attardare a rispettare il gioco delle libere forze del mercato. gli USA hanno mostrato di non averne alcun bisogno. forse, quando si porranno seriamente il problema dei negri o del risanamento delle zone delle città marginali o quello di combattere certe zone di povertà, potranno entrare nella politica di programmazione. la Gran Bretagna si pone il problema della programmazione per raggiungere uno stadio tecnologico su un' economia omogenea molto avanzata. la Germania può ancora fare a meno della programmazione e affrontare il problema dell' inflazione, che per quell' economia è il problema più premente. ma stiamo attenti che noi qualche volta corriamo il rischio di tornare al caso tipico del 1962-63, allorché, per lo squilibrio del nostro sistema e per la cattiva politica, privata e pubblica, delle organizzazioni e dello Stato, abbiamo avuto — insieme — i fenomeni inflazionistici di un' economia in forte sviluppo e la permanenza di economie fortemente depresse, con emigrazione, eccetera. siamo cioè riusciti, attraverso il giuoco delle forze spontanee, a realizzare il miracolo di avere due fenomeni di degenerazione: il fenomeno inflazionistico e il fenomeno di un permanente dualismo. vogliamo rimanere ancora nell' ambito di questi doppi fenomeni degenerativi? se, onorevole Storti e onorevoli amici sindacalisti, continuiamo in una certa politica di distribuzione del reddito, possiamo tornare alla situazione del 1962, ad avere cioè fenomeni inflazionistici in un' economia dualistica. il che, secondo me, è veramente il colmo che possa avvenire ad un paese, soprattutto quando esso si trova in fase di programmazione. come vedete, la posizione dei repubblicani, dal punto di vista del problema, è assolutamente radicale. noi non accettiamo neppure i compromessi che in questo, come in altri casi, sceglie il Governo, come non accettiamo certe evasioni in materia di regioni. nessuno di voi, credo, vorrà mettere in dubbio che siamo regionalisti. ad un certo punto vogliamo entrare nella sostanza viva dei problemi e non girarci intorno. ma stiamo attenti a non respingere anche i compromessi, per tornare alla situazione di completa libertà. queste sono le ragioni che abbiamo ritenuto doveroso ancora illustrare. esse costituiscono l' oggetto: di una battaglia che dura ormai da tre o quattro anni e costituiscono la sostanza delle riserve già espresse quando ho parlato in sede di discussione generale .