Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 564 - seduta del 30-11-1966
Sulla politica estera
1966 - Governo IV Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 725
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole ministro, le preoccupazioni che da molto tempo a questa parte i repubblicani esprimono sul piano quinquennale di sviluppo non riguardano, in prima istanza, i fini del piano medesimo. devo dire che, per quanto riguarda i fini, noi possiamo lungamente discutere e, probabilmente, siamo in grado di trovare un accordo. certamente, onorevole ministro, nel piano oggi in discussione alla Camera, per citare una delle maggiori questioni relative ai fini, il Mezzogiorno ha perduto di importanza quantitativa. era più in evidenza, il problema del Mezzogiorno, negli schemi programmatici precedenti. e se le mie parole a questo proposito non sono ritenute probanti, potrei consegnare all' onorevole ministro, come sono disposto a consegnare alla Commissione bilancio, una memoria di Francesco Campagna, che ha dedicato i suoi giorni migliori alla impostazione del problema meridionale. Francesco Campagna, nella memoria, rileva con molto rammarico questa perdita di peso del problema meridionale. in proposito, potrei anche darle onorevole ministro, una raccolta di dati presentati da un relatore competente al congresso meridionalistico dei repubblicani tenuto qualche settimana fa a Palermo: tale raccolta conferma la perdita di peso che il problema meridionale ha subìto nel piano di sviluppo in esame. sempre con riguardo ai fini, vi sono altri problemi su cui discutere, come per esempio il problema dell' agricoltura, problema grave, se si considera che la nostra agricoltura, e specialmente l' agricoltura meridionale, al momento in cui entrerà in piena attuazione il mercato comune agricolo, si troverà in condizioni tecniche assai precarie. così potremo citare una marcata incompatibilità (ne abbiamo discusso mesi fa) tra l' obiettivo di una accelerata trasformazione tecnologica, recentemente introdotto nel piano, e l' obiettivo di una realizzazione vicina della piena occupazione. e, ancora guardando al problema dei fini, si può anche notare una accumulazione di essi, la quale, sulla base di un rigoroso criterio di priorità e urgenza, meriterebbe una maggiore analisi, specialmente dopo l' ultima grave catastrofe alluvionale che ha colpito l' Italia. in altri termini, la serie coordinata dei fini del piano ha bisogno di un ulteriore esame, ciò che, attraverso gli emendamenti che presenterà il Governo e quelli che in via autonoma approverà il Parlamento, potrà sempre avvenire. per fare una osservazione che può essere anche marginale, non riesco a comprendere, nella circostanza in cui oggi si trova il nostro paese, perché si mantenga la legge sulle aree depresse del centro-nord, che era già, secondo me, un intervento assai poco compatibile con il piano quinquennale di sviluppo e che diventa, come intervento, difficilmente coordinabile con altri nelle circostanze in cui si trovano oggi molte regioni del centro e del nord. ma la discussione sui fini, ripeto, si può considerare financo relativamente facile (non lo è, ma si può considerare tale). il problema grave, quello su cui veramente si è appuntata la nostra attenzione, è quello dei mezzi, attraverso i quali realizzare i fini scelti. e devo notare con piacere che questa preoccupazione comincia a prendere corpo nelle nostre discussioni e, fra l' altro, il collega comunista Barca ne ha fatto oggetto di un accurato esame nella sua relazione di minoranza . onorevole ministro, in quale condizione ci troviamo, quando guardiamo da una parte ai fini che fissiamo e dall' altra ai mezzi che predisponiamo? è evidente che, quando fissiamo nel piano, anche quantitativamente, una serie di fini, abbiamo la tendenza (noi stessi e l' opinione pubblica ) a considerarli impegni veri e propri, impegni di carattere politico. fra un anno o due, è facilmente prevedibile che ci si domandi in che misura abbiamo saputo realizzare quei fini. so benissimo che quei fini non sono impegni formali, ma appariranno tali all' opinione pubblica , anche perché hanno un rilievo così marcato e riguardano problemi così vivamente sentiti, che è facile equivocare tra un fine che, entro certi limiti, può essere anche previsionale e un vero ed effettivo impegno. se questo sarà il nostro atteggiamento riguardo ai fini, è da rilevare che la impostazione del piano, dal punto di vista dei mezzi — ciò che rappresenta l' altra faccia della medaglia — ha essenzialmente carattere di pura previsione: il piano, cioè, parte da una certa ipotesi di sviluppo del reddito nazionale , estrapola da questo dato di partenza, le quote di reddito nazionale che vanno al risparmio forzato, attraverso l' imposizione fiscale, o al risparmio volontario, e su queste quote erige l' intero castello dei fini da realizzare. questo, con riguardo al rapporto fini-mezzi, mi pare il meccanismo fondamentale del piano, che del resto non può essere altro che questo, tenendo conto che, quando parliamo di mezzi, parliamo di mezzi finanziari, di mezzi di destinazione ai vari campi. mentre però da una parte noi assumiamo questi impegni ben precisi, dall' altra non possiamo che fare, previsioni, le quali sono soggette all' alea di tutte le previsioni. può avvenire così che necessità del tutto particolari o contingenti alterino la previsione che noi facciamo e quindi sottraggano ai fini che noi stabiliamo i mezzi per assicurarne la realizzazione. ebbene, questo è uno dei problemi fondamentali della politica di programmazione, che merita un esame attento. ad un certo punto della discussione sul piano e sulla nostra situazione economica , noi repubblicani abbiamo ritenuto necessario introdurre un nuovo termine per fissare il rapporto mezzi-fini. e ciò è avvenuto nel febbraio 1964, quando abbiamo formulato la proposta di una politica straordinaria dei redditi per raggiungere certi fini. in quel momento, cioè nella fase più acuta della recessione, avevamo la preoccupazione che i mezzi potenzialmente disponibili venissero impiegati per la soluzione di problemi contingenti o del tutto particolari, finendo così col far mancare a certe finalità (come quella della lotta contro la disoccupazione) il supporto necessario a condurla. quella proposta diede luogo a polemiche. il Governo non ritenne di farla propria, mentre essa fu respinta dalla opposizione di sinistra e dai sindacati operai. la fase di recessione fu superata attraverso quelli che noi continuiamo a considerare mezzi tradizionali di intervento pubblico, quei mezzi tradizionali ai quali anche per quel che riguarda i recenti provvedimenti sulle alluvioni si è fatto ricorso. quando però ella, onorevole ministro, nella relazione previsionale e programmatica che ci ha presentato qualche mese fa, ha preso bensì atto di alcuni elementi quantitativi positivi (sviluppo del reddito nazionale , sviluppo dei consumi, sviluppo del commercio estero), ma ha dovuto confessare, con estremo coraggio e franchezza, che l' azione pubblica, rispetto ai fini stabiliti dal piano, era stata insufficiente (non abbiamo potuto realizzare, nel primo anno, il volume di investimenti rispetto ai consumi che il piano riteneva necessario), ha dato ragione alle nostre preoccupazioni e ai nostri suggerimenti. quando inoltre, nella stessa relazione, si è dovuto constatare un maggiore sviluppo della dinamica salariale nel settore pubblico , rispetto al settore privato (mi fa piacere che i colleghi comunisti, attraverso la relazione Barca, accettino ormai di discutere l' andamento delle retribuzioni all' interno dello stesso mondo del lavoro ), le preoccupazioni espresse nel 1964 trovano la loro piena giustificazione. comunque, proprio per stabilire un legame sicuro tra fini della programmazione e mezzi con i quali realizzarli, fu introdotto da noi il concetto di « politica dei redditi » . e, a questo proposito mi sia consentito di esaminare una importante osservazione che il collega Barca ha fatto nella sua relazione di minoranza . riferendosi alla Nota aggiuntiva da me presentata nel 1962, egli ha individuato in essa un elemento dirimente che, afferma lui, è stato all' origine della diversa concezione che si ha attualmente in materia di programmazione: concezione che della programmazione ha la maggioranza e concezione che della programmazione ha l' opposizione di sinistra. tale elemento dirimente è costituito dalla distinzione che nella Nota aggiuntiva si fa tra « impieghi produttivi » e « impieghi sociali » del reddito. rispondo al collega Barca che, già fin dalla redazione della Nota aggiuntiva , vi era l' intuizione del ponte che bisognava stabilire fra impieghi produttivi e impieghi sociali. vi era l' intuizione della necessità di una politica dei redditi . il collega Barca, cioè, non si è accorto che, per fare il ponte necessario tra impieghi produttivi e impieghi sociali, non abbiamo altro strumento, nella programmazione, che la politica dei redditi . e scendo subito ad una esemplificazione, che per me ha valore fondamentale. quando parliamo di politica dei redditi , noi intendiamo, attraverso questo concetto, definire una politica di controllo dei consumi ad ogni livello: dai consumi voluttuari anche ai consumi popolari, proprio perché solo il controllo dei consumi porta gli investimenti nella direzione di consumo che vuole il programmatore. ora prendiamo uno dei casi che ha costituito, da qualche anno, oggetto di dibattito in questa Camera: lo sviluppo dell' industria automobilistica e il conseguente sviluppo delle autostrade. uno dei cavalli di battaglia della polemica di estrema sinistra ed è uno dei casi in cui appare più evidente il contrasto fra impieghi produttivi e impieghi sociali. onorevoli colleghi della sinistra (e vorrei che l' onorevole Lombardi fosse presente), come si arresta la marcia verso un ulteriore sviluppo dell' industria automobilistica? la volete arrestare quando la FIAT ha tratto i suoi profitti da un mercato più allargato, o volete impedire l' allargamento del mercato? e, se volete impedire l' allargamento del mercato, in quale momento collocate l' azione per impedire tale allargamento? se voi avete consentito la distribuzione di ulteriore potere di acquisto (che prende il carattere di potere di acquisto individuale, quindi di consumo individuale), non potete impedire alla FIAT di andare incontro all' espansione del consumo che l' accresciuto potere di acquisto determina, quindi non potete impedire che sorgano le autostrade. ed è inutile che voi miriate a frenare, in un momento di espansione della domanda di automobili, i profitti della FIAT, che predispongano gli investimenti per quella espansione. dovete arrestare il processo prima, dovete intervenire prima, senza di che le conseguenze saranno ineluttabili. l' errore di impostazione dei colleghi dell' estrema sinistra (e degli stessi colleghi della maggioranza) è di ritenere che essi possano alterare il processo produttivo non con riferimento ai consumi possibili, ma in sé. in altri termini, non si può arrestare certo tipo di espansione produttiva in sé, ma quando si sono modificate le condizioni di consumo che rendono necessaria quell' espansione. se non si opera così, si introduce, nel sistema produttivo , non un correttivo, ma un elemento disgregatore. qui viene fuori un' altra questione che non è stata chiarita. che cosa vuol dire sviluppare i trasporti pubblici? significa questo: l' espansione di un tipo di consumi, che possiamo considerare come consumi affluenti, ad esempio quello delle automobili (che poi è un consumo di cui beneficia ogni classe sociale), si arresta. se si arresta l' espansione di un certo tipo di consumi, si arresta anche l' espansione della macchina produttiva relativa, quindi si determina il passaggio da un impiego produttivo ad un altro, dal vecchio impiego produttivo al nuovo impiego sociale: si ha il ponte al quale accennavo. le modificazioni del processo produttivo porteranno verso il nuovo impiego sociale: il trasporto pubblico . ma tu dai, caro Amendola, come alternativa alla massa operaia, il trasporto pubblico rispetto al trasporto privato. ma per dare questa alternativa voi dovete potere non cumulare il consumo individuale di automobili con il consumo collettivo di autotrasporti, voi dovete arrestare certi consumi individuali e trasportarli sul terreno del consumo sociale. non potete cumulare i due aspetti del problema. ecco il significato della politica dei redditi che voi negate. per voi è impossibile, ma, di conseguenza, la nostra impostazione è coerente, la vostra no. voi volete introdurre nel processo produttivo un atto di coercizione in un momento nel quale non lo potete introdurre, senza determinare una condizione di disgregazione del sistema. lo dovete introdurre precedentemente, nella fase anteriore, in cui correggete i consumi a qualsiasi livello, e sostituite ai consumi individuali affluenti a qualsiasi livello il consumo collettivo, cioè sostituite ad un processo produttivo, che alimenta certi consumi individuali, un processo produttivo che alimenta consumi collettivi, cogliendo la trasformazione al momento in cui va colta. se voi non arrestate alla base l' espansione del consumo delle automobili, dovete fare le autostrade. sarebbe una delle vicende più strane quella di colpire il sistema di circolazione quando determinate condizioni di consumo espandono la domanda di automobili. la politica dei redditi evita questa incongruenza. ed il fatto che l' opposizione e parte della maggioranza la neghi, ci porta a non avere la possibilità di ponte fra impieghi produttivi e impieghi sociali cui accennava il collega Barca. ora, se il problema lo abbiamo sentito, onorevole ministro, in fase di recessione, ci sembra di estrema urgenza avvertirlo oggi, quando il piano, che aveva vecchi fini, ha dovuto tener conto delle tegole che ci sono nel frattempo cadute addosso, con le alluvioni. un carico di questo genere comporta la necessità di raddrizzare l' andamento dei consumi ad ogni livello, dai livelli voluttuari a quelli affluenti di base popolare; la necessità di raddrizzare la situazione, con una politica straordinaria e rigorosa dei redditi ad ogni livello. l' equivoco che si è creato, quando noi abbiamo parlato di politica dei redditi , è che noi volessimo vincolare i redditi partendo dal basso e lasciare liberi i redditi che si distribuiscono in alto, i redditi personali di consumo (stiamo attenti a non parlare di pro fitti di imprese perché questo problema bisogna vederlo nell' ambito delle necessità concrete del sistema produttivo ). qualsiasi politica dei redditi parte sempre dai redditi più elevati. ma come parte? una politica dei redditi non può partire dal presupposto (e qui l' onorevole Barca, che ha iniziato il discorso sul finanziamento del piano, si è fermato a metà) che, colpendo le rendite, ciò bastia coprire i bisogni. questo non è un ragionamento valido. per coprire i bisogni di una collettività, bisogna partire dalla compressione dei redditi alti ma bisogna arrivare a comprimere i redditi minori, fino all' ammontare dei capitali di investimento necessari per dare un' altra direzione ai consumi. avviene in materia di politica dei redditi quello che avviene in materia fiscale. in questi giorni, vi è stata una polemica fra me e il ministro Preti, che considero fondamentale ai fini di una giusta impostazione di un programma di austerità. so benissimo che quando noi colpiamo i redditi alti non caviamo, da questa tassazione, l' ammontare necessario a fare certi investimenti. non troveremo, attraverso i redditi alti, le centinaia di miliardi che ci occorrono per risanare le zone colpite dall' alluvione o per fare una sistemazione idrogeologica. questo è evidente, e un altro errore dell' estrema sinistra è di non riconoscere tale dato. il problema non è di affermare questa sufficienza, ma di affermare un principio di elementare giustizia distributiva , che è cosa diversa. sappiamo benissimo, cioè, che anche dai consumi popolari si debbono cavare i fondi necessari a creare nuovi investimenti di carattere sociale. ma per fare questa operazione, dobbiamo avere esercitato una giustizia distributiva su tutti i redditi alti che, progressivamente, devono dare il proprio contributo a questa modificazione del sistema. nella nostra concezione c' è una coerenza rispetto ai redditi: si comincia dai redditi di capitale, dai dividendi, dalle alte remunerazioni in ogni campo, professionali e dirigenziali, e si scende giù giù fino a raggiungere l' ammontare necessario alla modificazione delle destinazioni dei capitali. ed è per questo che, quando è venuto il superdecreto che io ritenevo dovesse inquadrare una politica dei redditi , vi ho trovato una grave incoerenza. infatti, onorevole ministro, è inutile che il Governo venga a dire che è necessaria una politica dei redditi . questo lo posso dire io dal banco parlamentare, ma il Governo, quando dice che è necessaria una politica dei redditi , deve tentare di farla ad ogni livello, se no è inutile che ne parli. dal banco del Governo , la politica dei redditi non deve essere una esortazione, ma, fin dove è possibile, una vera e reale politica. a questo proposito, è stata fatta un' eccezione che io non accolgo: i redditi alti — si è detto — alimentano il risparmio. no, questo discorso è come quello sull' imposizione fiscale. i redditi alti alimentano il risparmio come i redditi medi e bassi. se la massa dei redditi medi e bassi deve sacrificarsi, nel suo potere di acquisto , per alimentare i bisogni del piano, così la massa dei redditi medi e bassi alimenta il risparmio a maggior titolo dei redditi alti. quindi, come noi siamo costretti fiscalmente a colpire non solo i redditi alti con una quota progressiva, ma anche i redditi medi e bassi, così non possiamo porci dietro lo schermo del risparmio per salvare i redditi alti e colpire i redditi medi e bassi, che alimentano in grosso volume il risparmio. c' è quindi una logica, nella politica dei redditi e nella politica di austerità, che bisogna rispettare fino in fondo, partendo — ripeto — dall' alto e scendendo già giù fino al basso. naturalmente, quanto più complessi sono i fini, tanto più rigida deve essere la politica di austerità e quindi la politica dei redditi . quando noi abbiamo, onorevole ministro, una serie di fini così gravi, come la ricostruzione delle zone colpite dall' alluvione, come la sistemazione idrogeologica, come il problema del Mezzogiorno, al quale non abbiamo rinunciato come priorità, come la lotta contro la disoccupazione, a noi pare evidente che siamo in una condizione di emergenza, eccezionale, che deve richiamare alle loro responsabilità tutte le energie del paese: il Governo, il Parlamento, i sindacati operai, gli imprenditori. se i fini che ci poniamo sono così imponenti nel loro aspetto finanziario, il sacrificio deve essere commisurato a tutti i livelli a questa imponenza di fini. questo è stato il senso del nostro intervento, dopo che è intervenuta l' alluvione. avevamo la sensazione di una certa gravità della situazione ancor prima, onorevole ministro, e perciò avevamo già parlato di blocco della spesa pubblica « corrente » : in base all' esperienza di questi ultimi anni avevamo e abbiamo paura di quello che può avvenire da oggi alle elezioni politiche . ma se avevamo paura prima, immagini quante e quali siano le nostre preoccupazioni dopo le alluvioni. mi pare che sia stato un errore aver interpretato queste nostre preoccupazioni come semplice voglia oppositoria. noi non abbiamo niente da opporre a nessuno. noi poniamo alla maggioranza e alla stessa opposizione un problema di coerenza; quello di guardare ai problemi del paese per quello che realmente sono: essi sono gravi, seri, esigono un profondo impegno da parte di tutte le forze politiche e sociali del nostro paese. noi abbiamo chiesto al Governo di sentire gli imprenditori e i sindacati operai prima di prendere i provvedimenti, perché nel mondo moderno bisogna legare le grandi forze, che muovono il meccanismo di sviluppo, alla politica che noi riteniamo necessaria. così aspetteremo un' altra alluvione. bisogna piuttosto impostare un' azione politica rilevante e coerente con le necessità del paese. se pensiamo alle strutture e alle riforme di lunga portata non usciamo più da questa situazione. d' altra parte, onorevoli colleghi dell' estrema sinistra , andiamo a vedere il problema nei suoi termini reali. abbiamo a questo proposito l' esempio del grande capo di un partito operaio (non vorrete negare, spero, che Wilson sia il capo di un partito operaio ), il quale ad un certo momento, per salvare l' apparato produttivo inglese dalla crisi della bilancia dei pagamenti , impone un regime di austerità, comincia dal controllo dei dividendi e dei prezzi e scende fino al blocco dei salari. si è trattato indubbiamente, con riguardo alla bilancia dei pagamenti , di un problema molto urgente e grave, dietro il quale si nascondeva quello dell' ammodernamento dell' apparato produttivo inglese. ma voi credete (vorrei rivolgermi in particolare all' onorevole Riccardo Lombardi) che Wilson sia giunto a questa conclusione del blocco dei salari a cuor leggero, volendo tradire la classe operaia ? ma è la logica dei fini che ha imposto quella linea d' azione! è inutile che voi ricamiate su questo delle piacevolezze. è la logica della volontà di modificare il sistema (questo è un altro errore che voi commettete), non la logica della salvezza del sistema che ha mosso Wilson. questo è l' equivoco che c' è fra noi e voi. il sistema va modificato soltanto attraverso queste armi, altrimenti non lo modificherete mai o lo modificherete con un atto rivoluzionario e non quindi con un atto riformatore. si tratta di due concezioni diverse di intervento in un determinato sistema sociale. il problema che abbiamo davanti è questo, onorevole ministro. se dunque, per il semplice problema di uno squilibrio della bilancia dei pagamenti , il capo di un partito operaio come Wilson, che è uomo di sinistra, checché ne diciate voi, ma è un uomo di sinistra che vede i problemi della struttura economica del suo paese nella loro realtà e vuole modificare il meccanismo dello sviluppo, sapendo come farlo diversamente da noi tutti, maggioranza ed opposizione, impreparati ad azioni di questo genere, se dunque, dicevo, il capo di un partito operaio si è deciso ad adottare una tale politica, perché non farlo noi davanti a problemi ugualmente urgenti? certo, lo squilibrio di una bilancia di pagamenti presenta aspetti immediati di drammaticità, ma, onorevoli colleghi , quando un paese ha l' alluvione che abbiamo noi, il problema della sistemazione idrogeologica che abbiamo noi, quando un paese si trascina da secoli il problema del Mezzogiorno, quando un paese ha una differenza di condizioni fra agricoltura ed industria come quella che abbiamo noi, ebbene siamo o non siamo in uno stato di emergenza? siamo in condizione di minore urgenza rispetto al signor Wilson, che deve affrontare il problema dello squilibrio della bilancia dei pagamenti , oppure no? se noi ci consideriamo in condizione di minore urgenza, devo dire che mi sono ingannato sulla politica del centrosinistra. considero questi problemi brucianti: il fatto che nel nostro paese il Mezzogiorno si trovi in una situazione di inferiorità, il fatto che noi ogni anno abbiamo nel nostro paese ricorrenti alluvioni, sono per me problemi brucianti; il fatto che abbiamo ancora in Italia milioni di disoccupati, è per me un problema bruciante. tutto ciò esige una politica di emergenza e di urgenza. il significato profondo della programmazione sta proprio in questo, nella soluzione cioè più rapida possibile di questi squilibri. non facciamo in modo che uno squilibrio della bilancia dei pagamenti sia per noi ritenuto mortale, mentre queste pesanti eredità siano cose che possiamo trascinarci dietro ancora per decenni. ecco perché io pongo sullo stesso piano le due politiche. non affermo che il signor Wilson potesse fare una politica diversa da quella che fa, ma dico che noi dobbiamo guardare alla scelta del signor Wilson con molta attenzione e che il grado di impegno che noi dobbiamo portare nei problemi deve essere adeguato all' eredità gravosa dei problemi che noi abbiamo. e questa è poi l' etica del centrosinistra. ma a questo punto in che situazione ci troviamo? il Governo sente che la maggioranza non è d' accordo sulla politica dei redditi . il mio amico onorevole Riccardo Lombardi la nega in via pregiudiziale, ma io non ho mai capito la logica di questa negazione. i sindacati (ho ascoltato i nostri amici sindacalisti) la negano; probabilmente nello stesso Governo c' è chi l' ammette e chi la nega. in queste condizioni, mi rendo conto che l' urgenza che noi sentiamo sparisca e che si seguano i mezzi tradizionali di intervento politico. però noi abbiamo il dovere di richiamare tutti alla coerenza dell' impostazione rispetto alla gravità dei problemi che sono davanti al paese. per lo meno, da questo punto di vista , la nostra coscienza sarà a posto. noi abbiamo richiamato alla coerenza sulla base di una esperienza vissuta, onorevole Pieraccini. la contraddizione della politica di centrosinistra rispetto ai fini della programmazione l' ho vissuta di persona e quindi so quali sono i punti di incoerenza. perciò è inutile che voi vi discutiate sopra con cento sofismi. ripeto: mi pare di sapere quali sono i punti di contraddizione. capisco che in questa condizione di scarsa elaborazione degli impegni, che la programmazione comporta, e di assoluta insensibilità dell' opposizione di sinistra a questa impostazione, si rimanga isolati, come noi siamo isolati. devo dire che nella relazione Barca questi problemi, sia pure circondati da molta cautela, cominciano ad apparire, cominciano ad operare. essi devono operare fino in fondo. inutile perciò che voi opponiate un rifiuto pregiudiziale alla politica dei redditi . quando voi dite che in questo modo si sopprime l' autonomia dei sindacati, devo rispondere che nella nostra impostazione non abbiamo mai detto nemmeno che le rivendicazioni si debbano adeguare all' aumento della produttività. le rivendicazioni possono essere avanzate indipendentemente o anche al di là dell' aumento della produttività. il problema non è però di stabilire un metro a priori . il problema è un altro: se cioè il sindacato, nella sua responsabilità di protagonista delle vicende economiche del nostro paese (perché di questo si tratta: non di essere alla coda, ma protagonista del processo di sviluppo ), deve guardare globalmente ai problemi. il sindacato può chiedere più dell' aumento della produttività, questo o quello, ma il punto consiste nel vedere se esso risolve il problema con una visione globale e controllando gli interessi particolari, o se invece procede con un sistema occasionale, caso per caso, che è il contrario di qualsiasi politica di programmazione. in altri termini, noi affermiamo l' autonomia piena del sindacato come grande protagonista economico, ma in un quadro di valutazione globale dei problemi. del resto, questo noi chiediamo da anni al sindacato operai, agli imprenditori, al Governo ed al Parlamento. e non credo che questa sia una impostazione irresponsabile o che non debba richiamare la vostra, attenzione. per contro, nell' alternativa che voi presentate, onorevoli colleghi dell' opposizione di sinistra, riscontriamo, a ben vedere, incoerenza o accavallamento di rivendicazioni contraddittorie. ma se l' opposizione presenta una politica incoerente, la maggioranza — mi sbaglierò non valuta la gravità della situazione e anche i pericoli delle situazioni a venire: vorrei infatti sapere come domineremo la situazione, se di qui alle elezioni si scatena il gioco degli interessi particolari. saremo costretti, onorevole Pieraccini, a sacrificare i fini del programma alla sodisfazione di bisogni contingenti. già il consuntivo del 1966 ci dà qualche delusione. ma, onorevole Pieraccini, pensa il Governo al consuntivo del 1967, alla vigilia delle elezioni? ci ha pensato? io penserei sin da adesso quale possa essere il consuntivo del 1967 rispetto ai fini della programmazione, agli impegni che abbiamo preso con il paese. l' onorevole Riccardo Lombardi a questo proposito — mi dispiace dover polemizzare con lui in sua assenza — ha financo previsto una intensificazione delle agitazioni in conseguenza del fatto che si profila una domanda aggiuntiva per le industrie a causa delle alluvioni. io rimango — lo debbo dire — sbalordito. sarò incapace di capire questa logica, ma rimango assolutamente sbalordito. cioè noi vogliamo la programmazione, ci impegniamo ad una serie di fini da realizzare, ma non ci preoccupiamo affatto dei mezzi coerenti attraverso cui questi fini possono essere realizzati, che sono grandi spostamenti di consumi o almeno sono tentativi di impedire l' espansione di certi consumi individuali. almeno questo si può ottenere. ma noi non otterremo niente di questo, se, attraverso il gioco di interessi particolari attiveremo il consumo a tutti livelli e quindi daremo all' apparato produttivo quella espansione che dovremmo, invece, contenere. cioè noi vogliamo rettificare, caro onorevole Amendola, il meccanismo di sviluppo; ma facciamo di tutto, noi della sinistra, con le nostre impostazioni, per impedire tale modificazione. facciamo, cioè, proprio quello che non dobbiamo fare. la destra fa il suo mestiere, ma noi facciamo un mestiere sbagliato. la destra dice di non voler impedire niente, tutto deve rimanere — per essa — affidato al processo spontaneo del mercato. ma anche noi finiamo per consolidare una tale situazione. e qui viene in primo piano un altro problema, di carattere generale . che cosa abbiamo detto noi prima della programmazione? abbiamo detto che c' era stato un grande sviluppo. spontaneo, con un aumento del reddito fino all' 8 per cento , e che in questo sviluppo quantitativo mancava la scelta qualitativa. è esatto: mancava la scelta qualitativa. questo è stato il punto di forza dei programmatori. cioè noi dicevamo che, attraverso lo sviluppo spontaneo, era stata aperta la strada ai consumi individuali affluenti, a qualsiasi livello, e così ci si era dimenticati di risolvere alcuni problemi di fondo del paese, come gli squilibri di cui abbiamo parlato. era una posizione ineccepibile dal punto di vista dei programmatori, dei politici del centrosinistra. devo dire che dal punto di vista puramente quantitativo, ci troviamo di fronte a fatti imponenti. quando il reddito nazionale aumenta dell' 8 per cento , anche in puri termini quantitativi, questo è un fatto importante nella vita del paese. ora qual è il rischio che noi corriamo? di sostituire al criterio puramente quantitativo una scelta puramente qualitativa. corriamo, cioè, il rischio di rovesciare il problema: prima avevamo la quantità senza la qualità; adesso rischiamo di avere la qualità senza quantità, il che è molto più pericoloso. una commisurazione puramente quantitativa regge un sistema economico , ma delle scelte qualitative non commisurate quantitativamente disgregano il sistema economico . ora aveva ragione l' onorevole Lombardi, quando osservava che l' onorevole Barca non portava il ragionamento quantitativo fino all' estremo: ma io ho il dovere di osservare che non ve lo porta nemmeno lui. l' onorevole Lombardi obiettava a voi un errore, che secondo me egli stesso commette. qualità senza quantità: e non intendo quantità come fine, perché quando voi dite che alla scuola darete tot miliardi, vi è un elemento di determinazione quantitativa nella scelta qualitativa. ma la determinazione quantitativa non è fatta solo rispetto al fine; quando si tocca un meccanismo di sviluppo attraverso un fine determinato in qualità e in quantità, si toccano tutte le altre quantità del sistema. il meccanismo di sviluppo, si determina per quantità. se volete che il meccanismo di sviluppo obbedisca a certe qualità, dovete avere la misura di tutte le quantità del sistema e adattare le quantità del sistema alla qualità che voi scegliete. e come potete sottrarre una delle componenti del sistema, che è il fattore salariale, accanto al fattore del profitto, dell' interesse, a questa misurazione quantitativa? come potete logicamente sottrarre uno dei fondamentali elementi di misurazione quantitativa del sistema a questo controllo? ecco perché il ragionamento diventa incoerente, ed ecco perché noi corriamo il rischio di rovesciare i termini della nostra politica. ripeto: prima quantità senza qualità; oggi il rischio, che vi è sempre stato nella politica di centrosinistra, della qualità senza quantità, che è rischio molto più grave. e quando di fronte alla incoerenza delle nostre impostazioni il Governo si rifugia nella quantità, ci capita una cosa delle più paradossali: ad un certo punto ci siamo vantati che il reddito nazionale era aumentato del 5,3 per cento , quando abbiamo molto disdegnato l' 8 per cento . perché questo? perché, nelle contraddizioni in cui ci veniamo trovando, ci aggrappiamo al fatto che il reddito aumenta, sia pure quantitativamente. ma questa non è l' etica del centrosinistra, perché allora tanto valeva lasciarlo aumentare dell' 8 per cento in puri termini quantitativi. si salvano i liberali, perché per essi tutto deve essere spontaneo e buonanotte; il problema è risolto. ma per l' etica del centrosinistra, come per l' etica pianificatrice dell' estrema sinistra , bisogna sapere come si ottengono le scelte qualitative attraverso misurazioni quantitative, altrimenti ineluttabilmente la politica di centrosinistra finisce con il ritorno a dimensioni puramente quantitative, oppure, se insiste nelle scelte qualitative non commisurate, può combinare qualche guaio, e può disarticolare se stessa e disarticolare il meccanismo di sviluppo. ecco quindi — e ho concluso — perché la nostra attenzione, più che ai fini, va ai mezzi, alla politica dei mezzi, quindi alla politica dei trasferimenti dei poteri di acquisto, e al ponte che si deve stabilire fra un tradizionale impiego produttivo, che i gruppi tendono ad espandere secondo le loro necessità, e impieghi produttivi di ordine sociale: cioè passaggio dall' automobile o dal frigorifero alla scuola, dall' automobile o dal frigorifero al mezzo collettivo. badate che in termini di poteri di acquisto le due cose possono essere equivalenti quantitativamente, ma sono diverse dal punto di vista della nostra impostazione, perché in un determinato momento dello sviluppo, voi potete anche dare all' operaio la FIAT ma non gli date la scuola: non gli potete dare contemporaneamente la « 600 » e la scuola. il problema è se gli dovete dare la scuola o se invece dovete continuare a dargli la « 600 » . ma questo comporta un giudizio sul potere di acquisto , non solo ai più alti livelli ma anche degli strati più popolari, questo comporta una modificazione del sistema del potere d'acquisto , e quindi del sistema dei consumi: comporta cioè che si spezzino certi andamenti dei consumi alla base. io credo che ai fini della lotta contro la disoccupazione, ai fini dell' innalzamento del tenore di vita civile del nostro paese, bisogna sacrificare l' espansione di certi consumi affluenti ad ogni livello e bisogna portare i consumi in un campo totalmente diverso. ma non commettiamo l' errore di credere che noi possiamo sommare certi tipi di consumi che, essendo consumi di massa, vogliono una sostituzione. di massa! quando l' onorevole Riccardo Lombardi dice che lo sviluppo del neocapitalismo porta a quei consumi, affermo che ciò può essere corretto. la programmazione spezza il giro della società neocapitalistica, che vuole ampliamento degli impianti e consumi individuali di benessere (frigorifero o macchina o televisore), trasferendo il potere d'acquisto delle masse da beni di consumo individuale affluenti a beni di consumo sociale (scuole, ospedali, grandi reti di comunicazioni); ma il coraggio consiste nell' affrontare il problema alla radice e non nel girarci intorno.