Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 461 - seduta del 17-05-1966
Sulla politica interna
1966 - Governo III Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 441
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , dinanzi al grave problema che dobbiamo affrontare vorrei anzitutto stabilire alcuni dati di fatto. mi sono recato all' università una sola volta nella dolorosa circostanza dei funerali del povero studente Paolo Rossi ; ed in quella circostanza, esauritasi la manifestazione, sono stato invitato a visitare tre delle facoltà occupate. ho ritenuto mio dovere farlo, per rendermi personalmente conto della situazione e per trovare conferma ad alcune preoccupazioni che già da tempo si agitavano in me. da quella visita ho tratto l' impressione che l' occupazione delle facoltà avesse rappresentato atto di estrema ribellione ad uno stato di arbitrio e di anormalità che durava nell' ateneo romano da alcuni anni. e poiché, per quanto grave, l' episodio che aveva determinato l' occupazione non era, a mio avviso, sufficiente a darci tutti gli elementi di giudizio, ho esortato i docenti e gli studenti a costruire, essi, la documentazione necessaria a darci elementi di giudizio più validi. alla facoltà di lettere la proposta è stata accettata; alla facoltà di fisica e matematica è stata addirittura votata. il neostudente o studente in ritardo onorevole Delfino si domanda che diritto avessero gli studenti della facoltà di fisica a votare. ebbene, quegli studenti, presenti in gran numero, rappresentano, fra la gioventù italiana universitaria, che io considero degna di ogni apprezzamento, coloro che si dedicano agli studi più severi e difficili. è stata proprio quella reazione immediata che mi ha dato la misura della situazione della gioventù nella università romana. si discute adesso della validità del « libro bianco » , che non ho scritto io, onorevoli colleghi del Movimento Sociale Italiano e del gruppo liberale. il « libro bianco » è stato compilato da docenti e studenti delle varie facoltà. si discute della validità di questo « libro bianco » , ma nel discuterne non si sa contrapporre nulla. semmai gli si può contrapporre la nostra assenza e la nostra incapacità di affrontare tempestivamente il problema. il libro bianco » porta la testimonianza documentata di violenze che durano almeno da dieci anni. vogliamo approfondire l' inchiesta, onorevole ministro? ella vuole approfondirla. nessuno ha mai detto che ci dobbiamo fermare al « libro bianco » . approfondiamola pure. vogliamo avere una inchiesta parlamentare ? facciamole pure. ma quello che risulta chiaro è che noi sinora non abbiamo fatto nulla e che non possiamo respingere a priori il solo sforzo serio che sia stato fatto per illuminare una situazione eccezionale. possiamo andare avanti su questo terreno dell' inchiesta, ma se andremo avanti, mi pare difficile che potremo negare la validità dei fatti documentati dal « libro bianco » . mi pare estremamente difficile, ed è questo l' aspetto che ci sfugge. quella documentazione, raccolta attraverso testimonianze dirette, stabilisce quale è stata la gravità della situazione di arbitrio e di anormalità nell' università. di questo dobbiamo discutere, e di fronte a questa documentazione, che a mio giudizio non potrà essere smentita da qualsiasi altra inchiesta che si faccia, sarà salutato con estremo favore tutto ciò che ci avvii. ad una più approfondita conoscenza dei fatti. oggi, per altro, di fronte alla documentazione del libro bianco » noi ci dobbiamo porre due domande ben precise: è ammissibile che nelle università italiane e soprattutto nell' ateneo romano si perpetuasse un clima di violenza e di arbitrio? a chi risale la responsabilità diretta di questa situazione, oltre alle responsabilità indirette di cui parlerò? con riguardo alla prima domanda, devo d' ire che, in tutti questi giorni, ho sentito spesso parlare dell' autorità dello Stato, della difesa dell' autorità dello Stato. ebbene, onorevoli colleghi , voglio essere realista. nella storia delle contingenze politiche di un paese può avvenire che le norme dello stato di diritto , le norme che regolano la convivenza civile, siano in quelle occasioni violate: può avvenire per le più diverse circostanze e condizioni di tempo e di luogo! ma ciò non deve mai avvenire nell' università: questo è il punto che deve essere marcato e sottolineato. quando le norme della civile convivenza, le cosiddette norme dello stato di diritto , non sono rispettate nella università, allora la crisi è estrema. ora, noi siamo di fronte a questa situazione: male che si giudichi la nostra democrazia, le norme dello stato di diritto sono state tutelate ovunque, ma per dieci anni non all' università di Roma. si è così rovesciato il rapporto: noi riusciamo a far rispettare le regole democratiche ovunque, e per dieci anni non siamo riusciti a farle rispettare all' interno dell' università di Roma. vedete in che strana situazione ci troviamo: dobbiamo insegnare ai giovani i valori della democrazia, della civile convivenza dello stato di diritto ; ma i giovani universitari romani, che per dieci anni hanno subìto le violenze, documentate nel « libro bianco » , che cosa debbono pensare di questo stato di diritto ? esso non è entrato nel luogo! più alto e più nobile della civiltà del paese, che è l' università. se noi leggiamo il « libro bianco » , vi troviamo la documentazione di aggressioni, bastonate, turpiloquio: ecco lo stato di diritto . e ne facciamo responsabili i giovani? facciamone responsabile il nostro indifferentismo, il nostro nullismo, il nostro scetticismo, la nostra incapacità. è questo un punto delicato della nostra vita, della nostra organizzazione democratica. a chi risalgono le responsabilità dirette oltre che indirette di questo stato di cose ? ebbene, a termini della Costituzione, l' università, ha diritto all' autogoverno, all' autonomia: essa è una comunità che si regge da sé. lo Stato ha le sue leggi, le sue norme per la civile convivenza, la Costituzione dà alla comunità universitaria il diritto di autogovernarsi. la organizzazione! di questo autogoverno è discussa: spetta a una sola autorità, il rettore, spetta al rettore e al senato accademico ? spetta al corpo accademico? spetta a un corpo più vasto? questo è l' oggetto della nostra discussione in materia di riforma dell' università. ma l' autogoverno c' è ed è affidato principalmente al rettore. — ora, che cosa ha fatto questo rettore per dieci anni? ho trovato qui molti difensori del professore Papi, ho sentito parlare del suo linciaggio morale: noi lo abbiamo linciato, è stato detto. il rettore Papi, il senato accademico avevano in consegna l' autogoverno dell' università, cioè avevano il compito di applicare le norme dello stato di diritto , della civile convivenza nell' università. l' autogoverno è una bellissima cosa, ma non rappresenta solo una serie di diritti, bensì anche una serie di doveri e di responsabilità. come lo ha esercitato il rettore Papi, personaggio che è diventato oggetto delle nostre appassionate discussioni? la nozione di autonomia e di autogoverno, accettata dallo Stato in ragione della libertà solenne che deve avere la vita universitaria, comporta che l' autorità accademica, il corpo accademico e la comunità universitaria facciano rispettare la legge e la civile convivenza per se stesse . ho sentito parlare qui di polizia, di magistratura. ma questo è ben altro problema. oserei dire che quando mettiamo in mezzo la polizia nell' università, vuol dire che la università ha degenerato, che la vita universitaria non è l' esempio della convivenza civile. quando la polizia deve intervenire, quasi tutto è stato perduto. ci appelliamo alla magistratura? il primo dovere degli organi dell' università è di fare rispettare le norme della convivenza civile con i mezzi propri dell' autogoverno. ma chi ha compiuto questo dovere? onorevoli colleghi della destra, voi parlate dell' autorità dello Stato manomessa con l' occupazione delle facoltà. ma lo Stato è stato fatto a pezzi per dieci anni, l' autorità dello stato di diritto è stata fatta a pezzi da un' autorità accademica che non ha sentito il dovere (di tutelare, fin dal primo giorno, la legge della convivenza civile nell' ateneo romano. da quel momento è cominciata la decadenza dello Stato. certo, se leggiamo il « libro bianco » , un episodio qui, un episodio là, può aversi l' impressione che si tratti di fatti isolati. ma è la catena di questi episodi isolati che crea il clima. onorevole ministro, io non ho alcuna remora a pronunciare un giudizio severo sul professore Papi. quando nell' università si determinano episodi che violano le leggi fondamentali della convivenza civile, dello stato di diritto , bisogna intervenire inflessibilmente, da qualunque parte venga il disordine. noi adesso la illegalità la facciamo partire dal momento dell' occupazione delle facoltà. è molto comodo, onorevoli colleghi , ragionare in questo modo. l' occupazione è lo sbocco finale di una situazione anormale di violazione continua delle regole dello stato di diritto . solo nel momento finale ci si accorge che bisogna riaffermare l' autorità dello Stato. di quale Stato? di uno Stato che è stato assente per dieci anni e al decimo anno si sveglia? onorevole Romanato, ma quale idea ella ha dell' autorità dello Stato? ho letto la sua lettera. la preoccupazione per l' autorità dello Stato si manifesta al momento dell' occupazione, allo scopo di difendere il rettore. ma che cosa ha fatto il rettore per dieci anni? quali valori sono stati rispettati nell' università e quali non sono stati rispettati? questo è il problema di fronte a cui ci troviamo, non quello di fare il processo per l' ultimo atto. questa maniera di tutelare l' autorità dello Stato quasi in punto di morte, mi pare, onorevole Romanato, una concezione dei nostri doveri alquanto approssimativa, epidermica, superficiale! bisogna risalire alle cause. gli studenti che hanno occupato l' ateneo, quale idea dell' autorità dello Stato hanno avuto fino ad allora? che essa consistesse nel dover prendere bastonate dai gruppi più violenti? nel non avere diritto a nessuna tutela da parte dell' autorità accademica dell' università di Roma? nel non sentire la presenza del Parlamento e del Governo? non è lecito isolare l' ultimo episodio, perché è stato il più grave e il più drammatico, e ha determinato la morte di un povero studente, per spaccare il pelo in quattro, dicendo che è stata lesa l' autorità dello Stato e che bisogna difenderla. ma che vuol dire questo ragionamento? la verità, è che su questo terreno noi dobbiamo rimproverarci molte cose, che del resto ci dobbiamo rimproverare in altri campi, e soprattutto l' incapacità di interpretare rigorosamente i nostri doveri. non si sta all' università solo per dare voti, per distribuire cattedre, per promuovere gli studenti. l' autogoverno non è stato concesso per questo! l' autogoverno è prima di tutto un fatto morale e civile. l' autorità accademica deve sapere prima come tutelare le leggi della convivenza, poi può dare voti e può pure sbagliare, può promuovere gli imbecilli e bocciare i capaci. ma il suo primo dovere è quello! ma è stato compiuto tale dovere? si rimprovera ad alcuni docenti di essersi ribellati. ma cosa dovevano fare? nel « libro bianco » c' è la testimonianza di appelli al rettore che non hanno avuto nessun risultato. cosa dovevano fare i docenti che avevano una coscienza democratica, se non solidarizzare con gli studenti, almeno nel senso di una difesa delle posizioni di democrazia? ma è finita questa situazione con l' allontanamento, con le dimissioni « drammatiche » del professor Papi? questo è uno dei tanti problemi che riguardano la nostra vita pubblica , la classe politica , i nostri doveri. la democrazia non può essere concepita come esercizio di poteri, in sede politica o in sede accademica, ma soprattutto come esercizio di responsabilità. e qui stiamo trasformando la democrazia in perenne esercizio di potere (parola che mi dà fastidio, oltre tutto). e stato attuato questo esercizio di responsabilità? in quale sede? voi sapete che cosa è una comunità, universitaria? in linea di principio , lo Stato è restio a delegare poteri. ma per l' università l' ha fatto. abbiamo consegnato l' autorità dello Stato alle autorità accademiche, abbiamo dato loro il Governo. ebbene, esercitino il Governo col rigore con cui va esercitato. governo di che? dei giovani, cioè di coloro che devono sapere che cosa è la democrazia, di quelli che devono esser convinti che non si devono prendere botte se si esprimono delle idee! mi chiedevo: ma questa situazione è cessata con le dimissioni del professor Papi? nel « libro bianco » , lungo l' arco di dieci anni, figurano alcuni nomi. non li faccio qui. lo onorevole Ingrao ha illustrato le carriere scientifiche di alcuni di questi nomi, di questi prodi. è strano che per sei-sette anni protagonisti di certi episodi di violenza siano sempre gli stessi nomi. la prima domanda è di sapere che cosa essi fanno all' università. compiono forse studi severi (ingegneria, medicina) per stare così a lungo all' università? il vecchio rettore non si è evidentemente mai rivolto questo interrogativo. i redattori del « libro bianco » ad un certo punto hanno voluto sapere. i docenti e gli studenti che hanno compilato il « libro bianco » , ad un certo punto hanno messo insieme dei nomi. si sono quindi recati dal pro-rettore per chiedere il curriculum di questi messeri, che io non so se siano di destra o di sinistra. non mi importa. sono i nomi di protagonisti di numerosi episodi di violenza. non si volevano conoscere, si badi bene, i voti riportati da costoro o particolari segreti: si voleva soltanto sapere se Tizio o Gaio fossero universitari. mi rendo conto, onorevole ministro, che in certi casi si possa porre il problema del segreto d' ufficio. ma nel caso specifico si trattava, ripeto, di sapere se un certo individuo fosse o meno studente, fosse o meno fuori corso , a quale facoltà appartenesse. ebbene, onorevoli colleghi , sapete quale è stata la risposta del pro-rettore? che egli non poteva dare queste informazioni perché non era a ciò autorizzato. aggiungeva, il prorettore, che se la richiesta fosse stata fatta da parlamentari egli avrebbe potuto dare le informazioni richieste. da parte di un docente mi venne formulata la richiesta in tal senso. ho osservato che non avevo alcun titolo per fare la richiesta. ma mi sembrava, nello stesso tempo, inconcepibile che dopo dieci anni di carenza all' interno dell' università e nei confronti di individui attualmente denunciati o imputati, i professori non riescano ad ottenere dal prorettore alcuna informazione. ho scritto perciò una lettera all' onorevole Gui....... per fare conoscere questa strana situazione. il prorettore forse credeva che io non conoscessi certe norme fondamentali di condotta in base alle quali il parlamentare non è autorizzato a chiedere informazioni del genere richiesto. però evidentemente il prorettore non sa come ci si debba comportare in certe circostanze. intanto, a dimostrazione di una notevole distorsione della situazione, è già di per sé un segno eloquente trovarsi alle prese con il prorettore. ma poi, come è possibile negare ad una organizzazione universitaria informazioni di questo genere? come è possibile che il ministro risponda trattarsi di segreto d' ufficio? e difatti ho comunicato ai professori interessati, dopo la lettera del ministro Gui, di chiedere al prorettore quelle informazioni. e quando saranno note, ne vedremo delle belle. sapremo che razza di studiosi siano questi messeri. altro che segreto d' ufficio! ma come? ricevo una bastonata e se voglio sapere chi me l' ha data, mi si risponde che si tratta di un segreto d' ufficio! e nemmeno posso sapere se a darmela è stato uno studente universitario oppure un estraneo all' università! questo è stato, onorevoli colleghi , il regime tollerato dal professor Papi. e veniamo alla polizia. quando le autorità accademiche sono costrette a chiamare la polizia, siamo già all' irreparabile. è la dimostrazione che l' autogoverno affidato alle autorità accademiche non ha alcun modo di svolgersi in modo corretto. cosa è stato fatto per prevenire una tale situazione? quali congegni sono stati messi in moto, quali indagini preventive sono state svolte per garantire gli studenti all' interno dell' università? ad un certo punto le sorti del nostro mondo universitario sono affidate alla polizia. rendo omaggio, onorevole ministro Taviani, ai meriti della polizia, ma non avrei voluto che essa fosse stata disturbata. se fossi stato il rettore, mi sarei sentito umiliato nel doverla chiamare, perché ciò avrebbe significato il fallimento del vero compito del rettore di una grande università. può avvenire, e di fatto è avvenuto, che si debba chiamare la polizia, perché, a furia di violenze parziali, siamo arrivati al morto e all' occupazione dell' ateneo. e la polizia, una volta chiamata, deve fare il proprio dovere. ma non vorrei che, come conseguenza di questa nostra discussione, la polizia diventasse la garanzia permanente della convivenza civile nell' università italiana. è un assurdo garantire la libertà nelle università attraverso la permanenza dei poliziotti! forse alcuni colleghi sono sodisfatti che si sia giunti a questo traguardo, ma io non la penso come loro. né posso concordare con quanti sono sodisfatti allorché si ricorre alla magistratura. indubbiamente la magistratura ha il suo compito e deve risolvere i problemi che ad essa si pongono, ma è soprattutto il corpo accademico che, nel rispetto della legge e degli statuti, deve assicurare la convivenza civile nelle università, non la magistratura, né la polizia. gli statuti universitari prevedono del resto varie sanzioni disciplinari, dall' espulsione alla sospensione. quando mai queste sanzioni sono state applicate? e a che cosa servono se non vengono mai applicate? che valore ha questo autogoverno, se esso è incapace di autogovernarsi? è vero che qualche volta ho l' impressione che la nostra democrazia sia, come tante altre cose nel nostro paese, un poco raffazzonata; ma almeno, come cittadini, possiamo contare su alcune fondamentali garanzie. la verità è, onorevole presidente della Camera, che in un certo senso l' ordinamento universitario è come l' ordinamento della Camera. se il nostro presidente dovesse chiamare la polizia per garantire l' ordine del Parlamento, staremmo freschi: staremmo freschi se il linguaggio dell' onorevole Delfino dovesse far testo. è chiaro che il presidente garantisce in quest' Aula la convivenza. altrettanto dovrebbe avvenire nell' ambito universitario ad opera delle autorità accademiche. e del resto vi è un collegamento fra l' una e l' altra forma di autogoverno, perché il Parlamento è la espressione più alta della vita democratica di un paese, la quale si esprime però anche su altri piani, e soprattutto su quelli delle autonomie locali e delle autonomie universitarie. il giorno in cui il presidente della Camera chiamasse la polizia saremmo ad un punto estremo. credo che nella storia del Parlamento italiano ciò sia avvenuto pochissime volte: lo stesso deve avvenire nell' università. come potremmo porre diversamente il problema? perché dovremmo puntare sulla polizia invece che sull' autogoverno? se si chiama la polizia, vuol dire che questo autogoverno non funziona, che è concepito in maniera aberrante, che manca il senso della responsabilità dell' autogoverno e che giocano invece interessi e posizioni pregiudiziali di altro ordine. e questa constatazione rappresenta la condanna vera della situazione dell' ateneo romano e di altre università in cui sono accaduti fatti analoghi. sono queste le preoccupazioni che ci assillano nel momento in cui un poco da tutti si parla di riforma dell' università. nessuno più di noi repubblicani è consapevole che bisogna procedere sollecitamente alla riforma dell' università (e per questo mi sono rallegrato quando ho sentito l' onorevole Rosati fare, a nome della Democrazia Cristiana , il discorso che questo pomeriggio abbiamo tutti ascoltato). quando passeremo, nella sede specifica, ad elaborare la riforma dell' università, i punti che sono andato esponendo dovranno essere tenuti ben presenti. prima di affrontare tale aspetto della questione, dobbiamo però pensare ai termini essenziali del problema. prima di riformare dobbiamo sapere che, nella situazione dell' ateneo romano, vi sono elementi che sono al di qua della vita democratica , direi al di qua della Costituzione. occorre dunque riformare, ma riformare dopo aver mutato un clima, dopo aver ripristinato un costume. quello che mi preoccupa è lo stato d'animo degli studenti e dei professori che hanno il desiderio e la volontà di vedere la vita universitaria svolgersi democraticamente. come giudicherà la gioventù le conclusioni alle quali noi perverremo? riusciremo ad assicurare il risanamento della situazione dell' ateneo romano e di altri atenei (pochi, per fortuna) che si trovano nelle stesse condizioni? quali sono, in attesa della riforma, le misure immediate da adottare per ripristinare le condizioni fondamentali di una convivenza civile? potrei fare un lungo discorso sulle idee che i repubblicani hanno in materia di democratizzazione nella vita universitaria; potrei prendere atto delle dichiarazioni fatte dallo onorevole Rosati a nome della Democrazia Cristiana e di quelle del partito comunista e del partito socialista ; vi è già una anticipazione di temi e una volontà di rinnovamento che ci fa grande piacere. è vero, una vecchia esperienza mi dice: tra le parole e i fatti molta acqua passa sotto i ponti. quando da questa sede così solenne e da questa discussione così piena e drammatica, passiamo alla fatica delle Commissioni, degli articoli, degli emendamenti, probabilmente i grandi principi troveranno un ridimensionamento nella realtà delle posizioni politiche dei vari partiti. prendo atto però oggi, con estrema sodisfazione, della volontà comune di rinnovare le università. e nel frattempo? dopo le mozioni di questa sera, gli studenti dell' ateneo romano devono tornare tranquilli all' università. sento parlare — non sarà vero, ma è giusto che lo si dica — di professori che vogliono punire gli studenti o gli assistenti che hanno occupato l' università, con i mezzi a loro disposizione. ci sono gli esami! sembrano forse preoccupati alcuni professori di rivedere la situazione che è stata creata attraverso dieci anni di arbitri nelle università? no, essi prendono in considerazione soltanto l' occupazione delle facoltà. se i poveri studenti, che hanno ricevuto bastonate e per farci avvertirei loro problemi hanno dovuto occupare (e sono passati attraverso un morto) l' università, devono tornare in questo clima di intimidazione, a che cosa è servita la nostra discussione, onorevole ministro? ella è in grado di garantirci che tutto ciò cesserà? e attraverso quali strumenti? nella nostra interpellanza abbiamo fatto alcune proposte concrete. possiamo dare atto — non è il caso del professor Papi — che il rettore non si può personalmente impegnare nell' istruttoria di tutti i casi in cui si esercita violenza e intimidazione e quindi si viola le norme dello stato di diritto e si attenta alla autorità dello Stato. mi rendo conto che i rettori hanno molte cose da fare. ma quale è lo strumento attraverso cui si possono colpire inflessibilmente nelle università coloro che da oggi. in poi opereranno violenze? secondo l' onorevole collega per assicurare lo stato di diritto bisogna addirittura mandare gli studenti in galera. onorevole collega, ho già spiegato che l' università è in una situazione degenerativa e che l' autogoverno è un' altra cosa. ella non capisce, e io non ci posso far nulla. onorevole ministro, colleghi della maggioranza e dell' opposizione, a me interessa sapere se da domani nell' ateneo romano si stabilirà sì o no un clima di convivenza civile degno di uno stato di diritto . non vorrei essere uccello di malaugurio, ma supponiamo, per dannata ipotesi, che fra quindici giorni, spentasi l' eco di questa discussione, in virtù della quale tutti stanno fermi (e abbiamo capito perché si sta fermi), avvenga un episodio di violenza. oggi noi dobbiamo richiamare alle loro responsabilità le autorità accademiche, le quali, per dieci anni, non hanno operato. ma, da oggi in poi, vi è anche una responsabilità del Governo e del Parlamento. dovremmo dire che questa responsabilità c' era anche prima, ma ora è clamorosamente sulle nostre spalle. di fronte all' opinione pubblica rispondiamo (noi direttamente della situazione che si creerà nell' ateneo romano. dicevo che noi repubblicani abbiamo fatto alcune proposte. non sono uno specialista di dottrina universitaria; faccio tante cose, ma ancora non sono arrivato a questo grado di eclettismo. quello che mi interessa è se, da domani in poi, saremo in grado di garantire un certo clima nelle università, oppure dovremo sentire dai nostri figli, dai nostri nipoti, che essi sono ancora soggetti a intimidazioni, a sopraffazioni, a violenze, a minacce, a bastonature, che debbono ascoltare il turpiloquio contro gli ebrei, contro le donne, le studentesse, indicativi del valore di nuova civiltà che sorregge certe forze politiche . mi pare di aver dimostrato che il regolamento universitario, lo statuto e le leggi, sono stati violati nell' università. noi desideriamo che vengano applicate le norme esistenti, che sono state violate. io non chiedo, onorevole ministro, attraverso quali vie. ella è molto esperto e può dircelo. ho fatto soltanto una domanda: quali garanzie diamo ai giovani perché da oggi in poi si stabilisca, nell' università di Roma, un clima di convivenza civile? l' onorevole Ermini ha dimostrato che, applicando gli statuti e la legge, attraverso l' autogoverno, il rettore e il corpo accademico possono decretare la sanzione dell' espulsione dall' università, che è una sanzione molto grave. ella si unisce ai colleghi di destra nel non capire niente: non ha capito niente! bisogna operare contro le situazioni che portano come conseguenza all' occupazione dell' università. questo è lo stato di diritto ! mi scuso per non essermi fatto capire. mi sono sforzato di chiarire il concetto che l' occupazione è il risultato di una situazione di arbitrio, di carenza di autorità e di autogoverno nell' università. è una conseguenza, non una causa. lo avrò spiegato male, ma questo è il problema che ho cercato di chiarire e mi dispiace che il collega Riccio non mi abbia seguito. ella, onorevole Riccio, si trova, come lo onorevole Romanato, in una posizione curiosa. l' autorità dello Stato non si ricostruisce in un momento x, nel quale fra l' altro è già compromessa; si deve difendere minuto per minuto e, direi, quanto più siamo all' inizio di un processo degenerativo, tanto più bisogna essere fermi nell' intervento. quando io ero all' università e saliva il fascismo, noi soffrivamo di quel clima (ma era un clima generale del paese). oggi assistiamo all' assurdo che non c' è questo clima nel paese, mentre lo si trova all' università di Roma. noi abbiamo indicato un mezzo per andare incontro all' obiezione di quelli che dicono che il rettore e il senato accademico hanno tanti compiti e non possono pensare ad altro. noi abbiamo suggerito che si costituisca un comitato di professori e di studenti che abbia non i poteri, ma la delega dei poteri istruttori, affinché ogni studente che si senta vittima di violazioni consumate in danno dei suoi diritti possa rivolgersi a qualcuno ed avere udienza. non si deve ripetere quel che si legge nel « libro bianco » , vale a dire, che uno studente si rivolge al rettore e non ha risposta. non deve accadere più questo, onorevoli colleghi . noi abbiamo indicato un mezzo per ovviare a questi inconvenienti: un comitato istruttorio. se i rettori hanno molto da fare perché sono magnifici, se il senato accademico ha molto da fare perché è senato, si faccia un piccolo corpo di studenti e professori al quale chiunque dell' università possa rivolgersi per dire che (giusto o sbagliato si vedrà dopo) sono stati violati i suoi diritti. si faccia poi l' istruttoria e si propongano sanzioni. ella, onorevole Ermini, ha detto poco fa a me che si possono applicare severe — sanzioni: l' autogoverno non è un autogoverno se non ha sanzioni. non esiste alcun autogoverno che non sia suffragato da una serie di norme disciplinari, di sanzioni severe per cui lo studente che le violi deve, intanto, uscire dall' università. lo studente che viola l' e norme della convivenza deve uscire dall' università! poi si vedrà nella guardina della polizia, si vedrà davanti al giudice istruttore se vi sono altre responsabilità. ma intanto tale sanzione deve essere applicata, onorevole ministro! ecco, io chiedo agli onorevoli colleghi in che cosa consista l' autorità dello Stato. io la interpreto in questo modo. noi abbiamo proposto ancora un mezzo, e cioè che notizie fondamentali sullo status di studente di un Tizio che opera nell' università debbono essere conosciute. e ciò perché, il giorno in cui ricevo una bastonata, debbo sapere da chi l' ho ricevuta, se da un mio collega o da un estraneo. secondo i colleghi della destra, deve trattarsi di una bastonata clandestina, anonima, senza nome e cognome! è troppo facile per noi anticipare i temi della riforma universitaria , onorevoli colleghi . rispetto a questo punto fondamentale della nostra discussione, è troppo facile a noi proiettarci nell' avvenire della legge. ma la nostra ansia si volge al fatto se, alla fine di questa discussione, si stabilirà nell' università di Roma una situazione che spezzi la catena degli arbitri e della violenza che in questi ultimi dieci anni hanno là imperversato. a noi interessa sommamente la riforma democratica dell' università. nessuno vorrà dire che noi ci disinteressiamo di questo aspetto. ma quello che ci preme è se raggiungeremo questo punto, che è fondamentale. le ripeto, onorevole ministro, che se domani dovesse ancora accadere un episodio del genere di quelli finora lamentati; se degli studenti dovessero venire da me e dirmi che hanno subìto una intimidazione ed io dovessi convincermi della veridicità della loro affermazione, allora dovrei ammettere che non abbiamo proprio concluso nulla. dovrei ammettere che le nostre discussioni sono come l' acqua fresca; che anche in questo caso tutto si sarebbe svolto come in tante altre circostanze, come quando discutiamo di scandali o di altre cose simili: che discutiamo drammaticamente per due o tre giorni e poi tutto torna come prima e coloro che hanno guai e problemi da risolvere hanno il senso che, nel campo nel quale operano, lo Stato non esiste o l' autorità dello Stato è stata manomessa o calpestata.