Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 318 - seduta del 14-05-1965
1965 - Governo III Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 325
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , in questo dibattito grave ed estremamente impegnato il discorso più netto, drastico e deciso mi è apparso quello, di apertura, del collega Vecchietti. in sostanza, dalle attuali, complesse vicende della vita internazionale egli ha tratto conseguenze radicali, sostenendo come da esse risulti che da una parte stanno la reazione, la conservazione, gli ostacoli maggiori all' autodecisione dei popoli, dall' altra stanno le tendenze liberalizzatrici e democratiche. uno di questi due blocchi , insomma, quello che si è organizzato intorno agli USA, tenderebbe a conservare lo status quo della vita internazionale e ad opprimere i fattori dinamici che caratterizzano la storia dei popoli e quindi la storia del mondo. in questa situazione — secondo il collega Vecchietti — la coesistenza pacifica , se non è finita, è in grave pericolo; e noi possiamo essere alla vigilia di una nuova fase di guerra fredda , rispetto alla quale bisogna prendere immediata, inequivocabile posizione. ed egli ha chiamato tutti noi a scegliere, come se fosse giunto il momento di schierarsi in una forza di combattimento a fronti contrapposti. ora mi domando se la situazione, reale sia veramente tale, se da essa si debbano trarre così gravi e drammatiche conclusioni. e osservo che, per avere un giudizio un po' più obiettivo su questa vicenda internazionale, non ci possiamo riferire soltanto a singoli episodi, pur gravi e complessi che siano. dobbiamo piuttosto guardare a ciò che è successo nelle nazioni a partire dalla fine della guerra e dalla costituzione dei due blocchi ; e alle crisi che hanno caratterizzato questo lungo tempo, e che hanno sempre avuto riflessi in questa Assemblea. non nego che certe situazioni, per chi crede all' autodecisione dei popoli, al loro diritto alla libertà, per chi si ispira — come noi repubblicani ci ispiriamo — a colui che è stato forse il più alto banditore dell' autodecisione dei popoli, a Giuseppe Mazzini; non nego che tali situazioni della vita internazionale abbiano creato e creino dubbi, perplessità, incertezze, casi di coscienza. ma tali dubbi, perplessità, casi di coscienza non sono stati soltanto che una parte. si è cominciato con il blocco di Berlino, con il colpo di stato cecoslovacco. è seguita la situazione creata alla Jugoslavia, nell' ambito del sistema orientale, situazione che più dura non poteva essere. sono poi venuti il caso della Corea, quello di Suez e quello dell' Ungheria; quindi il caso di Cuba, e quelli attuali del Vietnam e di San Domingo . come casi di coscienza, come problemi che impegnano la nostra responsabilità di uomini che attendono un avvenire migliore, la storia di questo dopoguerra è ricca di ammaestramenti, per noi e per voi. e se crea casi di coscienza in noi (ed è inutile negarlo), quanti ne crea in voi, anche se noi li manifestiamo e qualche volta voi probabilmente riuscite a non manifestarli esternamente, pur sentendoli ugualmente! la verità è che in questo dopoguerra la coesistenza tra i due blocchi — che è insieme una causa di pace e una garanzia di sicurezza, e quindi di equilibrio di potenza — ha posto innumerevoli problemi. tutti i popoli, piccoli o grandi che siano, sentono il peso e la responsabilità di appartenere ad un sistema, che ne condiziona la libertà di scelta. riconosciamolo pure, onorevoli colleghi . noi possiamo proiettarci nell' avvenire e pensare che un giorno l' autodecisione dei popoli si possa esprimere fino in fondo liberamente: nell' America Latina come nell' Oriente europeo, in Asia come in Europa, in un sistema di sicurezza e di pace. ma questa è un' aspirazione ideale, che deve essere perseguita giorno per giorno: pensare che sia invece qualcosa di immediatamente realizzabile, secondo me, è pensare in astratto, non in concreto. veramente non si è fatto, collega Vecchietti, alcun progresso? possiamo veramente dire che i rapporti tra i due blocchi hanno rappresentato il tentativo di difesa di uno status quo ? ma questi quindici anni sono la negazione dello status quo , pur nella permanenza della politica dei due blocchi ! status quo ? ma non è forse stata trovata la soluzione di casi estremamente complessi, che ci hanno fatto guadagnare la pace, che hanno aperto la via alla distensione? non è status quo il fatto che l' Algeria sia libera e indipendente, o il fatto che il Congo sia libero e indipendente, o il fatto che Cuba sia libera e indipendente; non è status quo il fatto che la Jugoslavia, nei rapporti del blocco comunista, abbia una posizione diversa da quella che aveva nel periodo staliniano; non è status quo il fatto che i rapporti fra i paesi del blocco orientale non sono quelli del periodo staliniano. non sono forse, queste, acquisizioni alla libertà umana e all' autodecisione? sempre, però, questi progressi si sono fatti con estrema ponderazione e cautela, senza commettere errori che, mettendo in forse l' equilibrio, non di potenza, ma di presenza dei vari paesi, avrebbero potuto e potrebbero portarci a soluzioni, esse sì, determinatrici di pericoli di guerra. è un errore, onorevoli colleghi , credere che un atteggiamento, anche duro, in un certo momento preservi la pace e la coesistenza meno di un atteggiamento cedevole, dall' una e dall' altra parte. potete pur citare, onorevoli colleghi dell' estrema sinistra , episodi in cui è parso che nel blocco occidentale valesse la ragione di Stato; ebbene, forse nel blocco orientale la ragione di Stato non vale? si è parlato questa mattina dell' Ungheria; ed io non ne parlo a titolo di ritorsione, ma per rilevare che la distensione e la coesistenza pacifica fra il blocco orientale e quello occidentale non si possono realizzare al prezzo di un cedimento completo. quello che vale per un mondo vale per l' altro; e noi siamo fuori strada se, attraverso un singolo episodio, crediamo di avere ragione, dimenticando che si può avere ragione e si può avere torto, ma il travaglio di questo dopoguerra è stato sempre diretto nel senso di non aggravare la tensione internazionale, oltre che per le conseguenze gravi che ne deriverebbero per l' umanità, anche nell' ambito di guadagnare qualche cosa nel campo della libertà dei popoli. questo dopoguerra, onorevole Vecchietti, non ha visto costringere la libertà e l' autodecisione dei popoli. non tutti hanno guadagnato, non tutti hanno realizzato quel grado di libertà che noi democratici auspichiamo: ma è certo che in questi quindici anni si è realizzato, nel complesso, un notevole progresso sulla via della libertà e dell' autodecisione. perché negare questo? perché, collega Vecchietti, arrivare a dire che tutto è finito, che la guerra fredda ricomincia e che dobbiamo di nuovo schierarci a fronti contrapposti? l' Italia, a mio giudizio, i democratici italiani non debbono rischierarsi affatto: debbono rimanere fedeli alle ragioni della scelta iniziale. se qui facciamo i furbi, nel senso che basti un episodio a farci cambiare scelta, spendiamo male il nostro tempo, tutti quanti. le ragioni delle scelte iniziali, della partecipazione all' uno o all' altro blocco, sono talmente radicate, talmente approfondite, che non possiamo sperare di trasformare alcuni di voi in esaltatori del sistema occidentale, così come voi non potete sperare di trasformare noi in tardivi teorizzatori o esaltatori al sistema orientale. questo mi pare un tentativo del tutto vano e illusorio. evidente che noi serviamo la causa della pace, della coesistenza, in quanto rispettiamo le ragioni iniziali della nostra scelta; ma non ne facciamo motivo per aggravare i contrasti fra i due mondi. e non è vero che noi regrediamo, in questa situazione, come in fondo non abbiamo mai regredito ogni volta che si è creata una situazione di tensione in questo o quel paese. sempre ci è stato consentito di evitare il male più grave, che è quello dello scoppio di una guerra che impegnasse le grandi potenze mondiali e quindi portasse a distruzione l' umanità. questa pare a noi repubblicani la sola maniera di affrontare oggi queste questioni, nei loro aspetti positivi e negativi. mi pare, cioè, che non dobbiamo cessare dal perseverare nella via della distensione, della pace e del rispetto del diritto di autodecisione dei popoli. ripeto: ciascuno dei due sistemi, dei responsabili dei maggiori due sistemi, hai propri problemi. come fa il collega Vecchietti a trattare gli USA come li ha trattati stamane? gli USA sono pure il paese di Washington, di Jefferson, di Lincoln, di Kennedy. tutto il mio discorso dimostra che la politica di Johnson non è un rovesciamento totale della politica di Kennedy. un paese di grandi tradizioni democratiche come gli USA, non potete rovesciarlo nelle sue aspirazioni e nella sua posizione nel mondo da un giorno all' altro. e poi il presidente Johnson è il presidente che poco tempo fa ha combattuto una grande battaglia contro la destra estrema del suo paese. collega Vecchietti, la mia risposta al suo drammatico discorso è comunque questa: ritenere che la storia di questi anni si sia rotta in questo momento, e cominci un' altra storia di tensione che ci spacchi in due, secondo me è una maniera astratta di considerare la situazione, che serve ad aggravarla, non a portare i nostri spiriti, il nostro animo a considerare la realtà dei problemi della sicurezza e della pace, per cercare di superarli con comprensione. perché vogliamo negare che, come è esistito un problema di sicurezza per l' Unione Sovietica , che in certi momenti ha sentito il peso di un pretesto o di un reale accerchiamento, esista un problema del genere anche per gli USA? perché vogliamo negare che, accanto a problemi di aspirazione alla pace, alla distensione, vi siano problemi di sicurezza per l' uno o per l' altro campo? altrimenti faremmo un discorso astratto, che può servire soltanto una causa politica nazionale, una causa di schieramento nazionale; ma — lasciatemelo dire — non serve ad avvicinarsi a quello che riteniamo il bene supremo: cioè a conseguire condizioni di coesistenza, di distensione e di pace nel mondo, che comportano sacrifici, direi, anche di principio, rispetto alla realtà della situazione. alcune aspirazioni ideali sono in tutti noi democratici; e il discorso dell' onorevole De Martino , da questo punto di vista , è stato di un' altezza morale alla quale rendo omaggio. ma alla fine del suo discorso il collega De Martino ha dovuto anche lui inserire la prospettiva di principio — che è quella del diritto di tutti i popoli alla libertà, alla indipendenza all' autodecisione — nella realtà della situazione che si è creata dopo l' ultima guerra, nella realtà della politica di equilibrio fra le grandi potenze del mondo. questa mi pare, ripeto, la sola maniera di affrontare il problema. debbo ribadire qui quello che già il collega Natta anticipava. non credo che la posizione che due paesi hanno preso in un momento delicato della politica di coesistenza abbia giovato alla causa della pace: né la posizione che la Francia gollista ha preso nel mondo occidentale, né la posizione che la Cina comunista ha preso nel mondo orientale. ho sempre sostenuto che le due massime potenze dei due blocchi , USA e Unione Sovietica , hanno ed avranno per molti anni ancora una responsabilità che bisogna rispettare, perché sono le potenze più ricche di armamenti e quindi più esposte al rischio di essere trascinate in una guerra che sarebbe mortale per tutti. queste potenze hanno la responsabilità di assicurare l' equilibrio e di rendere più articolata la vita del mondo; ma con le cautele necessarie, perché da una articolazione non vengano una disintegrazione e una confusione che possono essere determinanti fattori di guerra. ora, perché la nostra posizione è critica sia rispetto alla Francia gollista in Occidente sia rispetto alla Cina comunista in Oriente? perché le politiche di questi due paesi in un certo senso, anzi in senso molto aperto, rispecchiano una volontà di potenza, o una volontà di alternativa di potenza, rispetto all' Unione Sovietica e agli USA; e sono pertanto elementi di disintegrazione dello sforzo unitario. bisognerebbe perciò isolare e non propagandare le loro posizioni, poiché tendono ad estremizzare le situazioni, tendono a radicalizzarle: cioè, caro collega Vecchietti, operano in senso contrario a quello che le semplici parole farebbero sperare. la politica del generale De Gaulle , in quanto ispirata da esigenze nazionalistiche, da nessun punto di vista rappresenta un apporto alla coesistenza, anche quando il generale riconosce che il Vietnam o i paesi dell' America Latina hanno diritto all' autodecisione. ma e talmente strumentale e talmente disgregativa di ogni sincero sforzo questa politica, che non capisco come voi, uomini della sinistra, che vi proclamate di sinistra, possiate darle credito! quante volte, in passato, coloro che avevano una tendenza nazionalistica hanno rivendicato l' autodecisione dei popoli? ed abbiamo visto poi che cosa di sostanziale bolliva intorno a queste posizioni apparentemente liberalizzatrici credo che la Cina comunista non rappresenti un minore problema per l' Unione Sovietica , per i suoi sforzi di pace. forse rappresenta un problema maggiore, poiché il generale De Gaulle , nella politica dell' Occidente ha un peso piuttosto velleitario, anche se estremamente disturbante. la posizione della Cina comunista , rispetto alla politica che l' Unione Sovietica andava elaborando e che aveva trovato corrispondenza negli USA, può essere un elemento di notevole aggravamento della situazione internazionale. riconosciamole, queste cose! ma le riconoscete anche voi, colleghi comunisti, nel vostro intimo; sapete che cosa ha voluto dire la differenziazione delle due potenze nel mondo comunista. quei democratici che, come noi, vogliono sinceramente la pace, non hanno elevato gli « osanna » per questo dissidio nel vostro campo, così come si rammaricano del dissidio nel campo occidentale, proprio perché vedono in questi particolarismi di origine nazionalistica un elemento ulteriore di disordine della vita internazionale. e, per tornare ai casi concreti, volete che, fra noi, non destino preoccupazioni e dubbi i modi dell' intervento americano a San Domingo ? credete che non sappiamo che cosa sia l' America del Nord , con certe caste, con certi residuati di spirito militarista e reazionario? pensate che questo non ci preoccupi, pensate che non vogliamo vedere questi popoli — nell' America del Sud , come nell' Asia o nell' Africa — nascere ad una vita moderna e democratica? non saremmo democratici di vecchia tradizione se non avessimo la passione e l' impegno morale, prima che politico, per un migliore e più democratico avvenire dei popoli di questi continenti. ma evidentemente vi è una realtà che preme, una realtà costituita da un equilibrio di forze, di preoccupazioni, di paure, che evidentemente condiziona la nostra azione e la deve rendere cauta, anche se costantemente volta verso un progresso. d' altra parte, che cosa noi possiamo suggerire, amico Vecchietti, al governo italiano ? di staccarsi dall' Alleanza Atlantica ? e quale risultato potrebbe avere questo sganciarsi dell' Italia da un sistema, se non quello di aggravare la situazione internazionale, dando l' impressione di una disintegrazione, di un indebolimento dell' una o dell' altra posizione? voi ci darete atto che al banco del Governo siedono rappresentanti di forze che non hanno alcuna volontà di servire la reazione, l' oscurantismo sudamericano, il militarismo, siedono uomini che hanno sempre combattuto simili manifestazioni degeneri. ebbene, voi credete che questi uomini non sappiano che l' Italia, in un sistema come quello atlantico, deve servire la causa della democrazia nel mondo? credete che l' onorevole Moro e tutti gli altri siano un' altra cosa, siano cioè diventati i servi della reazione? la verità è che la democrazia italiana, nell' ambito del sistema occidentale, farà il suo dovere; e lo farà tanto meglio quanto più silenziosamente agirà, senza clamori, senza denunce, rispettando la sua adesione al sistema occidentale e cercando di chiarire le deficienze e gli errori che in tutti i sistemi esistono. così non ho mai chiesto, colleghi dell' estrema sinistra , che l' eventuale azione liberalizzatrice di qualche paese all' interno del blocco orientale si manifesti con disarticolati clamori; preferisco che si manifesti con il lavoro interno al sistema che ha bisogno, dopo Stalin, di fare progressi sulla via della libertà e della democrazia. non abbiamo mai chiesto violente rotture, perché queste non servono a niente. ed allora perché dovremmo chiedere al governo italiano una politica diversa, perché dovremmo chiedergli di aderire ad uno schieramento diverso, di mettersi in una posizione al di fuori della lotta tra i due blocchi ? e per fare che? per esercitare quale influenza? per farsi dire che un sistema è indebolito rispetto all' altro, cioè per prestarsi ad una speculazione politica che, ripeto, può aggravare la situazione internazionale? ma quale via è mai questa da voi indicata? credo che il governo italiano , rispettando l' ispirazione che noi tutti abbiamo, proprio perché non agisce come la Francia gollista e nazionalista serve in questo momento meglio la causa della democrazia, della pace e della coesistenza. il governo italiano non esprime elementi di nazionalismo del tutto velleitari e retorici; quegli elementi di nazionalismo che hanno portato l' Europa a due guerre mondiali , che hanno distrutto la civiltà europea in cinquant' anni . onorevoli colleghi , bisogna che gli europei facciano prova di umiltà. ma quale mai grande civiltà è morta in cinquant' anni , nella storia del mondo? la civiltà europea, invece, nel periodo fra le due guerre mondiali è andata distrutta quasi completamente e ha creato due grandi potenze, che sono gli USA e l' Unione Sovietica . questa civiltà, per i suoi errori, si va riprendendo con estrema lentezza. vedo con rammarico che, nonostante questo esempio che ci ha dato la storia della civiltà europea, con i suoi nazionalismi, con i suoi autarchismi, con le sue presunzioni, ogni venti anni ricorre quello spirito. in una Europa che ha bisogno di umiltà, il generale De Gaulle mi pare l' espressione della superbia retorica dell' ultima fase della civiltà europea. ecco perché dico: isoliamo questi fattori di disgregazione e di confusione nella vita internazionale, che è già tanto difficile nei rapporti tra i due blocchi ; cerchiamo di isolare questi fattori di disturbo, siano essi a Oriente o ad Occidente; e continuiamo — ognuno cercando di dare il proprio apporto — una politica che ci possa far superare nel miglior modo anche i casi del Vietnam e di San Domingo . non ci faccia perdere, onorevole Vecchietti, i beni della coesistenza e della distensione che finora ci siamo assicurati! del resto, non possiamo dire che dopo Kennedy sia avvenuta una tale svolta nella politica degli USA, per cui si renda necessaria la creazione di altri schieramenti. non possiamo trarre da qualcosa che, a mio giudizio, ha il sapore di una polemica di carattere internazionale, conseguenze di carattere interno. lasciamo andare i nostri piccoli guai interni, le nostre divisioni, le ragioni di orgoglio politico o elettorale di questo o di quel partito. la situazione internazionale in questi anni è stata sempre complessivamente difficile, e noi abbiamo potuto superarla con l' esercizio di una estrema pazienza; per cui non vedo perché proprio oggi, per una serie di episodi che impegnano la coscienza del mondo occidentale, dobbiamo perdere la speranza e la fiducia di superarla. ripeto, abbiamo superato casi più gravi (Corea, Algeria e Suez); abbiamo superata situazioni che parevano portarci ad un grado di tensione massima. quindi, a mio giudizio, il nostro sforzo non deve essere arrestato; e non si può chiedere al governo italiano , ed alle forze democratiche che esso rappresenta, di fare qualcosa che certo non servirebbe mai alla causa che si vuole servire. accompagniamone invece l' azione discreta, silenziosa, il peso di moderazione, il peso di esperienza, di conoscenza di che cosa sia una dittatura di privilegio, di casta o di forza militare; accompagniamo questo sforzo e non contribuiamo, impostando in diverso modo il nostro dibattito, ad aggravare una situazione che è già di per sé tanto difficile!