Ugo LA MALFA - Presidente del Consiglio Maggioranza
IV Legislatura - Assemblea n. 280 - seduta del 10-03-1965
1965 - Governo II Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 87
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , fin dall' inizio di questo processo di chiarificazione che doveva portare al rimpasto annunciato dal presidente del Consiglio , il partito e il gruppo repubblicani avevano portato la loro attenzione sulla gravità della situazione economica ed avevano ritenuto di esprimere in questo senso il loro primitivo giudizio. mi permetterò di rendere noto a questa Assemblea che, eletto il nuovo presidente della Repubblica , mi sono recato a Milano, centro della vita economica del nostro paese, dove ho avuto occasione di interrogare rappresentanti di sindacati operai, imprenditori, tecnici, proprio per farmi un' idea della situazione. di ritorno da questa visita ho avuto l' onore di chiedere udienza al presidente del Consiglio al quale, a nome dei repubblicani, ho espresso le preoccupazioni che noi nutrivamo in merito alla situazione economica e la necessità che l' esame di questa situazione avesse priorità su ogni altra questione. poiché mi pare che il rimpasto si sia chiuso dando priorità al problema economico ed accantonando problemi politici che o non erano maturi, o non avevano lo stesso carattere di urgenza, mi esimerò da un esame specificamente politico della situazione. d' altra parte, circa la situazione politica, osservo che non sono state prospettate qui alternative alla formula di centrosinistra. ho ascoltato ieri con molta attenzione il discorso dell' onorevole Longo, rappresentante del maggior partito di opposizione. l' onorevole Longo ha esposto le idee, in ogni campo, dalla politica estera alla politica economica , del gruppo parlamentare comunista e del partito, ma non mi pare che abbia espresso una posizione di alternativa. l' onorevole Longo, in certo senso, parla di una nuova maggioranza, nel senso di un allargamento della maggioranza attuale. se, per ipotesi, noi vedessimo profilarsi la possibilità di realizzazione di questa nuova maggioranza, assisteremmo ad una lunga e faticosa discussione, non più fra quattro, ma fra cinque partiti, nella quale le idee; programmatiche del partito comunista non si presenterebbero, evidentemente, come idee programmatiche di alternativa, ma come contributo ad una elaborazione programmatica di compromesso, tipica dei governi di coalizione. e si tratta del maggiore dei partiti di opposizione. ma, di recente — non so se le stesse posizioni vengano ripresentate in questa Camera con sorpresa generale, abbiamo avvertito che anche il partito liberale si pone nello, stesso atteggiamento. dopo alcuni anni di aspra opposizione al centrosinistra, mi pare che l' onorevole Malagodi abbia accennato a un possibile dialogo col partito socialista , per cui...... valutando le posizioni secondo l' arco estremo di questi allargamenti, noi continuamente apprendiamo che il partito comunista vuole colloquiare con la Democrazia Cristiana e, di recente, abbiamo appreso che il partito liberale vuole colloquiare col partito socialista . è evidente che le posizioni programmatiche di alternativa non ci sono più in questo momento, a meno che non ci si riferisca agli interventi dell' onorevole Covelli o a quelli, ancora più arditi, dei rappresentanti del Movimento Sociale Italiano . non c' è, qui, almeno per i gruppi che appartengono all' arco della dialettica democratica — e in questo intendo comprendere il PSIUP — non c' è una presentazione vera e propria di alternative, ma viene espressa, in questo momento, la semplice richiesta di un allargamento della maggioranza di centrosinistra, vuoi verso sinistra o vuoi verso destra. se non fosse così, mi farebbe piacere; mi farebbe piacere cioè che, finalmente, vi fosse un gruppo capace di presentare le proprie idee programmatiche come vera e propria alternativa. da questo punto di vista è chiaro che le posizioni dell' opposizione; perdono un poco d' importanza, appunto perché non sono fondiate su vere e proprie alternative, ma su posizioni critiche strumentali, in vista di possibili o impossibili allargamenti di maggioranze. è, questa, una delle ragioni che mi convincono maggiormente a ritornare al problema economico. al di fuori, infatti, di questa tendenza agli allargamenti di schieramenti, è chiaro che quel che possiamo fare, con utilità di tutti, è centrare il nostro esame soprattutto: sul problema economico, sul quale fondamentalmente ruota tutta l' esperienza di centrosinistra. in effetti, sulla questione del Vicario, sulla questione della scuola si possono avere concomitanze e parallelismi più diversi, che caratterizzano in modo assai diverso gli schieramenti. ma la formula di centrosinistra si è caratterizzata e non può che essere giudicata sul terreno dei problemi economici. venendo, quindi, a questi ultimi, considerati sia nei loro aspetti congiunturali, sia nei loro aspetti strutturali o programmatici, ribadisco che la mia posizione al riguardo non è nuova; risale proprio alla costituzione del primo Governo di centrosinistra, nel quale ebbi l' onore e l' onere di essere ministro del Bilancio . fin dai primi passi di quel Governo, mi preoccupai del concorso di tutte le forze che volevano il centrosinistra alla costruzione della politica del centrosinistra stesso. questo, ribadisco, onorevoli colleghi , perché non sembri, qualunque sia il successo o l' insuccesso della mia posizione, che questa sia venuta fuori nei tempi di magra e non nei tempi dell' ottimismo. no, è stata sempre una mia posizione, che ha registrato molti insuccessi, ma ha avuto il triste pregio di essere iniziale. mi permettano i colleghi di ricordare qui qualche parola che io dissi alla direzione del mio partito poche settimane dopo la costituzione del Governo Fanfani. in una esposizione che io feci, appunto, il 26 marzo 1962, osservavo che « se il principio della programmazione deve avere valore per tutti, si tratti di attività pubblica o di attività privata, esso lo deve avere in primo luogo e per ragioni ovvie di coerenza e di serietà per l' attività pubblica, si esprima questa attraverso l' azione del Parlamento, del Governo, degli enti locali e parastatali, dei sindacati. le forze sindacali ideologicamente legate al principio della non programmazione possono contrastare quest' obbligo morale prima che politico; la stessa via non possono, da oggi in poi, seguire le forze politiche e sindacali che hanno voluto la programmazione e che, per averla voluta, ne hanno implicitamente accettato tutte le conseguenze, di qualunque carattere esse siano. il problema che così si pone è un problema di metodo e di sostanza insieme. bisogna individuare i problemi più urgenti, anche se tutti i problemi fossero urgenti, applicando ad essi un principio di priorità, e solo dopo la soluzione di essi, passare ad altri problemi » . questa prima dichiarazione diede luogo a una polemica di stampa, soprattutto con L'Unità ; seguirono i vari articoli, scritti e polemiche nei quali affrontai il problema della posizione del sindacato operaio nella programmazione. l' insuccesso fu totale ed io dovetti astenermi dall' insistere, a un anno dalle elezioni, a vedere se di fatto, attraverso concrete esperienze, si potesse raggiungere un risultato utile. sono, perciò, tre anni, onorevoli colleghi , che io ho batto lo stesso chiodo, con estremo insuccesso, ma — lasciatemelo dire con qualche tenacia da parte mia. e noi in fondo finiamo tutti con il girare attorno a questo problema. osservo anche, al riguardo, che le discussioni parlamentari su tali aspetti della nostra politica economica hanno raggiunto, di recente, un livello molto alto. ricordo come una delle migliori pagine del Parlamento la discussione che, proprio su queste materie, avvenne fra i sindacalisti ed alcuni esponenti politici nel giugno dell' anno scorso , alla presentazione del bilancio semestrale. poi ce ne siamo dimenticati essendo stati presi da una infinità di altri problemi. anche di recente il Parlamento ha trattato, in due dibattiti molto importanti, tali problemi: il primo venne concluso dal ministro Medici e il secondo, che ebbe carattere più generale, dal ministro Colombo. quando si dice, onorevoli colleghi , che le trattative della maggioranza sono avvenute in luoghi segreti e che il Parlamento è stato estromesso da quelle conversazioni, si dice, almeno per quel che riguarda il problema fondamentale, che è il problema economico, una cosa falsa. il Parlamento ne ha discusso ampiamente, fornendo previamente al Governo indicazioni sia di maggioranza sia di opposizione. ma i massimi esponenti politici non si occupano di questa discussione e quindi vengono qui a disinvoltamente accusarci di aver trattato, nel segreto delle conversazioni a quattro, tali problemi. se fossero invece venuti qui con costanza, come alcuni di noi hanno fatto, seguendo la prima e la seconda discussione, nei loro discorsi politici... lo so bene, ma sono stato presente alla prima fase della discussione e, poiché ho compreso che vi aera un vuoto, ho preso l' iniziativa di presentare un' interpellanza proprio per consentire l' allargamento della discussione, alla quale hanno partecipato i colleghi liberali, comunisti e socialisti di unità proletaria. anche questa discussione è stata promossa da una vostra mozione. non vogliamo negare la funzione e l' attività dell' opposizione. non voglio negare che l' opposizione abbia anche una funzione di stimolo, tant' è vero che stiamo discutendo in questa fase su una mozione di sfiducia al Governo. però devo osservare che, sebbene la prima discussione sia stata promossa dal partito comunista , la seconda è stata provocata da un uomo della maggioranza, il quale ha appunto avvertito la necessità di un allargamento del dibattito. non è vero quindi, onorevoli colleghi , che il Parlamento non abbia discusso profondamente, almeno per quel che riguarda questo punto centrale, i temi che tenevano occupati i quattro partiti della maggioranza in altra sede. è vero, purtroppo, che alcuni massimi esponenti politici non si interessano di questi problemi che considerano di seconda categoria e tali da essere discussi da gregari. le prime donne vengono soltanto alla ribalta della discussione politica. non approvo questo modo teatrale di concepire il Parlamento. credo che la volontà del Parlamento si esprima in primo luogo sui problemi concreti che esigono una soluzione politica; quindi bisogna fare atto di umiltà e di modestia e venire qui, anche quando sono presenti alle sedute soltanto dieci deputati, ed ascoltare (perché si apprende ascoltando) le voci della maggioranza e dell' apposizione. solo quando sia stata data questa prova di pazienza e di umiltà, secondo me, si ha il diritto di sproloquiare del Parlamento e della sovranità del Parlamento, ma quando si viene solo in momenti eccezionali, non si dà prova di rispettare molto l' istituto parlamentare. onorevoli colleghi , da tre anni, dunque, giriamo intorno a questo problema dello sviluppo economico e dell' inviluppo economico (l' espressione piacerebbe di più al mio collega Goehring), giriamo intorno al tema miracolo economico e non miracolo economico attuale. abbiamo discusso molto, nelle sedute che ho ricordato, del modo come attivare la domanda, della posizione dei sindacati; ma io vorrei fare ancora un passo indietro in questa discussione e tentare una ricostruzione ancora più generale. in fondo, la cessazione del miracolo economico ci ha mostrato in piena luce l' aspetto facilone, che noi abbiamo sempre sottolineato, del miracolo economico stesso, il carattere di improvvisazione e di spinta speculativa che esso aveva avuto. la cessazione del miracolo economico ci ha mostrato che tutte le punte speculative che muovevano le preoccupazioni e le critiche degli uomini del centrosinistra sono venute meno con essa. bisogna che noi diamo rilievo a questo aspetto della situazione che è sfuggito finora ad ogni constatazione. abbiamo un poco l' abitudine, come latini, di non acquisire mai nulla. facciamo la nazionalizzazione dell' energia elettrica e ce la mettiamo dietro le spalle come se avessimo bevuto una tazza di caffè. il ridimensionamento dell' attività economica, dal punto di vista speculativo, è un fatto di grandissima importanza e, secondo me, è manifestato non solo dal tono di vita più austero del paese, in relazione anche alla crisi, ma, come punto centrale, dalla situazione in cui si trova l' edilizia, situazione che è stata abbondantemente discussa. l' edilizia è entrata in crisi per che cosa? per le sue manifestazioni che non attenevano più alle possibilità del mercato e del consumo. finalmente, dopo tre anni, tutti i grandi giornali di informazione ci dicono che nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Genova, vi è una crisi di collocamento di un certo tipo di costruzioni che non trova più acquirenti od affittuari, vi è la crisi, cioè, della cosiddetta edilizia di lusso, che rappresenta un enorme sperpero di capitali (un giornalista de La Stampa lo aveva calcolato in 3 mila miliardi); con che viene dimostrato che anche l' attività privata, lasciata al suo sviluppo spontaneo e disordinato, arriva a fare investimenti di capitali che non corrispondono più alla situazione obiettiva, del mercato e che quindi diventano investimenti improduttivi e semplici e pure perdite. la constatazione di una situazione più austera la dobbiamo fare tutti, di destra e di sinistra. è un aspetto del ridimensionamento della situazione che ci deve interessare ed è uno dei punti fondamentali che rivendicava la politica di centrosinistra. nella Nota aggiuntiva alla relazione economica annuale che ho avuto l' onore di presentare nel 1962 al Parlamento dicevo che uno degli squilibri da sanare era quello verificatosi nel campo edilizio, dove si era sviluppato un certo tipo di costruzioni che non era affatto produttivo dal punto di vista delle necessità del paese e andava sostituito con certo altro tipo, più rispondente alle necessità del paese. ora questo ridimensionamento dei profitti di speculazione e dei consumi che derivano da profitti di speculazione è avvenuto. onorevoli colleghi dell' estrema sinistra , di queste cose dobbiamo prendere atto, perché altrimenti i nostri discorsi diventano di una astrattezza tale da non consentirci, in nessun senso, l' accertamento delle situazioni reali del paese. financo nell' industria automobilistica, nonostante le oscillazioni in tale campo della politica del Governo, si è creata la coscienza di un ridimensionamento. l' eccessiva espansione dell' industria automobilistica costituiva, anch' essa, una preoccupazione degli esponenti del centrosinistra, anzi una delle massime preoccupazioni, nel senso che tale industria, portata oltre certi limiti, determinava tipi di consumo non commisurati a quello che deve essere uno sviluppo armonico di una società in via di trasformazione. si tratta, quindi, di una seconda acquisizione importante, con riflessi in mille altri campi, direi anche con riflessi di costume. il costume, infatti, di fronte alla realtà di molti problemi nell' azienda, nella vita operaia, nella situazione di grandi città, è diventato alquanto più serio. cioè tutti gli italiani constatano di aver commesso errori: Governo, sindacati, imprenditori; e tutti evidentemente, avendo fatto l' esperienza di tali errori, hanno acquistato un maggiore senso di responsabilità verso quelli che sono i reali problemi della vita collettiva, della vita e dello sviluppo nazionali. cerchiamo, dunque, di mantenere, tutti, questa acquisizione di fondo ed abbiamone la consapevolezza. è il risultato anche di una certa maniera di vedere i problemi del nostro paese. credo che neanche i nostri colleghi liberali vorrebbero un ritorno a una situazione di mercato che ci desse gli aspetti negativi del miracolo economico . essi dovrebbero volere il ritorno a una politica di sviluppo , di accrescimento del reddito, con capacità di risolvere problemi che hanno importanza molto maggiore per l' avvenire del popolo italiano , di quanto non ne abbiano avuta certe soluzioni spontanee del passato. però, onorevoli colleghi , gli anni del miracolo non hanno presentato solo queste punte, che sono le punte di una attività troppo spontanea e disordinata e non sufficientemente controllata, tanto che gli imprenditori accusano addirittura oggi i governi di allora; di non aver trovato un freno tempestivo (è un discorso, questo, che fanno anche gli imprenditori privati dell' edilizia, i quali si chiedono perché lo Stato non li abbia arrestati prima sulla scia di investimenti sbagliati). accanto a queste manifestazioni patologiche e negative del miracolo economico vi è stato un fatto fondamentale, e quale sia questo fatto fondamentale lo sappiamo tutti, onorevoli colleghi : è stato l' assorbimento di manodopera, di disoccupati e sottoccupati delle zone depresse , soprattutto delle zone del Mezzogiorno, assorbimento così rapido, quale non si era mai avuto nella storia d' Italia. questo è un aspetto del miracolo economico che dobbiamo tenere presente. quando mai abbiamo saputo, dalla storia d' Italia, che nel giro di pochi anni si potessero trarre dall' agricoltura e dalle zone depresse del Mezzogiorno milioni di lavoratori? credo di avere una certa età, sono nato in una delle zone più depresse del paese, conosco la disoccupazione come condizione di vita permanente di certe popolazioni disperate. solo al tramonto della mia vita ho potuto assistere a questo che è un miracolo, a questa speranza di una Italia che può realizzare concretamente il pieno impiego, fino al punto che il vicepresidente della Commissione per la programmazione, professor Saraceno, nelle sue previsioni (non so se le rifarebbe oggi) fissava addirittura, per il conseguimento del pieno impiego, la data del 1973. onorevoli colleghi della sinistra, so che voi portate il tormento di questa situazione della massa operaia, e della massa contadina, e penso che possiate, quindi, apprezzare il fatto che, in uno spazio di tempo che può vedere in vita anche noi più anziani, sia realizzato il miracolo del pieno impiego. ora, su che cosa era fondato questo ritmo accelerato di assorbimento del fenomeno cronico e permanente della disoccupazione e della sottoccupazione nel nostro paese? in primo luogo, sul grande elemento della liberalizzazione del mercato internazionale e sulla creazione del mercato europeo, che hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione nella maniera di essere del nostro sistema economico ; ma in secondo luogo (ed è su questo punto che vorrei soffermarmi) è stato fondato sul sistema dei nostri salari. la nostra competitività, che ci ha consentito l' espansione, non è stata fondata su una rapida trasformazione tecnologica, che è fenomeno tipico dei paesi a pieno impiego e ad alta industrializzazione, ma sul fatto che noi abbiamo potuto allargare la nostra produzione attraverso il livello dei salari, sempre con il sacrificio dei lavoratori rispetto ai traguardi massimi, con la possibilità di un meccanismo di allargamento idoneo ad assorbire quote crescenti di lavoratori disoccupati e sottoccupati. noi non abbiamo soltanto e soprattutto la capacità tecnologica come elemento competitivo per la nostra presenza sui mercati internazionali , ma anche — purtroppo — il nostro livello dei salari. bisogna che ne siamo consapevoli. i paesi che hanno vaste zone depresse di disoccupazione e sottoccupazione non concorrono, come si dice comunemente, con un grande livello tecnologico, ma con la loro manodopera. quindi il nostro processo di sviluppo ha un carattere che dobbiamo tenere ben presente per non commettere gravi errori al riguardo. ha il carattere di un grande sacrificio che ci può portare al traguardo di livelli salariali di tipo europeo, del tipo dei paesi a pieno impiego, ma come punto di arrivo e non come punto di partenza . commetteremmo, infatti, un gravissimo errore se confondessimo una posizione di partenza con una posizione di arrivo. so benissimo che nei paesi a forte depressione, a forte disoccupazione, il profitto tende ad aumentare oltre misura. nei paesi a forte disoccupazione e sottoccupazione, l' esercizio capitalistico tende a degenerare in esercizio feudale. non mi nascondo questo aspetto del problema e quindi ho sottolineato, con compiacimento, il fatto che una certa svolta economica abbia ridimensionato i profitti di speculazione. e credo che la programmazione, da questo punto di vista , possa fare ancora di più, garantendo che a fenomeni tuttora depressi della nostra economia non corrisponda un' attitudine ad un capitalismo di tipo feudale. ma combattere questo aspetto degenerativo del capitalismo non significa ignorare il meccanismo attraverso cui arriveremo al pieno impiego. ciò sarebbe un errore catastrofico del centrosinistra. naturalmente, questa maniera di vedere la trasformazione del nostro sistema economico , fondata sul livello relativamente più basso dei salari rispetto a quello dei paesi a pieno impiego, per l' assorbimento del fondo di disoccupazione e di sottoccupazione cronica, pone un problema su cui ho insistito, il problema del rapporto tra occupati e sottoccupati. e qui il collega Giorgio Amendola mi ha fatto un' osservazione acuta nel suo discorso di qualche settimana fa. egli ha osservato che, in fondo, il collega La Malfa si metteva sulla scia di Salvemini, il quale affermava che il protezionismo industriale ed operaio del nord andava a detrimento delle popolazioni disoccupate e sottoccupate del Mezzogiorno. soggiungeva, Amendola, che Gramsci aveva combattuto questa concezione salveminiana osservando che quando Salvemini si univa al liberale De Viti De Marco (che io ho conosciuto) nella battaglia liberalistica, e contrapponeva certi strati operai e contadini ad altri, finiva col fare il giuoco del capitalismo. ma, collega Amendola, vi è differenza tra la maniera con cui si poneva il problema ai tempi di Salvemini e di Gramsci ed il modo come il problema si pone oggi. ai tempi di Salvemini e di Gramsci il problema della evoluzione dei tipi di società si credeva fondato sulla diversa forma giuridica di gestione dei mezzi di produzione. sull' esempio della grande rivoluzione russa, Gramsci vedeva la trasformazione in senso democratico, nell' interesse delle classi popolari, traverso l' espansione pubblica, rivoluzionaria, dei mezzi di produzione. ma io credo che la maniera di vedere così i problemi non sia ora neanche più nella logica del partito comunista . i tempi marciano anche per il partito comunista . qual è infatti, onorevoli colleghi , il punto che unisce la posizione di Gramsci e quella di Salvemini? si impernia appunto in quella politica di sviluppo , di elaborazione recente, sconosciuta ai tempi di Gramsci e di Salvemini, che entrambe le supera. non si tratta più, cioè, di parlare di liberalismo come parlava Salvemini, ma nemmeno si tratta di ritenere, come Gramsci riteneva, che la soluzione del problema stesse solo in un rovesciamento del sistema. oggi parliamo di occupati, di disoccupati e di sottoccupati ed oggi parliamo di una grande conciliazione, di una politica di sviluppo , che conglobi tutto il problema e che non determini la contrapposizione del contadino disoccupato o dell' operaio disoccupato al contadino ed all' operaio occupati. questa è la grande scoperta che abbiamo fatto, attraverso le teorie dello sviluppo economico . e ci deve essere chiaro il modo con cui problemi del genere, in una società democratica, devono essere risolti. così, collega Amendola, con la sua osservazione ella ha aperto una pagina splendida per la nostra meditazione. nessuno più di me rispetta la memoria di Gramsci. di Salvemini e di tanti altri democratici. ma noi tanto più le rispettiamo, quanto più sappiamo interpretare l' esigenza del mondo in cui viviamo, quanto più sappiamo non riferirci pedissequamente, senza spirito critico, alle loro esperienze che, attuali nel momento in cui quegli uomini operavano, non lo sono più nel momento in cui dobbiamo operare noi. e a questo punto, onorevoli colleghi , qual è il grande problema del centrosinistra? quello di saper tagliare le punte speculative e di salvare la continuità del processo di sviluppo degli anni del miracolo. questo è il significato del passaggio da una politica disordinata ad una politica di programmazione economica! ma noi non possiamo arrestare quel processo e quel rapporto, in quanto porta all' occupazione milioni di uomini ancora disoccupati o sottoccupati. il collega Giorgio Amendola, a questo proposito, mi ha fatto anche un' altra osservazione. egli mi ha detto: ma come! con quel processo abbiamo estirpato milioni di contadini dal Mezzogiorno, portandoli alla periferia delle grandi città del nord! no, onorevole Amendola. noi tutti, nella Nota aggiuntiva già ricordata ed altrove, abbiamo sempre detto che tale processo era da condannare ed è stato all' origine della crisi del « miracolo » . si tratta di portare gli investimenti nei luoghi in cui la manodopera esiste. ma questo problema non deve far dimenticare il tipo di meccanismo che porta alla progressiva occupazione. il problema sollevato dall' onorevole Giorgio Amendola è un problema di localizzazione. ma non cambia il tipo di sviluppo e la politica che porta a quel tipo di sviluppo. sono due problemi diversi. anche qui, collega Amendola, si usano queste espressioni « monopolio » e « sviluppo monopolistico » un po' troppo acriticamente. si inventa anche un poco questo « monopolistico » e « sviluppo monopolistico » . ho detto che l' esperienza va ridimensionando certe nostre convinzioni. il passaggio alla politica di programmazione significa questo: che lo sviluppo non deve obbedire alle leggi di una economia disordinata e controllata solo dai privati, ma alle leggi delle necessità dello sviluppo collettivo. il significato della programmazione è tutto questo, ed io lo accetto. ma non dimentichiamo il meccanismo, che dobbiamo continuare a fare operare. d' altra parte, l' espansione di un paese che per metà è ancora in condizioni depresse non deriva dalla sua trasformazione tecnologica accelerata, ma dal giuoco del ridimensionamento dei profitti e da una certa particolare dinamica salariale. questa è la proposizione fondamentale che io faccio da tre anni a questa parte e bisogna in qualche modo discuterla. se insisto con tenacia da tre anni su questo concetto, bisogna che lo discutiamo a fondo, senza che mi si dica un « no » non argomentato. perché, onorevole Amendola, il vostro « no » non è argomentato! d' altra parte vorrei ricordarvi, per caratterizzare questo nostro tipo di sviluppo, che cosa sta avvenendo all' estero: per esempio, che cosa sta avvenendo in Svizzera. qual è la tendenza che sta valendo all' interno del sistema economico svizzero? le autorità e l' opinione pubblica elvetiche ritengono che una certa disponibilità di manodopera determinata dall' immigrazione ritardi la trasformazione tecnologica dell' economia del paese, per cui si cerca di diminuire l' immigrazione di manodopera (essi che, come sviluppo, sono a pieno impiego!) per accelerare l' automazione e non aver bisogno degli immigrati. ora, se fosse presente l' onorevole Foa, gli direi che la connessione tra mercato nazionale e mercato europeo, e quindi la libertà di circolazione di manodopera, serve anche a graduare il processo di trasformazione tecnologica delle economie europee più avanzate della nostra e a pieno impiego. ecco la funzione che la nostra infelice manodopera ha avuto. non solo abbiamo un serbatoio di sottoccupazione e di disoccupazione che serve, se il processo di sviluppo è bene interpretato, alla crescita della nostra economia e alla sua trasformazione; ma purtroppo abbiamo un serbatoio di disoccupazione e di sottoccupazione che serve non ad accelerare il processo di sviluppo tecnologico europeo, ma in certo senso a graduarlo. guai, onorevoli colleghi , il giorno in cui, nel sistema europeo, l' accelerazione tecnologica portasse la Germania ed altri paesi a seguire l' esempio svizzero, perché avremmo allora nell' ambito della Comunità Europea zone tecnologicamente assai sviluppate e zone di grande depressione economica; e su questa base non si potrebbe alimentare il processo unitario di sviluppo dell' intera Comunità. ecco perché il problema della programmazione da problema nazionale deve necessariamente diventare problema della comunità economica europea. qual è quindi il senso della nostra battaglia? appunto quello di consentire al centrosinistra una politica di programmazione che eviti gli investimenti errati, i profitti di speculazione e la degenerazione del sistema, ma conservi fondamentalmente il meccanismo di sviluppo che ci ha assicurato, negli anni precedenti, l' assorbimento di disoccupazione e sottoccupazione e che ci può assicurare lo stesso risultato negli anni venturi. che il professor Saraceno abbia ragione per il 1973 o non abbia ragione, dipende non solo da quello che fa il Governo, ma da quello che facciamo noi e da quello che faranno i sindacati e i partiti operai . questi sono, infatti, i depositari del processo di sviluppo che tende ad assorbire tutto il mondo del lavoro in un processo produttivo attivo e quindi a portarlo all' occupazione piena e alla trasformazione di una società depressa in società industriale. altrimenti noi rischieremmo di distruggere il meccanismo di sviluppo del processo produttivo. noi dobbiamo guardarci da questo eventuale, gravissimo errore. si tratta di problemi che impegnano responsabilità politiche e soprattutto una grande responsabilità sindacale. si tratta del meccanismo dei salari come elemento fondamentale del meccanismo di sviluppo del processo di occupazione. nelle precedenti sedute parlamentari noi abbiamo discusso di un « volano » (l' abbiamo individuato nell' edilizia) il quale facesse funzionare di nuovo il meccanismo di sviluppo e di assorbimento della disoccupazione e della sottoccupazione. io stesso ho rilevato che la crisi di un certo tipo di edilizia ci porta, se sappiamo fare, ad accentuare l' edilizia dei lavori pubblici , che era un obiettivo della programmazione e quella edilizia economica e popolare, che è la più vicina ai bisogni produttivi e sociali del paese. siamo dunque tutti d' accordo che uno dei primi elementi positivi, che possiamo cavare dalla crisi, (è di aggiustare il processo di sviluppo su uno dei punti fondamentali della nostra discussione di ieri. ma occorre naturalmente che siamo coerenti rispetto alle necessità, del problema dello sviluppo. perché, per esempio, noi potremmo incorrere in questo errore, che del resto i sindacati cominciano a rilevare: da una parte, di ritardare il meccanismo di assorbimento della disoccupazione e della sottoccupazione quale si è sviluppato negli anni scorsi; dall' altra, di avere una accentuazione tecnologica che non corrisponde alle condizioni di una società in via di trasformazione come quella nostra attuale. io richiamo l' attenzione della Camera sul problema degli oneri sociali perché noi potremmo sviluppare, se non stiamo attenti, due posizioni contraddittorie (ed io le sento rispecchiate anche da uomini della sinistra), e cioè una accelerazione tecnologica per metterci sul terreno della competitività e un ritardo nel meccanismo di allargamento dell' occupazione operaia e contadina. con questo non voglio dire che dobbiamo trascurare le trasformazioni tecnologiche necessarie, ma soltanto che dobbiamo essere in grado di individuare i settori in cui è necessario avviare tale processo di trasformazione, facendone non un problema di scelta privata, bensì di scelte che rientrano in un certo tipo di sviluppo della politica programmata nel nostro paese. occorre insomma evitare di cadere in una contraddizione in termini, che sarebbe estremamente pericolosa. fra i provvedimenti preannunziati dal Governo ve ne sono alcuni per interventi massicci nel campo dell' edilizia. noi abbiamo accettato in pieno questa impostazione. vedremo quali altre necessità saranno prospettate, sempre nell' ambito, di questo che a mio avviso è un principio selettivo fondamentale. anche dal punto di vista delle possibili trasformazioni tecnologiche, onorevoli colleghi , il problema dell' azione sindacale e della politica salariale diventa il tema centrale della nostra vita economica. e non crediate che io insista su questo punto della discussione con i sindacati perché abbia da tutelare determinati interessi (non ne ho infatti alcuno). d' altra parte per me la fabbrica è un mezzo di produzione e di occupazione, uno strumento del progresso umano: da questo punto di vista considero gli operai delle fabbriche come coloro che solidalmente col resto della classe operaia e contadina devono assicurare il pieno impiego e la piena occupazione. spero pertanto che nessuno mi vorrà considerare difensore di interessi particolaristici. ritornando alle trasformazioni tecnologiche, dichiaro di non concordare affatto con le opinioni espresse all' avvocato Galloni (esponente di quella corrente democristiana della « base » per la quale ho, come tutti sanno, viva simpatia) nel corso di un' importante riunione svoltasi recentemente a Milano. « va ribadito ancora una volta — ha detto fra l' altro l' avvocato Galloni e io leggo dal resoconto de Il Popolo — che il problema del rapporto costi-ricavi, che sta alla base della crisi economica che il paese attualmente attraversa, non può essere semplicisticamente risolto con una politica dei redditi che invochi la collaborazione delle forze del lavoro solo ai fini di una tregua salariale » . è, questo, l' ennesimo consenso che io ricevo! « la collaborazione delle forze del lavoro — ha continuato l' avvocato Galloni — è auspicabile e necessaria per affrontare il quadro più vasto dei problemi economici del paese. e allora ci si accorgerà che l' inserimento competitivo della nostra economia nel mercato internazionale, la ripresa adeguata dei consumi, pongono l' esigenza di muoversi anche in altre direzioni. l' esigenza fondamentale appare essere quella del rinnovamento tecnologico, dell' adeguamento tecnico degli impianti e dei metodi di produzione a livello dei paesi concorrenti industrialmente più progrediti. sarà evidente allora che il costo più rilevante del nostro paese non è il costo del lavoro ma quello del danaro, l' onere più gravoso non è quello delle imposte ma quello della previdenza, a cui non corrispondono adeguati servizi sociali . ecco allora la necessità di porre all' ordine del giorno di una politica di centrosinistra concretamente impegnata a risolvere i problemi del nostro paese queste due grandi riforme di struttura, quella del credito e quella previdenziale » . onorevoli colleghi , siamo ad una concezione diametralmente opposta alla mia nella considerazione del meccanismo dello sviluppo economico del nostro paese. io credo che la trasformazione tecnologica debba essere graduata alle condizioni di sviluppo dell' occupazione nel nostro paese, mentre l' avvocato Galloni la astrae e la considera come la sola politica, capace di assicurarci la competitività. onorevole presidente del Consiglio , ancora oggi, la competitività sul mercato europeo non è assicurata dai livelli tecnologici, ma dai livelli dei salari e dei profitti ridimensionati durante l' esperimento del centrosinistra, dato che le due manifestazioni concorrono. questo almeno è il tipo di sviluppo che deve caratterizzare una economia ancora a metà depressa come quella italiana. non concordo quindi affatto con l' impostazione scelta dall' onorevole Galloni, anche se il problema tecnologico può interessare certi settori bene individuati. mi fa piacere che sia stato fatto dal collega Lombardi un preciso rilievo, dato che questa è la sostanza del nostro dibattito. gli rispondo che non ho negato la necessità di uno sviluppo tecnologico, ma nego che la nostra competitività possa essere affidata al semplice sviluppo tecnologico. capisco bene che l' attrazione degli alti salari di altri paesi europei porti la massa operaia italiana, che ha infiniti bisogni, a ritenere che si possa arrivare subito a raggiungere tale meta. ma i sindacati non devono dimenticare che nei paesini in cui vi sono gli alti salari vi è il pieno impiego e vi è una grande trasformazione tecnologica in atto. ho già affermato che se certi paesi europei accelerassero lo sviluppo tecnologico, ci butterebbero sul mercato interno una tale quantità di manodopera, che non sapremmo come fare di fronte a tanta dolorante umanità. la graduazione dello sviluppo tecnologico che impegna altri paesi, è uno dei punti fondamentali dell' attività della comunità economica che deve ordinare questi diversi problemi. altrimenti rischieremmo di divenire una zona di depressione assoluta nel campo della Cee. comunque le dimensioni di questi due tipi di sviluppo, uno tecnologico e uno fondato sul sistema dei salari, devono essere studiati concretamente, poiché possiamo commettere in questo momento errori capitali. e, a questo punto, aggiungo che non soltanto non accetto l' impostazione dell' onorevole Galloni ma neppure quella dell' onorevole Scalia, che, del resto, non ho mai accettato. la contrattazione sindacale articolata presuppone anch' essa una società di pieno impiego e una differenziazione delle aziende che non può essere realizzata quando una società non si trova in quelle condizioni. mi trovo, anche da questo punto di vista , in discussione con il sindacato della Cisl e con gli altri che hanno seguito l' impostazione della contrattazione articolata, proprio perché essi hanno anticipato un tipo di attività sindacale che non corrisponde alle nostre condizioni generali di sviluppo. questo condiziona, infatti, ogni tipo di attività: non ci possiamo trasformare in un paese di piena industrializzazione, quando questo è il punto di arrivo del nostro processo di sviluppo , non il punto di partenza . è la maggioranza che sta discutendo di problemi evidentemente tutt' altro che semplici. mi scuso anzi di avere portato il problema su basi così generali, ma mi pare utile avere toccato il modo del nostro meccanismo di sviluppo. credo che per trovare una politica economica adeguata alla programmazione, il nostro problema sia di portare questa discussione a delle conclusioni. non posso accettare la risposta che la Cgil mi ha dato a questo proposito quando ha detto che la pressione salariale evita lo sviluppo tecnologico. al contrario: la pressione salariale accentua lo sviluppo tecnologico. vorrei chiedere a Lombardi, se egli può condividere quella affermazione. in tutti i paesi la pressione salariale porta allo sviluppo dell' automazione, non a rallentarla. immaginiamo cosa avverrebbe se in India lo sviluppo tecnologico si adeguasse a quello degli USA: immaginate quale deserto diventerebbe un paese che avesse la contraddizione clamorosa e drammatica tra uno sviluppo tecnologico accentuato ed una massa enorme di disoccupati e di sottoccupati. questo, ripeto, è il problema fondamentale intorno a cui tutte le nostre decisioni si devono articolare per avere una politica coerente, per aver quindi una politica che risponda non solo agli obiettivi, ma alle necessità proprie del centrosinistra. spero che una tale politica possa risultare dalle nostre discussioni.