Palmiro TOGLIATTI - Deputato Opposizione
IV Legislatura - Assemblea n. 177 - seduta del 04-08-1964
Ratifica ed esecuzione del Trattato sull'Unione europea con 17 protocolli allegati e con atto finale che contiene 33 dichiarazioni, fatto a Maastricht il 7 febbraio 1992
1964 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 79
  • Comunicazioni del governo

credo sia utile, signor presidente , credo anzi sia indispensabile, onorevoli colleghi , che anche noi, così come è stato fatto da alcuni colleghi che mi hanno preceduto in questo dibattito e ampiamente sulla stampa, brevemente ci occupiamo delle origini della crisi da cui è uscito il presente Governo, delle cause immediate e di quelle più profonde e lontane che l' hanno determinata. ciò servirà a farci comprendere meglio il processo di involuzione politica, per cui a un Governo che era fondato sull' equivoco, sulla confusione, è succeduto il Governo attuale, che ha un programma di stabilizzazione capitalistica e di conservazione sociale, riteniamo noi; un programma che in modo esplicito tende a far ricadere sulle grandi masse lavoratrici le conseguenze delle difficoltà economiche che stiamo attraversando. tutti ricordiamo il voto del 26 giugno, espresso in questa Camera per respingere quel capitolo del bilancio dello Stato che prevedeva certe assegnazioni a favore della scuola privata , e cioè confessionale. in quel voto il partito della Democrazia Cristiana si trovò completamente isolato, oltre che insidiato da un non ben identificato gruppo di franchi tiratori . non si trattava, però, di un voto di fiducia . la norma costituzionale non esigeva che desse luogo a una crisi di Governo . non possiamo però nasconderci il notevole peso politico di quella manifestazione della volontà del Parlamento, né il suo significato profondo. la Democrazia Cristiana fu isolata e battuta su un problema che ha per essa un valore « determinante » , così come è stato alla fine riconosciuto dagli attuali suoi alleati. l' opinione pubblica , poi, attribuì a quel voto una importanza che non possiamo nasconderci. anche in gruppi e ambienti politici e sociali lontani dalla nostra opposizione, le pretese della Democrazia Cristiana vennero condannate, respinte. queste pretese e il voto toccavano, infatti, uno dei problemi cui oggi sono più sensibili le masse dei cittadini: il problema della scuola, delle sue assurde deficienze, della sua palese e pesante crisi, del continuo rinvio di quelle organiche misure di riforma che sono indispensabili per superare questa crisi e quindi della incapacità dimostrata da tutta una serie di formazioni governative di compiere in questo campo la necessaria opera di rinnovamento. che si assegnassero fondi per la scuola confessionale mentre in così gravi condizioni versa la scuola di Stato, essenziale struttura di tutto il nostro ordinamento sociale, è cosa che la maggior parte dei cittadini non comprendeva e non poteva approvare. il voto parlamentare corrispose a questo orientamento. una condanna esplicita del partito dominante e una crisi aperta sul tema della scuola, del suo ordinamento, della sua origine non possono non essere considerate come un momento positivo della nostra vita politica, un segno di maturità, di comprensione di una delle esigenze di fondo per lo sviluppo della nazione. però, ripetiamo, quel voto del 25 giugno non portava in sé, costituzionalmente, l' obbligo delle dimissioni. non si può, quindi, fare a meno di pensare che il voto e probabilmente il problema stesso cui esso si riferì fossero veramente per qualcuna delle parti che si mossero in quella occasione un motivo, se non vogliamo dire un pretesto, per sollevare, trattare e risolvere, secondo un certo piano e certi propositi, questioni più ampie, che investivano in modo generale l' attività, la consistenza e la esistenza stessa della compagine governativa quadripartita, questioni che erano state ormai poste all' ordine del giorno e che non ammettevano un rinvio. da due parti, se ben ricordiamo, erano state avanzate proposte e richieste che tendevano a un controllo generale e a una revisione dell' azione del governo . da un lato si era mosso, chiedendo una verifica, il segretario del partito socialista . non spetta a noi precisare quali fossero le sue vere intenzioni. possiamo ritenere che egli tendesse a controllare in quale misura avesse avuto sodisfazione, attraverso la collaborazione governativa, quella esigenza di fare « cose grandi » , di attuare una politica di serie riforme economiche e sociali, che era stata affermata dal XXXV congresso di quel partito. le « cose grandi » , infatti, non si erano vedute, mentre si precisava la tendenza a rinviare anche quel poco di azione riformatrice che era rimasto, residuo delle « grandi cose » , nel programma governativo, da noi giudicato sin dall' inizio fondamentalmente inadeguato ed equivoco. non possiamo del resto escludere che il segretario del partito socialista fosse mosso anche dalla conoscenza degli stati d' animo di crescente sfiducia nel Governo che si manifestavano nelle masse lavoratrici di ogni tendenza. la sua richiesta appariva però nel complesso poco esplicita, priva di rivendicazioni precise, resa vana, in sostanza, dal fatto che tutti sanno che nella direzione socialista prevaleva l' opinione che il partito socialista abbia a rimanere al Governo ad ogni costo e a qualsiasi condizione. dall' altro lato, ma con ben diversa aggressività, spregiudicatezza ed efficacia immediata, si era fatta avanti la destra dello schieramento governativo, con la famigerata lettera del ministro Colombo. per quanto sino ad ora non sia stata data al Parlamento la sodisfazione di conoscere il testo di questo prezioso documento, è noto ormai che esso chiedeva venisse spostato ancora più a destra l' asse della politica economica del Governo, con il rinvio ad altri tempi delle previste riforme, chiedeva l' accettazione senza riserve della politica dei redditi , cioè d' una compressione del movimento salariale e l' adozione urgente di nuove misure atte a far ricadere sulle grandi masse dei cittadini il cosiddetto sacrificio necessario per riparare i guasti arrecati all' economia nazionale dal predominio economico e politico delle grandi concentrazioni industriali e finanziarie. se non si fossero adottate queste misure, veniva previsto e minacciato un precipitare della nostra economia, quasi una catastrofe. al centro di questo duplice movimento — da una parte i socialisti, dall' altra la destra governativa — si collocarono i vari discorsi pronunziati al Senato e alla Camera sull' indirizzo della politica economica , e in particolare quello del 12 giugno dinanzi a questa Assemblea. fu un discorso tortuoso, tormentato, caratterizzato da quel metodo, che io considero errato profondamente e anche pericoloso, che consiste nel ritenere che alternative e scelte reali su problemi di fondo possano venir eluse con un giuoco di aggettivi, di oscure circonlocuzioni, di frasi circospette. nella sostanza quel discorso accettava però le rivendicazioni della destra governativa, una politica dei redditi e la richiesta che la classe operaia si addossasse un peso particolare per agevolare la ripresa ciclica dello sviluppo capitalistico. noi affermammo allora che in quel discorso era insito un nuovo arretramento del Governo quadripartito su posizioni di ancora più rigida conservazione economica e sociale. fummo vivacemente contraddetti, in particolar modo dai compagni socialisti. oggi però sappiamo che, aperta la crisi governativa , per venti e più giorni di riunioni a porte chiuse si discusse, dai partiti chiamati a formare il nuovo Governo, particolarmente di questo e cioè dei problemi prospettati dalla lettera del ministro Colombo e delle conseguenze che da essa aveva ricavato l' onorevole presidente del Consiglio . opinione comune che queste rivendicazioni e conseguenze furono alla fine accettate pienamente. inoltre ci siamo trovati di fronte, all' inizio della crisi, ad una risoluzione della Democrazia Cristiana che in forma perentoria chiedeva una definizione della politica governativa in questa direzione, aggiungendo a ciò alcune pesanti condizioni politiche, volte a vincolare più strettamente i partiti governativi alla politica della Democrazia Cristiana con una totale solidarietà politica al centro e alla periferia. era la risposta, questa, alla verifica richiesta dai socialisti ed era una risposta che poneva a nudo il fondo della crisi, la decisa volontà della destra cristiana e governativa di imporre le proprie condizioni e l' incapacità sia del partito socialista sia degli altri partiti della sinistra di opporre a questa una efficace resistenza e una volontà opposta, al fine di offrire al paese una diversa alternativa e una prospettiva diversa. questi, onorevoli colleghi , i principali fatti cui occorre riferirsi se si vuole avere un quadro esatto delle origini della situazione presente, dei motivi per cui una formazione politica e di Governo, pomposamente predestinatasi a dominare la storia della nazione italiana per non si sa quanti decenni, è caduta così rapidamente attraverso un contrasto di tendenze che si è chiuso con la vittoria d' una corrente di destra democristiana. alcune considerazioni che allarghino il campo visuale sono però ancora necessarie. sono d' accordo con quei giornali, in particolar modo stranieri (e potrei citarne parecchi), i quali hanno osservato che il primo Governo presieduto dall' onorevole Moro è stato uno dei più impopolari di questo periodo della nostra vita politica. la destra economica industriale e agraria non aveva in esso alcuna fiducia; apertamente lo diceva e lo dimostrava. questo però non poteva bastare ad attirare al Governo la fiducia delle masse popolari , delle classi lavoratrici , del ceto medio , che non giudicano dalle parole ma dai fatti. un rapporto di fiducia con queste masse non venne mai stabilito. dall' iniziale diffidenza, perché il Governo apparve subito non rispondente alla spinta a sinistra manifestatasi il 28 aprile nel paese, si passò presto alla sfiducia aperta. gli esponenti più in vista del Governo (è un fatto che non potete negare) diffondevano coi loro discorsi un pericoloso allarme, quando dichiaravano indispensabili i sacrifici e ad essi facevano appello senza fare alcuna distinzione fra i differenti gruppi sociali . ma come si può dimenticare, signor presidente del Consiglio , che sono ormai quasi due anni che le masse popolari e i ceti medi hanno incominciato e continuano a fare, anzi a subire, i più gravi e seri sacrifici? i sacrifici sono incominciati da quando hanno preso a salire i prezzi, e gli aumenti di retribuzione, non concessi da nessuno ma conquistati con dure lotte, hanno incominciato ad essere divorati dal semplice meccanismo del sistema capitalistico. in pari tempo il pensionato si vedeva portar via quelle 2-3-5 mila lire mensili che a stento era riuscito a strappare. poi si sono avute le prime riduzioni di orario e quindi di salario, le prime chiusure di officine e di laboratori, impedite — alcune — dalle mirabili lotte di resistenza delle maestranze. si è parlato di sacrifici per tutti. mentre però veniva aumentato, per la gran massa dei cittadini, per la gente comune, il prezzo di generi che oggi sono di grande necessità per il lavoratore e per il ceto medio , veniva approvato un vergognoso provvedimento (mi si perdoni l' espressione) che sopprimeva di fatto quell' imposta cedolare che era stata presentata come un primo parziale tentativo per combattere l' evasione fiscale dei ricchi e degli speculatori. quali misure siano state prese per impedire la fuga dei capitali all' estero, per punire coloro che la organizzarono e la organizzano, non si è mai saputo. nessuno sa se il Governo s' interessasse, e con quali misure, delle vendite all' estero — per esempio — di intieri stabilimenti industriali, almeno per conoscere se non si tratti d' un nuovo sistema adottato per trasferire fuori delle frontiere capitali ingenti di cui il nostro paese ha bisogno per una ripresa dei suoi investimenti industriali e della produzione. a questo scopo si è invece rivolta l' attenzione agli ingenti fondi che consentirebbero subito l' aumento degli assegni familiari e delle pensioni con sollievo di migliaia e migliaia di poveretti. ma questi fondi appartengono ai lavoratori, ai pensionati di oggi e di domani, non allo Stato. come si può pensare di mettere le mani su di essi in questo classico regno dell' evasione fiscale della gente ricca? a farci capire l' origine vera di questi indirizzi economici, di questa logica nettamente classista e capitalista, ci è stato pubblicamente spiegato, nel corso della crisi, da un compagno socialista già membro del Governo, che la preoccupazione dominante nelle file del Governo stesso era di conquistare al di sopra di tutto la fiducia del grande padronato. è più che evidente che non poteva esservi nelle masse popolari la fiducia in un Governo simile. fatto assai strano è poi che nulla fosse fatto per realizzare almeno alcuni di quei provvedimenti che erano stati promossi all' atto della formazione del Governo e che non richiedevano, per essere realizzati, che un po' di volontà politica e democratica. parlo della riforma delle leggi di Pubblica Sicurezza , della legge per l' attuazione del referendum, dello statuto dei diritti dei lavoratori. riforme di cui si è parlato ancora una volta nelle dichiarazioni del presente Governo; ma forse sarebbe stato meglio che non se ne fosse più parlato. mi sembra infatti assai chiaro che neanche questa volta la volontà di fare tutte queste cose esista nel gruppo che attualmente dirige il Partito di maggioranza . è quindi inutile che, ripetendo di Governo in Governo queste promesse, non si faccia altro che prendere in giro le assemblee parlamentari. era inevitabile, in questa situazione, che nei più larghi strati popolari la diffidenza e la sfiducia diventassero malcontento aperto, resistenza, protesta, movimento reale di opposizione. l' ondata degli scioperi nel settore privato e nel settore pubblico ha toccato punte fra le più alte. è vano andare arzigogolando se l' opposizione politica da noi condotta con grande decisione e la resistenza espressa dal movimento sindacale fossero tra loro coordinate, secondo chissà quali piani e quali propositi misteriosi. la realtà della vita del paese, onorevoli colleghi , è una sola. la politica e l' economia si corrispondono sempre, e questa corrispondenza emerge con più grande evidenza quando vengono alla luce contrasti e problemi di fondo che investono le condizioni del lavoro e della vita di tutte le masse lavoratrici . l' ondata di sfiducia verso il precedente Governo era quindi fatta di delusione, di preoccupazione e di timore per il futuro, del timore, prima di tutto, che si continui in una politica che tenda a far cadere sui lavoratori, sul popolo, sul ceto medio tutte le conseguenze delle difficoltà economiche. questa sfiducia era però, ed è tuttora, accompagnata nelle classi lavoratrici dalla volontà di resistere, di combattere, di respingere una politica siffatta e imporre finalmente una politica diversa, di riforme sociali e di rinnovamento. il più grave errore che il partito socialista e gli altri partiti e gruppi di sinistra, laici e cattolici, abbiano commesso, è di non aver voluto tener conto di questa volontà popolare . ciò li ha disarmati, in una sterile, tortuosa disputa al vertice, di fronte all' attacco della destra governativa e non governativa. così è potuto accadere che la crisi, cui avevano dato un contributo decisivo movimenti e iniziative partiti dalla sinistra e dal paese, abbia potuto chiudersi in modo in cui si è chiusa: con una sconfitta dei socialisti e delle altre forze di sinistra e con una soluzione lamentevole, che riproduce e aggrava, secondo noi, i momenti negativi e gli errati indirizzi della precedente politica governativa, ad essi aggiungendo una nuova e potente dose di contraddizioni, di contrasti interni, di confusione. che il documento programmatico messo insieme dopo le recenti riunioni quadripartite sia un arretramento e un abbandono rispetto al precedente analogo documento del novembre 1963, è riconosciuto dai più autorevoli e informati esponenti dell' opinione politica, in Italia e fuori d' Italia. si oppone a questo giudizio soltanto una parte dei dirigenti del partito socialista . ma il segretario di questo partito, impegnatosi appena chiuse le trattative a sostenere che non vi era nulla di nuovo e nulla di diverso, è stato il giorno seguente smentito dal vicepresidente del Consiglio , anch' egli socialista, che apertamente ammetteva gli arretramenti e gli abbandoni, ma li giustificava. dovevano essere subiti — diceva — per « toccare terra » , per non perdere un determinato spazio politico . e lo spazio politico che le correnti conservatrici sono disposte a concedere ai socialisti in cambio dell' accettazione dei loro indirizzi governativi. dopo aver ascoltato l' esposizione del presidente del Consiglio , la mia opinione è però che anche questa discussione abbia perduto gran parte del suo valore. che cosa ci è stato detto? che la coalizione di centrosinistra rimane in vita allo scopo di fare molte, bellissime e degnissime cose. queste cose le abbiamo sempre sentite menzionare, anche da chi non si diceva di centrosinistra. quando però si passa al tema delle riforme da tempo preannunziate, il quadro diventa veramente desolante. per l' ordinamento regionale, con sorpresa ci siamo sentiti dire che bisogna rifare quel conto della spesa che un anno fa, dopo due anni di lavoro, ci era stato presentato nei ponderosi volumi della relazione finale della commissione Tupini. a ragione il collega Gullo faceva osservare stamane che porre questa condizione significa di fatto che non si vuole istituire l' ordinamento regionale. è evidente che continua a svolgersi quell' azione non solo ritardatrice, ma di vero insabbiamento di questa riforma, cominciata alla fine del 1962 e poi via via proseguita. non possiamo poi tacere che dalle leggi sino ad ora presentateci emerge una vera contraffazione della riforma regionale, che viene ridotta a un appesantimento della macchina burocratica, non a una liberazione dai suoi pesi attuali. per l' urbanistica sappiamo che il disegno di legge in materia, che sembra fosse già pronto, sarà riveduto e che verrà abbandonato il principio dell' esproprio generalizzato, mentre viene messa in atto una complicata casistica, che per il momento possiamo soltanto dire che renderà vano ogni tentativo di colpire davvero al cuore la speculazione edilizia. quanto alla programmazione, che avrebbe dovuto avere un suo primo atto conclusivo alla fine del trascorso semestre, dopo che già si erano fatte tutte le previste consultazioni, vi è, se non sbaglio, un rinvio da sei mesi a un anno. si prevede un nuovo ciclo di consultazioni e si afferma che il Governo non ha ancora fatto le scelte decisive circa i problemi che dalla programmazione scaturiscono e ad essa si riferiscono. di fronte a queste posizioni è possibile affermare che esse siano l' espressione della volontà politica di realizzare le riforme da tanto tempo promesse? mi sembra si debba affermare invece il contrario, soprattutto perché ben si sa che esiste nel Governo e nel partito dominante un gruppo di destra decisamente contrario a ogni azione riformatrice e capace, quando lo ritenga necessario, di far saltare in aria non solo qualsiasi progetto di riforma, ma la stessa compagine governativa. la verità, onorevoli colleghi , è che non è stata questa la sostanza delle dichiarazioni governative, che si sono tradotte invece nella presentazione di un vero e proprio programma economico di emergenza, che con le riforme non ha niente a che fare, che le elude e in pratica le rende perfino impossibili per un immediato avvenire. un programma sul quale noi esprimiamo un giudizio severo e che respingiamo, tanto per il suo contenuto e per le sue prevedibili ripercussioni immediate e lontane, quanto perché corrisponde a un apprezzamento profondamente errato delle attuali difficoltà economiche, della loro origine, del modo di affrontarle e di superarle. aumento della pressione fiscale , inevitabilmente destinato a ripercuotersi sul costo della vita ; riduzione della spesa pubblica dello Stato e degli enti locali ; politica dei redditi , cioè tentativo di compressione della dinamica salariale: questo è tutto ciò che si è saputo inventare, cioè misure molto vecchie di una stabilizzazione capitalistica dal classico stampo conservatore, unite alla nuova pretesa neocapitalistica di limitare e sopprimere la libera dialettica della lotta sindacale. questo per ciò che riguarda il contenuto delle proposte del Governo. quanto al punto di partenza e alla base di questa politica, essi sono da ricercare, noi riteniamo, nella separazione artificiosa e sbagliata che si è voluta istituire della cosiddetta difesa della congiuntura dal complesso dello sviluppo dell' economia italiana e quindi dai problemi, dai difetti, dai veri e propri vizi della struttura di questa economia. le difficoltà nessuno le nega. in particolare noi non neghiamo che si debba far fronte ad esse con misure appropriate, le quali non possono che collocarsi nell' ambito del sistema nel quale oggi viviamo. in questo sistema è normale lo sviluppo ciclico, con periodi di ascesa rapida, rallentamenti, recessioni, rotture dell' equilibrio e crisi. soltanto la sprovveduta propaganda del partito dominante si è adoperata per anni a diffondere la concezione di un progresso economico ininterrotto, con il benessere per tutti all' angolo della strada. a questa concezione noi ci sforzammo sempre di opporre una ragionevole visione della realtà, dei suoi gravi squilibri, delle sue contraddizioni drammatiche, delle pesanti conseguenze che ne derivavano per le masse popolari e della necessità, quindi, di profonde riforme. lo sviluppo economico italiano è avvenuto, negli anni del miracolo e prima di essi, nell' ambito di questa realtà di cui anzi ha accentuato parecchi dei momenti negativi. è quindi di qui che bisogna partire per giudicare le difficoltà attuali e agire allo scopo di superarle. una congiuntura sfavorevole non è la stessa cosa se si produce in un paese come gli USA o in un paese come il nostro, con le sue tuttora esistenti arretratezze, con strutture deboli, con una classe dirigente industriale e finanziaria la quale non ha ancora imparato che l' interesse generale deve prevalere sull' interesse privato e che i ricchi devono pagare le imposte prima di tutto, a seconda della loro ricchezza. il compito di un Governo animato insieme da volontà riformatrici e dal proposito di superare le difficoltà della congiuntura, consisteva quindi, prima di tutto, nel mettere a nudo il nesso tra i vizi della struttura e la congiuntura stessa, per battere contro quei vizi o almeno contro una parte di essi, e in questo modo potersi procurare gli strumenti adatti a superare le difficoltà del momento. si è invece fatto il contrario, introducendo quella artificiosa distinzione tra il momento delle strutture e quello della congiuntura, di cui già ho parlato. di qui la giustificazione dell' abbandono della politica di riforme e la capitolazione di fatto di fronte a quella classe possidente che respinge e respingerà sempre una politica di riforme delle strutture. ritengo inammissibile, persino vergognoso, che sia stata fatta circolare, sia stata accettata dal Governo e persino da suoi esponenti di sinistra, la spiegazione che le difficoltà, economiche deriverebbero tutte da un eccessivo aumento delle retribuzioni, cioè dei salari, degli stipendi, delle pensioni e quindi dalla domanda di beni di consumo popolare. ma quali sono le cause per cui a questa richiesta di beni di consumo popolare l' economia italiana non è stata in grado di corrispondere? questa è la vera domanda cui bisogna rispondere e che invece viene elusa in tutti i modi. non si può rispondere a questa domanda, infatti, se non mettendo a nudo le colpe e i vizi del nostro sistema capitalistico e delle politiche del Governo. è stato il governatore della Banca d'Italia a formulare solennemente l' atto di accusa contro l' aumento delle mercedi; da questo atto di accusa derivando l' esplicita richiesta di una sistematica compressione del movimento salariale, cioè di quella che viene chiamata la politica dei redditi . è mia opinione che il dottor Carli dovrebbe essere sollevato dalla carica che tuttora ricopre. apprezziamo certe sue qualità, di conoscitore di dottrine economiche, di tenace conservatore e propagandista delle proprie opinioni. ma con questa sua propaganda egli ha seminato non poco allarme. si è attribuito funzioni di scelte politiche che spettavano al Governo. non ha saputo tenere conto, nel modo dovuto, di tutti gli aspetti della nostra realtà e del nostro sviluppo economico . perché non invitiamo questo funzionario dello Stato a sfogliare i numerosi volumi delle grandi inchieste promosse dal nostro Parlamento sulla miseria degli italiani e sulle condizioni della nostra industria? negli anni delle « vacche grasse » , quando si registrava un ininterrotto aumento, un accrescimento del lavoro e dei profitti, mentre i salari stagnavano, perché il dottor Carli non chiese allora una « appropriata » politica dei redditi , per ristabilire un equilibrio che veniva brutalmente rotto, ai danni delle classi lavoratrici , a favore delle grandi imprese capitalistiche? e non è forse responsabile almeno in parte il governatore attuale della Banca d'Italia di quell' insana espansione speculativa alla caccia di sovrapprofitti e di rendite che è stata caratteristica degli ultimi anni del « miracolo economico » e non fu l' ultima fra le cause delle difficoltà presenti? se vi fu in questi ultimi anni una spinta salariale positiva, essa è a stento riuscita ad alleviare alcune delle più pesanti miserie dei lavoratori italiani, mentre ha corrisposto a un inizio di soluzione di alcuni problemi socialmente assai gravi, come quelli della disoccupazione e dell' accesso al lavoro delle donne e delle nuove generazioni. se fosse proprio vero che qualche passo in avanti per progredire sulla via della civiltà e del benessere popolare dovesse tradursi in una minaccia di crollo dell' attuale sistema della nostra economia, ciò potrebbe soltanto significare che di questo sistema bisogna liberarsi al più presto e nel modo più radicale. la cosa più preoccupante è che dall' errata diagnosi della causa delle difficoltà economiche sono state ricavate conseguenze sbagliate circa il modo di combatterle e superarle. si è partiti dal proposito di scoraggiare la domanda: cosa grave per un paese come il nostro, che ha sempre sofferto per la ristrettezza del mercato interno ; in pari tempo, sia con misure restrittive del credito, sia come conseguenza della riduzione della domanda, è stata scoraggiata anche l' offerta, è stato colpito cioè quello sviluppo di una piccola e media iniziativa imprenditoriale non monopolistica che fu forse il momento più interessante degli anni del « miracolo » . il pericolo è quindi che in conseguenza di un' errata linea di politica economica il nostro paese venga spinto da una congiuntura sfavorevole a una vera recessione, e infine si abbia una riduzione generale del tono, del livello della nostra economia. sappiamo che vi è chi guarda con indifferenza a questa prospettiva: sono i gruppi dominanti del grande capitale industriale finanziario. ciò che essi ad ogni costo vogliono evitare è che si apra il capitolo delle riforme economiche delle strutture; per il resto si scoraggi pure la spesa pubblica , si riducano radicalmente gli investimenti di Stato e degli enti locali , si colpisca pure la media e la piccola impresa . tutto ciò è a loro favore, potrà servire soltanto ad accrescere il loro dominio su tutta la vita economica nazionale. oggi in corso — e dobbiamo rendercene conto — un nuovo rapido processo di concentrazione capitalistica, da cui, se si lascerà fare, uscirà un' Italia lacerata da squilibri e contraddizioni anche più gravi delle precedenti e delle attuali. le cosiddette autorità internazionali che stanno a capo del mercato comune agiscono nello stesso senso: esse esprimono in questo modo con la più grande spregiudicatezza la spinta al dominio economico di tutta l' Europa occidentale da parte dei grandi monopoli tedeschi, francesi, italiani. la minaccia di una più aggressiva concorrenza americana li spinge in questa direzione. a loro non importa nulla che in questa prospettiva l' Italia possa vedersi condannata alla parte di tormentata appendice meridionale dei grandi monopoli dell' Occidente. non possiamo, però, accettare, noi rappresentanti della nazione italiana e, in particolare, noi comunisti che rappresentiamo qui la maggioranza della nostra classe operaia , questa prospettiva. si sente spesso agitare con preoccupazione la domanda di che cosa potrà costare questa o quella riforma o una politica di riforme, in generale. noi possiamo, però, sapere fin d' ora che cosa ci costerà il rinunciare a una politica di riforme e ancora una volta lasciare che vengano rese più profonde le contraddizioni economiche e sociali che sono caratteristiche dell' attuale sistema economico del nostro paese. le circonlocuzioni eufemistiche, signor presidente del Consiglio , le cautele, i giri di frase e anche le pompose asserzioni di principio che costellano alcuni punti delle sue dichiarazioni, male servono a nascondere la verità. la verità è che ci troviamo oggi di fronte a un profondo contrasto di classe, che investe tutte le prospettive della nostra vita nazionale e che occorre freddamente esaminare nelle sue componenti reali, per ricavare una politica che non sia a favore, in modo esclusivo, delle classi capitalistiche dominanti e non ci leghi per tutto un altro periodo al predominio incontrastato e all' egoismo ristretto di queste classi. quello che il Governo propone con misure fiscali ed altre, che esamineremo in particolare quando ci saranno presentate, è uno sforzo per gettare le conseguenze delle difficoltà economiche sulle spalle delle grandi masse popolari e del ceto medio produttivo, bloccando in pari tempo la dinamica delle retribuzioni cioè ogni tentativo delle classi lavoratrici di respingere da sé con le loro lotte questo peso. facile prevedere che questa cosiddetta politica di stabilizzazione servirà prima di tutto a rendere stabile e ancora più profonda la sfiducia delle masse popolari verso l' attuale formazione governativa. non si può negare alle classi lavoratrici il diritto di resistere e di combattere per respingere da sé le dure conseguenze di questa politica. non sono i lavoratori, non è il ceto medio produttivo che deve pagare per superare difficoltà e squilibri che traggono origine, essenzialmente, dal modo come è stata amministrata dalle classi dirigenti l' economia del nostro paese. si avranno, quindi, nuove tensioni, nuove agitazioni, nuove lotte che impegneranno parti sempre più grandi della popolazione; si andrà per questa via a una radicalizzazione dei contrasti economici e sociali, né sappiamo chi possa considerare con tranquillità questa prospettiva. ma è possibile una politica diversa da quella cui è arrivata l' attuale formazione cosiddetta di centrosinistra? noi affermiamo che è possibile e che l' elaborazione di un diverso indirizzo di politica è cosa urgente, che anzi ad essa dovrebbero dare il loro contributo tutte le forze democratiche che vogliano mantenere legami con le masse lavoratrici , rendendosi conto delle vere necessità della vita nazionale. assurda l' accusa, che tante volte si sente ripetere, che la classe lavoratrice , e noi comunisti in special modo, per i nostri fini di eversione, come dite voi, siamo favorevoli e possiamo considerare con indifferenza un' inflazione. l' inflazione fa prima di tutto il danno dei lavoratori e del ceto medio , e fa sempre l' interesse delle ricche classi possidenti. è assurdo che lancino questa accusa contro i lavoratori e contro di noi coloro i quali sanno benissimo che l' inflazione è il mezzo cui fa ricorso di regola il ceto industriale per liberarsi del peso dell' aumento dei salari facendo crescere il costo della vita . chi ignora che sono almeno due decenni che lo sviluppo economico in tutto il mondo capitalista viene sollecitato da una lenta ma ininterrotta inflazione monetaria con il conseguente, continuo aumento dei prezzi ? un' altra asserzione che desidero apertamente confutare è che la classe operaia e la sua parte più avanzata, le quali tendono alla conquista di un ordinamento economico profondamente diverso dall' attuale, non comprendano che possa essere necessario in certe circostanze un piano di emergenza. noi non siamo soltanto consapevoli di questo, ma siamo consapevoli anche del fatto che il grande movimento di riforma delle strutture al quale guardiamo e per il quale combattiamo si deve sviluppare in una società che è ancora capitalistica e cioè retta da determinate leggi economiche che non possono venire annullate. di questo siamo perfettamente consapevoli. ma che cosa propone il Governo attuale quando dice di volere un contatto col movimento sindacale ? propone la politica dei redditi , cioè che il sindacato rinunci in partenza alla propria autonomia e a quella della lotta salariale. per prima cosa cioè si chiede ai sindacati una abdicazione, la soppressione ai danni degli operai di quella libertà di contrattazione delle mercedi che anch' essa è e deve continuare ad essere una delle caratteristiche del sistema economico nel quale viviamo. un piano di emergenza che possa essere discusso con le classi lavoratrici deve essere veramente un piano, cioè deve prevedere un intervento dello Stato per correggere qualcuno dei più gravi vizi del sistema, e ciò non può farsi se non limitando i poteri di decisione dei gruppi dirigenti capitalistici e modificando una parte sostanziale degli indirizzi della politica governativa. queste necessità erano in parte riconosciute nel progetto di programmazione presentato dall' ex ministro Giolitti, ma appunto perciò questo progetto è stato trattato ed è finito come tutti sappiamo. noi respingiamo, come contenuto di un piano di emergenza, la classica stabilizzazione capitalistica, che può condurci a situazioni anche peggiori dell' attuale; respingiamo la politica dei redditi , che riteniamo contraria agli stessi nostri principi costituzionali; chiediamo, invece di ciò, l' introduzione di alcuni momenti di controllo da parte dello Stato sulla gestione delle grandi aziende, di direzione degli investimenti attraverso il credito, di stimolo, non di compressione, dei consumi popolari, il che richiede però una svolta negli indirizzi della politica agraria e di quella meridionalistica, una diversa selezione degli incentivi e un intervento deciso nel campo della distribuzione, per distruggere posizioni di monopolio e di rendita dannose a tutto il paese. comprendo che questi non sono che lontani accenni — e non possono essere altro che lontani accenni in un discorso di opposizione al Governo e a questo punto — di una elaborazione programmatica che dovrà essere opera collettiva di tutto il movimento democratico e popolare italiano. dopo il fallimento vero e proprio cui si è giunti oramai nel tentativo di applicare quelle proposte di riforma, il cui programma era sorto, esso pure, da un' ampia elaborazione collettiva e da una energica spinta dal basso fra il 1960 e il 1962, il punto di principio dal quale siamo convinti ed affermiamo che bisogna oggi partire è la necessità di una effettiva programmazione economica democratica. riteniamo però irrisione ridurre la programmazione a un puro esercizio di previsioni contabili. la programmazione deve partire dalla coscienza dei gravi problemi di struttura e di sviluppo che oggi incombono, dalla visione dei conflitti di classe, degli squilibri regionali, delle arretratezze, delle piaghe da sanare, e deve impegnare fin dal primo momento lo Stato, gli enti locali e tutte le organizzazioni democratiche a una azione organica di controllo, di riforma e di direzione. altrimenti non si va avanti; altrimenti non si fanno che delle frasi. ho già detto che riteniamo vi siano alcuni elementi positivi nel piano presentato dall' onorevole Giolitti come ministro del Bilancio , anche se questi momenti positivi contrastano con impostazioni che il piano accetta e che noi riteniamo debbano invece essere respinte. è da respingere il tentativo fatto dal ministro Giolitti, forse a scopo di compromesso con la destra governativa, di mantenere, pur limitandola e condizionandola, una politica dei redditi . ci lascia anche perplessi il metodo seguito in questo progetto di piano per determinare una prospettiva di sviluppo. altri punti possono dar luogo a discussioni e a contestazioni serie. positiva invece consideriamo la proposta di attribuire allo Stato una facoltà di controllo sulla gestione delle grandi imprese e poteri di intervento per orientare gli investimenti e i crediti e rendere quindi possibili sostanziali riforme di struttura, alcune delle quali nel piano vengono previste. su questi problemi noi riteniamo indispensabile che si stabilisca, attraverso la ricerca e il dibattito, pur tenendo conto delle differenze delle ideologie e delle aspirazioni politiche, una concordanza di fondo tra le forze democratiche che hanno una base nelle masse lavoratrici e che davvero vogliono agire per il rinnovamento e lo sviluppo della democrazia italiana. ci auguriamo perciò che la discussione già aperta si sviluppi e arrivi a conclusioni che possano essere comuni. sorge in questo modo il tema della comprensione reciproca e della unità, che da tante parti ci si rimprovera di mettere continuamente al centro di tutta la nostra azione. parliamone pure in modo aperto. riconosco agevolmente che la presenza di una forza comunista come la nostra in un paese capitalistico d' Occidente retto a regime democratico sia un fattore di grande imbarazzo per le classi dirigenti e per un Governo che nei fatti voglia seguire le indicazioni di queste classi dirigenti . il collega onorevole Saragat ha voluto trovare la spiegazione di questo fatto in una lacuna, ha detto, della coscienza democratica. vorrei obiettargli che in pochi paesi esiste oggi nelle masse lavoratrici e operaie una profonda coscienza e una aspirazione democratica come nel nostro. ci viene dalla lotta antifascista, dalla Resistenza, dalla vittoria nella guerra di liberazione. che vi sia una lacuna di questa coscienza nelle classi dirigenti , siamo d' accordo; ma nelle classi popolari (questo è il punto importante per noi) è oggi diffusa e matura una coscienza non soltanto democratica, ma socialista. qui stanno le insopprimibili radici della nostra forza. voi cercate di consolare voi stessi dicendo che ormai siamo isolati, che ogni prospettiva di avanzata politica ci è chiusa e così via . vorrei dirvi di non farvi troppe illusioni. sta molto bene in salute il nostro partito, oggi. mai come in questo momento ha sentito attorno a sé adesioni di massa, simpatia popolare e contatti nuovi con cittadini che ancora non ci conoscono oppure hanno creduto a tutte le fandonie contro di noi, ed oggi cominciano a pensare che siamo noi comunisti che probabilmente abbiamo ragione. questo è ciò che conta, se si vuol parlare di isolamento. il segretario del partito socialista ha detto di noi, non so con quanta cortesia e certo con ancor minore perspicacia, che noi imbottiamo la testa delle masse popolari promettendo ad ogni piè sospinto la città del sole. comprendo che un dirigente socialista possa perdere le staffe vedendo le condizioni in cui il suo partito si è ridotto per gli errori della sua direzione di destra, ma fino a questo punto non si dovrebbe scendere. noi non promettiamo città del sole, poniamo problemi, invitiamo tutti a discutere, presentiamo soluzioni il più possibile rispondenti agli interessi della nazione e delle classi lavoratrici , e per queste soluzioni chiamiamo le classi popolari e il ceto medio all' agitazione, alla lotta, all' organizzazione, al lavoro collettivo. la prova mi pare sia stata fatta ancora una volta attraverso questa crisi, che se, cedendo al ricatto anticomunista, si respinge l' appoggio di queste masse e una politica di rinnovamento, si cede il campo alle forze della destra conservatrice. perciò, eludere un responsabile dialogo con noi non è possibile oggi in Italia per una forza che si ritenga ed effettivamente sia democratica, a meno che non si voglia ricorrere a uno strangolamento del regime che ci siamo conquistati tutti insieme con la vittoria della Resistenza e con l' approvazione della Costituzione repubblicana. si è parlato, nel corso dell' ultima crisi, dell' ipotesi, catastrofica, di un tentativo di colpo di mano autoritario. anche noi ne abbiamo parlato, perché quando è in giuoco la democrazia come regime la denuncia anche di una semplice e disperata velleità eversiva è necessario venga fatta davanti alle masse chiaramente. sappiamo però assai bene che sino a che non fossero avvenute nello stato dell' opinione e nell' organizzazione della vita pubblica italiana modificazioni profondissime, di cui oggi non si può neanche affacciare l' ipotesi, questa strada è sbarrata. è pura sciocchezza il paragone tra la situazione odierna e quella del 1921 — 22, per motivi che è persino superfluo indicare. agitare lo spauracchio del colpo autoritario di destra per strappare e imporre l' accettazione di una politica sbagliata, e che poi è proprio quella cui la destra batte le mani (lo abbiamo sentito anche in quest' Aula dall' intervento di colleghi che rappresentano gruppi di destra), è quindi un grave, un gravissimo errore. il pericolo vero, che nella preparazione e nel corso di questa crisi si è palesato apertamente, sta nel sopravvento di quei gruppi politici che intendono a poco a poco seppellire ogni proposito di riforma democratica delle strutture, ogni tentativo di limitazione del potere della grande borghesia e di programmazione economica. questi gruppi nella preparazione del programma di questo Governo hanno avuto il sopravvento. contro di essi e contro le posizioni che essi difendono sono necessarie, se si vuole andare avanti, una critica e una lotta aperte. sedersi con essi al Governo, come hanno deciso di fare i compagni socialisti, e in pari tempo accettare di dirigere il fuoco contro di noi, vuol dire condannarsi a dover cedere loro il terreno a passo a passo e dopo essersi legati le mani. chi ha detto che un partito operaio non abbia prospettive politiche se non entra in un Governo? l' essenziale, per un partito operaio è di non perdere le proprie prospettive, quelle del socialismo e, nelle nostre condizioni odierne, dell' avanzata verso una società nuova per una via democratica di riforme sostanziali. questo è ciò che un partito operaio non deve mai perdere. l' attuale partecipazione socialista al Governo non serve e non servirà a impedire ulteriori spostamenti a destra. il colpo è stato ormai dato in questa direzione e un tempo di arresto non potrà certo venire dal Governo, ma soltanto da una articolata, multiforme e decisa pressione che parta dall' opinione pubblica e dal paese e alla quale il partito socialista dovrebbe dare, stando fuori del Governo, il suo contributo. la partecipazione governativa socialista, tutto sommato, serve oggi soltanto come copertura dell' effettivo spostamento a destra. essa consente però all' attuale gruppo dirigente democristiano di tentare l' attuazione del proposito col quale anche l' estrema destra accettava la nuova linea decisa dal congresso di Napoli, il proposito di dare un colpo, con l' aiuto socialista, ai legami unitari di cui è tuttora così ricco e forte il movimento delle classi lavoratrici italiane. in questo senso è da intendersi la richiesta, presentata in modo perentorio dalla direzione democristiana e accolta nel programma governativo, della estensione alla periferia e in tutti i campi, della « vincolante » solidarietà dei partiti che formano il Governo. questa richiesta tende di fatto — di questo dovete rendervi conto — ad una acutizzazione e radicalizzazione della lotta politica, e certamente otterrà questo risultato, se dovesse venire sodisfatta: tende veramente a quella spaccatura in due del paese che il presidente del Consiglio ci ha detto che sarebbe intenzione della formazione di centrosinistra di evitare, sopprimendo, riducendo a ben poca cosa ogni articolazione o differenziazione politica così tra il centro e gli organi del potere locale, come tra le differenti località. questa richiesta si propone di dare vita a una formazione compatta, diretta, si intende, dal partito democratico cristiano e forzatamente estesa a tutta la vita nazionale. è la confessione esplicita del proposito non già di sviluppare un ordinamento democratico, ma di creare un regime del tipo di quello cui si cercò di dare un fondamento con la politica centrista, senza riuscirvi. siamo lieti che negli organi dirigenti del partito socialista siano state espresse a questo proposito serie riserve. vogliamo però assicurare sia i compagni socialisti sia i dirigenti democratici cristiani che noi siamo pronti alla lotta per respingere questo piano, per salvaguardare a tutti i livelli quelle formazioni e collaborazioni democratiche e unitarie di sinistra che sono una irrinunciabile conquista delle masse popolari e della democrazia italiana. e le prospettive di questa lotta non sono sfavorevoli a noi. questa è la sola sfida al comunismo di cui la direzione democristiana sia oggi capace, e non è una sfida a far meglio, a sanare i mali del nostro ordinamento economico e politico. è una sfida a far indietreggiare tutto il fronte della democrazia e del popolo, a restaurare, dove è stato distrutto da decenni, il potere delle vecchie consorterie conservatrici dando loro, se mai, per meglio poggiare i piedi, uno sgabello foderato di rosso. contro questi propositi la lotta verrà da noi condotta, ripeto, con la più grande decisione. intanto noi chiediamo in forma tassativa che le elezioni amministrative vengano fatte alla data precisamente prevista dalla legge, qualunque legge elettorale a quella data sia in vigore . constatata la gravità dei propositi espressi dal Governo con il suo piano di stabilizzazione capitalistica e con i suoi propositi di rottura dell' unità delle forze popolari, non ci nascondiamo però quanto in questo piano e in questi propositi vi sia di velleitario e di inconsistente, di fronte alla resistenza e al movimento delle masse popolari e per il modo stesso come il Governo si è formato ed è composto. siete sorti da un contrasto interno che vi rendeva impossibile governare in modo coerente. attraverso nuovi visibili contrasti, superati nelle parole ma non nella sostanza, siete arrivati a mettere assieme un programma nuovo, dite voi. non eviterete il risorgere delle contraddizioni e quindi delle incertezze e dell' interna debolezza di prima. la stessa patetica insistenza del presidente del Consiglio sul tema della solidarietà vincolante governativa dimostra che egli ha coscienza di questa situazione. sarete perciò un Governo debole, premuto da un lato dalle perentorie esigenze che già oggi, giorno per giorno, sono avanzate dai gruppi dirigenti e dagli organi di stampa del grande capitale; dall' altro dalla sfiducia, dal malcontento, dalle rivendicazioni e dalle lotte reali delle masse lavoratrici . né il partito socialista né il partito della Democrazia Cristiana possono considerare con indifferenza questo secondo momento. al primo, al partito socialista , noi non auguriamo nuove drammatiche fratture come quella del principio di quest' anno, che ha dato origine a una formazione politica ricca di nuova vitalità, chiamata ad avere una parte di primo piano nella lotta per la democrazia e il socialismo. non siamo naturalmente in grado di prevedere se e come potrà avvenire un ritorno del partito socialista alle sue tradizioni di partito di classe e rivoluzionario, il che non possiamo che augurarci; oppure se assisteremo a un opposto più o meno rapido processo di passaggio alle posizioni di una socialdemocrazia del vecchio tipo collaborazionista ad ogni costo. il nostro compito consisterà dunque nel ricercare, con una azione autonoma e ben articolata, contatti, comprensione reciproca e collaborazione con tutti coloro che si muovono, che vogliono muoversi, nella ricerca di un comune programma di rinnovamento democratico, di riforme economiche e sociali effettive. solo in questo modo, solo con una azione organica in questa direzione si offre oggi alle forze democratiche e popolari una prospettiva, la prospettiva di una svolta a sinistra. non abbiamo mai creduto che l' avvento di queste forze al Governo della società, per reggerla e trasformarla secondo i principi della nostra Costituzione, fosse all' angolo della strada. non vi si arriverà se non attraverso la fine del vecchio equilibrio conservatore, nell' ambito del quale si colloca questo Governo, e la formazione di un equilibrio nuovo, fondato su nuove maggioranze in tutto il paese e al centro. quanto al partito della Democrazia Cristiana , noi abbiamo sempre deplorato che il collaborazionismo ad ogni costo della destra socialista abbia scoraggiato una dialettica interna che aprisse la via ad uno spostamento effettivo verso sinistra di determinati gruppi democristiani. ciò ha creato nel campo delle forze cattoliche già orientate verso nuovi indirizzi politici una deplorevole confusione, di cui si sono avute manifestazioni a prima vista non comprensibili, perfino paradossali. la formazione di questo Governo darà probabilmente inizio anche in questo campo a processi nuovi, sollecitando e rendendo inevitabili i necessari chiarimenti. ci sembra impossibile che l' involuzione a destra voluta dalla frazione democristiana oggi dominante non dia luogo nel movimento popolare cattolico a ripensamenti e movimenti nuovi. ci auguriamo che essi riescano ad esprimersi non tanto in una più accanita lotta di frazioni e di persone, ma con una ricerca ed elaborazione di programmi che renda possibili quegli incontri diretti o indiretti di forze progressive, senza i quali non si riuscirà a sconfiggere il vecchio conservatorismo e ad attuare quella riforma degli ordinamenti economici che prepari l' avvento, per via democratica, di una società più libera e più giusta. i problemi che noi oggi dibattiamo, signor presidente , non sono, del resto, problemi soltanto italiani. tutto l' Occidente europeo sta attraversando una evidente e seria crisi nelle sue strutture economiche e politiche. ciò è conseguenza del rafforzarsi delle grandi concentrazioni industriali e finanziarie di tipo monopolistico e dell' azione che esse conducono per acquistare il dominio completo di tutti i paesi occidentali del continente. di qui la tendenza alla limitazione progressiva delle istituzioni democratiche e all' autoritarismo. di qui la solidarietà con i regimi fascisti tuttora esistenti e l' aiuto che ad essi viene offerto. di qui i pericoli che minacciano la classe operaia e il suo movimento sindacale , la massa dei contadini lavoratori, il ceto medio . si sta aprendo per lutto l' Occidente una alternativa tra uno sviluppo dominato dal grande capitale monopolistico e diretto nel senso della conservazione sociale e dell' autoritarismo, oppure un progresso democratico garantito da una trasformazione delle strutture della vecchia economia capitalistica. soltanto una nuova grande cooperazione di forze sociali avanzate e democratiche, laiche e cattoliche, potrà garantire questo progresso e restituire all' accidente europeo una funzione di guida nella lotta per un rinnovamento economico e sociale , che si compia nella pace e nella democrazia. alla classe operaia e a noi comunisti in special modo spetta di lavorare e combattere per raggiungere queste mete. da questa rapida considerazione del quadro internazionale, in cui si collocano le nostre vicende, ricaviamo un giudizio sfavorevole anche per quella parte del programma di questo Governo che riguarda la politica estera . nella dichiarazione programmatica dei quattro partiti appena se ne fa cenno e quasi non ne ha parlato, nella sua esposizione qui, il presidente del Consiglio . nella replica al Senato ha cercato di riparare, ma il giudizio su ciò che egli ha detto deve essere nettamente negativo. siamo alle consuete, stanche, logore formulette: la fedeltà, no, scusate, la lealtà atlantica e l' europeismo. ma non vedete ciò che sta succedendo nel mondo? la formazione atlantica è minata da tutte le parti. e non alludo tanto all' attacco che le viene mosso dal generale De Gaulle , con iniziative che non sono del resto tutte da criticare. intendo dire che la formazione atlantica si è dimostrata incapace, per quanto riguarda l' Europa e il mondo, di dare un qualsiasi contributo a una politica di distensione dei rapporti internazionali. i progressi in questa direzione sono stati sino ad ora troppo esigui, non garantiscono in alcun modo il futuro e sono stati ottenuti, inoltre, al di fuori di qualsiasi iniziativa dell' Alleanza Atlantica . nessuna delle ragionevoli proposte avanzate per andare avanti, verso una pace più sicura, è stata sino ad ora presa in considerazione. il nostro paese, l' Italia, non ha proposto nulla, non ha esercitato alcuna pressione aperta in una direzione. utile. il nostro ministro degli Esteri ha viaggiato molto e ce ne compiacciamo; ma la nostra politica estera non ha fatto un passo avanti... noi non abbiamo bisogno, oggi, di segnare il passo nella ricerca di illusorie iniziative o soluzioni europeistiche. il blocco europeistico ci ha dato un controllo sulla nostra politica economica , ci ha spinto in una direzione contraria alle necessità di un nostro rinnovamento, non ci ha dato e non può darci nulla per far progredire la causa della distensione. di una politica europea abbiamo bisogno, non di una politica europeistica. abbiamo bisogno di iniziative concrete che superino le barriere dei blocchi, sia per i rapporti economici, sia per quelli più strettamente politici. perché non avete il coraggio di fare qualcosa di nuovo in questa direzione? comprendiamo: non ve lo consente l' asservimento — questo, scusate, è il vero termine che si dovrebbe usare — allo Stato-guida del blocco atlantico. nemmeno un limitato passo verso l' organizzazione di commercio con la Repubblica popolare cinese vi è stato concesso di fare. credo che siamo ormai, per la incapacità di risolvere, almeno sotto questo aspetto assai limitato, il problema dei rapporti con la Cina, la sola eccezione dell' Occidente europeo. del riconoscimento non si sente più nemmeno far cenno. gli altri fanno intanto quello che conviene loro. noi continuiamo ad essere i primi della classe in fatto di servitù atlantica. ma è proprio qui che si aprono i problemi più gravi. gli USA hanno compiuto alcuni atti di carattere distensivo, con la firma del patto di Mosca e col miglioramento delle loro relazioni con alcuni Stati socialisti. ma gli USA sono tuttora, in punti decisivi dello scacchiere internazionale, assertori e attori di una politica che è contraria ai principi delle Nazioni Unite e che minaccia in modo diretto la pace del mondo. mi riferisco alle attività aggressive contro la Repubblica di Cuba . mi riferisco ai problemi dell' Asia sud-orientale dove gli americani, violando le esplicite decisioni dei più autorevoli consessi internazionali, conducono una barbara guerra coloniale contro il popolo del Vietnam meridionale, minacciano di aggressione il Vietnam del nord, hanno fatto fallire il piano di neutralizzazione del Laos. in quella parte del mondo, non dimentichiamolo, può accendersi un incendio tale che nessuno riuscirebbe più ad arrestare. è necessario che gli USA sentano che questa loro politica di provocazione e di aggressione non può avere la solidarietà di nessuno, è condannata da tutti coloro che vogliono la pace, che vogliono salvare il mondo dallo sterminio atomico. ma dall' interno stesso degli USA oggi vediamo maturare una nuova minaccia reale e seria, la minaccia di un ritorno ai peggiori periodi della guerra fredda . non si può in alcun modo scartare oggi, dopo attenta considerazione della situazione di quel paese, la prospettiva del successo di un candidato presidenziale che ha nel suo programma il proposito di spingere e mantenere il mondo sull' orlo dell' abisso di una guerra atomica , di un candidato nel quale noi europei già riconosciamo alcuni dei lineamenti del fascismo. questa prospettiva non deve soltanto destare preoccupazione, allarme, come già desta; deve ispirare sin d' ora un deciso schieramento per la difesa di una politica di distensione e di pace, con iniziative reali e concrete, non con stanche dichiarazioni che troppe volte abbiamo sentite e alle quali poi nulla è seguito di positivo. si può sperare che in questo Governo vi sia chi senta questa necessità? siamo assai scettici in proposito. la politica estera è il campo dove le cosiddette formazioni di centrosinistra non sono state capaci neanche di formulare propositi di rinnovamento. oggi si aggiunge a questo la stanchezza di una ripetizione di luoghi comuni dove manca anche l' accento della convinzione. alla lotta per una svolta, anche nella politica internazionale , chiamiamo e chiameremo le grandi masse popolari . concludendo, signor presidente e onorevoli colleghi , forse qualcuno potrebbe dire che questo Governo, col suo evidente spostamento a destra, ha il vantaggio di avere ad ogni modo operato un certo chiarimento, di aver dissipato certi equivoci. se, non erro, lo stesso onorevole presidente del Consiglio si è espresso in tal modo. non condivido del tutto questa opinione. vi è stato un certo chiarimento, sì. è diventata più evidente la necessità di una nuova elaborazione di programmi e, sulla base di essa, di nuove collaborazioni politiche. si sono aperti processi che avranno sviluppi certamente positivi. oggi come oggi, però, vi è prima di tutto un peggioramento. una resistenza e lotte più dure dovranno condurre le masse operaie e popolari contro misure e indirizzi di Governo che le colpiscono in modo diretto. ci troveremo quindi di fronte, come partito della classe operaia e delle masse lavoratrici , a compiti urgenti di orientamento, di scelta politica e di azione. saremo guidati in questa situazione esclusivamente, come sino ad ora, dalla ricerca di una via di avanzata che, partendo dai nostri principi costituzionali, assicuri la loro piena attuazione, conduca allo sviluppo della democrazia italiana, consenta di attuare quella prospettiva di profonde trasformazioni economiche e sociali nella quale noi vediamo l' avvicinamento alla nostra meta finale, che è la costruzione di una società socialista, la conquista di un mondo di pace, di libertà e giustizia sociale , di fraternità fra tutti i popoli. non vi è causa più elevata di questa a cui dedicare il proprio lavoro e la propria esistenza. anche perché siamo certi che, con l' appoggio delle grandi masse popolari e poggiando sulle conquiste che già siamo riusciti a realizzare, non ci mancheranno nuovi ulteriori successi, non falliremo al compito di toccare la nostra meta finale.