Palmiro TOGLIATTI - Deputato Opposizione
III Legislatura - Assemblea n. 774 - seduta del 24-01-1963
Documento di programmazione economico - finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 1993 - 1995
1963 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 50
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , la nostra mozione di sfiducia ha dato luogo a una serie di obiezioni e di domande, a noi rivolte, alle quali ritengo necessario dare, all' inizio di questo dibattito, un' esplicita risposta. perché ci si è chiesto presentate proprio voi comunisti una mozione di sfiducia ? è ben noto che non avete mai espresso la vostra fiducia politica in questo Governo e nessuno può credere che vogliate mutare questa vostra posizione proprio in questo momento. perché dunque questa mozione e perché questa mozione ora, nel momento attuale? è verissimo; ogni volta che questo Governo ha chiesto al Parlamento di dargli la propria fiducia, noi l' abbiamo negata. anche quando abbiamo espresso un voto favorevole a una misura di grande portata economica e politica, quale — ad esempio — la nazionalizzazione dell' industria elettrica, abbiamo chiaramente motivato il nostro voto formulando esplicite riserve di sostanza e dichiarando che quel voto non comportava, da parte nostra, fiducia nella formazione governativa attuale. aggiungemmo anzi, se ben ricordo, che proprio relativamente al modo in cui la nazionalizzazione dell' industria elettrica era stata preparata e sarebbe stata realizzata nella pratica, noi non eravamo affatto fiduciosi che il Governo attuale avrebbe affrontato e risolto in modo giusto i molti e intricati problemi che si sarebbero presentati. nulla è cambiato oggi a questo proposito. per ciò che ci riguarda, anzi, proprio in ordine al modo di organizzare l' azienda elettrica di Stato, fatti nuovi si sono avuti, atti ad accrescere, non ad attenuare, la nostra sfiducia. questo, però, non è che un esempio. altri, analoghi, si potrebbero aggiungere. una mozione politica di sfiducia, però, non si presenta soltanto allo scopo di precisare una volta di più, se necessario, la posizione del partito che la sostiene. si presenta quando si ritiene necessario aprire di fronte al Parlamento e all' opinione pubblica del paese un responsabile dibattito generale che impegni e il Governo e tutti i partiti e il Parlamento nel suo complesso di fronte a fatti nuovi di tale portata tali da poter creare, oppure già abbiamo creato, una situazione nuova. questo è il problema che sta oggi davanti a noi e questo è il motivo di fondo che ha reso necessaria la nostra mozione di sfiducia . non si può negare infatti che la situazione politica odierna sia molto diversa da quella che esisteva quando vennero espressi in modo esplicito altri voti di fiducia in questo Governo. chi può negare che siano emersi, sia in campo nazionale sia nel campo delle relazioni internazionali, fatti nuovi davanti ai quali è dovere del Governo di informar e delle sue posizioni e dovere dei partiti rappresentati in Parlamento di prendere posizione di fronte al Governo? esso si reggeva, quando nacque, sopra un programma e sopra una maggioranza. il programma aveva quel contenuto che tutti ricordiamo, la maggioranza si articolava attraverso il voto positivo di tre partiti e l' astensione del partito socialista . orbene, noi abbiamo appreso (ma l' abbiamo appreso attraverso documenti d' ordine privato, comunicati di riunioni di dirigenti di partiti, articoli, eccetera) che, per quanto riguarda il programma, una parte, anzi alcune parti di esso (e vedremo poi di qual peso esse siano) non verranno attuate. se ne parlerà, se le cose andranno in un certo modo, nel corso della prossima legislatura. per ora sono accantonate e non è escluso che anche nel corso della prossima legislatura non se ne abbia a parlare. in pari tempo abbiamo appreso, per quanto riguarda la maggioranza governativa , che il partito socialista , la cui astensione era determinante affinché la maggioranza si formasse, ha preso oggi una posizione assai diversa da quella di prima. con una decisione del suo comitato centrale esso denunzia avvenute inadempienze programmatiche, facendone carico al partito della Democrazia Cristiana . per bocca dei suoi dirigenti, il partito socialista dichiara, d' altra parte, che ritiene sia chiusa una fase politica della nostra vita parlamentare; e se si rifiuta di trarre tutte le conseguenze da questa sua posizione è per un motivo puramente strumentale: perché intende (non so con quale rispondenza alla verità) stabilire una certa differenza fra il Governo come tale e il partito democristiano , del quale per altro il Governo esprime la volontà politica, e perché non vede per il momento, e fino alle elezioni, altra soluzione possibile che lo sodisfi. fino alle elezioni dice il partito socialista si trascini pure nell' equivoco, nell' incertezza e nella confusione la situazione governativa attuale; poi si vedrà. rimane però una differenza radicale fra la posizione di un partito che si asteneva dal voto perché attendeva che il Governo facesse determinate cose e un partito che si astiene dal voto dopo aver costatato che il Governo queste determinate cose non le farà più e non ha nemmeno più l' intenzione di farle. di questi fatti e di queste posizioni che, si dica quel che si vuole, modificano profondamente la situazione politica e parlamentare, noi, così come l' opinione pubblica , siamo stati informati attraverso comunicati non sempre perspicui circa i risultati delle riunioni, delle conversazioni, degli incontri che nel corso di due o tre mesi hanno avuto luogo fra i dirigenti dei partiti della maggioranza. sorge qui, inevitabilmente, una questione che è ormai necessario affrontare. nessuno può negare l' importanza decisiva e noi siamo i primi ad affrontarla della funzione dei partiti politici nell' ordinamento democratico e parlamentare dello Stato quale è sancito dalla nostra Costituzione. i partiti sono il grande, indispensabile anello di congiunzione fra le grandi masse del popolo e gli istituti rappresentativi. credere di poterne fare a meno è impossibile, è assurdo. ogni proposito volto in questa direzione mette capo inevitabilmente alla liquidazione del regime democratico, alla liquidazione di fatto del Parlamento e a forme di governo autoritario. basti guardare a ciò che è avvenuto in Francia, per convincersene. mi pare però che oggi noi siamo giunti, in Italia, a un punto tale che, persino formalmente, le decisioni dei partiti, anzi della ristretta cerchia di dirigenti di alcuni partiti, prevengono i pubblici dibattiti, si sostituiscono e si sovrappongono ad essi, e vengono imposte alle assemblee parlamentari, che si trovano in questo modo esautorate, private della loro specifica funzione politica. è mia opinione, onorevoli colleghi , che noi sbaglieremmo se non dicessimo apertamente che in questa direzione si stanno oltrepassando i limiti. penso inoltre che commetteremmo un serio errore politico se lasciassimo che attorno a questo tema si scatenasse l' agitazione demagogica e qualunquistica della destra liberale e dell' estrema destra fascista. spetta a coloro che hanno creato con la loro azione e con le loro lotte il regime democratico e parlamentare attuale preservarlo dalla pericolosa degenerazione in una strana forma di oligarchia di dirigenti politici di partito; soprattutto spetta a noi difendere contro una degenerazione di questa natura le prerogative e le funzioni dell' Assemblea parlamentare . è possibile, in un regime parlamentare che funzioni correttamente, che una formazione governativa deliberatamente trasformi il proprio programma, ne lasci cadere una parte e ne trascuri altre, senza riferirne al Parlamento, senza dirgli di che si tratta, senza verificare se, nelle nuove condizioni, questo gli mantiene oppure gli nega la necessaria fiducia? è un fatto, però, che se non avessimo preso noi l' iniziativa di una mozione politica e una mozione nostra non poteva avere altro carattere che di sfiducia, di tutto questo non si sarebbe forse parlato, oppure se ne sarebbe fatto cenno di sfuggita alla fine di qualche seduta, decidendosi per alzata di mano dell' ordine dei nostri lavori, mentre i temi politici di fondo che emergono nella situazione odierna non sarebbero stati nemmeno affrontati. eravate voi, dirigenti dei partiti che fate parte in modo diretto o indiretto della maggioranza, che avevate il preciso dovere politico di sollecitare ed aprire questo dibattito. anzi, ritengo che questo dovere spettasse in primo luogo al Governo stesso e a lei, signor presidente del Consiglio , che senza dubbi o era pienamente informato, forse meglio di tutti gli altri esponenti della maggioranza, delle discussioni e delle decisioni prese nelle riunioni cui mi sono prima riferito. non si può giocare a rimpiattino con questi problemi, con una maggioranza che esiste e non esiste, con l' astensione su un contenuto o su un altro, con un programma che non si attua ma si modifica e si rinvia, non si può lasciare che questa situazione si trascini finché intervengano gli atti destinati a troncarla ed a rinviare tutti davanti al corpo elettorale ! prima degli elettori sono i rappresentanti della nazione, riuniti qui, che devono prendere esatta conoscenza dei fatti e delle situazioni nuove ed esprimere su di essi il loro giudizio. vi è, quindi, un fondamentale desiderio e bisogno di chiarezza alla base dei motivi che ci hanno spinto a presentare questa mozione, vi è un appello alla responsabilità cui nessuno può sottrarsi, a meno di non voler ridurre lo stesso istituto parlamentare a un' ombra di se stesso , di cui poi sarebbe facile alla reazione sbarazzarsi. la situazione politica nella quale si formò questo Governo, con il programma che noi tutti ricordiamo, si distingueva per il tentativo di rinnovare più o meno profondamente precedenti vecchi orientamenti di politica governativa, e di rinnovarli precisamente affrontando e risolvendo alcuni problemi vitali per lo sviluppo democratico del paese; tra essi, in primo piano , la piena applicazione della Costituzione in tutte le sue parti e prima di tutto in quella riguardante la struttura stessa dello Stato, cioè l' attuazione dell' ordinamento regionale. egualmente in primo piano era l' adozione di misure atte a riparare agli squilibri economici creati dall' impetuoso sviluppo industriale degli ultimi anni e quindi a favorire un aumento del benessere delle classi lavoratrici e a colmare almeno in parte questi squilibri preparando, con misure volte a limitare ed a spezzare il potere del grande capitale monopolistico, il passaggio all' adozione di un piano di sviluppo economico adeguato agli interessi di tutta la nazione e non soltanto dei gruppi privilegiati. tra queste misure voi ricordate come fossero annunziate in prima linea la nazionalizzazione della produzione e distribuzione dell' energia elettrica ed altre, particolarmente importanti, volte a una riforma della struttura agraria. è di fronte a questo tentativo che si sono trovati la Camera e il paese quando si è formato l' attuale Governo. di fronte a questo tentativo e di fronte al programma che ad esso corrispondeva noi dovemmo precisare la nostra posizione. di questa posizione molto si è parlato, e non varrebbe la pena di insistere sull' argomento se non per denunciare ancora una volta le interessate contraffazioni che continuano a circolare. da un lato continua la campagna alquanto grottesca circa il nostro inserimento sornione che, persino secondo una decisione recente della direzione del partito liberale , darebbe una coloritura criptocomunista al presente Governo; dall' altro lato affermazioni radicalmente opposte ma ugualmente strumentali, lontane dalla realtà e che continuano anch' esse a circolare. non so infatti in quale documento recente della Democrazia Cristiana si trova l' affermazione che il partito comunista vorrebbe che il centrosinistra fosse cancellato dalla scena politica, e in uno degli ultimi scritti del segretario politico di questo partito ho avuto la sorpresa di leggere che noi saremmo pieni di rabbia per l' esistenza di questo Governo e della coalizione politica attuale. sciocchezze le une e sciocchezze le altre; esasperazioni che hanno un valore esclusivamente strumentale, e delle quali in un dibattito politico serio si può non tener conto. nel momento in cui veniva espresso il proposito di modificare qualcosa degli indirizzi politici contro i quali avevamo combattuto per anni e anni, non potevamo non dichiararci sodisfatti che almeno una parte dei componenti della maggioranza esprimesse questo proposito. nel momento in cui si accennava ad atti da cui risultava che questa parte volesse davvero tale mutamento, non potevamo non considerare questo fatto con interesse e come positivo. noi dichiarammo quindi il nostro accordo per le misure che venivano promesse e che ritenevamo e riteniamo tuttora indispensabili per l' attuazione di un processo di rinnovamento democratico del nostro paese. il nostro dissenso però non fu soltanto sull' entità, sul contenuto concreto di queste misure: no, fu determinato essenzialmente dal fatto che noi, sin dal primo momento, fummo consapevoli dei limiti di tutta l' operazione che veniva annunziata e iniziata, ci rendemmo conto degli equivoci e delle contraddizioni che essa nascondeva. questi equivoci e queste contraddizioni derivavano, per quanto riguarda il Partito di maggioranza relativa e il suo gruppo dirigente , dall' assenza di quella precisa volontà politica che era indispensabile se si voleva davvero dare inizio a un nuovo orientamento politico. la volontà politica del partito dominante e del suo gruppo dirigente , quale si venne poi progressivamente manifestando in modo sempre più esplicito nel corso sia dell' azione governativa sia di tutta l' azione politica nel paese, era di non modificare la sostanza dei precedenti orientamenti, di non porre in alcun modo limiti a quell' esercizio della funzione di unico partito dirigente e guida della politica italiana , che il gruppo dirigente democristiano attribuisce al proprio partito e a se stesso . è da questa assenza di una volontà politica effettivamente rinnovatrice che abbiamo visto discendere le note conseguenze: essa ha determinato tutti gli sviluppi successivi. ed è su questo punto che noi dovevamo concentrare, e abbiamo concentrato, la nostra attenzione; è su questo punto che concentrammo fin dall' inizio la nostra polemica e battaglia politica. non tanto sulla richiesta del miglioramento dell' uno o dell' altro dei provvedimenti che venivano presentati, poiché questa è la funzione che spetta sempre a un partito di opposizione che rappresenta gli interessi delle classi lavoratrici , come siamo noi; quanto sull' assenza di una volontà politica rinnovatrice, che sempre più chiaramente doveva diventare manifesta nel gruppo dirigente della Democrazia Cristiana . e per questo che noi dirigemmo la nostra polemica anche contro quei partiti e gruppi politici , nei quali invece avevamo ragione di ritenere che dovesse esistere una volontà diversa. per questi motivi la dirigemmo contro il partito socialista , facendogli carico in modo particolare di non volersi rendere conto di questo fatto fondamentale e di non orientare la propria azione politica tenendone conto e tendendo, con una politica adeguata, nel Parlamento e nel paese, a correggere, a eliminare, a togliere di mezzo questo ostacolo. nell' assenza di questa volontà politica di fondo, qualsiasi programma di misure volte a un certo rinnovamento della nostra vita politica e degli indirizzi governativi era destinato a rimanere sulla carta, a sfilacciarsi a poco a poco, a trascinarsi poi stancamente tra le lungaggini, i rinvii, le distorsioni e gli snaturamenti, fino all' abbandono finale, se non di tutte, almeno di quelle misure sostanziali che avrebbero dovuto dare all' azione governativa un contenuto nuovo. questo è ciò che gradualmente è accaduto, e la responsabilità ne ricade, da un lato e principalmente, sul gruppo dirigente della Democrazia Cristiana , dall' altro sui suoi alleati e sul gruppo dirigente del partito socialista , che volontariamente ha chiuso gli occhi di fronte al problema di fondo , negando perfino che esistesse, concentrando il fuoco della propria polemica piuttosto contro la nostra denuncia e la nostra insistenza nel richiedere misure effettive di rinnovamento democratico, anziché contro coloro che avversavano l' attuazione sistematica di queste misure. nel tessuto stesso del programma governativo, del resto, già si rilevava questa incertezza e, in alcune parti, l' assenza di una decisa volontà di rinnovamento democratico. ciò riguarda alcune parti del programma governativo, e parti di valore essenziale: prima di tutto, la politica internazionale dell' Italia. nelle dichiarazioni governative si ripetevano a questo proposito le consuete frasi, si manifestava a parole la consueta buona volontà di svolgere un' azione favorevole alla distensione e alla pace. però siamo costretti a dire che frasi di questa natura le abbiamo sentite pronunciare in dichiarazioni governative anche da parte dei più fieri assertori dell' oltranzismo atlantico. mancava, nella posizione del nuovo Governo (noi lo dicemmo allora apertamente) ed è mancata successivamente in tutta la sua attività di politica estera , la consapevolezza di ciò che si preparava, di ciò che stava maturando nel mondo, del nuovo aggravamento che determinati problemi internazionali stavano subendo e soprattutto della serietà della minaccia della guerra atomica , che gravava già allora sul mondo e in modo particolare sul nostro paese. noi affermiamo che sarebbe stato necessario, di fronte a questi sintomi di un aggravamento progressivo della situazione internazionale, trovare la via di una politica estera nuova, la quale facesse dell' Italia un fattore attivo e propulsore, con opportune iniziative politiche, di una politica di distensione internazionale, di pacifica convivenza e di disarmo. in questa direzione non è stato fatto nulla. durante la crisi dei Caraibi abbiamo rilevato e sottolineato una certa cautela verbale nelle dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio , ma questa cautela verbale celava una sostanziale solidarietà di fondo con l' aggressione degli USA contro. il popolo di Cuba. l' affermazione fondamentale che in quel momento doveva essere fatta, l' affermazione che gli USA, nello sviluppo di questa loro politica aggressiva, avevano posto i loro stessi alleati europei di fronte ad un gravissimo fatto compiuto che faceva pesare su di loro la minaccia imminente di un conflitto atomico e questo avevano fatto senza nemmeno la più elementare consultazione dei loro alleati questa affermazione fondamentale e giusta voi avete lasciato che venisse fatta, come è stata fatta, nei giorni scorsi, dal generale De Gaulle . nella pratica, questo Governo ha seguito la vecchia linea di asservimento atlantico dalla quale non si è usciti se non per una certa estensione di rapporti commerciali con i paesi socialisti, estensione voluta dagli stessi ambienti industriali italiani e indispensabile allo sviluppo della nostra economia nel momento presente. intanto, superata la crisi dei Caraibi, la situazione internazionale è giunta nell' Europa d' Occidente a un grado insolito di confusione e di acutezza. sono sorti oppure si sono acutizzati problemi di fronte ai quali occorre prendere posizione senza equivoci. e il problema che per primo noi sentiamo e che incombe su di noi oggi è quello della sicurezza del nostro paese. non parlo della sicurezza nei termini tradizionali della diplomazia, del conflitto tra Stati e delle rivendicazioni di uno Stato contro l' altro. sotto questo aspetto la sicurezza dello Stato italiano è completa ormai da anni e anni. nessun paese può pensare né pensa di avanzare rivendicazioni verso di noi, nessun paese può pensare né pensa di attaccarci. le rivendicazioni relative all' Alto Adige sono rivendicazioni non troppo difficilmente regolabili attraverso trattative con il governo austriaco e con i rappresentanti della popolazione di quella, parte del nostro territorio. noi ci troviamo quindi come Stato italiano in una posizione ideale per attuare una politica di disimpegno dai contrasti che oppongono le une alle altre le grandi potenze. una tale politica di disimpegno, oggi, non soltanto è possibile, ma è per noi necessaria, è richiesta dalla nostra stessa situazione, è richiesta dalla gravità dei problemi economici, sociali, di organizzazione del nostro paese che ancora non sono risolti e che esigono, per risolverli, un impegno di mezzi, che dobbiamo togliere da qualsiasi altra parte. invece, noi siamo legati a una politica opposta. ed è proprio da questa politica opposta, che ci assoggetta a un blocco aggressivo di potenze imperialistiche, che sorge la minaccia reale alla nostra sicurezza. e qui parlo di sicurezza nel senso più esteso della parola: sicurezza della vita, sicurezza della casa, sicurezza dei propri beni, sicurezza delle officine, sicurezza delle malattie, sicurezza della famiglia e dell' avvenire. durante la crisi dei Caraibi poco è mancato che tutto questo non venisse travolto nell' inforno del fuoco atomico. e per quale motivo sarebbe stato travolto il benessere e forse sarebbe stata travolta una parte sostanziale dell' esistenza stessa del popolo italiano ? che cosa aveva a che fare il popolo italiano nella controversia che si dibatteva nel mar dei Caraibi, o anche nella controversia che si dibatteva tra gli USA da una parte e l' Unione Sovietica dall' altra? si dibattevano laggiù problemi che la maggioranza della nostra popolazione appena conosce; ma noi intanto correvamo il rischio, eravamo sottoposti alla minaccia che ho indicato, perché sul nostro territorio sono piazzate basi aggressive che istantaneamente, se si fosse venuti a un conflitto atomico, avrebbero dovuto essere distrutte da una delle due parti. in pari tempo anche una parte dell' Italia sarebbe stata distrutta, se pur non tutta intiera. non si può nemmeno dire che l' Italia, in quel caso, avrebbe condotto una guerra: no, ci saremmo trovati entro poche ore con il paese semidevastato, completamente disorganizzato, con la popolazione in preda al panico e con lo stesso Governo nella impossibilità pratica di funzionare. e non facciamoci illusioni. questa della guerra con mezzi atomici è la prospettiva con la quale lavora tutta una parte dei gruppi dirigenti dei grandi paesi imperialistici. e non ci si stacca da questa prospettiva, ad essa si ritorna continuamente e vi ritornano, alla fine, gli stessi gruppi che sembrano essere meno contrari a una distensione. l' unica cosa da farsi quindi è di allontanare da noi con l' azione nostra questa prospettiva e questa minaccia. nessuna base di missili strategici e di armi atomiche a lunga portata deve più esistere sul nostro territorio; questa è una, richiesta fondamentale, questo deve essere l' inizio di qualsiasi politica che tenda a garantire veramente la sicurezza del popolo italiano . si sente ora dire che a questa decisione si sarebbe già giunti o si dovrebbe giunger e per motivi di ordine tecnico, perché le armi missilistiche installate sul nostro territorio non sarebbero più adeguate ai fini che intende raggiungere quella potenza aggressiva che sul nostro territorio le ha installate. abbiamo notizia d' altra parte che, per questi motivi, le stesse armi verrebbero in questo momento tolte dal territorio della Turchia. noi stessi, del resto, avevamo portato, come uno degli argomenti atti a dimostrare l' assurdità di queste installazioni, il progresso tecnico che era avvenuto, per cui queste armi, anche come armi aggressive, erano superate. si è giunti, sulla base di queste considerazioni, a decidere che esse vengano tolte dal nostro territorio? rivolgiamo a questo proposito un invito esplicito al presidente del Consiglio a farci dichiarazioni precise. ella è stato negli USA; spero che non ci si a stato soltanto per cercare, aggrappandosi alle falde degli abiti del presidente Kennedy, di accrescere un Po la propria statura. dalle fotografie non è risultato. desideriamo avere una precisa risposta: se si è giunti alla decisione di togliere questi strumenti di morte e questa minaccia, da quelle parti del nostro territorio in cui si trovano, questo è certamente, per le popolazioni interessate, un vantaggio. noi inviteremo le popolazioni interessate da un lato a continuare la lotta perché queste basi vengano tolte, dall' altro, qualora vi fosse una siffatta decisione, a controllare che essa venga effettivamente applicata. ma ciò che abbiamo appreso da dichiarazioni e da pubblicazioni, è vero, non ancora ufficiali, è un fatto che non attenua, ma accresce le nostre preoccupazioni. sembra infatti che. in sostituzione delle basi territoriali di missili atomici, l' Italia dovrebbe accettare di porre a disposizione la propria flotta di guerra o almeno una parte di essa per l' installazione sulle navi stesse di armi atomiche aggressive che possano colpire un avversario a grande distanza. la nostra flotta di guerra diventerebbe in questo. modo essenzialmente una flotta atomica. se questa è la soluzione che ci si vorrà prospettare e presentare, fin d' ora dichiariamo la nostra decisa opposizione ad essa. direi che la nostra opposizione ad essa diventa anche più radicale di quanto fosse quella alla installazione di armi atomiche su singoli punti del territorio. essa vorrebbe dire, infatti, che la minaccia atomica si trasporta su tutta l' Italia marittima in modo indifferenziato e generale. tutti i nostri porti, le isole, le coste con i loro scali diventano o possono diventare obiettivo di bersaglio atomico perché possibili sedi di stazionamento di ordigni atomici offensivi. è tutta l' Italia, in sostanza, che sulla base di una tale decisione diventerebbe potenza atomica offensiva, con tutte le conseguenze che ne derivano per la sua posizione nel mondo e per la minaccia terribile che graverebbe sulla popolazione italiana. signor presidente del Consiglio , se questo è ciò che ella, come dice una parte della stampa, ha riportato dalla visita negli USA e offre al popolo italiano , ci sentiamo in diritto di affermare che la sua missione è stata esiziale per il nostro paese e che i suoi risultati, nella misura in cui possono avere una realizzazione in questa direzione, sono nettamente, radicalmente ed energicamente da respingere. contro di essi chiameremo a pronunciarsi e a combattere tutto il popolo italiano . so benissimo che il problema si presenta oggi in un quadro internazionale assai complicato di crisi delle relazioni tra gli Stati e soprattutto fra gli Stati dell' Europa occidentale . ma è anche in rapporto a questo quadro e ai problemi nuovi che in esso si pongono che troviamo nuovi motivi che rendono necessaria la politica di disimpegno che propugnamo. i popoli dell' Europa occidentale si trovano oggi di fronte a un fatto nuovo, grave, le cui conseguenze negative sono per il momento ancora difficilmente calcolabili. si tratta della creazione dell' asse Parigi-Bonn attraverso il patto che unisce la Repubblica francese alla Repubblica Federale Tedesca e che è un patto di vera e propria alleanza politica e militare oltre che economica. il fatto in sé non ci ha stupiti. lo consideriamo il punto di arrivo di un processo che comprendiamo, che da tempo seguiamo con preoccupazione, che abbiamo esplicitamente denunciato in tutti i suoi elementi negativi. da un lato sta il rafforzamento economico di questi due paesi, per cui i gruppi dirigenti borghesi ed imperialistici che li dirigono sono spinti ad affermare in modo più aperto e violento la loro aspirazione alla egemonia sugli altri Stati europei . spinge in questa direzione il sopravvento dei grandi monopoli capitalistici francesi e tedeschi, che è stato favorito dalla stessa organizzazione del mercato europeo comune. a questo processo di natura oggettiva si accompagna la correlativa tendenza alla progressiva liquidazione delle libertà democratiche e parlamentari tanto in Francia quanto nella Germania occidentale e l' altrettanto correlativa resistenza di tutti e due questi Stati ad ogni politica di distensione, ad ogni politica che tenda alla pacifica coesistenza e a un disarmo generale e controllato. in Francia il Parlamento è ridotto ormai ad una ombra di se stesso ; il regime dei partiti è messo in stato di accusa da forze autoritarie e dittatoriali, e già si è giunti alla creazione triste ricordo per noi! del tribunale speciale per la difesa dello Stato. nella Germania di Bonn siamo alle leggi eccezionali, in un paese in cui i quadri dirigenti provengono dal vecchio nazismo e non hanno affatto rinunciato alle loro posizioni ideologiche e politiche. Francia e Germania d' altra parte reclamano entrambe un armamento atomico per i loro eserciti e tendono a realizzarlo sia in modo autonomo, sia per altra via, attraverso accordi con altri Stati. Francia e Germania tendono in questo modo ad avere una parte predominante nell' organizzazione del mercato comune , accentuando così la natura politica di questa organizzazione, che si rivela e diventerà sempre più, per questa via, lo strumento del prevalere degli interessi del grande capitale monopolistico sugli interessi della pace, del benessere, della tranquillità delle masse lavoratrici e dei popoli dell' Europa. noi ignoriamo sino al momento presente quale posizione hanno preso i nostri governanti nel corso del maturare di questo problema. non è scoppiata come una bomba l' alleanza De Gaulle-Adenauer . è stata preparata attraverso una serie di atti di cui l' opinione pubblica è stata, bene o male, informata. mentre questi atti avvenivano vi sono stati incontri ad alto livello , in Italia, in Francia, in Germania, a Bruxelles. come si è comportata la maggioranza governativa , come si è comportato il governo italiano in queste occasioni? dai comunicati ufficiali abbiamo appreso ben poco. qualche cosa di più abbiamo appreso da alcuni articoli e dichiarazioni fatte da ministri che rappresentavano il governo italiano nelle ultime riunioni a Bruxelles; ma proprio quelle dichiarazioni che hanno aggiunto qualcosa al vuoto dei comunicati ufficiali ci hanno riempito di preoccupazione; perché abbiamo visto in esse espressa una linea politica che non solo non era di opposizione al blocco reazionario franco-tedesco ma era anche di concessioni ad esso e di accettazione delle sue posizioni. oggi l' alleanza esiste e noi non possiamo non costatare che essa significa e coinvolge un vero e proprio crollo del cosiddetto europeismo di tendenza democratica, cioè di quell' europeismo che fondava le proprie prospettive su una espansione degli attuali organismi europeistici su una linea di sviluppo della democrazia. questa non è più oggi una prospettiva possibile né reale. già vi è stata una condizionata adesione della Grecia, paese non democratico, al mercato comune e già si vede come il dittatore della Francia tenda la mano al fascista Franco, e, del resto, io non so quanti dei lineamenti di Franco non si riscontrino nella fisionomia odierna del generale De Gaulle . è evidente che il problema di giungere a una unità di forze democratiche nell' Europa occidentale rimane, ma è certo che la via che era stata presa per risolverlo risulta essere stata sbagliata. bisognerà scegliere un' altra strada, una strada forse più lunga, ma che non crediamo possa essere più difficile, purché sia una strada che tenda a creare una unità effettiva di vere forze democratiche nella lotta contro l' autoritarismo e per la pace, una unità che non escluda il contatto e la comprensione reciproca con quelle avanguardie della democrazia che sono le masse lavoratrici e prima di tutto la classe operaia e i partiti che la rappresentano. ma questo non è un problema da dibattere qui, lo tratteremo, se necessario, in altra sede. sul terreno dei rapporti internazionali, abbiamo sentito parlare, come mezzo di lotta contro il nuovo asse reazionario sorto dall' alleanza franco-tedesca, della possibilità e della necessità di contrapporre a questo asse un altro asse, un asse Roma-Londra. la questione è anzi già apertamente discussa sulla stampa. orbene, noi respingiamo questa posizione, la respingiamo nettamente. questa posizione postula e provoca, infatti, un' accentuazione della lotta fra le grandi potenze dell' Occidente; essa accresce, quindi, i pericoli per la pace. è verissimo che il pericolo fondamentale per la pace oggi viene dalla lotta dei paesi imperialistici contro paesi socialisti. ricordiamoci però che già nel passato una tendenza della politica degli imperialisti, quando essi erano giunti a punti di grave rottura fra di loro, è sempre stata quella di cercare di superare il loro contrasto unendosi su basi nuove per fare una politica più aggressiva contro quello che ritengono essere il loro avversario fondamentale, il mondo dei paesi socialisti. la contrapposizione di un asse Roma-Londra a un asse Parigi-Bonn accrescerebbe, quindi, i pericoli per la pace in tutte le direzioni. a noi poi, al popolo italiano , non interessa di essere parte attiva in questo conflitto fra le grandi potenze occidentali. le conseguenze del fatto che noi ci mescoliamo in questo conflitto possono essere per noi molto gravi, molto dannose e perfino esiziali. noi però siamo contrari anche all' altra soluzione che viene ventilata e che consiste nell' affermare la necessità, nella nuova situazione creatasi nell' Europa occidentale , di accentuare la subordinazione del nostro paese alla politica internazionale degli USA. oggi nella politica degli USA si intrecciano molti motivi diversi. vi è il motivo della aggressione pura e semplice, quello che ha provocato la crisi dei Caraibi nei mesi scorsi. accanto ad esso non escludiamo, anzi ammettiamo che nella direzione della politica estera degli USA agiscano anche forze le quali tendono a facilitare una certa distensione dei rapporti con i paesi socialisti. prevalenti però sono le tendenze opposte e particolarmente quelle che sono volte a consolidare una egemonia e una guida politica e militare degli USA su tutto il mondo capitalistico, sulla base di una diffusione delle armi atomiche americane a tutti i paesi dell' Alleanza Atlantica . ebbene, è proprio questa posizione che noi crediamo sia da respingersi nettamente, tanto più che sulla base di essa non si può per nulla escludere che si giunga più o meno tardi a un accordo di compromesso tra gli USA e il gruppo reazionario Parigi-Bonn. sulla base di questa linea politica si può giungere a dare un armamento atomico alla Germania, ad accrescer e o a creare l' armamento atomico alla Francia, a dare un armamento atomico a nuovi paesi dell' Europa, a fare di questo globale riarmo atomico il fattore dominante della politica internazionale . la nostra convinzione è che obiettivo di fondo di qualsiasi ragionevole politica estera debba essere oggi quello di restringere in tutti i modi e non di estendere l' area di esistenza e di possibile impiego delle armi atomiche . in particolare riteniamo inammissibile che, traverso l' uno e l' altro espediente, si giunga all' armamento atomico dell' esercito tedesco. questo è un fatto che bisogna ad ogni costo evitare. sappiamo che il perfezionamento, della tecnica consente oggi di fare passi avanti nella ricerca d' una soluzione ragionevole per il divieto delle armi atomiche e siamo sodisfatti dei progressi che in questa direzione si stanno compiendo. certo, molte illusioni non ce le facciamo, perché già vediamo come da parte degli USA si stiano preparando, dopo le nuove preposte avanzate dall' Unione Sovietica , riserve e argomenti nuovi per respingerle, come già era avvenuto altra volta. se il nostro relativo pessimismo sarà smentito, tanto meglio. sarà stato fatto un passo avanti verso l' accrescimento della reciproca fiducia e la distensione. ma sarà sempre soltanto un passo. quello che noi denunziamo, ponendo tal e denunzia alla base di tutte le richieste che avanziamo per ciò che si riferisce allo sviluppo della nostra politica internazionale , è la follia di mantenere aperta tra gli Stati la prospettiva di un conflitto atomico, e di renderla anche più concreta e grave, spargendo armi atomiche in tutti i paesi. la via che deve essere seguita è diametralmente opposta; è una via che deve tendere invece a limitare, a circoscrivere, a rendere sempre più ristretta l' area di esistenza e di possibile impiego delle armi di distruzione atomica. di qui la necessità che si provveda a creare zone disatomizzate in Europa; in Africa ed in altre parti del mondo e quindi la necessità che un paese come il nostro, tolti, forse quei missili terrestri che non servono più, si disimpegni da questa corsa alla estensione e moltiplicazione delle armi atomiche e si sottragga ad essa in modo chiaro e definitivo. su questa base noi giustifichiamo ancora una volta il nostro appello, di volta in volta più appassionato, a tutto il popolo italiano perché faccia propria la nostra richiesta di una politica di neutralità e di disimpegno dell' Italia dai conflitti tra le grandi potenze imperialistiche e dalle loro organizzazioni aggressive. il che non vuol dire che anche nelle condizioni che oggi esistono non si debba utilizzare il prestigio e la forza dell' Italia per avanzare, appoggiare, far progredire tutte le proposte, tutte le iniziative che tendano in qualsiasi modo ad alleggerire la tensione della situazione internazionale. la politica internazionale dell' Italia in questo momento, sulla base dei risultati di sviluppo economico e di avanzata sulla via della democrazia che abbiamo raggiunto, la politica che corrisponde agli interessi vitali del nostro popolo è soltanto quella della neutralità, del disimpegno progressivo e completo dai conflitti tra le grandi potenze. signor presidente del Consiglio , noi, nel 4954, se non erro, lanciammo con grande passione un appello che era rivolto a tutti gli uomini e in particolare alle forze del mondo cattolico, per una lotta comune contro il pericolo atomico, che in quel momento incominciava ad affacciarsi con particolare gravità. da allora sino ad oggi ciò che è avvenuto conferma quanto fosse legittimo e necessario quel nostro appello. lo ripetiamo oggi. noi non crediamo che i grandi problemi che si dibattono presentemente nel mondo possano ridursi al contrasto fra il presidente degli USA d' America e il capo del governo sovietico, i quali dovrebbero trovare la via di un accordo che ci salverebbe tutti. certo un accordo a questo livello, nella misura in cui avvenga, è da salutare e da favorire: è un elemento positivo. ricordiamoci però che il problema è di sopravvivenza della nostra civiltà e questo problema riguarda i popoli, tutti i popoli. vi è un mondo socialista il quale comprende milioni e milioni di uomini, ed è una forza che oggi è mobilitata per la pace. e così vi è un mondo di forze democratiche e vi è un mondo di forze cattoliche le quali pure devono essere oggi mobilitate per raggiungere, con un' azione e una lotta comuni, una nuova prospettiva di pace stabile, permanente, che allontani la minaccia dello sterminio atomico. onorevole presidente del Consiglio , noi ritorniamo a quel nostro appello, a quella nostra posizione, insistiamo sopra di essi, appunto perché non svalutiamo la forza del mondo cattolico e, accanto ai due grandi che emergono alla testa delle potenze mondiali di oggi, poniamo anche qualche, altra cosa: poniamo le grandi aspirazioni umane, poniamo i valori dello spirito, i quali devono. essere affermati e devono portarci alla conquista di una vera pace. neutralità, di disimpegno dell' Italia dai conflitti e dalle alleanze aggressive fra le grandi potenze, corrisponde pienamente alle tradizioni del movimento operaio italiano, a cui noi vogliamo rimanere fedeli e siamo fedeli. a chi ci parla della necessità di ammodernare l' armamento delle nostre forze armate , in questo modo colorendo il proposito di fare dell' Italia una potenza atomica, noi rispondiamo con una rivendicazione precisa: non un soldo per l' armamento atomico dell' Italia, nessun ordigno atomico, né sugli incrociatori, né sulle navi, né in mano alle unità armate italiane! non di questo ha bisogno l' Italia! ha bisogno di scuole, di case, di ospedali, di riscatto delle zone meridionali e delle terre mezzadrili, di creare nuove condizioni di vita per tutto il popolo italiano . l' impegno a diventare una potenza atomica nel quadro della politica americana servirebbe soltanto a impedirci di raggiungere questi, che sono gli obiettivi reali che stanno davanti al popolo italiano e che esso effettivamente vuole conseguire. la politica estera che voi avete fatto non ha niente di comune, all' infuori di qualche affermazione o di qualche parola, con ciò che noi chiediamo e rivendichiamo. abbiamo quindi tutte le ragioni per esprimere ancora una volta, chiaramente ed esplicitamente, la nostra sfiducia in questa formazione governativa e in questa maggioranza. passando ora alla politica economica interna, credo che nessuno potrà dirci che forziamo il nostro giudizio se affermiamo che il momento più caratteristico e più importante nel quadro che ci venne presentato con le dichiarazioni governative era, forse, più che la nazionalizzazione elettrica. l' attuazione dell' ordinamento regionale. si tratta infatti di una delle più gravi inadempienze costituzionali. credo che abbia fatto un serio torto alla memoria di Alcide De Gasperi quel notabile democristiano che è andato scrivendo che il presidente De Gasperi non aveva mai pensato seriamente ad attuare l' ordinamento regionale; cosa che riteniamo non possibile, dato che egli aveva non soltanto giurato, ma persino firmato personalmente l' atto costituzionale. certo è che da quindici anni la norma costituzionale che rende obbligatorio l' ordinamento regionale, che fa di esso parte essenziale della struttura dello Stato repubblicano, aspetta di essere applicata. non solo, ma è assai strano rilevare che l' ordinamento regionale oggi esiste soltanto là dove lo si è strappato con la forza, dove per strapparlo sono state condotte lotte di massa che hanno avuto persino punte di violenza e in qualche caso persino aspetti di guerra civile , come nella Sicilia; oppure dove l' ordinamento regionale si imponeva perché, se non fosse stato introdotto, si poteva temere movimenti analoghi o persino sgradevoli ripercussioni di ordine internazionale. da questa osservazione esce un brutto insegnamento. a coloro che vanno dicendo che noi saremmo autori di non so quale violenza contro l' ordinamento costituzionale, rivolgo l' invito a riflettere su questo fatto. sono essi i responsabili di una vera violenza contro l' ordinamento costituzionale dello Stato, sono essi che provocano il malcontento e l' insurrezione di così gran parte dell' opinione pubblica contro tale inaudita, scandalosa inadempienza costituzionale. l' attuale direzione della Democrazia Cristiana ha trovato un ben strano argomento a sua giustificazione: l' ordinamento regionale non potrebbe essere attuato sino a che non vi è una assoluta certezza di omogeneità politica fra il governo centrale e quelli che dovranno essere, nel futuro, i governi regionali. questa posizione è molto sorprendente se si pensi soprattutto al passato, quando, esistendo al centro, a Roma, governi centristi che si reggevano su maggioranze di cui facevano parte, oltre alla Democrazia Cristiana , i socialdemocratici e i repubblicani, in Sicilia le maggioranze continuarono per anni e anni ad essere fondate sull' alleanza fra la Democrazia Cristiana ed i movimenti monarchico e fascista. allora non si denunziava la mancanza di omogeneità; essa era tollerabile, anzi la regola. in realtà qual è lo scopo dell' ordinamento regionale? lo scopo dell' ordinamento regionale è proprio quello di riuscire a organizzare, nell' autonomia e nel rispetto delle leggi, una libertà e varietà di accesso delle diverse correnti politiche e dei diversi gruppi sociali al Governo della cosa pubblica . la molteplicità e la diversità delle esperienze regionali è quindi qualcosa di intimamente connaturato con lo stesso ordinamento della regione così come la nostra Costituzione lo prevede. se si sopprime questo elemento, che può essere qualcosa di sostanziale per gli sviluppi della democrazia del nostro paese, si celebreranno i fasti dello Stato accentratore e burocratico, e un vero progresso democratico non ci sarà. io non so quanti dei partiti che sono partigiani dell' ordinamento regionale accettino questa argomentazione dei dirigenti della Democrazia Cristiana ; se la accettano, ritengo che essi rinunzino a qualcosa di sostanziale del loro orientamento democratico. penso però anche che il risultato che i dirigenti della Democrazia Cristiana si ripromettono di conseguire possa essere molto difficilmente ottenuto attraverso le pressioni che essi stanno esercitando ed alle quali sembra abbiano già ceduto gli attuali dirigenti del partito socialista . anche se costoro dovessero arrivare a nuove, inconcepibili, assurde capitolazioni di fronte ad una simile richiesta antidemocratica, guardate l' esempio della Sicilia! i problemi reali, di fondo, che si porranno alle assemblee regionali e che già or a si dibattono nelle regioni, sono di tale portata, interessano così da vicino le masse che noi principalmente o nelle prime file organizziamo, che è assurdo pensare che l' attuazione dell' ordinamento regionale possa accompagnarsi al famigerato isolamento del nostro partito, a quella messa al bando dei comunisti che è oggi la direttiva che la Democrazia Cristiana intende imporre a tutte le forze politiche che con essa collaborano. ad ogni modo, è un fatto che vi era un impegno formale del Governo per la votazione di tutte le leggi istitutive ed organizzative delle regioni prima dello scioglimento dell' Assemblea; un impegno formale a che le elezioni regionali avessero luogo dopo quelle politiche, ossia dopo l' inizio della prossima legislatura. questo impegno è stato apertamente violato; noi non sappiamo nemmeno, qualora il Governo ottenesse nuovamente la fiducia, che cosa si voglia fare per quanto riguarda l' approvazione delle leggi regionali: quella finanziaria, che è stata esaminata dalla competente Commissione di questa Camera, è priva di qualsiasi valore. poteva essere ridotta a un semplice emendamento o ad una aggiunta alla proposta di legge Reale . oggi non sappiamo però nemmeno più se questo mostriciattolo verrà portato davanti a noi per ricevere un' approvazione; è probabile che non se ne farà più niente. il crollo di questa parte del programma governativo coinvolge nella sua caduta altri momenti essenziali di esso. non esistendo l' organizzazione regionale, altri punti del programma governativo perdono il loro valore, oppure ne acquistano uno diverso da quello che si pensava potessero avere. in sostanza tutta una serie di misure di ordine economico e politico si spiegava e si inseriva nel programma governativo nella prospettiva del passaggio all' elaborazione e applicazione di un piano economico di sviluppo, cioè di un certo grado e di alcune forme di pianificazione dell' economia nazionale, nell' interesse della collettività. a questo tendeva, come è stato detto, la stessa nazionalizzazione dell' industria elettrica, come strumento che avrebbe dovuto fornire agli organi di pianificazione i mezzi per spingere il processo di industrializzazione in determinate regioni e regolarlo sull' area nazionale. mancando l' organizzazione regionale nemmeno questo compito potrà essere adempiuto. d' altra parte lo stesso contenuto antimonopolistico che la misura di nazionalizzazione dell' industria elettrica aveva, e che in parte conserva, è stato singolarmente diminuito dalle dichiarazioni secondo le quali a questa nazionalizzazione non ne dovrebbero seguire altre, che essa è una eccezione, che sulla strada da essa indicata la Democrazia Cristiana e i governi che ne esprimono la volontà politica non dovranno più mettersi. con siffatte dichiarazioni si è restituita la vecchia baldanza ai gruppi dirigenti del grande capitale monopolistico. tutta l' operazione economico-politica che era preveduta nel programma governativo, di cui si era parlato al congresso democristiano di Napoli e nei successivi nostri dibattiti, cade, non si comprende più su che cosa possa reggersi. altro esempio caratteristico è quello delle misure a favore dell' agricoltura. era da prevedere che esse avrebbero tenuto conto delle indicazioni uscite dalla stessa conferenza agricola consultiva delle rivendicazioni unitarie, delle organizzazioni contadine; era previsto che contenessero provvedimenti seri per la scomparsa dei più vecchi e dannosi tipi di conduzione agraria e che affrontassero anche il problema dell' agricoltura sotto un angolo nuovo, quello di uno sviluppo poggiato su enti particolari, legati a una organizzazione regionale. di tutto ciò però non rimane nulla. le misure per l' agricoltura sono state presentate alle assemblee parlamentari in un testo che non è ammissibile, che contraddice a tutto quello che era stato detto, non tiene conto delle più interessanti proposte della conferenza dell' agricoltura, respinge tutte le rivendicazioni del mondo contadino, non accetta il principio dell' esproprio dei terreni mezzadrili, rifiuta di affrontare il tema della creazione di enti di sviluppo legati a una nuova organizzazione, aderente alla struttura agricola del paese. qui ci troviamo di fronte, effettivamente, ad un caso tipico di ritorno alla tradizionale politica agraria della Democrazia Cristiana , mentre nelle dichiarazioni del Governo pur qualcosa era stato detto che poteva essere interpretata come una ragionevole correzione di quella politica. allo stesso modo si presenta oggi, e talora aggravata, la maggior parte dei problemi relativi agli squilibri e alle difficoltà della nostra economia. questi problemi sono destinati a rimanere insoluti, perché non è nemmeno possibile affrontarne una soluzione ragionevole, fino a che non si passi all' attuazione dell' ordinamento regionale e fino a che non si cambino le direttive, gli indirizzi economici e politici generali dei governi passati. si tratta di problemi che sorgono in tutta l' area della nostra vita sociale, questioni nuove che si presentano in modo acuto, altre che si acutizzano, tutte chiedendo soluzioni urgenti. si tratta dei problemi posti dall' emigrazione interna, dallo sviluppo urbanistico, dall' inadeguatezza dei trasporti urbani e vicinali, dei problemi della casa, della scuola, nella lotta contro la speculazione sulle aree fabbricabili e così via . non vi è luogo, non vi è città, non vi è regione dove questi problemi oggi non si presentino in modo sempre più grave. la vecchia legislazione, la vecchia struttura dello Stato non è più adeguata alla soluzione di questi problemi. occorrono indirizzi e strumenti nuovi. occorre una nuova organizzazione dello Stato che consenta alle popolazioni stesse, ai comuni, alle province e alle regioni, politicamente organizzate su una base autonoma, di affrontare e risolvere nella loro autonomia i propri problemi. ma questi obiettivi non si raggiungono ove manchi una precisa volontà politica, la quale deve avere come obiettivo principale la lotta per ridurre e spezzare il potere del grande capitale monopolistico. è in questo campo che la formazione politica attuale avrebbe dovuto fare qualche passo avanti; è in questa direzione che si deve fare una svolta. ma è proprio qui che una svolta non si vuole fare. e allora diventa impossibile qualsiasi rinnovamento: si può continuare a parlare di indirizzi nuovi, di politica di piano, di programmazione democratica, ma a queste parole non può più corrispondere nulla di serio. si rimane, onorevole La Malfa , nell' ambito di affermazioni puramente velleitarie. tutti sanno che vi è stata, dopo la formazione di questo Governo, una potente spinta di lotte operaie e contadine in tutto il paese: 178 milioni di ore lavorative perdute per scioperi nello scorso anno . però non credo si debba considerare questa spinta di lotte operaie come una conseguenza positiva del passaggio alla formazione politica attuale. certamente, le masse lavoratrici hanno visto davanti a loro la possibilità di ottenere qualche cosa, si sono mosse, sono scese in lotta, hanno fatto sciopero. a ciò le hanno spinte le necessità della loro esistenza. però ricordatevi che uno sciopero non è un esercizio piacevole. quando si fa sciopero, non si portano a casa i soldi della paga. la grande ondata di scioperi è quindi un segno di vitalità, di combattività delle masse operaie; è anche un segno dell' aspettativa che si era diffusa tra le classi lavoratrici dopo la costituzione della nuova maggioranza governativa e la formazione del nuovo Governo. a questa spinta combattiva si è però opposta la testardaggine sempre più grave, sempre più pesante del padronato; e il Governo, per il modo come ha impegnato le forze di polizia nei conflitti di lavoro, ha favorito questa testardaggine. la lotta che conduce la classe operaia per migliorare le proprie condizioni di esistenza è una lotta profondamente necessaria oggi nel nostro paese e profondamente democratica, in quanto tende ad accrescere la capacità contrattuale e ad estendere le posizioni di forza della classe operaia e dei suoi sindacati, in confronto ai gruppi più reazionari della nostra economia e della nostra società. è assurdo in queste condizioni andare dibattendo se possa esservi un rapporto, e quale possa essere, tra la lotta salariale e l' aumento del costo della vita di cui oggi soffre gran parte della popolazione del nostro paese. la realtà è che nel rapporto tra lo sviluppo della produttività e l' aumento dei salari, la classe operaia ha subito, nel corso degli ultimi anni, gravi perdite. noi siamo all' ultimo posto, nel quadro dei paesi del mercato comune europeo, per quello che riguarda questo rapporto. nell' ultimo decennio, la produttività è aumentata dell' 80 per cento ; il prezzo del lavoro è aumentato del 18 per cento . ci troviamo quindi di fronte a uno squilibrio che deve essere ancora superato ed è lo squilibrio di fondo della nostra organizzazione economica. per superarlo dovranno ancora essere chiamate a combattere le masse lavoratrici direttamente con i loro scioperi, le loro agitazioni, le loro manifestazioni, ma a superarlo dovrebbe contribuire, e sinora non vi ha contribuito che in minima parte, la politica economica governativa. è assurdo che si lasci dire che è l' aumento dei salari che provoca l' aumento del costo della vita . fra l' altro, i salari sono particolarmente aumentati, se non erro, in aziende industriali che producono beni i quali non sono aumentati di prezzo sul mercato. se voi volete acquistare un' automobile FIAT, lo potete fare allo stesso prezzo di prima, benché le maestranze della FIAT abbiano avuto, credo, uno degli aumenti più rilevanti nel corso dell' ultimo anno. il problema, quindi, dell' aumento del costo della vita è assai più complesso, investe altri problemi, altre questioni, investe soprattutto la necessità di quell' azione antimonopolistica che io prima rivendicavo e di una lotta contro la speculazione che deve dar luogo a iniziative coordinate su scala comunale, provinciale e regionale, per una migliore organizzazione dei mercati, dei trasporti, del contatto fra la produzione e il consumo, per un appoggio decisivo che deve essere dato e invece non viene dato all' azione. del movimento cooperativo. se tiriamo le somme, vediamo come a poco a poco si è assottigliato, come tende a scomparire, come alla fine scompare quel proposito di rinnovamento democratico che avrebbe dovuto guidare l' azione di questo Governo. per la scuola, si è attuato un cattivo compromesso, che presto o tardi dovrà esser e riveduto, perché la pratica stessa dimostrerà tale necessità. insoluto rimane intanto il fondamentale problema dell' inserimento della scuola materna nel sistema della scuola di Stato, misura che noi consideriamo d' importanza enorme per un avviamento a soluzione delle gravi questioni che stanno di fronte alle masse lavoratrici femminili. nel campo della politica interna , rileviamo che non è stata modificata la legge di Pubblica Sicurezza . ci si trova di fronte a episodi scandalosi e persino ridicoli, per quanto riguarda la censura degli spettacoli e le altre manifestazioni artistiche. viene alla luce, con sorpresa di molti, ma non di coloro che conoscono il modo come è organizzata la direzione della nostra società civile , una crisi assai profonda dell' ordinamento della giustizia. e così, per una serie notevole di altri problemi, ci troviamo di fronte, nelle Commissioni parlamentari, a progetti di legge presentati a ripetizione, ma in generale mal e elaborati, che esprimono quell' attivismo burocratico che è caratteristico del nostro presidente del Consiglio , ma in pari tempo esprimono una palese decadenza, la incapacità di affrontare le questioni di fondo e dare ad esse una soluzione, per cui nelle Commissioni è ormai invalsa l' abitudine di procedere, di fronte ai progetti del Governo che tutti consideriamo cattivi, a stralci e successivamente ad altri stralci, in modo che nulla di sostanziale viene risolto e regolato. sono chiari quindi, oltre che molteplici, i motivi della sfiducia. anche quel tanto di aspettativa che avevamo in ciò che avrebbe potuto fare di buono questo Governo è oggi spento. rimane l' inadempienza programmatica, di cui certamente i dirigenti democristiani portano la colpa principale. per quello che riguarda gli alleati della Democrazia Cristiana nell' attuale maggioranza, essi hanno in gran parte ingannato se stessi e anche gli altri, diffondendo l' illusione che ci trovassimo all' inizio di una svolta, mentre rinunciavano a combattere perché una svolta effettivamente vi fosse. il centrosinistra come formazione politica e come Governo era sorto, dobbiamo riconoscerlo, da un grande movimento di opinione pubblica , cui avevano contribuito quel risveglio degli ideali dell' antifascismo, di cui si ebbe la manifestazione più grande nell' e lotte dei mesi di giugno e luglio del 1960, una nuova ondata di aspirazioni democratiche, la consapevolezza in una gran parte dell' opinione pubblica della necessità di nuovi indirizzi politici per affrontare e risolvere i problemi diventati acuti negli ultimi anni. di qui partirono i dibattiti, le elaborazioni programmatiche, un assieme di movimenti che coinvolsero forze politiche di tutto il campo democratico: della Democrazia Cristiana , della socialdemocrazia, repubblicane, socialiste, e naturalmente compresero anche quell' ala estrema del movimento democratico che siamo noi. noi non pensammo nemmeno a chiedere, quando si formò e prese vita la nuova formazione politica , di essere forza di Governo. non abbiamo mai posto questo problema. chiedemmo solo che si facessero passi seri verso la direzione che in sostanza rispondeva ad una aspirazione collettiva, comune, unitaria. e la nostra sfiducia oggi è motivata essenzialmente dal fatto che i passi che avrebbero potuto e dovuto essere fatti non sono stati compiuti e si è, invece, tornati indietro. l' asse politico è stato gradualmente spostato verso una posizione completamente diversa da quella di partenza. il centrosinistra non è stato più concepito come formula di rinnovamento, ma unicamente come il mezzo per applicare la vecchia politica della Democrazia Cristiana , con una strumentale estensione verso sinistra della maggioranza di Governo. ora, questa è un' altra cosa, è una cosa completamente diversa. si tratta in sostanza, a questo punto e secondo questa concezione, di un centrismo di nuovo tipo, di un centrismo allargato verso il partito socialista , che tenta di inglobare il partito socialista , ma che implica « la rinuncia ai punti essenziali di quel programma. di rinnovamento democratico che erano stati presentati al Parlamento e al paese. che cosa potrà essere fatto ora, dopo che questo dibattito sulla fiducia sarà terminato? non sappiamo, non ci facciamo illusioni. riteniamo però che, comunque vadano le cose, ad alcune misure non si possa rinunciare. per ciò che riguarda i miglioramenti agli statali, si tratta soltanto della ratifica di un accordo. ma vi sono altre misure importanti che non possono essere lasciate cadere. fra tutte noi poniamo in primo piano l' attuazione della regione autonoma Friuli Venezia Giulia . occorre chiudere il processo legislativo a proposito di questo problema, in modo che la questione non debba essere affrontata in una nuova legislatura. per ciò che si riferisce alla riforma del Senato, desidero dare una risposta all' onorevole Saragat, il quale avrebbe detto, in una riunione recente della direzione del suo partito, che noi comunisti osteggiamo questa riforma perché essa tende a consentire l' ingresso anche nel Senato di esponenti dei partiti intermedi di centrosinistra. desidero far presente all' onorevole Saragat che questa sua interpretazione è assolutamente errata. noi siamo favorevoli alla riforma, e siamo favorevoli a che anche nell' Assemblea del Senato vi sia una degna rappresentanza dei partiti del centrosinistra, corrispondente alle forze che essi hanno nel paese. quando si chiese il nostro consenso per una modifica della legge elettorale che andava a danno nostro, come della Democrazia Cristiana , e a vantaggio di questi partiti, noi consentimmo senz' altro a quella modificazione. se abbiamo finora posto in un determinato modo il problema del voto definitivo circa la legge di riforma del Senato è unicamente perché non volevamo che l' approvazione della legge potesse dare motivo anzitempo a uno scioglimento delle assemblee parlamentari. nella nuova situazione che si è creata, esamineremo questo problema in accordo con le direzioni degli altri gruppi politici . questi, però, sono problemi da trattare in altra occasione e in altra sede, per iniziativa, forse, del presidente della nostra Assemblea. più gravi e più urgenti, oggi, sono altri problemi che, per essere risolti, esigono mutamenti profondi negli indirizzi politici governativi, esigono una politica estera italiana di pace, esigono un' azione coordinata, ampia, potente, per accrescere il livello di esistenza dei lavoratori, che è ancora incredibilmente basso, inadeguato alle necessità della vita; sono i problemi della casa, della scuola, della città, della terra; dell' inizio di quella programmazione economica che dovrebbe essere compiuta negli anni. venturi. tutto questo però non è possibile, tutto ciò non si può fare se non attraverso una profonda modificazione democratica della struttura stessa dello Stato, in corrispondenza con le norme che sono scritte nella Costituzione repubblicana. pertanto noi rivendichiamo, come linea di Governo, un orientamento democratico e antimonopolistico. non ci si può accontentare di mezze misure nell' opera di rinnovamento e nella lotta contro le potenze monopolistiche che tuttora dominano il nostro paese. qualora questa lotta venga fatta a mezzo, si corre il rischio di avere gli svantaggi tanto di averla fatta, quanto di non averla condotta avanti, di provocare un riflusso di opinione pubblica non nella direzione giusta, ma nella direzione opposta, sotto la spinta della demagogia dei liberali e dei partiti dell' estrema destra . noi ci proponiamo, quindi, di condurre una lotta aperta, ampia, decisa per un' effettiva svolta a sinistra nella politica nazionale. noi chiameremo tutte le categorie dei cittadini, esaminando i problemi loro vitali, a convincersi che questa svolta a sinistra è necessaria affinché questi problemi siano risolti nell' interesse loro. l' esperienza che è stata fatta con questo Governo consente a tutti di comprendere meglio ciò che noi vogliamo: un effettivo rinnovamento democratico, una vera politica di pace, un' avanzata del nostro paese sulla via del benessere e della libertà, sulla via che ci deve portare alle più profonde trasformazioni economiche e sociali.