Pietro NENNI - Deputato Maggioranza
III Legislatura - Assemblea n. 474 - seduta del 11-07-1961
Sfiducia al governo
1961 - Governo II Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 283
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , delle ragioni che hanno determinato il gruppo socialista a presentare una mozione di sfiducia al Governo si sono date molte interpretazioni generalmente arbitrarie, che formeranno oggetto di discussione per noi soltanto se verranno riprese in questa sede. per parte mia ho trovato giusta l' osservazione fatta da un giornale romano della sera, il quale ha considerato del tutto naturale, anzi doveroso, che ad aprire un dibattito sulla fiducia fosse il partito socialista italiano, perché l' astensione socialista di un anno fa, a giudizio di quel giornale, contribuì a dare un immediato credito di fiducia al ministero Fanfani più di quanto non gliene derivasse dalla maggioranza che si era schierata dietro di esso. è ovvio che non si tratta per noi di procedere a quella che è stata chiamata una verifica della maggioranza. la verifica della maggioranza è prerogativa del presidente del Consiglio , è semmai diritto di gruppi che fanno parte di questa maggioranza. noi abbiamo avuto un intento diverso: quello di prospettare al Parlamento le ragioni che ci fanno considerare pericolosa per la democrazia, dannosa per il paese, inefficiente per l' azione dello Stato la situazione che si è creata con una maggioranza ed un ministero i quali hanno assolto da tempo, a giudizio nostro, al mandato che fu loro conferito dal Parlamento, di ristabilire la normalità democratica violata ed offesa dai fatti del luglio dello scorso anno e per le responsabilità in quei fatti assunte dal Governo che allora era in carica . è inerente, a nostro giudizio, a questo scadimento della funzione di una autentica maggioranza e di un Governo, anche il fatto che i « convergenti » si trovano di fronte ai maggiori problemi del paese in una condizione di discordia rispetto ai problemi e ai mezzi da impiegare che ricrea il vuoto di fiducia nel quale poté inserirsi un anno fa un' avventura di carattere autoritario e reazionario. per intendere, onorevoli colleghi , e per valutare le ragioni della nostra iniziativa, occorre appunto riportarsi alla lunga crisi che caratterizzò l' inizio del 1960 e che trovò il suo punto di maggiore accentuazione e drammatizzazione negli avvenimenti del luglio dello scorso anno . il problema di fronte al quale ci trovammo allora fu di liquidare quell' avventura traendo forza dal movimento antifascista popolare esploso in manifestazioni di piazza nei confronti delle quali le forze di polizia e militari vennero istigate dallo stesso Governo ad entrare in aperto conflitto col popolo. la prima voce che si alzò alla Camera per chiedere le necessarie misure di emergenza fu quella del nostro gruppo parlamentare con l' invito che io rivolsi ai partiti e ai gruppi che si richiamano alla tradizione del CLN di mettere da parte le loro discordie, per liquidare l' avventura di luglio e dare al paese un Governo il quale fosse in grado di ristabilire la normalità democratica. ciò rese possibile la costituzione assai rapida del ministero Fanfani; ciò rese possibile, non senza esitazioni e valutazioni interne diverse, l' astensione del nostro gruppo. quell' astensione significava tre cose: riconoscimento dell' eccezionalità del momento, riconoscimento del concorso dato dalle masse popolari antifasciste alla soluzione della crisi, riconoscimento della necessità di una tregua per liquidare i postumi dell' avventura di luglio. che la nostra astensione non implicasse fiducia, né attesa al di là del tempo strettamente necessario per ristabilire la normalità democratica fu detto da noi nei termini più espliciti: anzi, noi fissammo nelle elezioni amministrative dell' autunno, che poi furono convocate per il 6 novembre, il limite al di là del quale veniva a cadere la necessità di una tregua. il sentimento, onorevoli colleghi , che quella di allora fosse un' operazione politica a termine, se non nel senso stretto del calendario, almeno nel senso del mandato che il Parlamento conferiva al nuovo ministero, era pressoché generale, come era generale o quasi, nei gruppi almeno della sinistra laica e cattolica, la sensazione che a precipitare il paese nella crisi dell' estate era stato il vuoto di potere inerente alle situazioni di necessità teorizzate dal gruppo dirigente della Democrazia Cristiana , che avevano creato una situazione in cui a priori si rinunciava ad andare a fondo nell' individuazione dei problemi del paese e ci si limitava ad agire sui sintomi della malattia sociale senza agire sulle cause. non poteva non essere concorde in una valutazione del genere lo stesso onorevole Fanfani, il quale usciva appena dal fallito tentativo di formare un ministero di centrosinistra che potesse contare sull' appoggio dei socialisti ed aveva alle spalle la battaglia condotta al congresso democristiano di Firenze del suo partito, sulla base di una piattaforma che egli stesso intitolò: « dallo schema al programma e dal programma agli strumenti e alle forze di attuazione di quel programma » . gli esecutori di un programma, aveva detto il presidente del Consiglio ai congressisti fiorentini, non sono automi, hanno volontà politica e quindi ne scelgono le modalità di attuazione. credo che questo potrebbe essere il tema del presente dibattito. su questo tema squisitamente politico il paese è interessato a conoscere l' opinione attuale della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati, in particolare di quelli che continuano a parlare di una prospettiva di centrosinistra e intanto hanno concorso a determinarne il deterioramento con una azione che manca di ogni coerenza tra le cose che si dicono e le cose che si fanno. voglio dire con tutta chiarezza, onorevoli colleghi , che nel determinare codesto deterioramento la destra e il centro democristiani, i liberali e i gruppi di pressione che operano nel paese hanno fatto la parte che loro spettava, e che, invece, non hanno fatto la parte che dovevano fare proprio quei gruppi che ancora si richiamano al centrosinistra. è la socialdemocrazia, la quale col suo livore contro il partito socialista non ha fatto altro che fornire argomenti e alibi alle forze di destra che questi alibi ricercavano. sono le forze di centrosinistra della Democrazia Cristiana , sono gli stessi repubblicani, anche se di essi va detto che sono stati soli, col concorso di correnti minoritarie democristiane e socialdemocratiche, a cercar di evitare l' impantanamento centrista dell' attuale maggioranza. pertanto, il dibattito nel Parlamento ci interessa nella misura in cui fa obbligo alle forze di centrosinistra di pronunciarsi — con tutta chiarezza sulle prospettive e sul contenuto della politica dell' attuale maggioranza. è nei loro confronti che noi ci siamo trovati nella necessità di cercare un chiarimento, che oggi avviene nel Parlamento e che trasferiremo domani nel paese. il resto per il momento ci interessa un poco meno, e non già perché non vi siano delle forze di estrema destra da sorvegliare, da isolare, da mantenere in condizioni di non nuocere, perché purtroppo ve ne sono; ma perché sembra a noi che nel momento presente a dar vigore offensivo a queste forze sia il decadimento di una esperienza che è nata sotto il segno dell' antifascismo e della lotta alla destra e che sta riportando la destra alle posizioni di potere dalle quali fu scacciata un anno fa dalla volontà del popolo e dalla volontà del Parlamento. a questo punto mi consenta la Camera di dare una risposta a chi in buona fede ha accusato di intempestività l' iniziativa presa dal nostro partito e su codesta intempestività ha imbastito una presa di posizione pregiudizialmente contraria alla nostra mozione e alle nostre tesi. il concetto di tempestività o di intempestività è per sua natura molto elastico. alcuni ci dicono che la nostra iniziativa è in ritardo, altri ci dicono che la nostra iniziativa è in anticipo. l' argomento decisivo nelle nostre discussioni interne di partito è stato il seguente (ed io credo che possa valere per la Camera come è valso per noi): attendere che cosa? in quale misura, in quale senso la situazione si prospetta diversa in autunno rispetto a quella di questa torrida estate? il collega e amico onorevole La Malfa , al quale hanno fatto eco l' onorevole Donat-Cattin, la minoranza socialdemocratica, molti amici di ogni partito della sinistra laica e cattolica, si fa forte di una difficoltà che sorgerebbe dalle attuali contingenze parlamentari. prima di vedere in che misura consideriamo la sua tesi inaccettabile, gli dobbiamo dare atto che egli ha condotto da solo o quasi una vigorosa lotta per impedire il deterioramento della situazione. il dubbio che egli ha affacciato è che una crisi aperta oggi possa trovare una soluzione soltanto a destra, anzi, addirittura all' estrema destra , possa portare ad uno scioglimento delle due Camere, possa dar luogo alla formazione di uno di quei ministeri di affari che, una volta insediati, gettano la maschera ed assumono aperto carattere di provocazione. è un giudizio sulla situazione attuale del paese che è assai più pessimista di quello che diamo noi, e può sembrare addirittura paradossale che argomenti di questo genere siano stati e siano ripresi da quei convergenti di centrosinistra che si dispongono a votare la fiducia senza riserva alcuna. dicono costoro che oggi peserebbe sulla Camera, sul Parlamento, sul paese la minaccia di una soluzione a destra della crisi. mi sembra che la Democrazia Cristiana non possa accettare molto lietamente un giudizio di questo genere. mi sembra che siano proprio gli alleati della Democrazia Cristiana a dire che non attribuiscono alcun credito alle deliberazioni del Partito di maggioranza relativa, quando esso ha rotto con l' estrema destra , su una posizione alla quale noi abbiamo fatto credito ed alla quale io faccio credito ancora oggi, almeno per quello che riguarda l' onorevole Moro e i gruppi che hanno collaborato insieme con lui nel partito nel corso di questi ultimi mesi. e mentre oggi noi sappiamo che vi è un impegno della Democrazia Cristiana a non colludere con l' estrema destra , mentre anche in quell' aggrovigliato fastello di contraddizioni, di cui abbiamo avuto sotto gli occhi l' espressione, sia nel corso della lunga crisi siciliana, sia nel corso della crisi capitolina, questo punto almeno è stato mantenuto fermo, noi non sappiamo, onorevoli colleghi , quello che potrà avvenire nel prossimo autunno, dopo un congresso della Democrazia Cristiana che non sappiamo che cosa sarà....... e che in ogni caso oggi mostra di essere indirizzato verso un tentativo di sottrarre la Democrazia Cristiana alla scelta tra centrosinistra e centrodestra con una fuga in avanti, verso le elezioni e verso la conquista, per fortuna illusoria, onorevoli colleghi , della maggioranza assoluta nelle elezioni. per cui noi siamo giunti alla conclusione che, se il limite della Democrazia Cristiana è il centrismo, allora il compito dei fautori del centrosinistra è di forzare questo limite oggi e non domani; e non si forza questo limite se non con una lotta che non tolleri né rinunzie né rinvii. vi sono altre ragioni di ordine più strettamente parlamentare per escludere che l' occasione di una crisi possa presentarsi più propizia in autunno. se chi considera intempestiva una crisi adesso, ha l' occhio rivolto alla possibilità che essa dia luogo allo scioglimento delle Camere e ad un Governo di affari, vi è già chi afferma (e lo afferma la Democrazia Cristiana ) che in autunno una crisi non si può fare proprio perché il presidente della Repubblica , entrato nell' ultimo semestre del suo mandato, non disporrà più del diritto di sciogliere le Camere e perché in quelle condizioni si fa valere il rischio, la minaccia, di una crisi come quella che si è trascinata in Sicilia per quattro mesi e che sul piano nazionale potrebbe determinare una vera e propria crisi delle istituzioni. quindi, la tesi dell' onorevole Moro e della direzione della Democrazia Cristiana è che, se si vuole una crisi, bisogna farla adesso o dopo l' elezione del Capo dello Stato ...... cioè nel maggio del 1962, quando le dimissioni del ministero, questo o un altro, diverranno formalmente inevitabili. anzi l' onorevole Fanfani, nel suo discorso di Ravenna e l' onorevole Saragat, nei suoi articoli, hanno addirittura saltato, come una stazione che non li riguarda, la fermata del maggio del 1962 per fissare come iter conclusivo della vita di questo ministero le elezioni politiche del 1963. capisco, onorevoli colleghi , che a questo giuoco, che reputo pericoloso ed anche insensato, ci stia la Democrazia Cristiana , che, allettata dall' esperienza della Sardegna, può credere di trovarvi il suo tornaconto e vi trova intanto il prolungamento di un monopolio del potere che nel paese si fa sempre più pesante e che pone gravi problemi per la vita democratica della nostra nazione; ma non capisco che al giuoco ci stiano i convergenti senza porre almeno il problema che a giusta ragione non posero un anno fa: quello delle comuni responsabilità esecutive in un governo di coalizione . perché delle due l' una: o è vero che i « convergenti » sono d' accordo, e nessuno capisce perché non governano insieme il paese; o non sono d' accordo, e nessuno capisce perché vogliono prolungare una situazione che non serve al Parlamento né al paese. onorevoli colleghi , mi incombe a questo punto l' obbligo di dire le ragioni per le quali noi abbiamo impostato la nostra mozione di sfiducia sulla considerazione che alla maggioranza e al Governo mancano l' omogeneità e la volontà politica necessarie per darsi e soprattutto per attuare un programma adeguato ai problemi che il paese deve e vuole affrontare e risolvere. ciò comporta un riferimento ai maggiori problemi del momento, che cercherò di fare in termini quanto più possibili concisi e precisi. comincio dal problema della scuola, del quale giustamente il comitato centrale del nostro partito ha detto, nei giorni scorsi, che è da considerare sul piano medesimo del destino della democrazia. non voglio trattare del problema della scuola in generale. voglio vedere con voi, onorevoli colleghi , qual è stata l' incidenza della mancanza di omogeneità della maggioranza nel ritardo scandaloso con il quale vengono trattati i problemi della scuola... il contrasto relativo al piano della scuola, che è davanti alla Camera, riguarda innanzi tutto la questione pregiudiziale degli aiuti finanziari dello Stato alle scuole private e confessionali, introdotti di straforo dal piano Fanfani per le borse di studio , per le scuole materne , per l' edilizia scolastica, e che l' emendamento Franceschini, trasformato poi in proposta di legge , affronta e risolve in termini brutalmente contrari alla lettera e allo spirito della Costituzione; riguarda la proposta dei nostri commissari nella Commissione dell' istruzione pubblica di stralciare dal piano le sovvenzioni alle scuole private, di agganciare il finanziamento alle singole riforme previste dal piano, di passare direttamente allo Stato il finanziamento edilizio, sottraendolo all' oneroso sistema dei mutui. i liberali, e più ancora i socialdemocratici, si sono dimostrati, a differenza dei repubblicani, assai deboli nei confronti dell' intransigenza clericale. sotto lo stimolo dell' opinione pubblica democratica, degli uomini della scuola e degli studenti sembrano adesso impegnati a chiedere lo stralcio. per l' onorevole Preti è questa una delle condizioni del voto di fiducia che i socialdemocratici si apprestano a dare. e vedremo, onorevole Preti, non fra tre mesi ma fra 48 ore che cosa accadrà. perché se l' onorevole Fanfani non sarà in grado di annunciare lo stralcio, se l' onorevole Moro non sarà in grado di annunciare alla Camera che l' emendamento Franceschini è un atto individuale, che non impegna la Democrazia Cristiana e che in modo particolare non l' impegna a farne una questione di Governo e di maggioranza, allora, onorevoli colleghi « laici » , voi avrete dimostrato che portate i vostri voti all' ammasso democristiano, senza essere in grado non dico di condizionare la politica generale del Governo ma neppure la politica scolastica . e allora l' onorevole Saragat farà bene a ricordare quello che tante volte Filippo Turati ha detto, nelle sue polemiche con Bissolati e con Bonomi, sulle « spigolature di potere » , sul « poter e senza potere » , che egli respingeva come una mistificazione fatta ai danni della democrazia e dei lavoratori. un' altra cosa allora diventerà chiara: che della crisi della scuola i convergenti « laici » diventeranno non meno responsabili dei convergenti democristiani e della destra clericale. nelle questioni meridionali le cose non sono andate in maniera diversa da come sono andate per le questioni scolastiche. i dissidi fra i « convergenti » vennero in luce nel dibattito sulla politica per lo sviluppo del Mezzogiorno, che si è concluso alla Camera nello scorso febbraio. quella discussione che, anche da parte democristiana come da parte repubblicana e socialdemocratica, era partita da considerazioni critiche e dalla dichiarata esigenza di un mutamento di indirizzo, si concluse in « coda di pesce » per volontà dell' onorevole Malagodi. il Mezzogiorno sta pagando un prezzo assai alto alle convergenze divergenti. il metodo degli incentivi all' iniziativa privata e dell' intervento dello Stato conforme all' economia di mercato , come diceva l' onorevole Malagodi, non riesce a invertire la tendenza al crescente squilibrio fra nord e sud. avviene, insomma, quello che da questi banchi era già stato previsto nel corso della discussione dello scorso febbraio: gli interessi dei gruppi privati, dominanti sull' economia di mercato , continuano a prevalere sull' interesse pubblico, che esige il controllo del mercato e la programmazione degli investimenti per lo sviluppi). non minore, onorevoli colleghi , è il prezzo che i contadini, gli agricoltori, i braccianti pagano alle divergenze tra i « convergenti » in materia di riorganizzazione dell' agricoltura davanti alle nuove esigenze determinate dal corso irruento dell' industrializzazione e dall' ingresso dell' Italia nel mercato comune europeo. il nostro gruppo ebbe già occasione di dire nel dibattito sul « piano verde » che esso rispondeva a criteri produttivistici non strutturali, a concezioni settoriali, non ad una visione e ad una prospettazione completa del problema dell' agricoltura. e queste stesse esigenze erano sentite nello stesso partito di governo, e non da oggi. quanti anni sono passati, onorevole Fanfani, da quando ella disse a Perugia che ci voleva una soluzione integrale del problema mezzadrile, fondandosi sull' ovvia constatazione che in due non si vive sulla terra? quanto tempo è passato da quando il presidente del Consiglio , annunciando la conferenza nazionale agraria, parlò di rimedi i quali si inquadrassero in una visione globale del problema dell' economia di tutto il paese? ma i discorsi sono rimasti discorsi. la questione mezzadrile continua a porsi con crescente drammaticità, così come si pone con accresciuta urgenza la necessità di programmare la politica dei miglioramenti fondiari obbligatori. abbiamo un « piano verde » , non abbiamo un piano generale di riforma agraria . la stessa conferenza nazionale agraria è stata posta di fronte ai fatti compiuti, con un sistema che un giornale della sinistra democratica cristiana chiama, giustamente, « buffo » e che identifica nel metodo di deliberare prima e di studiare poi. ma oggi, onorevoli colleghi , la conferenza agraria nazionale dimostra che di fronte ai problemi dell' agricoltura italiana non vi è più spazio per il centrismo e che le convergenze possono mantenersi solo a patto di ignorare tale problema. le tre commissioni della conferenza hanno terminato il loro lavoro ed hanno redatto le rispettive relazioni, e le tesi di destra della Confida sono rimaste isolate, salvo che nella Commissione sui problemi della redditività e del mercato. sui problemi cruciali anche la Cisl, anche le « Acli » si sono trovate a dover sostener e posizioni analoghe a quelle della Cgil le questioni fondamentali sulle quali si è realizzato uno schieramento di sinistra sono: sviluppo dell' azienda contadina associata, superamento della, mezzadria, rapporto fra prezzi agricoli e prezzi industriali, credito agrario, rottura dell' attuale sistema monopolistico della Federconsorzi. ed è da notare che su quest' ultimo punto i rappresentanti della Cisl e delle « Acli » , oltre a numerosi esperti, hanno preso aperta posizione di denuncia dei metodi della Federconsorzi. sempre in materia economica le divergenze fra i « convergenti » hanno assunto un carattere estremamente significativo se si guarda al settore elettrico nei suoi tre aspetti: nazionalizzazione, avocazione allo stato della produzione elettronucleare, sistema tariffario. altro pomo della discordia continua ad essere la legge sulle aree fabbricabili, presentata molti anni or sono dal compianto onorevole Romita. si dice che finalmente la legge verrebbe discussa dopo le vacanze. è una legge di perequazione fiscale e di incentivi alle attività edilizie che concorrerà al miglioramento delle finanze comunali. ma quella legge direi che è significativa su come vanno le cose nel nostro Parlamento, sotto il segno dei convergenti di ieri e di oggi. dieci anni fa, una buona legge sulle aree fabbricabili, quando si sviluppavano le grandi speculazioni sulle aree fabbricabili ad opera delle aristocrazie agrarie, degli enti ecclesiastici, delle grandi società immobiliari, avrebbe qualificato da sé sola uno schieramento politico; oggi quella legge arriva troppo tardi e ognuno penserà che, se arriva oggi, è perché ormai i buoi sono fuggiti dalla stalla. infine maggioranza e ministero sono interamente carenti rispetto alla politica antimonopolio, che era stata annunciata un anno fa dall' onorevole Fanfani con l' impegno che il suo ministero, di fronte ai monopoli, non si sarebbe limitato alla tutela della libertà di concorrenza — che è il rimedio, che mi consento di definire « fasullo » , dei liberali — ma avrebbe assunto una serie di misure dirette a combattere le posizioni monopolistiche e ad impedire che se ne costituissero delle nuove. fu molto facile prevedere sin da allora che con — il ministero così come era costituito, con la maggioranza come si andava qualificando non si sarebbe fatto nulla; e non si è fatto null' altro che lasciare la briglia sciolta sul collo dei monopoli. la maggioranza e il Governo della convergenza si trovano oggi interamente allo scoperto. si tratti della scuola o della questione meridionale , dello sviluppo industriale o dell' agricoltura, la soluzione è in una visione globale dei problemi, cioè in un programma generale o in quella che noi chiamiamo una pianificazione dell' economia. in mancanza di un programma generale, il Governo supplisce con una caotica attività settoriale. l' onorevole Fanfani tocca tutti i tasti della tastiera, ma ritrae la mano come se la tastiera fosse percorsa da una corrente elettrica. e la corrente elettrica vi è: sono gli interessi conservatori che maggioranza e Governo non sono in grado di affrontare; la corrente elettrica vi è: sono le contraddizioni della maggioranza, la quale finisce per adeguarsi al minimo comune multiplo. della volontà dell' onorevole Malagodi. tutto, in queste condizioni, viene scaricato sul conto della contingenza favorevole e del miracolo italiano. e, certo, onorevoli colleghi , le cose vanno avanti, le cose del paese vanno meglio. si ha però l' impressione di una direttiva che riprende il motto famoso e cinico di Guizot in Francia, all' inizio dell' epoca industriale e dell' epoca coloniale: « enrichissez-vous! » . arricchitevi, fate buoni affari, lasciate qualche briciola del banchetto luculliano per i ceti più poveri e per i lavoratori. orbene, onorevoli colleghi , se un progresso economico non si trasforma in progresso sociale , se un arricchimento di ceti limitati e privilegiati lascia dietro di sé squilibri come quelli fra nord e sud e fra campagne e città, allora non si garantisce una società dal rischio sempre immanente di una recessione o, peggio, addirittura di una crisi bellica. se l' arte di governare è quella di prevenire, l' attuale classe dirigente merita l' accusa di affidarsi alla legge della facilità, senza erigere le dighe contro le quali una crisi economica , una crisi sociale del paese, potrebbe fermarsi senza determinare catastrofiche conseguenze. del resto, qualche cosa di questo genere è già avvenuto nei primi dieci anni del secolo sotto il Governo dell' onorevole Giovanni Giolitti. anche allora sotto l' impulso di una contingenza economica favorevole per la nascente grande industria , per le grandi lotte dei lavoratori, il paese fece un balzo in avanti. ma il rifiuto di affrontare i problemi strutturali fece sì che la società italiana non reggesse che difficilmente alla prova della guerra coloniale del 1911 ed alla prova ancora più difficile della prima guerra mondiale 1914-1918, fece sì che nel primo dopoguerra lo Stato costituzionale potesse essere facilmente travolto da una avventura reazionaria. onorevoli colleghi della maggioranza, noi vi accusiamo di privare il paese dei risultati che in questo momento si possono conseguire utilizzando sia la congiuntura economica favorevole, sia l' imponente sviluppo dei mezzi di produzione, sia la grande lotta dei lavoratori, lavoratori delle fabbriche, dei campi e delle categorie intellettuali che pongono oggi non soltanto rivendicazioni di carattere salariale o settoriale, ma pongono i problemi del potere dei lavoratori nella fabbrica, nell' azienda e al livello dello Stato. sei di voi si dovesse dire un giorno che questa occasione sarà andata interamente perduta, non credo che vi possa essere giudizio più severo circa quello che potevate fare, che potete fare e che non avete fatto e che state per dire di non voler fare. onorevoli colleghi , se dai problemi economici passiamo ai problemi concernenti l' ordinamento costituzionale e la politica interna , noi siamo costretti ad arrivare alle medesime conclusioni. brevissimamente accennerò. a tre di questi problemi: le regioni, le autonomie locali, l' ordine pubblico . un anno fa l' onorevole Fanfani saltò le difficoltà che gli creavano gli antagonismi fra liberali e repubblicani in materia di regioni, nominando una commissione che studiasse le questioni inerenti all' attuazione delle regioni a statuto normale. la Commissione ha finito i suoi lavori; anzi, la Commissione li aveva finiti già due mesi or sono e poi si concesse un altro lasso di tempo per sodisfare alle bizze dei liberali. le sue conclusioni sono nel senso che la legge numero 62 del 1953 relativa all' istituzione delle regioni, pur peccando di notevoli imperfezioni tecniche e pur avendo dato una interpretazione restrittiva della Costituzione nei confronti delle autonomie regionali , può essere attuata nella sua formulazione vigente. circa la spesa presunta delle regioni a statuto ordinario che si fa ascendere a 220 miliardi, di cui 170 miliardi di spesa trasferita dallo Stato alle regioni e 50 miliardi di spesa aggiunta, la Commissione ha proposto di devolvere alle regioni l' imposta fondiaria e una compartecipazione dell' IGE e del monopolio dei tabacchi. sono così cadute le obiezioni di carattere costituzionale e di carattere finanziario per passare all' attuazione delle regioni a statuto ordinario . non è venuta meno, onorevoli colleghi , la volontà ostruzionistica dei liberali e della destra interna ed esterna della Democrazia Cristiana , di fronte alla quale. i convergenti si preparano a fare un grazioso inchino e ad accettare che la questione venga rinviata, mettiamo, per esempio, a dopo le elezioni del 1963. le autonomie locali hanno un valore fondamentale, onorevoli colleghi , per chi vuole organizzare una sana ed autentica democrazia di base. ed ecco che sulla materia esiste un progetto di riforma del ministro degli Interni onorevole Scelba. non è la riforma seria e profonda della legge comunale e provinciale quale è richiesta da tempo dalle stesse esigenze degli enti locali e da tutte le associazioni che si interessano a questi problemi. anche ciò che nel progetto Scelba vi è di positivo sul piano tecnico viene annegato e distrutto dalla fondamentale ispirazione politica che lo ha motivato. vi è in primo luogo un manifesto rancore contro la proporzionale per i consigli provinciali e nell' intera legislazione elettorale amministrativa e forse anche in quella politica. è un rancore naturale da parte del ministro che ha al suo attivo la legge truffa » che il paese bocciò nelle elezioni del 1953. l' onorevole Scelba non perdona alla proporzionale di aver dato luogo alle Giunte difficili, cioè a quella necessità di scelta per la Democrazia Cristiana che egli vuole ad ogni costo evitare. ed ecco allora il tentativo di eliminare le maggioranze qualificate nelle elezioni dei sindaci e nella approvazione dei bilanci; ecco rafforzati i poteri delle Giunte nei confronti dei consigli; ecco confermate le giunte provinciali amministrative quali organi di controllo di merito. ebbene, onorevoli colleghi , ci riconoscerete almeno il diritto di chiedervi se quelle dell' onorevole Scelba sono opinioni personali o se sono le opinioni del Governo; ci riconoscerete il diritto di chiedervi che cosa pensa la Democrazia Cristiana di quel progetto; ci riconoscerete il diritto di chiedere cosa ne pensano i a convergenti » , in particolare la socialdemocrazia e i nostri amici repubblicani. vedo che l' onorevole Reale sorride. con ciò egli mi fa intendere che la pensa come noi. egli mi obbliga a dire che sta per votare per il ministero che queste cose vuole e che ha i poteri necessari per portarle avanti, anche se vi sono opposizioni all' interno della coalizione di Governo. onorevoli colleghi , in quanto ai criteri che presiedono al mantenimento dell' ordine pubblico , essi rimangono quelli tipici di una società gerarchica in cui popolo e forze di polizia e militari stanno su un piano diverso, di mutua diffidenza, di guerra fredda in attesa della guerra calda, in cui la forza pubblica è prevalentemente impiegata nelle lotte del lavoro e contro i lavoratori, nelle lotte democratiche e contro i democratici, in cui è possibile, come è avvenuto di recente a Modena, mettere sullo stesso piano una manifestazione antifascista e una provocazione neofascista, in cui si vuole creare il distacco tra forze di polizia e forze armate da una parte e forze popolari dall' altra così da potere fare appello all' impiego della violenza e addirittura delle armi. onorevoli colleghi , c' è voluta una recente sentenza della Corte costituzionale per dichiarare l' illegittimità del famoso articolo 2 della legge di Pubblica Sicurezza che concerne i poteri dei prefetti in materia di ordine pubblico . il ministro dell'Interno non aveva mosso un dito perché questo scandaloso articolo 2 sparisse dalle leggi del nostro paese. quanto alla politica estera dei « convergenti » , essa non si è mai sollevata dai limiti di una adesione acritica alle tesi, delle maggiori potenze atlantiche. vi fu un momento ormai lontano, tra l' autunno del 1956 e l' inizio del 1957, in cui sembrò che la Democrazia Cristiana si apprestasse ad impostare in termini nuovi i nostri rapporti coi popoli africani e con i paesi del Medio Oriente . poi tutto cadde nel solco dell' ordinaria amministrazione , senza alcuna iniziativa da parte nostra, salvo alcuni interventi nel settore petrolifero. nessuna parola nostra su problemi come quello drammatico dell' Algeria di preminente interesse mediterraneo. per non dare dispiaceri all' astro calante del generale De Gaulle noi stiamo inimicandoci l' astro sorgente della federazione del Magreb, che sarà fra non molto una realtà mediterranea. tutto ciò, onorevoli colleghi , non è serio e non si copre con la formula passe-partout della solidarietà atlantica e della solidarietà europea. le cose, del resto, non stanno ferme, anche se non hanno il permesso di muoversi da parte di Palazzo Chigi e della Farnesina. per esempio, negli scorsi giorni il Fronte di liberazione nazionale algerino ha probabilmente vinto con lo sciopero generale la sua battaglia definitiva per l' indipendenza. ebbene, chi da lontano avesse giudicato l' Italia dalla stampa governativa, avrebbe avuto l' impressione che il paese era con chi sparava sul popolo algerino , senza del resto con ciò fermare il corso vindice della storia che fa e farà la sua strada. qualche giorno fa, a Belgrado, l' onorevole Segni ha scoperto il neutralismo e il peso e l' interesse dei paesi non impegnati. è difficile credere che si tratti di qualcosa di più del classico coup de chapeau all' ospite. eppure verso i paesi neutrali e non impegnati europei, asiatici, africani il nostro paese, anche nei limiti delle alleanze che ha contratto, avrebbe una sua politica da fare che gli aprirebbe prospettive estremamente interessanti. abbiamo sulle braccia una questione dell' Alto Adige . giusto non cedere ai ricatti e agli attentati terroristici. giusto mantenere la controversia sollevata dall' Austria sul terreno giuridico. ma v' è un aspetto politico interno della questione che reclama misure ed iniziative del Parlamento, del Governo, della regione, e se questo non sarà fatto noi rischiamo di pregiudicare seriamente gli interessi del nostro paese. non è più possibile per non far dispiacere a Bonn fingere di ignorare il legame che unisce l' esplosione della questione altoatesina al minaccioso risveglio del pangermanesimo. nell' atmosfera creata da questo risveglio che il mondo sta per essere impegnato nella controversia di Berlino. al di là delle posizioni di forza che vanno assumendo i due blocchi , l' interesse del nostro paese, di un paese che avverte alle sue frontiere la pressione pangermanista, è secondo me di favorire una soluzione negoziata della questione, soluzione possibile ed alla quale, malgrado tutto, si arriverà, non già pretendendo che nulla può essere cambiato dello status quo , ma concludendo un nuovo statuto che garantisca la libertà di Berlino-ovest, ne assicuri le comunicazioni con la Repubblica Federale Tedesca , stabilisca i limiti della presenza delle truppe alleate fino al momento in cui sarà possibile risolvere la questione tedesca nel suo insieme. la questione tedesca purtroppo non ha fatto progressi negli ultimi tempi, e in ciò grandi sono le responsabilità dei neopangermanisti. essa è sì, onorevoli colleghi , una questione di libere elezioni, ma è nello stesso tempo una questione di equilibrio europeo e mondiale, da negoziare quindi sul piano europeo e sul piano mondiale. noi siamo sempre convinti che l' unificazione tedesca è possibile soltanto sulla base di una Germania neutralizzata, nel più vasto spazio di una zona europea di disimpegno dalla quale siano ritirate le truppe occidentali e le truppe sovietiche. questa fu la soluzione proposta un tempo dai socialdemocratici tedeschi e dai laburisti inglesi. chi non vuole questa soluzione non ha scampo fuori del riconoscimento di fatto della separazione della Germania in due. le condizioni in cui, per iniziativa sovietica, viene riproposto il problema di Berlino non sono certamente facili. esclusi gli atti di forza e le soluzioni unilaterali, alle quali per fortuna nessuno è in grado di ricorrere, rimane aperta la via del negoziato per il nuovo statuto. vi è chi soffia sul fuoco per attizzare, se non l' incendio, almeno le passioni; vi è chi parla con leggerezza di una guerra da rischiare per avere la pace; vi è chi drammatizza. l' interesse di noi italiani è di sdrammatizzare. ci induce a credere in una soluzione di compromesso e di ragione il fatto che tutto e tutti ormai accettano che la questione di Berlino venga risolta da una conferenza della pace. e se l' Italia sarà invitata a quella conferenza, noi ci auguriamo che essa ci vada. per comporre e non per rompere. sorvolo, onorevoli colleghi , per ragioni di tempo sul discredito che i « convergenti » gettano sul regime democratico dei partiti, con la loro rincorsa da un appuntamento mattiniero ad una conferenza di lavoro pomeridiana, a un pranzo di lavoro la sera; tutte riunioni e tutti pranzi che finiscono con l' immancabile comunicato che sono d' accordo, dopo di che apprendiamo che non sono d' accordo esattamente su niente. un metodo di questo genere uccide il sistema dei partiti democratici. ho letto ieri, sotto la firma di un politico straniero, che la dittatura comincia con il discredito dei partiti. è un tema che affido alle meditazioni dei « convergenti » . onorevoli colleghi , su queste nostre critiche, su queste nostre accuse i consensi sono nel Parlamento assai più vasti di quelli che risulteranno al momento del voto e lo sono ancora di più nel paese. la stessa fretta inusitata con la quale i partiti di centrosinistra hanno creduto di doversi pronunziare sulla nostra mozione prima ancora di discuterla e di saggiarne il fondamento, è una prova evidente di confusione e di preoccupazione. si oppone alla nostra mozione, onorevoli colleghi , che se le cose stanno così come sono e se non cambiano è perché il partito socialista renderebbe impossibile la soluzione di centrosinistra, impegnato, come sarebbe, in una prospettiva di svolta a sinistra che non terrebbe alcun conto dell' attuale situazione parlamentare. la teorizzazione di questa menzogna è stata fatta in modo particolare dalla socialdemocrazia. non era ancora terminato il nostro congresso di Milano che già essa sentenziava, per voce dell' onorevole Saragat, la fine dell' autonomismo e il riflusso frontista del partito, dando così il « la » a tutta la stampa conservatrice, reazionaria e clericale. in tutta questa polemica dozzinale, i testi dei nostri congressi e del nostro comitato centrale vengono completamente ignorati. viene considerato meno di zero l' impegno che abbiamo messo nel fare i conti con noi stessi: nel farli con i comunisti, fissando i limiti delle possibili convergenze nell' azione e delle impossibili alleanze ideologiche e politiche; nel farli con la Democrazia Cristiana , con il solo metodo possibile, che è quello di distinguere fra clericali e cristiani, piuttosto rari — diceva Hemingway, che ci ha lasciato in questi giorni — nei paesi cattolici; nel farli con la socialdemocrazia, fissando ogni eventuale intesa in limiti oltre i quali finiremmo per essere integrati nella società borghese e capitalista e cesseremmo quindi di essere socialisti. ognuno ci vuole a somiglianza propria: per gli uni dovremmo essere anticomunisti in nome della difesa della democrazia che viene per l' occasione identificata nell' ordine costituito, per gli altri dovremmo essere la 82a scolorita stella del firmamento comunista in nome dell' unità di azione. siamo, invece, quali ci ha fatto una tradizione di parecchi decenni. siamo un partito essenzialmente operaio, senza essere operaisti, siamo un partito democratico e nello stesso tempo classista ed internazionalista, un partito che si identifica con gli interessi dei lavoratori e vuole ad essi aprire la via del potere, un partito che non vuole soltanto un cambiamento di maggioranza o di Governo, ma vuole la trasformazione del regime della produzione e del regime della proprietà. fra i nostri mentori, ella, onorevole Moro, sembra essersi assunto la parte più vantaggiosa, quella di chi decide dall' alto (e la prego di dirmi che cosa è questo alto e dove si colloca) del grado di disponibilità democratica d' un partito come il nostro, il quale fa corpo col progresso civile, economico, democratico della nazione ed ha lasciato testimonianze di sangue in tutte le battaglie della libertà e del riscatto dei lavoratori. ma vogliamo, onorevoli colleghi , lasciare da parte queste sciocchezze (perché si tratta di sciocchezze e di niente altro) e questi diversivi polemici (perché si tratta di diversivi polemici e di null' altro) e vogliamo dare la parola ai fatti, almeno ai fatti più recenti? essi dicono che non fu il partito socialista a mancare alla prova della primavera del 1960, quando, per la prima volta, la Democrazia Cristiana parve orientarsi, attraverso la decisione dei suoi organi dirigenti responsabili, verso un programma e un ministero di centrosinistra, incaricando dell' operazione prima l' onorevole Segni, che non ci credeva, e poi l' onorevole Fanfani, che ci credeva, e che appunto per questo ritrovò sulla sua strada l' ostilità dei franchi tiratori e i casi di coscienza. allora, la sola condizione da noi posta ad un appoggio che veniva considerato necessario ed auspicabile, fu un programma il quale segnasse una rottura irreparabile con la destra economica e politica. a mancare alla prova fu la Democrazia Cristiana , sotto il ricatto della sua destra e dei gruppi esterni di pressione. i fatti dicono che non fu il partito socialista a mancare alla prova nella crisi del luglio dello scorso anno e che esso non esitò ad assumere le più pesanti responsabilità, in piazza e nel Parlamento, per spazzar via il ministero autoritario della provocazione, il quale però era una creatura della Democrazia Cristiana e non era una creatura del caso. i fatti dicono che non è stato il partito socialista a mancare alla prova per le Giunte difficili, a fondamento delle quali ha posto un programma di rinnovamento della vita comunale che segnasse un deciso passo innanzi nella pratica amministrativa e nel costume politico locale. dove le Giunte a partecipazione socialista non si sono fatte, come a Roma e in importanti città del Mezzogiorno, è perché la Democrazia Cristiana — e non il partito socialista ! — è mancata alla prova, subendo il ricatto o clericale o liberale o tutti e due insieme. i fatti dicono, onorevoli colleghi , che non è stato il partito socialista a mancare alla prova in Sicilia, dove per quattro mesi esso ha respinto ogni tentazione del vecchio tipo milazziano chiedendo alla Democrazia Cristiana un confronto di programmi al quale la Democrazia Cristiana si è costantemente sottratta, finché, per evitare all' isola il caos amministrativo, i socialisti hanno formato con i cristiano-sociali una Giunta di governo minoritaria fissando a se medesimi un limite politico e un termine di calendario. primo limite politico: era presentare il bilancio e far votare all' assemblea l' esercizio provvisorio, che è cosa fatta e che ha evitato alla regione una grave umiliazione alla quale i « convergenti » in perfetto accordo lavoravano. un altro limite politico è quello di ottenere che le norme di attuazione dell' articolo 8 dello statuto vengano redatte, presentate, votate, cosicché se allo scioglimento si dovesse andare, ciò avvenga nelle condizioni volute dallo statuto siciliano e dalla Costituzione. la Giunta di governo siciliana ha fatto qualcosa di più: ha fissato alla sua esistenza un limite di tempo e di calendario, quello del prossimo 31 luglio, cioè lo spazio minimo indispensabile per mettere la regione in grado di assolvere ai suoi adempimenti costituzionali. e se di qui a quel limite il Governo troverà il modo di non dare ai siciliani l' interpretazione che essi attendono dell' articolo 8 dello statuto, la Giunta di governo si dimetterà; ma delle conseguenze di quelle dimissioni voi sarete, voi e tutti i « convergenti » , i soli responsabili davanti ai siciliani e davanti a tutto il paese. questo, onorevoli colleghi , dicono i fatti, i soli che contano; ed essi infliggono alla Democrazia Cristiana e alla socialdemocrazia una dura smentita, che nessun virtuosismo di parole può eliminare. la verità pura e semplice è che oggi, domani, sempre, si può contare sul nostro apporto per sventare ogni minaccia di destra e per attuare una seria e organica politica di progresso. il prezzo da pagare al nostro partito non è di portafogli o di prebende, non è neppure di inserimento in una maggioranza organica della quale mancano adesso le condizioni. è un prezzo da pagare ai lavoratori con una iniziativa economica e sociale coraggiosa e innovatrice in ogni campo. è un prezzo da pagare alla democrazia sul terreno della difesa e del consolidamento della libertà concreta. in questo senso i nostri impegni, la nostra disponibilità, come si dice con un' espressione di comodo, non mutano, onorevoli colleghi , anche se le cose si sono dimostrate più difficili del previsto (e non le considerammo mai né facili né agevoli, noi che siamo abituati da sempre a considerare che tutto è sempre difficile per un partito di lavoratori). ciò che intendevamo ottenere dal dibattito che si apre oggi, l' abbiamo già virtualmente ottenuto con l' occasione che ci ha offerto di dire alle forze della sinistra laica e cattolica del Parlamento e del paese che, se si batteranno, ci avranno al loro fianco (per non dire alla loro testa, che sarebbe un' espressione orgogliosa); se si addormenteranno o se si arrenderanno noi continueremo a batterci ugualmente, sostituendo se possibile i disertori e sollecitando alla base i consensi che il vertice non riesce ad esprimere. giacché nella polemica di stampa si è parlato di un peggio da evitare, giacché su questo tema del peggio forse si ritornerà nel corso del dibattito, così consenta la Camera ad uno che come me è da più di cinquant' anni nella battaglia rivoluzionaria e democratica — e di dirlo sulla base dell' autorità implicita nell' esperienza — che vi è un peggio che è il peggio di ogni cosa: non è già perdere una battaglia lealmente e duramente combattuta, ma è perderla senza combattere, come stanno perdendola senza combattere i fautori del centrosinistra; è lasciare corrompere e imputridire le cose; è sprecarsi in piccoli compromessi di potere; è abbandonarsi all' indifferenza e alla rassegnazione, creando l' ambiente propizio allo sviluppo di tutte le degenerazioni di carattere morale e di carattere politico. con tutte le nostre forze noi siamo impegnati a lottare contro una tale concezione della vita e del dovere democratico. è probabile, anzi certo, che la Camera ci darà torto; è meno probabile (anzi, ritengo certo il contrario) che ci diano torto le forze migliori del paese, le più agguerrite, le più giovani. ciò di cui la Camera, i gruppi, i partiti devono prendere atto è che, per prorogare una situazione equivoca come l' attuale, non si può contare su di noi, si deve anzi contare sulla nostra opposizione più risoluta, nel Parlamento e nel paese. onorevoli colleghi , si è detto che noi seppelliamo oggi la politica e la prospettiva democratica per la quale lottiamo da anni. non la seppelliamo. la salviamo dalla ruggine e dalla polvere, la liberiamo dal deterioramento dei mediocri compromessi, la sottraiamo alle conventicole di vertice, la riportiamo in mezzo al sano ambiente popolare perché al contatto con il popolo ritrovi la forza di imporsi. ne facciamo qualcosa che non accetta di vegetare nel compromesso perché vuole vivere e divenire nell' azione e nella lotta.