Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
III Legislatura - Assemblea n. 385 - seduta del 31-01-1961
Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria
1961 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 502
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole ministro, a questo punto del dibattito sulle varie mozioni presentate, vorrei sforzarmi di trarre gli elementi essenziali della questione, che ci consentiranno di tracciare i binari entro cui a mio giudizio questa discussione va posta. delle mozioni presentate molte contengono un importante elemento comune: sia le tre mozioni democristiane sia quelle socialdemocratica, socialista e comunista, inquadrano ormai il problema della politica meridionalistica in una politica di sviluppo economico nazionale, che deve essere ancora disegnata ed articolata. naturalmente, tra queste mozioni vi possono essere differenze derivanti da difformi posizioni ideologiche. è certo che un tipo di politica di sviluppo nazionale, quindi una politica concepita in una economia di mercato , è diversa da una pianificazione concepita in una economia collettiva. tuttavia le varie mozioni, compresa quella comunista, non accentuano il tono su questo aspetto: salvo il problema della nazionalizzazione dell' energia elettrica ed alcuni accenni alla riforma agraria , le varie mozioni sul problema della proprietà pubblica o privata dei mezzi di produzione non arrivano a conseguenze estreme. quindi, con tale legame fra politica meridionalistica e politica di sviluppo , si è costituito in questa Camera un orientamento quasi comune. dobbiamo astrarre, per il suo rigore di principio, come per la sua estraneità a questa impostazione, dalla mozione del gruppo liberale, la quale non lega affatto la politica meridionalistica alla impostazione di una politica generale di sviluppo economico , ma considera il problema meridionale nel quadro in cui è stato inizialmente posto e quindi si preoccupa che il congegno della Cassa per il Mezzogiorno duri nel tempo e si arricchisca di nuovi mezzi e possibilità. la mozione « missina » è molto generica e mi è stato difficile inquadrarla in uno schema. comunque, onorevole ministro, quel che è interessante è che si è creato un ponte tra la concezione, che è ormai comune a gran parte della Camera, e l' affermazione fondamentale contenuta nella relazione del presidente del comitato dei ministri per il Mezzogiorno. come molti colleghi hanno ricordato, in quella relazione vi è una affermazione fondamentale abbastanza sintomatica, dal punto di vista della posizione del Governo, e cioè « che la non traduzione dello schema Vanoni in un vero e proprio programma di sviluppo ha impedito una realizzazione completa sul piano operativo di tale acquisizione tecnica » . ora, com' è avvenuto, attraverso quali travagli e quali esperienze, che la maggior parte dei gruppi della Camera e un membro del Governo sono arrivati alla nuova concezione, che non è quella di partenza? ecco un primo ordine di problemi che tutti i presentatori di mozioni hanno cercato di illustrare. ma, d' altra parte, in conclusione, quale nuova impostazione del problema dobbiamo far nostra? ecco un secondo quesito sul quale il partito repubblicano deve dire qualcosa. un primo consuntivo si può, intanto, trarre dalle cifre. questo esame è stato già largamente fatto ed io non ho da ripetere cifre già abbondantemente qui ricordate. mi riferisco soltanto — non mi pare che alcuno dei colleghi l' abbia finora fatto — all' ultima inchiesta del professor Tagliacarne, che è stata, alla fine dell'anno scorso, pubblicata nella rivista della Banca del lavoro e che tiene anche conto dei primi studi sui conti economici territoriali fatti dall' Istituto di statistica . tale inchiesta, in base al calcolo della popolazione residente, considerato l' andamento del reddito netto per abitante dal 1951 al 1959 e preso per base il reddito del 1951, perviene a queste cifre: nell' Italia settentrionale l' aumento del reddito è stato del 59,24 per cento ; nell' Italia centrale del 75,86 per cento ; nell' Italia meridionale del 53,38 per cento ; nell' Italia insulare del 57,32 per cento . risulta da tali cifre che le percentuali di incremento del reddito nel Mezzogiorno e nelle isole non sono rimaste lontane dalla percentuale di aumento dell' Italia settentrionale. però, onorevole ministro, ella sa che proprio queste cifre danno l' impressione che la politica meridionalistica non abbia dato i risultati che noi scontavamo. essa è valsa, per lo meno, ad assicurare al Mezzogiorno ed alle isole la stessa percentuale di incremento, ma poiché la base di partenza, costituita dal reddito del 1951, era nel Mezzogiorno e nelle isole estremamente bassa (la metà o meno della metà della base di partenza dell' Italia settentrionale), la conclusione secondo cui il divario non diminuisce, ma si approfondisce, è evidente. in altre parole, nonostante i lodevoli sforzi che noi abbiamo fatto, lo squilibrio aumenta e rischia di continuare ad aumentare. vero che un suo collaboratore, onorevole ministro, nell' esaminare coraggiosamente queste cifre, ha obiettato che alla data del 1959 non erano ancora in funzione le leggi sulla industrializzazione del 1957 e del 1959, le quali faranno sentire la loro influenza negli anni a venire. mi permetta, però, di dubitare che tali leggi possano migliorare di molto la situazione. è vero, anche, che le cifre si riferiscono alla popolazione « residente » e non a quella « presente » , ma una correzione che tenga conto di tale fattore non sposterà di molto le conclusioni. devo anche far rilevare agli onorevoli colleghi che quel mirabolante aumento del 75,86 per cento verificatosi nell' Italia centrale dovrebbe essere attribuito in gran parte a Roma: cioè la pressione della capitale e l' espansione del reddito in essa finiscono per far notevolmente aumentare l' indice per tutta l' Italia centrale. questo per altro non costituisce un segno positivo, perché molte volte, sotto queste cifre di incremento del reddito nel centro e nel Mezzogiorno d' Italia, si cela un fenomeno che ha sempre richiamato la mia attenzione e la mia preoccupazione: spesso redditi di ceti medi , redditi professionali e redditi di attività terziarie (e credo che Roma sia molto qualificata da questo punto di vista ) contribuiscono a dare l' impressione di un aumento che poi, quando si va a considerare la situazione delle classi più diseredate, non presenta nemmeno quei pochi segni che possono considerarsi positivi. d' altra parte, al di fuori delle cifre, vi è stata una interessante ed istruttiva inchiesta, che gli stessi autori (Pischel e Savoni) hanno modestamente chiamato « impressionistica » , pubblicata dal settimanale Mondo economico in cinque articoli. è una inchiesta, ripeto, di molto interesse. questi due signori, che erano già stati nel Mezzogiorno nel 1954, ci hanno assai acutamente lumeggiato gli aspetti positivi e negativi del lavoro compiuto ed hanno soprattutto posto in evidenza l' insufficienza e dei mezzi e delle attuazioni stesse da parte della Cassa per il Mezzogiorno , rispetto a quelli che dovevano essere i risultati vivi e concreti di questa azione sia nel campo delle infrastrutture (strade, acquedotti, viabilità), sia in quello della stessa agricoltura e dell' industria. questi due visitatori del Mezzogiorno, a dieci anni dalla istituzione della Cassa, hanno costatato insufficienze allarmanti e preoccupanti. tra l' altro hanno costatato un eccessivo allargamento e conseguente diluizione dei compiti della Cassa, una estensione degli impegni della Cassa stessa su zone sempre più vaste, con la conseguenza che certe « aggressioni » alle situazioni locali non arrivavano a dare, per insufficienza di mezzi, rispetto al fine, i risultati sperati. nell' agricoltura, il fatto, per esempio, che la Cassa si sia impegnata su larghe estensioni e quindi ad un certo punto abbia diluito la sua azione per l' insufficienza dei fondi ha rappresentato un elemento negativo assai grave; nell' industria il fatto che tutti gli incentivi che abbiamo creato abbiano prodotto poco (eccettuiamo la costituzione di alcune grosse aziende in provincia di Siracusa o quelle che vanno sorgendo a Taranto e a Brindisi), sono tutti elementi che devono farci riflettere. dobbiamo, del resto, onestamente concludere che, rispetto alle possibilità realizzatine, o la partenza è stata talmente vasta ed ambiziosa che presupponeva un « secondo tempo » nella concezione della politica meridionalistica, o che non potendo realizzare questo secondo tempo, sarebbe stato necessario ridimensionare i piani di intervento. in verità questo è il problema di fronte a cui noi siamo. ho sempre detto (ella lo sa, onorevole ministro: noi ne abbiamo discorso in diverse occasioni) che noi siamo partiti fra il 1949 e il 1953 con concezioni che chiamerei di tipo parziale: Cassa per il Mezzogiorno , riforma agraria e riforma tributaria . la Cassa per il Mezzogiorno rappresentò un momento di questa impostazione, una concezione parziale forse troppo vasta rispetto ai mezzi che poi avremmo posto a sua disposizione, o poco vasta rispetto agli sviluppi che doveva avere la nostra impostazione politica. e questa crisi delle nostre concezioni economiche si vide subito: fu comprovata dal fatto che già nel 1954 il ministro Vanoni presentò il suo schema. che cosa voleva dire tale presentazione? l' ho sempre ripetuto: il passaggio da concezioni parziali a una concezione unitaria e generale, un respiro più ampio per non andare incontro alle difficoltà ed alle disfunzioni che poi si sono manifestate. malauguratamente, onorevole ministro, il problema è rimasto confinato a termini puramente concettuali: non si è trasformato in una concreta azione politica. ed è stato questo l' oggetto della nostra monotona polemica con i vari governi succedutisi. dal 1954 in poi, il passaggio da concezioni parziali a una concezione generale è stato l' oggetto del nostro dialogo e la nostra costante richiesta: concretare in termini di azione politica il passaggio da concezioni parziali, che si sono dimostrate alla lunga insufficienti e qualche volta dannose, ad una concezione unitaria e generale che discendesse dalla concezione stessa di tutta la situazione nazionale. e questo non è avvenuto, onorevole ministro. noi abbiamo avuto in tutto questo periodo una situazione di alta congiuntura e si parla di « miracolo » italiano. ma è il fortunato avvento di questa alta congiuntura che ci condanna come classe politica : che proprio noi abbiamo avuto il « miracolo economico » e non siamo finora riusciti a valorizzare questo « miracolo economico » , cioè questa possibilità dell' alta congiuntura, così da poter riequilibrare la nostra economia: è questo il rincrescimento, il rammarico che dai banchi parlamentari noi, continuamente, tenacemente, abbiamo manifestato. il collega Giolitti citava qualche giorno fa alla Camera un pensiero dell' onorevole Pella (credo lo abbia riferito esattamente) secondo cui in periodi di bassa congiuntura bisogna intensificare l' intervento. ma questo è vero in un' economia equilibrata, cioè in un' economia a sviluppo economico omogeneo, dal punto di vista territoriale: per esempio, è vero per l' economia inglese o per l' economia tedesca di oggi. se infatti tali economie devono affrontare un periodo di bassa congiuntura, quella che si chiama una crisi di recessione, è da ritenersi che l' intervento dello Stato s' intensificherà come per esempio oggi si tenta di fare negli USA con il programma di Kennedy. ma in un' economia squilibrata e dualistica come quella italiana, è l' alta congiuntura che ci fornisce i mezzi migliori per l' intervento e per il riequilibramento. che cosa è l' alta congiuntura? una spinta per nuovi investimenti, per espansioni di consumi, per arricchimenti economici del paese. ora, se questa alta congiuntura non è impedita dal concentrare i suoi effetti solo nelle zone sovrasviluppate (perché le zone sovrasviluppate spontaneamente attirano i maggiori investimenti, i maggiori capitali e le concentrazioni di ricchezza), ne soffrono le zone sottosviluppate. il potere politico deve tempestivamente correggere questa spontaneità. e la deve correggere per poter dire di avere compiuto il proprio dovere verso il paese. onorevole ministro, ella sa che questi sono problemi di fondo delle economie cosiddette di mercato; e sono talmente problemi di fondo che negli USA si discute oggi di correggere la stessa economia del benessere. cioè (e questa sarà una delle caratteristiche più interessanti della nuova esperienza democratica americana) si pensa già che l' economia del benessere materiale condotto ai suoi più alti livelli (e credo che tutti converremo, anche i comunisti, che l' economia americana, dal punto di vista del benessere, sia la più avanzata del mondo), quest' economia di alto livello di benessere, nelle nuove concezioni democratiche, deve essere corretta: e deve essere corretta essendosi constatato il rischio di una espansione di consumi voluttuari a danno di certi beni fondamentali della società: istruzione, ricerca scientifica , difesa, — infrastrutture, eccetera voi sapete che alla impostazione del programma economico e — direi — sociale della nuova amministrazione democratica ha contribuito un economista critico, il Galbraith, che ha scritto un interessantissimo libro sulla Fluent society , cioè sulla società dell' opulenza, libro nel quale si dimostra che l' economia del benessere materiale a un certo punto deve essere corretta nei suoi sviluppi individualistici dall' intervento politico, per la tutela di ben più importanti obiettivi sociali. questa nuova concezione è stata sviluppata nel « messaggio » di Kennedy all' Unione. ora, se un paese estremamente moderno come l' America avverte la necessità di questi interventi correttori, noi, che dal punto di vista economico, per lo meno dal punto di vista di un equilibrio del benessere tra le varie zone, non siamo un paese estremamente moderno, dobbiamo porre molta attenzione alla politica che di fatto conduciamo. ripeto per l' ennesima volta che in questo campo non si devono perdere anni preziosi. noi ne abbiamo perduti anche troppi, per cui il periodo dell' alta congiuntura (che non è stato sfruttato dall' intervento del potere politico , o non lo è stato nella misura necessaria) può avere rappresentato una ennesima distorsione che sarà molto difficile correggere. si potrebbe financo dire che la situazione, dal punto di vista dell' equilibrio strutturale, è peggiorata, perché certe concentrazioni di ricchezza non sono correggibili. d' altronde , se per disgrazia dovesse seguire un periodo di bassa congiuntura, i nostri problemi diventerebbero quasi insolubili. questo è, dunque, il problema fondamentale. e se ne rendono ormai conto la stragrande maggioranza della Camera e lo stesso Governo, se dobbiamo giudicare dalle mozioni e dalla relazione del presidente del comitato dei ministri per il Mezzogiorno. contro questa concezione vi è l' impostazione del gruppo liberale: legittima, non lo nego, ma che è in assoluto contrasto con i principi che regolano una economia moderna. questa impostazione ha ricevuto di recente un soccorso. la signora Vera Lutz, eminente economista inglese, studiando la politica meridionalistica, ha avanzato l' ipotesi se non fosse conveniente limitare il processo di industrializzazione nel Mezzogiorno (che non potrebbe non avvenire, secondo questa signora, in condizioni di costi e di redditi assai poco favorevoli) ed attivare invece l' emigrazione delle popolazioni meridionali verso le zone di alto potere economico. si è così, dopo tale intervento, riaccesa la discussione di fondo. ora, io non sostengo per niente che una zona economica dedita all' agricoltura o ad attività terziarie non possa raggiungere un buon livello di benessere economico. una tale affermazione sarebbe assurda da parte mia. negli USA vi sono regioni esclusivamente agricole che hanno un altissimo livello economico, che non si presentano quindi squilibrate rispetto alle zone di grande sviluppo industriale . ma questo presuppone la soluzione del rapporto fra popolazione e agricoltura, nonché l' esistenza di un' economia agricola estremamente avanzata. ora, volendo impostare il problema del Mezzogiorno da questo punto di vista , noi notiamo che, anche se volessimo ridurlo alla redenzione delle aree depresse, ad un problema cioè di solo risollevamento dell' agricoltura, non basterebbero certo i fondi posti a disposizione dalla Cassa per il Mezzogiorno ed il « piano verde » a raggiungere un tale risultato. già oggi una politica di sviluppo economico e una programmazione integrale dal punto di vista nazionale sono necessarie per dare al Mezzogiorno una agricoltura ed attività terziarie degne di questo nome. ma quand' anche noi avessimo fatto il massimo sforzo in questa direzione (e, ripeto, sempre entro il quadro di una politica di sviluppo nazionale, altrimenti saremmo condannati all' insuccesso) non avremmo risolto il problema, perché lo sviluppo dell' agricoltura e delle attività terziarie fino a portarle a un livello degno di un' economia moderna lascerebbe ugualmente un eccesso di popolazione disoccupata della cui sistemazione ci si dovrebbe pure interessare. e, a questo punto, si affaccia la doppia soluzione; da alcuni si sottolinea cioè l' opportunità di far emigrare nelle zone di più alto sviluppo industriale del paese o all' estero la manodopera disoccupata; altri, come noi, sostengono che occorre dare lavoro a questa manodopera attraverso lo sviluppo dell' industrializzazione del sud. vi sarebbe un altro mezzo (il « controllo delle nascite » ), ma sembra non potersene mai parlare in un paese a prevalente religione cattolica come è il nostro. vi sono poi i sistemi misti, i sostenitori dei quali affermano che una parte della popolazione eccedente dovrebbe spostarsi al nord ed un' altra parte dovrebbe venire assorbita localmente. ma anche in questa prospettiva è chiaro il riconoscimento che l' ammodernamento dell' agricoltura non risolverebbe tutti i problemi del sud. vediamo ora se, dal punto di vista dell' equilibrio nazionale delle nostre attività economiche convenga integralmente accettare il punto di vista della signora Vera Lutz (del resto avanzato in via puramente ipotetica) circa la convenienza di limitare o di arrestare il processo di industrializzazione e di programmare un trasferimento di manodopera dal sud al nord. ora una tale misura non risponderebbe, a mio avviso, a nessuno dei criteri che guidano la politica attuale degli Stati. si è accertato (e il professor Vito l' ha confermato in un recente articolo pubblicato sulla rivista Nuovo Osservatore ) che l' eccesso di concentrazione industriale, quale si è venuta creando attraverso la spontaneità economica, determina infiniti inconvenienti, non tanto per il vecchio motivo della difesa in caso di guerra (noi pensiamo che guerre non ve ne debbano essere), ma per i fenomeni collaterali che accompagnano tale concentrazione. innanzitutto le necessarie infrastrutture diventano più costose di quanto non lo siano in zone ad economia depressa; inoltre, è facile immaginare quali conseguenze avrebbe una fase di bassa congiuntura in una zona ad alta concentrazione di manodopera che non trovi equilibrio in un certo rapporto fra agricoltura ed industria. infine, lo sviluppo stesso edilizio, il sistema dei servizi pubblici e dei trasporti, la facilità di comunicazioni vengono influenzati dalla concentrazione. gli inconvenienti della concentrazione industriale sono stati avvertiti negli USA, in Inghilterra, nella stessa Francia, attorno a Parigi, e dappertutto sono stati studiati piani di decentramento. non si è lasciato affatto libero corso alle « forze spontanee » che, indubbiamente, da un punto di vista di interesse individualistico hanno una certa convenienza a concentrarsi dove maggiori sono i mezzi, le infrastrutture e lo stesso potenziale di manodopera qualificata. non si è insomma consentito alle « forze spontanee » di continuare ad arricchire certe zone e certe aree industriali a scapito di altre. perché dunque noi dovremmo lasciare libero il campo alle « forze spontanee » , che invece abbiamo fondamentali ragioni per dovere correggere? al limite di una tendenza di questo genere, avremmo da una parte economie di altissimo benessere e dall' altra parte la totale depressione o il quasi deserto. un ultimo inconveniente va tenuto presente dal punto di vista dello sviluppo equilibrato di un' economia nazionale: l' alta concentrazione industriale porta a quella economia di alto benessere che comincia a preoccupare la classe politica americana, cioè porta allo sviluppo di consumi voluttuari, a scapito di esigenze collettive e sociali che dovrebbero avere carattere di priorità. al limite avremo un' economia di espansione, da una parte, ed una economia di estremo bisogno dall' altra. è nostro dovere impedire una tale degenerazione. la polemica coll' utilità del cosiddetto sviluppo spontaneo tocca direttamente i nostri amici liberali. anche l' onorevole Cortese, meridionale e meridionalista, ha ritenuto di dovere sostenere la tesi della « spontaneità » . egli ha detto: non parliamo di praticare il malthusianesimo nelle zone di alto sviluppo economico . non si tratta — diciamo all' onorevole amico — di introdurre il malthusianesimo, ma di impedire i fenomeni degenerativi da una parte e dall' altra e di dare qualche possibilità alle zone depresse di riequilibrarsi. oltre certi limiti — e non sembri un paradosso — la zona sovrasviluppata è, come fatto degenerativo, il rovescio o il dritto della zona sottosviluppata. del resto, l' onorevole Cortese (mi dispiace che non sia presente) si è trovato e si trova in una contraddizione curiosa nel sostenere la tesi della « spontaneità » : da una parte, infatti, in linea di principio , egli si mostra rigorosamente ligio a tale tesi, e dall' altra, proprio lui ha introdotto una norma per cui le aziende di Stato debbono applicare obbligatoriamente nel Mezzogiorno una parte dei loro investimenti. la contraddizione è talmente evidente che non ha bisogno di dimostrazioni. se una economia è ben regolata dalla spontaneità, perché queste disgraziate aziende statali devono esser messe in condizioni peggiori delle aziende private? se la spontaneità porta le aziende statali verso gli ambienti del nord, non capisco perché esse debbano obbligatoriamente stare tra « i terroni » e operare in un ambiente meno qualificato. dal punto di vista di una concezione di economia assoluta di mercato, e di scelte cosiddette spontanee, tutte le percentuali (sui lavori pubblici , sul « piano verde » , eccetera) a favore del Mezzogiorno diventano, arbitrarie e ad alti costi. in effetti, certi fallimenti della politica di infrastruttura come si spiegano? proprio per l' inidoneità dell' ambiente nel quale esse si collocano. non posso forzare gli investimenti in alcun campo se non lo faccio in settori che mi danno complessivamente un certo risultato. per esempio, il fallimento di una politica stradale nel Mezzogiorno da che cosa deriva? è inutile fare le strade se non si crea, per lo meno, una agricoltura ed una circolazione di prodotti agricoli per cui quella sistemazione stradale è necessaria. se il criterio della « spontaneità » è il solo economicamente valido, noi ci dovremmo affidare alla Provvidenza e lasciar fare alle forze spontanee. sentiamo che questo non è esatto e quindi vogliamo correggere la spontaneità dei fenomeni economici. ma la correzione non può essere parziale, deve essere totale, cioè la correzione deve essere tale da ricostruire un quadro economico che abbia un minimo di possibilità di sussistenza in tutti i suoi elementi. a questo punto nasce il problema di adeguare sempre la politica ai risultati che si vogliono raggiungere, altrimenti — tanto per fare alcuni esempi — si creano bacini che poi non si sa come utilizzare per l' irrigazione; si creano strade che si degradano; si fa la riforma fondiaria fino a un certo punto poi non si va più avanti. in questi casi, si sostengono solo i costi di una siffatta politica, senza conseguirne alcun risultato. di qui la necessità di una visione generale e unitaria del problema. l' obiezione che a questo punto ci si muove è la seguente: ma voi così volete orientare l' iniziativa privata . certo, vogliamo orientarla secondo certe direzioni. del resto, quando seguiamo una politica di incentivi, che cosa facciamo? quando concediamo determinati incentivi affinché l' industria si indirizzi verso il Mezzogiorno, evidentemente forziamo l' iniziativa privata perché esca da quello che è il luogo tradizionale in cui si svolgerebbe. si tratta di vedere se questi incentivi producono il fenomeno; se così. non è, vuol dire che essi non sono mezzi idonei e quindi bisogna passare a concezioni più produttive di risultati. so benissimo che l' iniziativa privata deve concorrere in un' economia di mercato ma deve concorrere, non deve puramente e soltanto sottrarsi al concorso. e qui nasce la polemica fra la classe politica e la classe imprenditoriale. ho già, avuto occasione di ricordare alla Camera una polemica che La Voce Repubblicana ha avuto, qualche anno fa, con la Confederazione generale dell' industria ; ed a questo riguardo vorrei ringraziare i colleghi della Cisl, i quali, fra i sindacalisti, sono stati i soli a valutare l' importanza di quella polemica. in sostanza, noi dicevamo: signori industriali, voi non vi potete disinteressare dei problemi di fondo del paese. voi siete classe dirigente non solo per avere gli onori di questa posizione, ma anche per averne le responsabilità ed i doveri. se il paese è squilibrato nella sua economia, la cosa non riguarda solo il Governo o il Parlamento, come voi credete, ma riguarda voi, riguarda l' iniziativa privata . la correzione di questa situazione, in un' economia di mercato , rientra nelle responsabilità della classe politica , ma anche della classe imprenditoriale. vi ricorderete che occasione di questa polemica fu una curiosa dichiarazione del dottor De Micheli all' Assemblea del febbraio 1959. in sostanza, il dottor De Micheli , nell' esporre alcuni termini della situazione industriale, si occupò anche delle zone sottosviluppate del mondo. dicendo — ciò che realmente è vero — che le zone sottosviluppate del mondo sono sotto la suggestione del regime comunista e dell' esperienza comunista. devo dire (lo dobbiamo obiettivamente ammettere) che è una suggestione comprensibile, perché l' esperienza comunista ha, per le zone depresse , una sua validità. nel corso di quell' Assemblea il dottor De Micheli disse che bisognava fare qualcosa, e lo disse in maniera che pareva sottintendere un appello agli USA, poiché questi poveri americani sembrano condannati, dal destino, ad assistere i paesi sottosviluppati, semisviluppati, quasi sviluppati ed anche quelli soprasviluppati. accennando ai paesi del sottosviluppo il dottor De Micheli dichiarava: « a tale scopo e per sistemare quanto diversamente non si sistemerà mai, bisogna considerare la necessità, senza offendere, ma solo correggendo, taluni principi liberistici, di provvedere a un' adeguata organizzazione per un mondo nuovo e che può diversamente svilupparsi malgrado ed oltre noi. non si tratta tanto di scegliere tra economia liberista ed economia dirigista, quanto di decidere in pratica se un tal piano è attuabile e questo basterà per metterci d' accordo » . mi è stato facile dire al dottor De Micheli che egli diventava pianificatore quando si trattava, che so io, dell' India o dell' Africa e si conservava, invece, irriducibilmente liberista quando si trattava dell' Italia. in definitiva, vi è un problema, quello delle aree sottosviluppate, e invece di dire agli americani che cosa devono fare in India, i signori imprenditori ci devono dire che cosa essi intendono fare in Italia. naturalmente, è stato impossibile ottenere immediatamente una risposta; ma qualcosa tuttavia ha marciato. onorevoli colleghi , noi abbiamo visto il dottor De Micheli , per la prima volta nell' Aula di una commissione parlamentare , esporre i programmi che l' iniziativa privata avrebbe svolto nel 1960. il dottor De Micheli ha fornito alla Commissione industria molte cifre ed io presi occasione per compiacermi di questo inizio di colloquio. dissi: già si danno delle cifre, le discuteremo, vedremo se potranno essere ampliate. vi fu una repentina ritirata e si addusse che quelle cifre erano soltanto orientative. ma un passo era già stato fatto. mercé l' iniziativa della Cisl è venuta poi la « conferenza triangolare » . la « conferenza triangolare » era concepita nel senso di fissare le corresponsabilità delle classi dirigenti , sia di rappresentanza sindacale sia di rappresentanza imprenditoriale, nel disegno di una politica di sviluppo . mi dispiace per l' onorevole Fanfani che fu presente: la conferenza è finita nel nulla, è diventata evanescente, è stato uno scontro di tesi senza che queste tesi divenissero il principio di una politica. il dottore De Micheli è tornato ad esporre, in quella conferenza, la tesi avanzata in via ipotetica dalla signora Vera Lutz, cioè della spontaneità: meno si interferisce e meglio le cose vanno nel nostro paese. ora, noi non possiamo accettare questo punto di vista , come del resto non l' hanno accettato i vari governi. ma, non accettandolo, che cosa intendiamo fare? ed è negli aspetti della politica svolta in tutti questi anni che io confesso di non capire più nulla. noi abbiamo una Cassa per il Mezzogiorno che è un' istituzione in crisi. il collega Giorgio Napolitano voleva decapitarla a favore delle regioni; noi non vogliamo essere così crudeli. forse il giudizio è anticipato, ma, effettivamente noi abbiamo la Cassa per il Mezzogiorno e abbiamo anche visto varare una legge per la Calabria; ad un certo punto, poi, il Consiglio dei ministri ha approvato il piano di rinascita per la Sardegna (si comincia a parlare di piani) e dallo stesso onorevole ministro sono state nominate commissioni di studio di piani regionali in Lucania, in Puglia e nell' Umbria. la Sicilia attraverso la società « Sofis » con un accordo con l' azienda dell' Iri ha fatto proprio un piano studiato dall' istituzione svizzera Battelle per la creazione di medie industrie manufatturiere: la Sicilia, quindi, svolge una industrializzazione per conto proprio. l' onorevole ministro ci ha anche parlato di 50 nuclei industriali da attuare e così via di seguito. ora, mentre da una parte abbiamo una concezione politica unitaria del problema del Mezzogiorno che sta alla base della istituzione della Cassa per il Mezzogiorno ; dall' altra abbiamo un piano di rinascita regionale già approvato, piani particolari, una legge speciale per la Calabria che risponde a vecchi concetti, cioè abbiamo politiche che non combaciano, che si svolgono nei sensi più diversi. che facciamo? vogliamo continuare in tutte queste diverse politiche? vogliamo ridurre queste politiche a unità? vogliamo dire da qual principio unitario discende una politica delle aree depresse? noi affermiamo che essa deve discendere da una programmazione di carattere nazionale in cui si inquadreranno le varie politiche che tendono a diventare politiche regionali, piani regionali , programmi di sviluppo. altrimenti vedremo le cose più assurde: una politica del Mezzogiorno a parte, piani regionali non inquadrati in un programma regionale, e di conseguenza aumenteranno le disillusioni e i costi delle nostre empiriche e disordinate esperienze. dobbiamo uscire, onorevole ministro, da questo intersecarsi di vari piani di sviluppo della nostra politica economica soprattutto nel Mezzogiorno e procurarci i mezzi per una politica unitaria. infatti, onorevoli colleghi , parliamoci chiaro: il giorno in cui verrà qui in discussione il piano di rinascita della Sardegna, i siciliani, i calabresi, i campani, gli umbri chiederanno un piano per le loro rispettive regioni. un tempo facevamo le battaglie meridionali fondandoci sulla Cassa per il Mezzogiorno , adesso le faremo sui piani. vogliamo tempestivamente costituire la base per cui si possano affrontare questi problemi? il « miracolo economico » , onorevole ministro, è piuttosto alle nostre spalle. i miracoli danno un po' di grasso o di olio per politiche correttive. noi stiamo mettendo in cantiere una infinità di strutture e di politiche che non sono coordinate, prendiamo degli impegni e, se ad un certo punto questi impegni vanno oltre le possibilità del nostro sistema economico nel suo complesso, ci può dire che cosa avverrà? tanto più, onorevole ministro, che lo strumento primo di una politica orientativa, cioè lo strumento fiscale, non è a posto, come non sono a posto le altre politiche. il povero ministro Vanoni iniziò la riforma, ma non ho l' impressione che noi siamo andati molto avanti. quindi lo strumento per una politica orientativa e direzionale non l' abbiamo pronto, cioè non abbiamo pronto quasi niente. non dico questo perché mi diletto di critiche, ma perché mi pare che quanto osservo risponda alla realtà delle situazioni. vi è una realtà di contrastanti politiche che dobbiamo ridurre a unità con una prospettiva ben precisa e sicura. d' altra parte questo intersecarsi di politiche ha anche le sue conseguenze istituzionali e strutturali. noi abbiamo concepito la Cassa per il Mezzogiorno come una istituzione per interventi straordinari lasciando ai ministeri gli interventi ordinari. tutti ci dicono (il presidente del comitato di ministri per il Mezzogiorno, le dichiarazioni e le inchieste) che quella che doveva essere una politica aggiuntiva, è diventata una politica sostitutiva. in tale caso due organi sono superflui, ne basta uno. perché avere due organi per fare una politica sostitutiva? allora dovremmo tornare ai ministeri e dare il nostro malinconico saluto alla Cassa per il Mezzogiorno . quindi, difficoltà di funzionamento, difficoltà di strutture, di combaciamenti di strutture e conflitti di attribuzioni continui. adesso vengono i piani regionali , e la lite si fa a tre: qual è, infatti, il posto della regione in questo sviluppo di politiche e di strutture? qual è il posto della Cassa per il Mezzogiorno e quale dei singoli ministeri? se ci poniamo dal punto di vista dei piani settoriali ( « piano verde » , autostrade, eccetera), il problema si complica maggiormente, perché avviene che questi piani, che in certo senso vorrebbero essere straordinari, rientrano nelle attribuzioni dei ministeri e saltano, per così dire, la Cassa per il Mezzogiorno . questa, d' altra parte, li rivendica nel suo seno, perché li considera come interventi straordinari. d' altro canto, come si inquadrano questi piani in una politica di sviluppo nazionale? concordo con le affermazioni sulle autostrade fatte dal collega onorevole Giolitti. stiamo attenti a questi piani autostradali, guardiamo se non anticipiamo una situazione economica che in effetti non esiste nelle regioni che saranno attraversate e quindi se non andiamo a sostenere dei costi che poi si riveleranno improduttivi. da qualunque parte il problema venga considerato, dal punto di vista delle politiche o delle strutture, è evidente che ci troviamo in una fase critica, in una fase estremamente delicata; sarà forse una fase critica di trapasso, ma stiamo attenti a non trascinarcela dietro per molto tempo. vi è un solo elemento, una sola politica che, entro certi limiti, si salva dalla necessità di inquadramento in una programmazione di carattere nazionale, ed è la scuola. dico che il piano della scuola può non essere inquadrato, perché si è affermato che probabilmente ai lavoratori del Mezzogiorno si offrirà la possibilità di un' occupazione in industrie locali e anche la possibilità di emigrazione: la preparazione professionale sarà valida sia che serva per sviluppi economici locali sia che serva per l' emigrazione. in un certo senso, possiamo anticipare lo sviluppo del piano della scuola sull' inquadramento di una politica, appunto perché la scuola ci offre alternative. che poi il piano della scuola sia criticato sotto altri aspetti, è una disgrazia che incombe sul nostro paese, quella disgrazia che fa sì che anche le cose che possono prendere l' aspetto di piani pilota non riescano veramente ad esserlo e diventino viceversa piani di retroguardia. mi pare così, per sommi capi, che si possa arrivare alla conclusione: ci troviamo — ripeto — in una fase critica della nostra politica economica , ed è giunto il momento di affrontare decisamente il problema di una politica di sviluppo programmata e pianificata. e qui si alzeranno le grida di alcuni nostri amici. onorevole ministro, in un recente soggiorno all' estero mi dilettavo ad ascoltare la radio inglese. quello che mi colpiva maggiormente era il fatto che la radio inglese alcune volte parlava della politica del governo conservatore come di una politica pianificata: cioè i conservatori volevano far sapere al popolo che erano dei pianificatori, temevano che la gente potesse non ritenerli tali. pensate un po', egregi colleghi, di fare ammettere questo concetto in Italia. appena parliamo di piani, sembra che la rivoluzione bolscevica sia alle porte, e le orde sovietiche siano alle nostre frontiere. leggevo in una nota d' agenzia, giorni fa, che il governo conservatore nipponico ha annunciato un piano di sviluppo decennale dell' economia che porterà quel paese a raddoppiare il suo reddito. da sette anni noi discutiamo dello schema Vanoni, senza ancora applicarlo. bisogna piantarla con questi pregiudizi ottocenteschi che una economia di mercato non debba mai usare la parola pianificazione, perché questa è una delle forme concettuali più arretrate del nostro pensiero economico e della nostra intera politica economica , e qualifica una certa incapacità delle nostre classi dirigenti . le quali, per altro, in via spontanea fanno pregevoli cose (non sono così spregiatore dell' attività privata, come alcuni colleghi credono; ma l' iniziativa privata non può fare quello che spetta alle classi politiche ). l' inquadramento dell' iniziativa in una visione di carattere nazionale è compito della classe politica con la corresponsabilità della classe imprenditoriale e dei sindacati. gli squilibri se poi durano sono nostra responsabilità e non li possiamo scaricare su alcuno, nemmeno sui cosiddetti monopoli, onorevoli colleghi della sinistra. se una classe politica è forte, consapevole dei suoi compiti, si mettono a posto anche i monopoli. ma, detto questo, e tutte le mozioni, salvo la mozione liberale, impostano così il problema, possiamo arrivare a qualche conclusione? ecco il problema. noi diciamo che la politica meridionalista discende da una politica di sviluppo economico di carattere nazionale. mi pare che l' onorevole Fanfani in un suo discorso programmatico abbia accennato alla necessità di impegnarsi in una tale politica: ha detto che per risolvere i problemi del nostro paese ci vuole una politica di sviluppo economico, e che il Governo non può prescindere da questo dato. ha detto poi, facendo propria la fase conclusiva della relazione del presidente del comitato dei ministri per il Mezzogiorno, che la politica del Mezzogiorno va inquadrata in una politica di sviluppo nazionale. quindi siamo di fronte ad un Governo che accetta questi concetti. siamo anche di fronte ad un ministro del Bilancio che ha ribadito questi concetti in diverse dichiarazioni. e allora, per giudicare, noi dobbiamo sapere in concreto quale sarà la politica di sviluppo del Governo, come sarà reinquadrata la politica del Mezzogiorno e come saranno inquadrati i vari aspetti della politica oggi perseguita: piano di rinascita sardo, studio dei piani regionali , piani o provvedimenti settoriali. dobbiamo poi sapere dal ministro della Cassa per il Mezzogiorno che cosa in proprio ha fatto discendere da questa politica. ci troviamo di fronte ad una discussione che ancora una volta precisa i termini del problema e che deve aspettare dal Governo le indicazioni concrete. si è fatto accenno ad un ordine del giorno che i deputati repubblicani dovrebbero presentare e si è detto che noi avremmo fatto ricorso a questa forma per una preoccupazione politica. io ed i miei amici saremmo un poco ipocriti se dicessimo che non abbiamo preoccupazioni politiche. ciascuno di noi, che abbia badato a quello che è successo nel nostro paese dal marzo in poi, in cuor suo ha preoccupazioni politiche. ma non è questo quel che importa: se noi non avessimo alcuna preoccupazione politica, non potremmo coerentemente arrivare a nessuna indicazione concreta, per quanto riguarda questo dibattito, se non dopo aver conosciuto i termini della politica di sviluppo che il Governo ci prospetterà. vi è cioè una ragione di coerenza rispetto al principio posto che ci obbliga al di fuori di ogni preoccupazione politica. vi è solo il gruppo liberale che immediatamente può dare indicazioni, e le ha date. prescindendo dall' inquadramento del problema del Mezzogiorno in una politica di sviluppo nazionale, esso ha potuto dare indicazioni concrete: l' opportunità di prolungare la Cassa per il Mezzogiorno e di accrescerne i fondi. ma noi diciamo che questa maniera di affrontare il problema è parziale e può portare ad errori. sul problema, se siamo coerenti al principio, dobbiamo avere una battuta di sospensione e rimediare su tutti gli aspetti: attendere dal Governo e preparare per nostro conto il piano di una rinnovata politica e le strutture per una rinnovata politica. ma presenteremo il nostro ordine del giorno ? non sappiamo ancora quel che faremo. l' onorevole presidente , in omaggio al regolamento della Camera, ci ha detto che l' ordine del giorno verrà buon ultimo: prima si deciderà delle mozioni e poi si potrà presentarlo. noi quindi teniamo in sospeso quest' ordine del giorno (non lo presento neppure in questo momento) in attesa di vedere a quali conclusioni arriverà questo dibattito, se esse cioè saranno coerenti con i principi esposti, oppure se si arriverà ad altre indicazioni, più concrete, quali potrebbero essere offerte da qualche partito. aspettiamo cioè la conclusione del dibattito sulle mozioni per stabilire se il nostro ordine del giorno possa costituire base di decisioni per l' Assemblea.