Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
III Legislatura - Assemblea n. 259 - seduta del 16-02-1960
Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi
1960 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 463
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevole ministro, a chiusura di questa discussione mi sento estremamente imbarazzato per due fondamentali ragioni. la prima è che questo dibattito è stato così ampio, così interessante e così indicativo che non so cosa aggiungere. tutti gli aspetti del problema umbro, inquadrati in una visione più generale, tutti gli aspetti strutturali, congiunturali dell' agricoltura, dell' industria e del commercio sono stati largamente esaminati. mi si è tolta, così, quasi la parola. la seconda ragione è che questo dibattito è stato un dibattito di giovani, ciò che mi ha financo commosso. onorevole presidente , io e lei qui siamo quasi ospiti superflui. ella ci sta per ragioni di responsabilità di presidenza; io ci sto non so a quale titolo, forse perché mi piace sentire che le giovani generazioni portano finalmente un linguaggio nuovo nella discussione di questi problemi, linguaggio nuovo anche se innestato in camicie di forza ed in pregiudiziali politiche. ed alludo ai giovani di tutti i gruppi, anche a quelli che si trovano in seno al Governo, onorevole ministro. certo l' onorevole Ingrao non ha potuto prescindere da fondamentali impostazioni ideologiche e dal tentativo di fare di questo problema un' arma in funzione di potere presente o futuro. ma penso che la realtà dei nostri problemi democratici sia superiore a questi tentativi di inquadramento. del resto, onorevole Ingrao, quello che oggi avviene in Sicilia, e che come siciliano mi angoscia, ci deve abituare a prescindere molto spesso dalle questioni di potere, dai tatticismi e dalle spregiudicatezze che caratterizzano l' attuale vita politica. ma questa particolare situazione dell' onorevole Ingrao non è sola. anche ella, onorevole ministro, si trova in una situazione curiosa rispetto a questo dibattito di giovani. a rappresentare dai banchi del Parlamento le aspirazioni di rinnovamento della Democrazia Cristiana sono stati dei giovani, ma non sono quelli che precisamente stanno più a loro agio nella maggioranza che sostiene il Governo a cui appartiene l' onorevole ministro. molti dei banchi poi da cui dovrebbero venire le cosiddette parole di saggezza, sono vuoti. vi è stato l' onorevole Cruciani che ha partecipato al dibattito chiedendo una serie di strade e di ponti, quasi ritenendo che i problemi di sviluppo della nostra economia appartengano al prolungamento della storia delle opere del regime. ma, salvo questa eccezione, il dibattito ha avuto una caratteristica ben precisa. onorevole ministro, ella sa quanto rancore (naturalmente non di natura personale) io abbia verso di lei, proprio perché è giovane; per le disillusioni che lei (mi lasci parlare dal pulpito di una maggiore età) mi ha procurato. in questo sentire un linguaggio di giovani, non distinguo e non ho pregiudiziali di nessun genere. mi dispiace che lei, in certo senso contrapponendosi all' onorevole Ingrao, debba rappresentare una situazione politica che penso non sia nei suoi profondi convincimenti. mi spiace, d' altra parte, che la mia generazione sia assente. questa assenza è la prova testimoniale degli errori che essa ha compiuto nella considerazione dei problemi in esame. col trapasso da una generazione all' altra, si è sviluppata una problematica nuova a cui sarebbe bene che le vecchie generazioni si educassero. a questo punto, poi, sorge un terzo problema per me, per voi e per lei, onorevole ministro. perché mi occupo dell' Umbria? militando in un partito di estrema minoranza, sono come i suonatori calabresi che vanno di villaggio in villaggio e suonano tutti gli strumenti nello stesso tempo: portano la grancassa dietro, suonano la tromba davanti e così via . come sono romagnolo onorario, sono divenuto anche umbro onorario. perché ha avuto interesse per me questo problema umbro? dissento da qualche nostro collega che ha detto che questa Umbria, che questa Italia centrale, si sono trovate fra il nord e il sud, tra un nord evoluto e un sud che almeno letterariamente ha avuto una problematica, e sono rimaste prese nella morsa. non mi pare così. vorrei, al riguardo, distinguere fra due piani di considerazioni: il problema regionale da una parte, come problema di organizzazione strutturale e politica dello Stato, ed il problema dello sviluppo economico dall' altra. il problema regionale è venuto alla ribalta in Umbria come poteva venire alla ribalta nelle Marche o in qualsiasi altra regione. esso indica (ed in questo senso lo dobbiamo porre) ed esprime la volontà di una popolazione locale di avere qualche autorità e qualche responsabilità nella discussione dei propri problemi. non credo che gli timbri fossero i più accaniti fra i regionalisti. non mi risulta. ma, evidentemente, se il problema si è accentuato in Umbria, è perché questa non partecipazione di una popolazione alla discussione dei problemi che la riguardano, ha determinato reazioni notevoli. tuttavia della rivendicazione regionale dobbiamo fare un problema generale di applicazione della Costituzione e di sviluppo autonomistico dello Stato. non possiamo farne certo un problema specifico dell' Umbria o una ragione di speculazione qualsiasi da parte di grandi partiti come la Democrazia Cristiana o il partito comunista . il problema dell' attuazione regionale è un problema di ordine costituzionale, è il problema del dare alle popolazioni locali la possibilità di discutere i loro problemi. anche un problema di alleggerimento delle nostre responsabilità centrali. perché a questo dobbiamo pure badare. proprio perché siamo costretti ad accrescere la nostra responsabilità in alcuni settori, cerchiamo nel contempo di non appesantirci troppo di questioni che possono avere una soluzione locale. quindi, come rivendicazione regionale, l' Umbria prospetta un problema che ha carattere assolutamente generale. nel quadro di una politica generale di sviluppo, la regione non serve tanto agli timbri, quanto a noi che ne dobbiamo fare uno degli strumenti necessari di tale politica di sviluppo . in altri termini mentre la regione diventa espressione di esigenze direi dalla radice, dal basso, essa diventa anche strumento di una politica centrale di sviluppo economico , come del resto ella ha avvertito, onorevole ministro. ella ci ha parlato per primo di piani regionali di sviluppo. ed io le ho dato atto della volontà di innovare il nostro precedente modo di vedere tali problemi. ma, naturalmente, si accorgerà che non si può rimanere a mezza strada, né si può restare alle Camere di Commercio , a questi organi tecnici. bisogna arrivare fino in fondo, anche per avere un organo responsabile rispetto a cui una discussione possa arrivare ad una conclusione. e con ciò enuncio una delle ragioni fondamentali per cui la regione si deve creare, se badiamo alle dimensioni dei problemi che si presentano, nel quadro di una politica di sviluppo economico. evidentemente, se dovessimo obbedire a tutte le esigenze, non troveremmo limiti ai nostri impegni nel formulare una politica di sviluppo economico. ora, come riusciremo a contemperare, secondo un ordine di priorità, i nostri impegni? abbiamo bisogno di interlocutori validi, capaci di abituarsi a comprendere quali sono le dimensioni dei problemi e come si possono porre localmente. abbiamo bisogno di discutere con gli organi regionali in sede propria, perché non possiamo consentire (ed è stato il vizio della politica finora fatta) questo tirare ciascuno dalla propria parte, che è uno degli aspetti della nostra organizzazione di vita collettiva. in questo paese tutti tiriamo o chiedono, tutti, da qualunque parte. si tira e si chiede in sede regionale, in sede locale, in sede di sindacato, in sede padronale, in sede di interessi settoriali. tutti tirano e chiedono. ed acchiappare qualche cosa dipende da una infinità di circostanze quasi del tutto irrazionali e non comprensibili. non possiamo andare avanti così. ed è uno degli aspetti deteriori della nostra vita pubblica , che è poi manifestazione di certo malcostume o di molto empirismo. abbiamo bisogno di interlocutori responsabili, che sappiano quali sono i problemi, che cosa può fare uno Stato in sede generale, un governo centrale rispetto alle mille esigenze che sorgono localmente. la regione diventa così una necessità, si pone come necessità di dare sodisfazione ad esigenze democratiche locali, e si pone — dal nostro punto di vista centrale — come strumento, direi, di colloquio, come strumento dialettico per razionalmente decidere e programmare. detto questo, non credo che il problema dell' Umbria e dell' Italia centrale (perché giustamente il problema dell' Umbria si è allargato al problema dell' Italia centrale) si sia acuito perché, mentre il nord ha le sue forze spontanee che lo fanno progredire, mentre il sud ha avuto i suoi Fortunato, i suoi Salvemini, i suoi Sturzo, i suoi Colajanni, i suoi Gramsci, e la problematica relativa, l' Italia centrale non ha avuto nulla. no, perché, onorevoli colleghi , la letteratura meridionalista non è mai arrivata a darci un' impostazione tecnica moderna del problema del Mezzogiorno. questo leviamocelo dalla mente! possiamo leggere tutte le pagine dei meridionalisti. esse ci hanno rivelato potentemente i caratteri del problema da risolvere: non ci hanno dato le linee di una concreta soluzione. perché non ce le potevano dare. Salvemini e Fortunato non potevano nemmeno pensare ad una linea moderna di intervento economico, perché ai loro tempi la dottrina economica non consentiva tanto. ci hanno dato i presupposti, i dati per cui il problema acquistasse rilievo e carattere eccezionali nella nostra vita nazionale. solo dopo l' elaborazione tecnica della dottrina economica sulle aree depresse, il problema del Mezzogiorno ci è divenuto chiaro, circa le possibili linee di soluzione. ma se il problema del Mezzogiorno si è potuto rapidamente inquadrare nell' ambito di questa dottrina, le convinzioni che nel frattempo si sono create in Umbria, nell' Italia centrale, hanno allargato il quadro delle nostre conoscenze e delle nostre necessità di una politica economica nuova e moderna. ciò risulta del resto evidente dal carattere stesso della discussione, quale finora si è svolta. attraverso tale discussione, attraverso il fatto che noi abbiamo visto regredire delle regioni che erano, rispetto alla posizione classica del Mezzogiorno, in condizioni migliori, abbiamo dovuto constatare che dobbiamo stare attenti a tutto: non soltanto al problema storicamente tramandatoci del Mezzogiorno, ma al problema di uno sviluppo armonico dell' economia nazionale, la quale, in ogni momento, ci può presentare casi di decadenza o di eccessivo sviluppo e, quindi, condizioni di continua alterazione dell' equilibrio necessario al paese. abbiamo, attraverso l' esame del problema umbro, del problema dell' Italia centrale, progredito nelle nostre conoscenze e nelle nostre concezioni. così l' Umbria, l' Italia centrale si collocano — come concretezza di problemi — tra la nostra politica del Mezzogiorno e quello schema Vanoni che rimane un' opera non iniziata. si colloca come esperienza di un' area che aveva un certo sviluppo economico , ed ha iniziato, a partire da una certa epoca, a decadere. naturalmente, la decadenza di una area che aveva un certo sviluppo economico è un segno (ve lo dice un meridionalista) anche più allarmante degli squilibri della nostra condotta economica. e poi, fra tutta l' Italia centrale, l' Umbria e venuta a fuoco perché vi è Terni, perché forse nessuna regione dell' Italia centrale ha avuto una città critica come Terni, cioè una città di grandi possibilità industriali, alla fine del secolo scorso, che si va assottigliando e spegnendo. so tutte le ragioni per cui Terni, ad un certo punto, ebbe uno sviluppo industriale notevole: anche ragioni piuttosto artificiose. ma è chiaro che, una volta creato un centro di sviluppo industriale , bisogna stare attenti a non lasciarlo decadere per imprevidenza, per incapacità di correzione tempestiva dei sopravvenienti fattori di decadenza o di depressione. in Umbria abbiamo potuto constatare, con palmare evidenza, tutto il vuoto della nostra politica di sviluppo . i giovani colleghi che mi hanno preceduto non si sono soffermati sul passato e hanno avuto ragione; i loro discorsi sono pieni di indicazioni per un' azione futura. ma chi ha ormai raggiunto una certa maturità di anni non può non rammaricarsi di quello che poteva essere fatto e non è stato fatto; non può non deplorare che certi problemi siano stati aggravati dalla trascuratezza con cui sono stati considerati per lunghi anni. il problema dello sviluppo economico armonico di un paese non si può affrontare quando piaccia e sciupando tempo e occasioni. esso va posto tempestivamente. certe storture vanno prevenute giacché, una volta che si siano verificate, è ben difficile eliminarle. certe industrie, che dieci anni fa potevano essere meglio localizzate, non possono certo essere trasferite, oggi, da una zona all' altra. quello che è stato fatto è fatto, e le alterazioni che si producono attraverso una politica economica non coordinata e non controllata secondo le esigenze dello sviluppo generale del paese, rimangono come un dato negativo e come un rimorso. ecco perché sento l' angoscia di questi anni perduti e non posso sottrarmi alla sensazione (che forse i giovani non provano) che non si può più tornare indietro e che non possono essere più vinte quelle battaglie che ieri avremmo potuto vincere. ecco perché non deve essere perpetuata l' attuale situazione di equivoco, se non vogliamo addossarci pesanti responsabilità verso il paese e verso le future generazioni. non dobbiamo perdere un mese, una settimana, un giorno, vorrei dire un' ora di più. quando si tratta di raggiungere obiettivi così importanti, come è quello di un armonico sviluppo economico del paese, non bisogna abbandonarsi ai giochetti politici o farsi prendere la mano dagli interessi di partito. se crediamo alla democrazia dobbiamo sapere che vi è un solo modo attraverso cui, nel mondo moderno, essa può essere difesa. abbiamo perduto sin troppo tempo, in passato: ed ella sa, onorevole ministro, che il monito di cui mi faccio ora portavoce echeggia da anni da questi banchi. e se qualcuno di noi è arrivato a rifiutarsi di assumere qualunque responsabilità di ordine governativo, è proprio perché il monito è rimasto inascoltato. ad un programma costruttivo, che ci porti avanti, tutti sono disposti a dare la loro piena collaborazione; ma ad una politica che aggrava la nostra situazione (anche se può dare l' impressione di un progresso, solo apparente) non si possono evidentemente chiedere corresponsabilità, se non nei riguardi di uomini e di correnti che trascurano i problemi veri del paese per occuparsi, invece, di falsi problemi. tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito hanno affermato che quest' azione di coordinamento e di programmazione è più necessaria che mai; all' articolazione regionale, poi, dovrebbe accompagnarsi un' articolazione per zone più vaste, ad esempio per l' Italia centrale. ciò non vuol dire che non vi siano problemi specifici dell' Umbria o di certe particolari zone di essa. il problema delle ligniti è uno di questi problemi e mi auguro che su di esso l' onorevole ministro possa dirci una parola definitiva, annunciandoci, come io mi auguro, che la lignite potrà essere utilizzata per la produzione di energia elettrica , così come ha già fatto nel Mezzogiorno la Società meridionale di elettricità . ma, al di là di questi problemi particolari, occorre por mente (e l' onorevole ministro mostra di essere orientato su questa strada) ai problemi di indirizzo generale, ai problemi di impostazione di una politica di sviluppo in sede regionale. camminando in questa direzione si potranno fare progressi assai maggiori di quanti non se ne siano finora fatti. questo problema si pone anche nei confronti dell' iniziativa privata . noi non possiamo accettare, ella lo sa, onorevole ministro, quell' assurda concezione per cui l' economia di mercato è quella nella quale il libero imprenditore fa quello che vuole. non esistono economie di mercato degne di questo nome, nel mondo moderno, che siano fondate su questo assurdo principio. non solo l' economia di mercato presuppone quest' opera di programmazione e di coordinamento centrale per i suoi sviluppi in senso nazionale (rapporto tra agricoltura ed industria, tra industria, agricoltura e attività terziaria), ma essa la presuppone a maggior titolo, per quanto riguarda i suoi sviluppi regionali e locali. quindi, necessità che l' iniziativa privata si inquadri in una visione generale. su questo sono tutti d' accordo. nessuno qui vuol sottoporre a ghigliottina l' iniziativa privata , vuole distruggerla. tutti vogliamo inquadrarla in una politica che risponda agli interessi generali del paese. ella, onorevole ministro, ha osservato come questo concetto cammina in seno alle organizzazioni interessate. ella ha constatato come la Confederazione generale dell' industria , che l' anno scorso si occupava del MEC, dell' istruzione, della conquista delle aree sottosviluppate esterne (come se fosse necessario andare a cercar aree sottosviluppate fuori di casa), quest' anno, dopo l' esercizio di una attenta e continua critica, si occupa dei problemi del nostro sviluppo economico . finalmente la Commissione dell' industria della Camera ha conosciuto, mesi fa, la faccia del dottor De Micheli e ha appreso da lui che cosa, a grandi linee, l' iniziativa privata intende fare nel paese. nell' assemblea annuale della Confederazione, che ha avuto luogo giorni fa, il dottor De Micheli ci ha detto che il nostro sviluppo economico può contare sull' investimento di 1000-1.100 miliardi annui da parte dell' iniziativa privata ; ci ha anche detto che cosa avverrà nei vari settori. bisogna procedere su questa strada, onorevole ministro, e dire ai signori industriali... mi fa piacere, ella sa quanto io abbia auspicato tutto questo.... e dire al dottor De Micheli che non ci si potrà fermare a mezza strada. i sindacati operai lo devono tallonare e devono cominciare ad istituire un dialogo su questo problema, perché sono una delle parti in causa. cominciamo a discutere. inquadreremo anche l' iniziativa privata rispetto alle necessità del paese e risolveremo anche, come possiamo, il problema della localizzazione dell' industria. onorevole ministro, interrompendomi ella ha detto che intende marciare su questo terreno. sta bene. le chiedo, allora, se anche il suo collega dell' agricoltura la intende così, se egli avverte l' importanza del coordinamento del « piano verde » con i problemi dell' agricoltura che gli umbri hanno esposto, che sono i problemi della mezzadria, dell' abbandono dei poderi in montagna, della piccola proprietà in collina ed in montagna, il problema di una visione strutturale della agricoltura nel nostro ordinamento agricolo che sia in relazione alla politica di sviluppo . a questo riguardo, quale rapporto vi è tra il « piano verde » e le idee che ci ha fornito Mansholt con riguardo a tutti e sei i paesi della comunità ? nel piano Mansholt si considerano aspetti strutturali dell' agricoltura europea che nel « piano verde » sembrano trascurati. ella, onorevole Colombo, è stato ministro dell'Agricoltura e sa che, senza una parallela marcia nel settore dell' agricoltura, anche il settore dell' industria non riesce ad inquadrarsi bene. come vede, quando cominciamo a trattare i problemi da questo punto di vista , facciamo presto ad arrivare alle programmazioni nazionali e locali, al coordinamento dell' iniziativa privata con la pubblica, al coordinamento degli sviluppi agricoli con gli sviluppi industriali e così via di seguito. questa mattina, onorevole ministro, su La Voce Repubblicana , proprio in relazione a questa discussione e alle continue polemiche con i santoni dell' iniziativa privata , circa la necessità di una programmazione e di interventi coordinatori dello Stato, sono stati riferiti elementi estremamente interessanti, che si possono applicare ad una situazione tipica come quella dell' Umbria. in Inghilterra, dopo la crisi del 1929, si ebbe una grave depressione in alcune zone industriali, che vide il dissesto di una grande quantità di centri industriali e l' enorme aumento della disoccupazione. ricordava La Voce Repubblicana che la prima legge speciale sulle aree depresse è stata fatta in Inghilterra, da un governo conservatore nel 1934. con essa si crearono società industriali con capitale statale, per sostituire certi tipi di industrie ad altri, e si istituirono commissari di zona. se noi parlassimo di queste cose all' onorevole Malagodi, ci sentiremmo dire che siamo diventati comunisti. ma i conservatori inglesi non sono comunisti. eppure, 25 anni fa ponevano i problemi dello sviluppo delle aree depresse (non depresse in senso meridionale, ma nel senso di aree di decadenza economica e industriale) in tali audaci nuovi termini. in seguito, nel 1945, il governo laburista varò una legge più generale, più programmata, per lo sviluppo equilibrato dell' industria delle varie zone del paese. creò il cosiddetto certificato di sviluppo industriale . e questo fu un atto di saggezza, perché nella ricostruzione dell' industria il governo laburista poté dare alle dislocazioni locali un indirizzo tale da impedire i gravi squilibri che da noi si avvertono. rispetto a questa esperienza inglese, se partiamo dal 1934 noi siamo in arretrato di 25 anni; se partiamo dal 1945, siamo in arretrato di 14 anni. come dicevo prima, abbiamo buttato via degli anni, senza affrontare un problema che condiziona la stabilità della nostra vita democratica . a lei, signor ministro, all' onorevole Malagodi, al dottor De Micheli , alla maggioranza, che in questo momento è assente, vorrei ancora ricordare che questi provvedimenti sono stati presi, dal 1935 in poi, da governi conservatori, poiché in questo lungo periodo il governo laburista è stato in carica sì e no 5 anni. la legge di cui parlavo prima per la diffusione dell' industria, non fu abolita dal governo conservatore, alla caduta di quello laburista. i conservatori mantennero i certificati di sviluppo industriale , pur avendo abolito altre leggi d' iniziativa laburista. anche questo dovrebbe insegnare qualche cosa. quando si badi a questo atteggiamento dei conservatori inglesi, rispetto ai problemi dello sviluppo economico armonico nelle varie zone del loro paese, la comparazione con le affermazioni, con le pretese dei nostri circoli conservatori, con le elucubrazioni dei nostri dottori dell' iniziativa privata viene spontanea. che cosa pretendono essi di fare del nostro paese: in quale stato di arretratezza, di squilibrio, di non soluzione moderna dei problemi intendono lasciarlo. bisogna reagire a questa vecchia mentalità e a questi vecchi pregiudizi, che ci soffocano, onorevole ministro. bisogna costringerli ad assumere le nuove responsabilità. che cosa ci vengono a raccontare: che l' economia di mercato è la economia del gioco delle forze spontanee! in quale paese? la verità è che l' economia del gioco delle forze spontanee risponde alla nostra tipica anarchia che si manifesta in questo come in mille altri casi, cioè alla nostra mancanza di solidarietà, di spirito collettivo, al nostro pensare al particolare, allo sviluppare alcuni privilegi, al mantenere i parassitismi e le posizioni particolari, in una parola a non sentire i problemi del vivere comune. una economia di mercato nel mondo occidentale in senso moderno è un' economia di mercato quando abbia risolto i problemi che in questa discussione sono stati prospettati. non esiste un' economia di mercato che si basi sulla disoccupazione, sul contrapposto di aree depresse e di aree soprasviluppate! non esiste nella Germania di Erhard, che tanto si decanta! forse i nostri conservatori non sanno che nella Germania di Erhard il proprietario di un fondo a mezzadria prende soltanto il 15 per cento del prodotto! faccia controllare questa informazione, onorevole ministro. non abbiamo forse visto ricostruire l' economia tedesca, in questo dopoguerra, attraverso un severo ordine di priorità? ma, come fanno a raccontarci che l' economia di mercato della Germania è stata un' economia di forze spontanee e libere! i tedeschi non avrebbero potuto creare quello che hanno creato se non avessero seguito un metodo moderno di guidare la vita economica dei paesi, cose che pure un conservatore può fare, se ha però questa modernità di concezione, se non sia, lasciatemelo dire, il depositario di tutti i privilegi, le concezioni feudali, i pregiudizi e i preconcetti del passato. ecco, onorevole ministro, i problemi integrali che ella si deve porre. quando ella, come giovane che non deve continuare a deludere (io ho avuto molta simpatia per lei, per il suo spirito meridionalista, per la sua passione ai problemi dello sviluppo della nostra vita economica), quando ella si porrà questi problemi, dovrà pur decidere con chi fare questa politica. e allora si porrà dalla parte dei giovani e non di un mondo che è morto storicamente.