Giuseppe SARAGAT - Deputato Opposizione
III Legislatura - Assemblea n. 11 - seduta del 18-07-1958
1958 - Governo I Cossiga - Legislatura n. 8 - Seduta n. 21
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , questo Governo è sorto dalla comune volontà della Democrazia Cristiana e del partito socialista democratico italiano di sbloccare una situazione che le circostanze interne ed esterne potevano rendere pericolosa. la nazione con la quale abbiamo i maggiori vincoli di amicizia, la maggiore comunanza di cultura e di ideali, la vicina Francia, ha visto crollare in pochi giorni le sue istituzioni ed ancora non si sa se riuscirà a salvare la democrazia. è stato questo un segnale di allarme che ha ricordato ai democratici italiani la precarietà delle istituzioni libere, ove esse non siano capaci di dare una risposta valida ai problemi presentati dalle circostanze. vi è chi si illude pensando che, poiché l' Italia non ha colonie, la democrazia nel nostro paese non corre alcun pericolo. in primo luogo, il problema coloniale non spiega da solo la crisi della democrazia francese. vi sono, all' origine di tale crisi, delle cause generali che, in una misura maggiore o minore, influiscono sullo sviluppo di tutte le democrazie dell' Occidente: instabilità dei governi, immobilismo sociale, scarsa adattabilità ad uno statuto mondiale in continua evoluzione, e via discorrendo. in secondo luogo l' Italia ha dei problemi molto gravi di natura sociale e politica che la Francia non conosce, o che conosce in misura minore. assurdo quindi è cullarsi nella invulnerabilità del sistema democratico per la cui sopravvivenza occorre invece una vigilanza continua, una politica sociale audace ed un alto senso di responsabilità da parte della classe politica . a me pare che la prima condizione di sviluppo di una democrazia moderna sia la sua attitudine ad inserirsi nelle situazioni internazionali come fattore di sicurezza generale e di pace nella libertà. la seconda condizione è la capacità della democrazia di dare una risposta risolutiva ai problemi sociali della nazione, vale a dire di fare della classe lavoratrice la vera classe dirigente . la terza condizione di sviluppo di una democrazia è una sana dialettica interna per cui sia possibile o un' alternativa di Governo — un' alternativa liberata da qualsiasi ipoteca totalitaria — oppure, in difetto di ciò, un più largo margine per la formazione dei governi democratici. a coloro che per le debolezze della democrazia in questo o quel settore del mondo pronosticano la decadenza irrimediabile delle libere istituzioni e fanno eco a spengleriane elucubrazioni sulla decadenza dell' Occidente, possiamo rispondere che si sono dimenticati di dare uno sguardo a quel mondo di cui pretendono di conoscere il destino. la dittatura comunista, salvo i paesi dell'est europeo in cui sappiamo che si è imposta con la forza delle armi, impera in paesi che, pur avendo conosciuto nel corso della storia talvolta una relativa autonomia, non hanno mai conosciuto regimi liberi e democratici. si aggiunga che quasi sempre si tratta di paesi le cui antichissime tradizioni religiose hanno sempre ignorato il significato, il valore dell' individuo: tale è il caso, per esempio, della lontana Cina. ma l' evento grandioso dei nostri tempi è invece la vasta diffusione della democrazia in paesi già sottoposti a regime coloniale. in tutta l' Asia meridionale, abitata da oltre 700 milioni di persone, sino a pochi anni or sono sottoposte a regime coloniale, la libera scelta è stata per la democrazia. tale è il caso insigne dell' India ed è il caso di tutti gli altri paesi dell' Asia meridionale, che vedono svilupparsi ed affermarsi forti partiti di democrazia socialista . e, fatto ancor più significativo, nei paesi dell' Europa centro-orientale, sottoposti a un ferreo dominio totalitario, l' ideale di libertà si è rivelato in modo drammatico al mondo commosso come una ragione di vita, la speranza insopprimibile di quelle sventurate popolazioni. la scelta, quindi, della grande maggioranza del popolo italiano per la democrazia ci allinea con le grandi masse dei popoli dell' Occidente e dell' Oriente, ci impegna a difendere le libere istituzioni come garanzia non soltanto del nostro sviluppo sociale e civile ma anche del nostro contributo alla causa della pace e della sicurezza nella libertà. noi speravamo che le ultime elezioni avrebbero creato le condizioni per un allargamento della base democratica, noi speravamo che si creassero le premesse per lo sviluppo di una vera alternativa democratica, vale a dire di una alternativa sottratta ad ogni ipoteca totalitaria. noi speravamo che, mancando le condizioni di sviluppo di una alternativa democratica, si creassero almeno le condizioni per l' allargamento del margine di manovra per la formazione dei governi. nessuna delle nostre speranze in questo campo si è realizzata. tocco qui argomenti che sono stati ampiamente dibattuti subito dopo le elezioni, ma sui quali penso non sia inutile ritornare. l' unico elemento veramente positivo di queste elezioni è strato il decisivo indebolimento delle forze elettorali e parlamentari dell' estrema destra reazionaria. per il resto si deve costatare che non si sono sviluppate le condizioni di una alternativa, non si è ampliato il margine di manovra per la formazione di governi. il partito liberale ha anteposto l' egoismo di partito alla visione larga degli interessi della democrazia. il partito liberale ha creduto che l' allargamento della sua base elettorale verso destra giustificasse una impostazione ultraconservatrice in un paese in cui esistono molti disoccupati, in cui un quarto della popolazione vive in condizioni di grave indigenza. la crisi vera del quadripartito risale al periodo della discussione sui patti agrari . il partito liberale ha difeso allora i privilegi dei grossi proprietari terrieri, senza tener conto delle ragioni elementari di giustizia che imponevano una politica più chiaroveggente, senza tener conto della esperienza dei partiti liberali dei paesi socialmente più evoluti. anche nella polemica elettorale contro lo statalismo il partito liberale , che avrebbe avuto un margine utile di azione criticando insufficienze di gestione e di controllo, si è posta sul terreno di un liberismo astratto, in un paese in cui circa la metà della popolazione non ha mai visto un vero sviluppo di libere iniziative nel campo della attività industriale e l' altra metà ha conosciuto l' industria al riparo di una forte protezione doganale, ossia sotto la protezione dello Stato. mi perdoni, il senatore Sturzo verso il quale io ho grande rispetto, ma la sua difesa della libera iniziativa nel Mezzogiorno non mi ha convinto. non si tratta di sollevare qui il problema dei rapporti fra libera iniziativa e iniziativa statale, iniziativa statale che non è altro che iniziativa collettiva. le democrazie moderne si avviano verso tipi di economia mista che solo la cecità di alcuni liberali italiani può mostrare di ignorare. il socialismo democratico europeo ha da tempo scoperto la nozione di libertà, di libertà politica ; il liberalismo italiano non ha ancora scoperto la nozione di giustizia. sociale. le incoerenze di questo liberalismo sono state eloquentemente enunciate dal presidente del Consiglio nel suo ultimo intervento al Senato. basterà ribadire qui che la politica del partito liberale ha seppellito il quadripartito, ed ogni tentativo di farlo rinascere è votato al fallimento e testimonia una errata valutazione della situazione reale del paese. ma la vera risposta al problema della democrazia italiana non deve essere attesa a destra della Democrazia Cristiana , bensì alla sua sinistra. le elezioni che hanno visto il nostro partito man tenere, consolidandole, le sue posizioni, che hanno visto la valida resistenza del partito repubblicano , hanno segnato un successo per la Democrazia Cristiana , e anche segnato un successo per il partito socialista italiano. tale successi, sottolinea la spinta verso sinistra del corpo elettorale , ma sottolinea anche che tale spinta è stata determinata da un corpo elettorale che crede in tal modo di respingere il totalitarismo di destra o di sinistra e di far credito ad un socialismo che sia veramente democratico. la condotta dei partiti, se può essere a lunga scadenza influenzata in modo decisivo dalla volontà del corpo elettorale , è determinata in ultima analisi per periodi brevi dalla volontà dei gruppi politici dirigenti. i voti elettorali possono essere amministrati da classi dirigenti che non sempre mettono la propria volontà, in armonia con la volontà del corpo elettorale . ed è quanto avviene, io ritengo, in questo momento nel partito socialista italiano. il suo successo elettorale non si è risolto infatti in un contributo attivo all' allargamento della base democratica verso sinistra. sarebbe una ipocrisia, trattando del Governo democratico e della situazione generale del paese, tacere di argomenti come quello del partito socialista italiano che sono all' origine della situazione di incertezza in cui si trova la classe lavoratrice , che sono all' origine delle difficoltà in cui ci dibattiamo per il consolidamento delle libere istituzioni. il meno che si possa dire è che l' azione del nostro partito per l' unità socialista su base democratica, la quale renderebbe possibile sia lo sviluppo di una politica di alternativa sia un più largo margine di manovra per la formazione di governi, non ha trovato nel partito socialista italiano alcuna rispondenza. noi abbiamo in Italia un partito che si alimenta della speranza di una parte dell' elettorato ansiosa del rafforzamento del socialismo nella democrazia, ma che elude queste speranze e non utilizza le forze accresciute per rafforzare le libere istituzioni e per affrontare seriamente i problemi sociali. il partito socialista oscilla ancora tra democrazia e concezioni totalitarie e tale equivoco è sottolineato dalla nozione che gli è propria di una falsa unità di classe, nella quale si annullano e si eludono tutti i problemi di una democrazia moderna. la scelta fondamentale tra democrazia e dittatura non può essere elusa, ma è proprio questa scelta che quel partito non ha fatto, lasciando così nella incertezza la nazione e creando il più vero e pericoloso di tutti gli immobilismi: quello della persistenza nel limbo tra democrazia e dittatura. sappiamo che in seno al partito socialista esistono situazioni che non autorizzano a considerare chiusi i problemi dell' unità socialista nell' ambito dei principi dell' Internazionale, dell' allargamento della base democratica, dell' alternativa democratica e dell' allargamento dei margini di manovra per la formazione di governi; ma, purtroppo, allo stato attuale esse si presentano tutte in modo negativo. durante le elezioni noi abbiamo tentato di smuovere la situazione offrendo al partito socialista , solo che l' avesse voluto, l' opportunità di raggiungerci sul terreno democratico, liberato da ogni ipoteca totalitaria, che è il terreno comune a tutti i socialismi del mondo. e alla fine abbiamo sacrificato deliberatamente posizioni elettorali più vantaggiose ed abbiamo avallato deliberatamente posizioni altrui confidando nell' altrui senso di responsabilità . noi speravamo che il partito socialista , quali che fossero i risultati concreti, si sarebbe comportato nei nostri confronti collocandosi dal superiore punto di vista degli interessi generali della classe lavoratrice , anziché da quello gretto del partito, come ci siamo comportati noi nelle elezioni del 1856 nei suoi confronti, e ci siamo sbagliati. se oggi vogliamo operare per evitare situazioni di grave pregiudizio per il paese, per la classe lavoratrice , per la democrazia, sarebbe poco serio se l' accusa di essere venuti ora meno al nostro proposito elettorale ci venisse proprio da chi, col suo atteggiamento negativo, ha reso tale proposito irrealizzabile. durante le elezioni noi abbiamo posto di fronte al corpo elettorale il problema dell' unità socialista. tutte le persone in buona fede sanno che cosa intendiamo noi per unità socialista. parlo delle persone in buona fede , non dei comunisti! per unità socialista noi intendiamo l' unità nel quadro dei principi dell' Internazionale socialista , principi che escludono ogni ipoteca totalitaria, ogni rapporto con il totalitarismo tanto sul piano politico quanto sul piano sindacale e che implicano accettazione incondizionata senza riserve della democrazia politica come mezzo e come fine per la realizzazione di una società socialista. se noi infatti affermiamo che non esiste vera democrazia politica senza giustizia sociale , crediamo egualmente che non esista nessuna forma di giustizia sociale senza democrazia politica. nel quadro di questa impostazione, noi proponevamo al partito socialista una politica che costituisse il nucleo di una alternativa democratica, di una opposizione democratica. la validità della nostra impostazione era subordinata alla separazione netta del partito comunista dal partito socialista italiano. venendo meno una chiarificazione su questo punto fondamentale, tutto era pregiudicato. il problema, infatti, era di allargare la base democratica verso sinistra e non già di aumentare la confusione, dando al totalitarismo l' opportunità di estendere la sua area a scapito di quella della democrazia. nessuna chiarificazione è venuta dal successo elettorale del partito socialista ed è nella previsione di questa mancata chiarificazione che già all' apertura della campagna elettorale , impostando il tema dell' unità socialista, il nostro partito si pronunciò per una soluzione subordinata, vale a dire: collaborazione con la Democrazia Cristiana e Governo caratterizzato da un forte programma sociale. di fronte ad un partito socialista che permane nel limbo tra democrazia e dittatura, coprendo il suo immobilismo — per dirla con la pittoresca espressione del giornale inglese The Economist — con i responsi oracolari del suo segretario generale , il nostro partito non poteva rendersi responsabile di un nuovo Governo monocolore; non poteva rendersi responsabile della attribuzione alla destra reazionaria sul piano parlamentare di quel peso che la destra reazionaria aveva perduto sul piano elettorale; non poteva rendersi responsabile di una involuzione conservatrice, creando condizioni che avrebbero reso inevitabile uno slittamento verso destra della Democrazia Cristiana . e non poteva far ciò soprattutto nell' atto in cui il segretario della Democrazia Cristiana ci proponeva una leale collaborazione sulla piattaforma di un coraggioso programma sociale. si dice che, nonostante l' atteggiamento negativo del partito socialista , noi avremmo dovuto restare all' opposizione per favorire le correnti autonomiste di quella parte. bel modo di favorirle, spingendo la Democrazia Cristiana verso destra e precostituendo le condizioni ideali per la formazione di un Fronte popolare ! del resto, su questo punto gli osservatori più autorevoli sono concordi. « se l' onorevole Fanfani — scrive The Economist di questa settimana — riuscisse ad impegnare la Democrazia Cristiana in una politica sociale ed economica progressiva, tale da incontrare l' approvazione ed il sostegno dei socialdemocratici, potrebbe darsi che i socialisti di Nenni ricavino l' impressione che sia necessario un loro allineamento con i socialisti democratici , piuttosto che continuare nella loro sterile opposizione fianco a fianco con i comunisti » . infine, delle tesi secondo le quali noi avremmo potuto condizionare meglio la Democrazia Cristiana restando fuori del Governo ed appoggiandolo volta a volta, fa giustizia Salvatorelli con il suo solito vigore di pensiero e di forma. « rimaneva — scrive Salvatorelli — il monocolore senza una maggioranza prestabilita, alternante di volta in volta tra destra e sinistra. lasciamo da parte, non certo per dimenticarla, l' instabilità del Governo, resa particolarmente attuale dagli avvenimenti francesi. constatiamo per ora soltanto questo: fino a che il monocolore con maggioranza di ricambio durasse, esso rappresenterebbe non un maggior condizionamento — o diciamo, con termine preferibile, controllo — della Democrazia Cristiana ma un minore. un leader esperto avrebbe un gioco più ampio e più libero » . naturalmente, la chiave di volta della nostra politica di collaborazione è la serietà dell' impegno programmatico. se un programma sociale di politica interna e di politica estera dal Governo (e vedremo che si tratta di un programma di vera apertura democratica) sarà realizzato, e senza dubbio lo sarà, non soltanto si risolveranno alcuni problemi fondamentali che interesseranno le classi lavoratrici italiane, non soltanto si darà una certa stabilità alla politica del paese, una si favorirà anche nel modo più concreto il processo di sviluppo di quelle forze autonome del partito socialista italiano che diversamente non si muoverebbe; vale a dire si opererà seriamente ed efficacemente per l' allargamento della base democratica nel paese. al punto di cui sono le cose in Italia, lo sbloccamento della situazione può avvenire solo per effetto dell' urto di una reazione programmatica ma coraggiosa. siamo, come ognuno vede, sul terreno di quella politica. delle cose che non soltanto non nega la politica dei principi, ma la rende efficace. mi si permetta di citare a questo proposito una giusta considerazione che estraggo dal discorso pronunciato al termine dei lavori del congresso di Venezia del partito socialista dall' onorevole Nenni: « se ho bene interpretato certi sintomi di insofferenza, qualche volta anche di smarrimento delle opinioni operaia e popolare negli ultimi due anni. mi pare che si debba dedurre da essi la volontà delle masse di entrare in una fase di realizzazione delle loro rivendicazioni. ci si chiede di realizzare quell' allargamento del peso politico, economico e sociale dei lavoratori che oggi è possibile, ci si chiede non di parlare di riforme ma di attuarle unendo le forze che sono in grado di farlo » . questo è il proposito ottimamente pensato, ma purtroppo non attuato dal partito socialista italiano. vediamo se con il massimo impegno del socialismo democratico sarà possibile sopperire alla carenza di chi, con le ben maggiori forze di cui dispone, rimane — come osserva l' Economist — « nella sterile opposizione fianco a fianco con i comunisti » . ma vediamo qual è il programma di questo Governo nei suoi tre aspetti di politica interna , di politica sociale e di politica estera . nella politica interna il programma mette l' accento sulla difesa della libertà e della autonomia dello Stato o, come diciamo noi democratici, sulla laicità dello Stato. il problema della difesa della libertà trova le sue possibilità di sviluppo nella parte sociale del programma, ma si integra nella realizzazione completa della Costituzione, nel riordinamento della Presidenza del Consiglio , nella legge sindacale, negli adempimenti sulle regioni, nella tutela della dignità dei cittadini, nella moralizzazione della vita pubblica . consolidando le istituzioni democratiche si consolida la autonomia dello Stato. le polemiche a questo proposito sono, più che utili, indispensabili, ma un' azione seria. intesa a risolvere i problemi sociali, a migliorare il funzionamento della Pubblica Amministrazione , a completare la Costituzione, è più utile che non tutte le discussioni per il consolidamento della autonomia e della laicità dello Stato. il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa, che si lega alle origini della nazione e dello Stato, ha trovato una sistemazione che sarebbe inopportuno alterare. è necessario, però, che tale sistemazione venga rispettata da tutte le parti e non si transiga sul principio della difesa della autonomia dello Stato e sul rispetto delle istituzioni civili e delle convinzioni religiose e politiche di tutti i cittadini. ciò è tanto più utile in quanto una pratica di Governo corretta in questa materia, nella difficoltà e forse nella impossibilità di un chiarimento definitivo in sede teorica, è essenziale per garantire il normale funzionamento di una democrazia moderna. del resto, l' esperienza ha provato che è soltanto nel quadro di uno Stato rigorosamente autonomo che è possibile mettere in valore l' apporto di tutti, compreso naturalmente quello delle grandi masse di lavoratori cattolici che il corso della storia ha portato, in Italia e nelle grandi democrazie dell' Occidente, alla partecipazione politica attiva ed altamente positiva. penso che chi per anni ha parlato di mano tesa ai lavoratori cattolici non possa non essere d' accordo con questa impostazione rigorosamente laica e rigorosamente democratica. sulla politica di sviluppo economico-sociale programmata dal nuovo Governo l' attenzione della pubblica opinione è stata attirata particolarmente dal piano decennale di sviluppo della scuola statale italiana e dal massiccio e preordinato programma pluriennale di edilizia popolare. la critica dei rappresentanti delle forze conservatrici si è applicata particolarmente nel dimostrare la impossibilità di ricavare i mezzi per una politica sociale coraggiosa. a loro volta le forze contrarie al Governo che si schierano alla nostra sinistra hanno giudicato il programma privo di impostazione sistematica e dovizioso, invece, di espedienti paternalistici. non si è negato che il programma contenesse aspetti positivi, ma non si è visto o non si è voluto vedere che esso contiene seri propositi di riforme strutturali della nostra economia. è evidente che si sottovalutano proprio quei nessi esistenti nel programma tra le necessità di intervento imposte dalla congiuntura e le esplicite indicazioni di mutamenti di indirizzi, di scelta di nuove vie, di strumenti diversi che l' esperienza di questi anni ha indicato quali mezzi adeguati per una politica di sviluppo economico e sociale . l' incremento della produzione e del reddito, una più equa distribuzione dei redditi, l' inserimento dei disoccupati nel processo produttivo, l' industrializzazione del Mezzogiorno restano più che mai una necessità di oggi come lo erano di ieri. ma al tempo stesso occorre il coraggio di riconoscere che la politica di sviluppo non ha più la possibilità di essere realizzata nei precisi termini in cui è stata formulata nello schema del compianto senatore Vanoni. ciò dipende dal sopraggiungere di fattori non prevedibili, quali l' intensivo sviluppo tecnologico e produttivo, l' entrata in vigore del mercato comune europeo e l' attuale fase di recessione internazionale. l' incremento dei redditi del Mezzogiorno procede con un ritmo che, non essendo superiore a quello del settentrione, rischia di aumentare gli squilibri già esistenti in tutti i settori produttivi. tra i settori produttivi, quello agricolo, nonostante i progressi compiuti, non si allinea col settore industriale. l' istruzione e la riqualificazione professionale, infine, che erano elementi determinanti dello schema del compianto senatore Vanoni, presentano ancor oggi un quadro preoccupante. la politica di sviluppo dell' attuale Governo muove proprio da un riesame dello schema Vanoni alla luce di queste constatazioni. lo schema Vanoni, come gli onorevoli colleghi ricordano, traeva significato da tre ordini di costatazioni: la prima, che la quasi raddoppiata produzione industriale rispetto all' anteguerra aveva lasciato quasi irrisoluti alcuni gravi problemi di struttura, quali la disoccupazione e gli squilibri regionali; la seconda, che lo Stato si impegnasse in una azione capace di avviare la nostra economia verso una più equilibrata struttura dei redditi e dell' occupazione; la terza, infine, che occorresse stimolare una maggiore massa di investimenti per mantenere il ritmo di progresso verificatosi negli anni precedenti. i limiti dello schema stavano nella previsione che il raggiungimento di certi obiettivi nei settori dei lavori pubblici , nei quali l' intervento dello Stato è già tradizionale nella nostra economia, fosse sufficiente a stimolare gli investimenti dell' attività privata e ad indurli a raggiungere il volume desiderato. l' esperienza ha dimostrato che anche un progresso globale molto rilevante non può sostituirsi a politiche economiche direttamente ispirate agli obiettivi da raggiungere; ha dimostrato soprattutto che una politica di lavori pubblici nell' Italia meridionale non può, da sola, controbilanciare la tendenza dello sviluppo industriale a concentrarsi nel settentrione. ed è questa la vera risposta alle osservazioni del senatore Sturzo. di fronte a questi limiti della politica dei precedenti governi ed in presenza di una fase di recessione e di nuove situazioni politico-economiche a carattere internazionale, la Democrazia Cristiana ed il partito socialdemocratico si sono resi conto della necessità di predisporre lo Stato alla realizzazione di tutti quegli investimenti industriali che non sono attuati dall' iniziativa privata ; di intensificare al massimo gli investimenti nel settore dell' edilizia popolare, capace di esprimere i necessari ulteriori stimoli al processo di sviluppo produttivo; di intervenire infine direttamente e indirettamente nel quadro di una politica anticiclica per sviluppare e difendere i redditi popolari. il programma del Governo è impostato su due posizioni fondamentali che stanno tra di loro in rapporto di reciproco condizionamento. la prima è l' impegno massiccio, immediato e pluriennale a realizzare una spesa pubblica di tonificazione della domanda interna , per consentire anche nell' attuale fase di recessione dei livelli sodisfacenti di sviluppo del reddito e della produzione. la seconda — ed è in questo che va individuato quell' impegno nuovo che caratterizza l' attuale Governo e lo colloca a sinistra dei governi precedenti — consiste nel portare il paese ad assumere gradualmente, accanto al necessario intervento propulsivo per incoraggiare l' impresa privata, la responsabilità globale di portare ad effetto il processo di sviluppo industriale ed una sempre maggiore occupazione. ecco perché noi socialdemocratici siamo certi che il Governo si impegnerà particolarmente a condurre avanti speditamente quelle parti del programma che concernono gli strumenti dell' intervento pubblico; dalla politica creditizia e fiscale ai compiti delle industrie di Stato e al loro riordinamento. poiché ai fini dello sviluppo economico ha valore decisivo non soltanto il saggio di accumulazione, ma anche la qualità degli investimenti, occorre che sia realizzato al più e presto il necessario riordinamento dell' attuale inquadramento delle aziende di Stato per singoli settori ed in una sola associazione sindacale. alle aziende di Stato va il compito di contribuire in maniera decisiva alla creazione nel Mezzogiorno di un sistema industriale opportunamente diversificato; al ministero delle Partecipazioni , che presiede al coordinamento delle aziende di Stato, va il compito di orientare gli investimenti per l' ammodernamento tecnico delle aziende esistenti e per lo sviluppo delle aziende di base. a questo fine è di grande importanza il rispetto rigoroso delle recenti deliberazioni del Parlamento che impongono alle aziende pubbliche di destinare al Mezzogiorno il 40 per cento dei loro investimenti. urgente è pure la concentrazione nel previsto ente unico di tutte le partecipazioni statali nel settore di ricerca, produzione e distribuzione di energia di qualsiasi origine. il ministero delle Partecipazioni è impegnato a garantire ad esso il passaggio di tutte le concessioni in corso per la produzione di energia che vengono a scadenza ed a fornire i mezzi necessari per il riscatto anticipato di altre concessioni. il problema della creazione di questo ente unico è, a nostro avviso, fondamentale soprattutto in riferimento alle prospettive che si annunciano per il nostro paese. è diffusa la preoccupazione che ci si possa incamminare verso una situazione di pericolosa carenza di energie, senza per altro considerare che già oggi l' importazione di petrolio e di carbone è causa di squilibri per la nostra bilancia commerciale . l' ente unico dovrà avviare anche una seria attività nel campo nucleare, seguendo una via che, non escludendo l' iniziativa privata , riservi a quella statale condizioni di preminenza. rinunziare a tale preminenza da parte dello Stato in un settore di attività così importante e delicata e lasciarla all' iniziativa privata , che è praticamente poi quella monopolistica, significherebbe mantenere il futuro energetico nazionale in condizioni di precarietà e di insicurezza, quando ragioni economiche, tecniche, politiche e sanitarie suggeriscono invece la nazionalizzazione. che sia sfuggito ai commenti dei nostri critici di sinistra l' importanza di questo impegno quale fondamentale premessa ad una politica di sviluppo industriale, mostra chiaramente che il loro atteggiamento pregiudizialmente negativo deriva esclusivamente da un' avversione all' attuale formula politica del Governo. con questa formula politica e con questo programma, invece, il paese realizza per la prima volta un deciso superamento di posizioni non più rispondenti alla situazione interna ed internazionale. è assurdo affermare pertanto che il Governo si è presentato al Parlamento con un programma privo di impostazione unitaria e sistematica. il programma è il risultato di uno sforzo cosciente per fronteggiare la diversa attuale congiuntura e per superare le deficienze e i limiti di politiche economiche e sociali non più rispondenti alle attuali esigenze di sviluppo. monopoli, agricoltura e lavoro. sempre nel quadro degli impegni per una politica di sviluppo , varino sottolineate la difesa contro il monopolio, le intese finanziarie ed una serie di misure nel campo della produzione agricola che possono dare la spinta necessaria per conseguire davvero mutamenti strutturali nel settore dell' agricoltura. i provvedimenti annunciati nel settore agricolo, quali i piani sistematici di bonifica, i miglioramenti obbligatori a termine triennale pena l' esproprio, lo sviluppo della cooperazione, la revisione dei rapporti tra enti di riforma ed assegnatari, il finanziamento integrativo per la legge della montagna, la trasformazione delle mezzadrie povere di collina in aziende a coltivazione diretta, tutti questi provvedimenti integrati da incentivi economici e di legge allo sviluppo della proprietà coltivatrice, specie nelle zone latifondistiche, mezzadrili e di affitto assenteista, tolgono al problema dei patti agrari la urgenza e la drammaticità con cui esso si era posto nella precedente legislatura... d' altro canto, la formula dell' attuale regime di blocco in materia di contratti agrari lascia impregiudicata la soluzione definitiva del problema, restando per il momento in vigore condizioni favorevoli alle classi contadine. con la realizzazione di questi provvedimenti, il problema dei patti agrari risulterà praticamente scontato e si saranno sviluppate notevolmente tutte le premesse per una riforma agraria integrale e per l' attuazione del disposto costituzionale sulla limitazione della proprietà terriera. la politica di sviluppo del Governo non si limita a promuovere l' aumento della produzione , del reddito e dell' occupazione, ma favorisce una meno ingiusta ripartizione del reddito: direttamente, con una effettiva applicazione di criteri di progressività sulle imposizioni dirette; indirettamente, rafforzando il potere contrattuale dei lavoratori con una legge che sancirà la validità giuridica erga omnes dei contratti collettivi di lavoro. a tal fine, è necessario che il Governo promuova tutte le iniziative che rendano possibile l' attuazione dell' articolo 39 della Costituzione, salvaguardando comunque e sempre l' autonomia e la libertà del sindacato. dovranno essere superate intanto le difficoltà contingenti col dare al più presto validità giuridica ai contratti già stipulati dai sindacati, per far cessare le scandalose e vaste inadempienze contrattuali commesse a danno di molte categorie di lavoratori. per questa materia evidentemente il Governo dovrà considerare il parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro , nel quale purtroppo non risulta adeguatamente rappresentata la classe lavoratrice . il problema sindacale e della legge sulla validità giuridica dei contratti collettivi ci riporta alle lotte popolari per più alti salari. attualmente vaste categorie di lavoratori sono in agitazione, dai chimici ai cementieri, per una più equa ripartizione dei benefici di una produttività crescente, fino ai mezzadri in lotta per una migliore ripartizione del prodotto e delle spese derivanti dalla introduzione di nuove macchine sul fondo. la nostra solidarietà è per le giuste rivendicazioni dei lavoratori. ma il Governo deve fare di più che una manifestazione di solidarietà. esso può intervenire sul rapporto salari-prezzi-costi condizionante un più alto tenore di vita delle masse popolari , una loro maggiore capacità di acquisto. il Governo ha un ampio campo di intervento con i suoi strumenti per favorire la creazione di un mercato popolare a bassi prezzi ed elevati consumi. una simile politica è doverosa per un Governo di centrosinistra fortemente impegnato sul piano sociale, ma nella attuale situazione essa viene dettata anche da una obiettiva necessità economica che è interesse di tutte le categorie fronteggiare validamente. di fronte ai vari fenomeni di sottoconsumo provocati da prezzi esorbitanti, mentre interi settori della nostra agricoltura sono in crisi per scarsa possibilità di smerciare il prodotto; di fronte al livello raggiunto dal costo del capitolo alimentare (l' indice dei prezzi alimentari è salito a 78,83 contro il 72,79 del maggio 1956); di fronte al grado di rigidità del nostro mercato interno derivante dalla disoccupazione, con strozzature monopolistiche e intese finanziarie che spingono in alto i prezzi; la politica anticiclica non può limitarsi ad un incremento della spesa pubblica ed a una riduzione del tasso di sconto . senza un incremento delle entrate di bilancio ed una tassazione differenziata, senza una riduzione dei costi di produzione agricola attraverso la modernizzazione dei processi produttivi, senza la eliminazione delle incrostazioni che impediscono una libera formazione dei prezzi, senza infine una attiva presenza pubblica per il controllo sulla formazione dei prezzi, la politica antidepressiva risulterebbe monca. per fronteggiare la prevista spesa pubblica antidepressiva, le entrate tributarie dovranno essere incrementate sia attraverso una più rigorosa individuazione e repressione delle evasioni, sia con la effettiva applicazione di criteri di progressività delle imposizioni. mentre per esercitare un orientamento degli investimenti privati verso direzioni più corrispondenti agli obiettivi di industrializzazione e di allargamento dei posti di lavoro ci si dovrà indirizzare verso una tassazione diretta e indiretta differenziata sugli investimenti e tra consumi necessari e voluttuari, occorrerà egualmente un più rigoroso e sistematico controllo sui prezzi monopolistici. una severa politica dei prezzi è indubbiamente destinata ad assumere un ruolo notevole contro la politica dei monopoli. le esperienze di questi ultimi mesi, se mai ce ne fosse bisogno, ne forniscono la più ampia conferma. da oltre un anno i prezzi delle materie prime e dei noli sono al ribasso sul mercato mondiale e da oltre un anno ribassano, per conseguenza, i costi di approvvigionamento della nostra industria. l' autorevole rappresentante degli armatori, il dottor Angelo Costa, ha fornito dati inconfutabili sulla riduzione dei noli. purtuttavia, non si è avuta alcuna ripercussione sui prezzi interni. la Banca internazionale dei pagamenti di Basilea ha suggerito, tra le cose da fare contro la recessione, un rapido ribasso dei prezzi interni. è un suggerimento che il Governo dovrà tener presente. per restare nel campo delle finanze, sottolineerò l' impegno del Governo di realizzare l' innalzamento dei minimi esenti per i redditi di categoria C. l' onorevole Malagodi ha criticato gli aspetti finanziari del programma, non solo per il fatto che non sarebbero state indicate con sufficiente chiarezza le fonti di finanziamento, ma anche perché, secondo l' onorevole Malagodi, vi sarebbe una contraddizione fra gli impegni sociali del Governo e la promessa di mantenere le spese entro i limiti della equilibrata sanità del bilancio statale e senza abbandonare la difesa della stabilità monetaria. per nostra fortuna, la situazione economica in questi anni è notevolmente migliorata. il reperimento delle somme necessarie non è più così difficile come negli anni in cui si dovette provvedere in circostanze difficilissime alla ricostruzione economica. oggi la nostra situazione monetaria ha raggiunto un equilibrio più che sufficiente. la bilancia dei pagamenti è notevolmente migliorata, l' andamento della gestione di competenza e di cassa del bilancio pubblico è nel suo insieme sodisfacente. per esempio, le previsioni per l' esercizio 1954-55 furono di lire 1.912 miliardi, mentre le entrate tributarie accertate furono poi di lire 2.073 miliardi. così nel 1955-56 le previsioni furono di 2.272 miliardi, mentre le entrate furono di 2.344 miliardi. nel 1956-57 alle previsioni di 2.470 miliardi corrisposero le entrate effettive di lire 2.606 miliardi. nell' ultimo esercizio, testé finito, alle previsioni di entrate di lire 2.666 miliardi hanno corrisposto le entrate tributarie effettive di 2.791 miliardi. le previsioni di entrata per il 1958-59 sono di 2.933 miliardi. si può pertanto ritenere che, come già negli esercizi precedenti, il gettito tributario accertato alla fine dell' esercizio superi sensibilmente il gettito tributario previsto. non sarebbe certo azzardato ritenere che le entrate tributarie effettive possano superare di un centinaio di miliardi quelle previste nel bilancio di previsione. queste previsioni prescindono dalle possibili conseguenze derivanti da eventuali provvedimenti legislativi suscettibili di influire sui gettiti di competenza dell' esercizio finanziario. deve tenersi inoltre presente che il ministero delle Finanze , intensificando la repressione della evasione in tutti i settori, può conseguire utili risultati. se si tiene conto, ad esempio, che nell' ultimo anno la repressione dell' evasione nel settore dei carburanti ha fruttato all' erario alcune decine di miliardi in più, se ne può arguire che questa azione doverosa da parte dello Stato può ottenere risultati assai superiori alle previsioni dei pessimisti. tali risultati potranno essere direttamente influenti dell' esercizio 1958-59 e per alcune entrate tributarie, mentre per le altre i risultati della intensificata azione di vigilanza e di repressione si ripercuoteranno sui bilanci degli esercizi futuri. prima di concludere questa parte sulla politica sociale , mi consenta l' onorevole presidente del Consiglio una osservazione: è già nell' aria oggi l' intenzione di alcuni settori economici e politici di controbilanciare l' incipiente flessione produttiva con una politica di blocco dei salari. stia bene in guardia il Governo a non lasciarsi affascinare da argomentazioni che peccano di unilateralità. in primo luogo il problema del blocco dei salari è un argomento che sconfina dal campo puramente economico ed entra nel vivo delle lotte sociali e politiche. sotto la pressione di una recessione, le esigenze generali potrebbero anche consigliare una tregua alle rivendicazioni salariali, ma consentitemi di osservare subito che sul piano giuridico il blocco dei salari, nel senso proprio della sua espressione, configura una ipotesi non prevista dal nostro ordinamento costituzionale. ciò premesso, debbo aggiungere che sul piano della giustizia distributiva il blocco dai salari potrebbe concepirsi solo se accompagnato da una rigorosa e parallela azione sull' impiego delle rendite e dei profitti. ma, a parte ciò, il blocco non è accettabile proprio sul terreno economico perché la flessione dello sviluppo economico delineatasi oggi non si combatte certamente con provvedimenti sterilizzatori e deprimenti quali la stagnazione dei consumi popolari, ma con iniziative e con interventi quali quelli dianzi accennati, che tonifichino il livello generale della vita economica. vorrei toccare qui l' argomento di maggiore attualità, cioè la politica estera del Governo. questa politica estera è il risultato di un accordo fra Democrazia Cristiana e partito socialista democratico sui problemi dell' unità europea, del sistema difensivo atlantico, del disarmo e della pace. noi ci impegniamo ad appoggiare e sostenere con impegno la politica concordata, politica di cui l' onorevole Fanfani ha tracciato un ampio quadro nel suo discorso di presentazione del Governo. mi si permetta. a questo riguardo di accennare alla natura della componente socialdemocratica da cui con quella democristiana è risultato il programma governativo. il fatto che in temi così ardui sia stato possibile trovare rapidamente una sintesi tra le posizioni dei due partiti al Governo, prova la loro convergenza, ma poiché interpretazioni varie sono state date delle posizioni specificamente socialdemocratiche, penso non sia inutile accennare ai principi a cui noi socialdemocratici ci siamo ispirati e ci ispiriamo in questa materia, beninteso, ripeto, nel rispetto più rigoroso del programma governativo concordato. noi siamo europeisti convinti e se nelle discussioni recenti non è stato messo l' accento su questo problema, cosa di cui siamo stati rimproverati, è perché pensavamo che si trattasse di materia ovvia per dei democratici. l' unico punto di discussione potrebbe sorgere per ora sull' area di libero scambio proposta dalla Gran Bretagna e non accolta nella sua forma attuale dalla Francia. è questa una materia in cui una attenta valutazione tecnica è indispensabile, ma si può estrarre una indicazione orientativa dalla volontà della maggioranza dei paesi europei aderenti al MEC, tra cui l' Italia, di non dare a questo organismo carattere di ente chiuso, ma di favorire il nucleo di un sistema che comprenda altri paesi e anche la Gran Bretagna . vorrei toccare qui il problema della NATO come lo vediamo noi socialdemocratici. per quanto riguarda la NATO sia ben chiaro che ne siamo stati e ne siamo fautori convinti. su questo non vi sono dubbi. oltre 10 anni di esperienze ci confermano la sua validità e la sua insostituibile efficacia per la difesa della pace nella libertà. diciamo chiaro e tondo che non crediamo alla neutralità delle grandi democrazie occidentali: noi crediamo che le grandi democrazie occidentali abbiano un compito assolutamente diverso da quello delle grandi democrazie dell' Asia meridionale, come è il caso dell' India, diverso da quello degli Stati minori che hanno scelto la neutralità. il compito delle grandi democrazie occidentali è di garantire, con la unione e la forza, un equilibrio di potenza contro il blocco sovietico. fautori come siamo di una politica di disarmo controllato, riteniamo che fintanto che questo nobile ideale non sarà raggiunto, l' unico modo per garantire la pace nel mondo sarà di mantenere l' equilibrio delle forze. ecco con quali parole un testimonio non sospetto, il leader del partito laburista inglese, Gaitskell, tratta questo problema: « alcuni eminenti uomini di Stato, particolarmente il Pandit Nehru, hanno criticato i patti di difesa, allegando che essi dividono il mondo in blocchi che conducono a contromisure dall' altra parte. mi pare che con ciò si confonde causa ed effetto. fu soltanto perché esisteva una minaccia di aggressione da un già esistente blocco sovietico che le democrazie hanno deciso di organizzarsi in difesa collettiva » . con la NATO si è mantenuto e si mantiene un equilibrio di potenza che ha scoraggiato ogni aggressione maggiore e ha garantito la pace generale. né si pensi che l' Occidente potrebbe liquidare il suo sistema difensivo per l' illusoria contropartita dello scioglimento del cosiddetto Patto di Varsavia . il Patto di Varsavia non è che un nome sovrapposto ad una ferrea realtà egemonica della Russia sugli Stati satelliti esistenti, indipendentemente dal fatto che tale nome esista o sia cancellato dalle note diplomatiche. noi siamo fervidi fautori dell' Organizzazione delle Nazioni Unite . abbiamo già in altre occasioni analizzato il significato e i limiti di questa istituzione, la quale nonostante tutto permane come la più grande speranza di realizzazione di rapporti più umani tra gli Stati. ma la nostra attiva partecipazione alla vita del massimo organismo internazionale non ci nasconde le sue inevitabili lacune. il tentativo di eludere i maggiori problemi della sicurezza che solo la NATO può risolvere dichiarando che bastano gli strumenti creati dalle Nazioni Unite per garantire l' indipendenza delle nazioni, non tiene conto che le Nazioni Unite stesse riconoscono la loro assoluta insufficienza in questo campo è per questa consapevolezza che le Nazioni Unite sanzionano con l' articolo 51 l' opportunità e la validità dei patti di difesa contro possibili aggressioni. la NATO è il più significativo esempio di tali patti sorti secondo lo spirito e la lettera della Carta fondamentale delle Nazioni Unite . altrettanto assurdo è ostentare adesioni a uno pseudoeuropeismo in funzione antiatlantica. mi si permetta anche a questo proposito di citare ancora la stessa fonte non sospetta, vale a dire il compagno Gaitskell: « la creazione della NATO è stata accompagnata da un considerevole rafforzamento degli altri legami tra l' Europa e l' America entro la stessa Europa e tra la Gran Bretagna e l' Europa. vi sono l' OECE, il Consiglio d' Europa , la Comunità del carbone e dell' acciaio , eccetera i popoli europei oggi si sentono più vicini l' uno all' altro di prima. e ciò probabilmente non sarebbe accaduto senza la basilare Alleanza Atlantica NATO » . non vi è nessun motivo che è nell' atmosfera di sicurezza creata dalla NATO... parlo di cose serie: se vi è gente che non capisce queste cose, potrebbe anche uscire dall' Aula. non vi è nessun dubbio, dicevo, che è nell' atmosfera di sicurezza creata dalla NATO che l' Europa ha potuto far sorgere i suoi nuovi istituti come il MEC e l' ENAL, garanzie di prosperità e pace per tutti. si tratta di cose ovvie, per le quali l' accordo tra i democratici, non solo del nostro paese, ma di tutti i paesi occidentali, è generale. vorrei toccare i due punti, che, nelle polemiche di questi tempi, hanno sollevato maggiore interesse e che tragici avvenimenti di questi giorni rendono particolarmente attuali: il problema dei rapporti con l' Unione Sovietica nel quadro della situazione regionale europea e il problema delle relazioni con i popoli dell' Asia meridionale e dell' Africa e in particolare del Medio Oriente . la coesistenza con l' Unione Sovietica , il consolidamento della pace, il tentativo di estendere il benessere nell' indipendenza, non possono essere il risultato di una politica passiva. non basta dire: non muoviamoci, lasciamo tutto come prima. sono le coste stesse che si muovono; e conviene pertanto fare una politica attiva per non essere sorpresi dagli avvenimenti. non si tratta solo di evitare una terza guerra mondiale , non si tratta solo di regolare in modo pacifico i dissensi tra i popoli: si tratta di estendere l' area del progresso, della libertà e della sicurezza ai popoli che non godono ancora dei benefici dell' autogoverno, condizione prima di benessere economico e civile. nel settore europeo la NATO ha dato i suoi frutti più cospicui; ma è anche nel settore europeo che permangono le più odiose conseguenze della guerra mondiale ? le più odiose manifestazioni dell' egemonia sovietica. la tragedia dell' Ungheria e della Polonia ha acutizzato problemi che l' Occidente non può eludere. d' altra parte, la divisione della Germania lascia sussistere nel cuore dell' Europa un elemento di grave turbamento che potrebbe portare a conseguenze disastrose. è: proprio in questo settore che la politica della passività. potrebbe portare ad eventi imprevisti, perché è proprio in questo settore che le cose potrebbero muoversi con una violenza travolgente. la prima condizione per una politica efficace della NATO nel settore europeo è una convergenza costruttiva delle politiche estere dei rispettivi paesi aderenti al patto difensivo. purtroppo, tale convergenza è lungi dall' essere realizzata in modo sodisfacente. basterà. citare per tutte la differenza di opinione non solo nei vari Stati, ma negli stessi partiti democratici riguardo al problema tedesco. oggi la situazione è facilitata (ma si tratta di una ben meschina e dolorosa facilitazione) dalla brutale pretesa sovietica di escludere il problema dell' unità tedesca dall' ordine del giorno della conferenza al vertice. eguale brutale pretesa da parte sovietica vale per lo statuto degli Stati satelliti , e ciò proprio quando il martirio dei lavoratori polacchi e ungheresi dimostra con l' evidenza della verità, quale è la volontà di quei popoli oppressi. sono queste brutali pretese più che i discorsi violenti che purtroppo limitano la portata di una conferenza al vertice e rendono difficili le impostazioni coraggiose che potrebbero veramente facilitare la distensione. e c' è da disperare leggendo l' ultimo discorso del presidente del Consiglio sovietico, in cui si mette in discussione persino il problema del necessario controllo per il disarmo. è vero che nella conclusione del discorso si subordina il controllo ad una rinnovata fiducia; ma quale fiducia può essere alimentata nell' Occidente dalla politica brutale della Russia verso gli Stati satelliti dal suo atteggiamento negativo verso il problema dell' unita tedesca? certo non è possibile oggi pensare, di fronte a questo negativo atteggiamento sovietico, a problemi di fondo come la fascia neutrale, la quale non può essere concepita che legata alla simultanea soluzione del problema dell' unificazione tedesca su basi democratiche. sarebbe un errore tuttavia rifiutare la discussione e pensare che nulla possa essere tentato. dietro la brutalità del linguaggio sovietico, si nasconde la preoccupazione per il fallimento del mito totalitario nella coscienza dei civili popoli dell' Europa centro-orientale. si nasconde soprattutto la paura di un Governo totalitario di fronte alle immense speranze accese nel popolo russo dopo la morte di Stalin e non appagate, elemento positivo nell' interesse di evitare una guerra generale, che sarebbe un suicidio collettivo. il problema dei rapporti dell' Occidente con la Russia, per quanto riguarda il settore europeo, deve quindi spostarsi probabilmente dal terreno di un mutamento dello status quo territoriale parallelo ad un mutamento dello status quo militare, a quello di una discussione sul disarmo che dovrebbe creare l' atmosfera propizia per ulteriori progressi della politica di distensione. a in questo senso che l' Internazionale socialista ha accantonato i generosi progetti resi inoperanti dall' intransigenza sovietica e, pur respingendo la proposta di condizionare qualsiasi intesa con la Russia ad un accordo generale sul disarmo, si è soffermata sulla necessità. di tentare il raggiungimento di accordi limitati che aprirebbero la via ad accordi più vasti ed organici nel futuro. è: convinzione dei socialdemocratici che la involuzione sovietica verso forme che ricordano i vecchi metodi staliniani, se rende più difficile la soluzione dei problemi in sospeso, deve stimolare, anziché frenare, la volontà dell' Occidente a prendere esso l' iniziativa di proposte serie e responsabili. la politica estera del socialismo democratico italiano verso i paesi ex-coloniali dell' Asia e dell' Africa e verso l' emancipazione dei popoli ancora soggetti si ispira ai principi di autonomia e di libertà che sono propri a tutti i partiti socialdemocratici dell' Internazionale. noi guardiamo con profonda simpatia al grande moto che scuote l' Asia e l' Africa e porta all' indipendenza popoli sino a ieri soggetti. vorrei toccare qui il problema del Medio Oriente , la cui drammatica attualità è sottolineata dai sommovimenti attuali. porre il problema del Medio Oriente in termini di puro antagonismo fra interessi contrastanti dell' Occidente e della Russia, mi pare quanto meno unilaterale. certo, questo antagonismo esiste, ma il quadro è più ampio, non fosse altro che per la presenza di 60 milioni di arabi, con le loro aspirazioni, i loro interessi, i loro ideali, magari con i loro pregiudizi. ci rendiamo conto che esiste una azione sovietica nel Medio Oriente , i cui obiettivi sono evidenti. il Medio Oriente è una regione vitale per gli arabi che la abitano, ma vitale anche per l' Europa, come ponte fra l' Europa, l' Asia e l' Africa, e come fornitrice di petrolio. se i territori situati tra il Cairo, il Mediterraneo e il Mar Rosso cadessero nelle mani della Russia, le conseguenze economiche e strategiche per l' Occidente sarebbero fatali. tuttavia un attacco diretto della Russia è molto improbabile. un tale attacco scatenerebbe immediatamente una guerra mondiale . del resto, nel Medio Oriente la Russia sa di poter contare su una carta molto più redditizia: i colpi di Stato all' interno di quei paesi. si tratta di regioni dove, accanto a piccoli nuclei di ricchi, vive una massa in condizioni miserabili. è quindi sul fronte politico e sociale, più che sul fronte militare, che la situazione nel Medio Oriente va fronteggiata. la Russia in questa competizione parte con vantaggi considerevoli. si tratta di regioni che aspirano all' industrializzazione e dove la mancanza di una borghesia dà un rilievo propagandistico enorme alle realizzazioni tecniche sovietiche. in secondo luogo, il problema della libertà politica di fronte ai tremendi problemi sociali è meno sentito. in terzo luogo, la Russia appare a quelle popolazioni come esente da corresponsabilità coloniali con le potenze che nel passato hanno retto grandi imperi. la Russia ha, come sappiamo, un grande impero, in Europa, ma si tratta di una realtà che sfugge a coloro che hanno subìto l' imperialismo dell' Occidente. il sentimento anticolonialista è la molla logica che muove oggi le popolazioni arabe. proprio nel periodo in cui l' imperialismo occidentale è in piena ritirata, i sentimenti e i risentimenti anticolonialistici diventano più aspri, per la stessa ragione per cui le riforme applicate a una popolazione poverissima esasperano, in un primo tempo almeno, gli estremismi politici, anziché attenuarli. di fronte a questa situazione, che deve fare l' Occidente? vi sono dei piccoli gruppi in Europa (e all' estrema destra di questo Parlamento) che pensano che tutto si riduca ad un problema di forza. a parte le ragioni di principio, questa è una posizione che noi socialisti democratici respingiamo, anche per precisi motivi di interesse comune. se oggi, per esempio, esiste una relazione amichevole tra la Gran Bretagna e l' India, ciò si deve al fatto che libertà ed indipendenza furono concesse spontaneamente con l' impegno, da parte della Gran Bretagna laburista, di estendere l' area dell' autonomia alle altre sue colonie. tra i fattori che vanno tenuti presenti nel Medio Oriente vi è la grande popolarità di Nasser, che pare dare a gran parte del mondo arabo la speranza o la illusione di una auspicata unificazione. vi è chi sostiene che se Nasser è popolare, la colpa è di quelle correnti democratiche dell' Occidente che hanno sbarrato la strada alle operazioni militari anglo-francesi di un anno fa. noi pensiamo invece che proprio lo sbarco in violazione delle norme delle Nazioni Unite ha dato a Nasser una popolarità, non meritata. concludendo, dobbiamo prendere atto che esiste una azione della Russia che si innesta su una situazione obiettiva interna dei paesi arabi, e che a questa azione sovietica non si contrappone un' azione occidentale altrettanto efficace. il primo insegnamento da trarre dagli avvenimenti dell' Iraq è che una maggiore convergenza della politica estera dei paesi della NATO anche per i problemi extraeuropei che interessano però l' Europa sarebbe necessaria. consultazioni più serie fra tutti i paesi interessati permetterebbero, tra l' altro, all' Italia di portare un contributo di esperienza e di consiglio (contributo particolarmente disinteressato dalla nostra situazione particolare), che forse non sarebbe inutile né agli uni né agli altri. tutte le volte che si parla, in Italia, un simile linguaggio si corre un rischio o di apparire dei nazionalisti o di essere accusati di presunzione. con quanta saggezza viene condotta la politica nel Medio Oriente dalle grandi potenze democratiche, può ognuno oggi costatare. la seconda cosa da tener presente è l' aspirazione degli arabi ad un rinnovamento politico e sociale del mondo in cui vivono. ecco cosa scrive con coraggiosi riconoscimenti il maggior giornale dell' Inghilterra, la quale, come tutti sanno, è la nazione più danneggiata dagli avvenimenti dell' Iraq: « guardando innanzi più lontano, l' unità del mondo arabo non è un' aspirazione che dovrebbe in se stessa essere opposta agli interessi dell' Occidente. tale unità è probabilmente inevitabile e se essa è l' unico modo col quale gli arabi possono trovare fiducia in se stessi e raggiungere stabilità come entità politica nell' insieme delle nazioni, la sua realizzazione può anche a lunga scadenza essere di vantaggio per l' Occidente » ... è l' articolo di fondo del giornale della grande borghesia conservatrice inglese, non di un giornale comunista. e continua quel giornale: « i metodi tuttavia coi quali l' unità araba è oggi perseguita, sono rischiosi all' estremo e questo ultimo selvaggio colpo a Bagdad mette la Gran Bretagna in uno spaventoso pericolo in tutta l' area » . il pericolo non è soltanto per la Gran Bretagna , ma per tutto l' Occidente, il pericolo è per tutti i lavoratori dell' Europa che lavorano in fabbriche alimentate in gran parte dal petrolio che viene dal Medio Oriente . l' atteggiamento responsabile dell' Occidente nei confronti del Medio Oriente implica la massima comprensione per gli eventi che si svolgono in quei territori, ma non implica supine rassegnazioni a violazioni della legge internazionale che, se tollerate, potrebbero provocare una catastrofe di proporzioni mondiali. orbene, ciò che dal punto di vista della legge internazionale è inammissibile, sono le interferenze militari. il contrabbando di armi, gli incitamenti per radio alla rivolta, l' azione terroristica, sono in interferenze inammissibili. d' altro canto, i rimedi a cui sono ricorsi gli USA e la Gran Bretagna non possono non sollevare le più vive preoccupazioni. la situazione è pericolosa. in questi casi, nelle democrazie consolidate una opposizione responsabile cerca di accorciare le distanze dal Governo; quando un pericolo sovrasta, la protezione migliore per un popolo è un minimo di unità nazionale ; e non mi pare che tutte le opposizioni si rendano conto di questa necessità in questo momento. ma il dovere del Governo è di mantenere una posizione di grande equilibrio. il problema dell' assistenza militare a un governo legittimo che ne faccia richiesta per preservare l' integrità politica e territoriale della nazione a cui quel Governo appartiene, è dei più delicati e va esaminato con grande prudenza. risolvendolo senza cautela si può aprire la porta a tutti gli abusi: per esempio, a quello dell' intervento per appoggiare il Governo contro la sua opposizione interna, anche nei casi in cui questa opposizione interna fosse spontanea e non aiutata dall' estero. naturalmente, si tratta qui di valutazioni di opportunità politica più che di interpretazione della legge internazionale. purtroppo, abbiamo conosciuto violazioni scandalose di tale legge, come per esempio nel caso dell' Ungheria, dove si è visto un grande paese aggredire un piccolo popolo e il suo Governo legittimo; e, su un piano meno grave ma pur sempre condannabile, l' aggressione anglo-francese dell' Egitto due anni or sono. nel caso del Libano è chiaro che vi è stato contrabbando di armi in larga misura e incitamento all' azione terroristica. le osservazioni in contrario degli osservatori dell' Onu ci lasciano molto scettici, se si pensa che essi, che erano in numero di 100, potevano controllare solo qualche chilometro di una frontiera con la Siria lunga ben 270 chilometri. meno chiaro è il caso dell' intervento inglese in Giordania, e ciò giustifica l' atteggiamento di condanna della parte più democratica del popolo inglese . ancor meno chiaro, per non dire peggio, sarebbe un intervento veramente deprecabile nell' Iraq, anche se il riconoscimento affrettato di quel Governo militare da parte della Russia puzza di complicità. vi è da augurarsi che questa situazione sia superata rapidamente con un intervento auspicabile delle truppe dell' Onu a sostituire quelle degli USA e della Gran Bretagna . ma il problema del dopo rimane in tutta la sua ampiezza e non può essere affrontato che con la più larga volontà di giungere a un accordo con il mondo arabo . per ritornare al problema del Governo, non crediamo di errare affermando che il programma è il risultato della convergenza, sul terreno dell' azione politica e sociale, delle esperienze comuni della Democrazia Cristiana e del socialismo democratico durante questo decennio. si tratta di un programma coraggioso, quale nessun governo italiano ha mai presentato ad un libero Parlamento. il presidente Fanfani ha detto che nel particolare momento storico in cui viviamo, non è indifferente allo sviluppo civile dell' Italia un ritardo o un rinvio » . si può considerare con maggiore o minore ottimismo la situazione interna e internazionale, ma non si può negare che essa impegna all' azione pronta e responsabile tutti gli uomini di buona volontà . nel campo internazionale e nel paese tutto è in movimento, e ciò può essere per il meglio o per il peggio, a seconda dell' indirizzo giusto o sbagliato della politica del Governo. la politica interna , sociale ed estera che il Governo propone ci pare rispondere all' interesse delle classi lavoratrici , inseparabile da quello del paese, al consolidamento delle istituzioni, al rafforzamento della pace nella sicurezza. partecipando a questo Governo, il partito socialista democratico è convinto di servire gli ideali che sono la sua ragione di essere. il partito socialista democratico non ignora che si tratta di un impegno importante. assumendosi il grave compito di partecipare al Governo, il nostro partito ha dato prova ancora una volta del suo senso di responsabilità . noi sappiamo che il compito è difficile e attendiamo con speranza che altre forze a della sinistra democratica — quelle del valoroso partito repubblicano — vengano presto a dividere con noi le responsabilità di una azione comune. onorevoli colleghi , da oltre dieci anni il socialismo democratico italiano lotta per allargare a sinistra la base della democrazia. l' attuale nostra partecipazione al Governo... signor presidente , non è possibile parlare con un gruppo di deputati che sistematicamente interrompono. l' attuale nostra partecipazione al Governo è forse l' atto più importante e più decisivo nel corso di questa azione. noi siamo consapevoli che se la democrazia italiana non dovesse riuscire ad allargare la sua base a sinistra, non dovesse riuscire a creare le premesse di una alternativa di Governo valida, vale a dire sottratta ad ogni ipoteca, totalitaria, se non riuscisse a creare un più largo margine di manovra per la formazione dei governi, il suo sviluppo sarà frenato. noi siamo consapevoli, infatti, che una. democrazia, se non riesce a consolidare le sue libere istituzioni, risolvendo i problemi sociali, ha di fronte a sé un avvenire incerto. ma una democrazia non riesce a trasformarsi in democrazia fondata sul lavoro, non riesce a risolvere i problemi sociali, se la grande maggioranza della classe lavoratrice , abbracciando gli ideali democratici, non diviene parte determinante del suo sviluppo. quanto più larga è la parte dei lavoratori che permane sull' Aventino totalitario, tanto maggiori sono le difficoltà e i compiti di quei lavoratori che si battono coraggiosamente sul terreno democratico per la creazione di una società civile . una parte importante della classe lavoratrice italiana, fino all' avvento della liberazione, si è posta risolutamente sul terreno della democrazia ed è stata la forza più valida nello sviluppo del paese . ma una frazione di lavoratori propensa a scendere sul terreno democratico vede il suo contributo allo sforzo comune di progresso e di ascesa annullato dalla perplessità dei suoi dirigenti che ancora permangono estranei anche alla grande famiglia dei partiti socialisti del mondo. lo sviluppo più o meno rapido del paese dipende dalla scelta definitiva del partito socialista . se questa scelta sarà quella auspicata da noi, da tutti i democratici sinceri e dalla Internazionale, allora potremo considerare che la democrazia italiana sorta dalla lotta contro la dittatura reazionaria avrà superato il suo Capo delle tempeste e che nessun ostacolo serio arresterà più l' ascesa delle classi lavoratrici e il progresso civile del paese. in caso diverso, la marcia sarà più dura e l' esito sarà meno certo. l' Economist di questa settimana lega addirittura all' eventuale carenza del partito socialista il catastrofico avvento di un Fronte popolare . 13 certo in ogni caso che il progresso sociale sarebbe più lento e le difficoltà per i democratici ancora più gravi. ma è certo anche che l' illusione di eludere le scelte coraggiose non potrà risolversi che con il danno del paese e, in ultima analisi, del partito che di quel danno si sarà fatto responsabile. dopo vane attese, noi socialisti democratici abbiamo scelto la politica delle cose, tenendo sempre presenti i principi. rispondendo all' invito del segretario generale della Democrazia Cristiana , oggi presidente del Consiglio , onorevole Fanfani, per un' azione sociale coraggiosa, abbiamo pensato e pensiamo di andare incontro alle attese dei lavoratori per una vita meno precaria in una società più giusta. ma abbiamo anche pensato che questa azione di governo , purché sia sempre fedele alle sue premesse ed al suo coraggioso programma sociale, e siamo certi che lo sarà, contribuirà in modo decisivo a porre il partito socialista italiano di fronte alle sue responsabilità, ad aiutarlo a fare una scelta democratica, allargando così la base della democrazia. oggi, come dieci anni fa, il nostro obiettivo è uno solo: l' allargamento della base democratica della nazione. questo è, oltre le deformazioni di una polemica molte volte accecata dallo spirito di parte, il motivo vero della nostra partecipazione a questo Governo. abbiamo l' impressione che la pubblica opinione , che la grande maggioranza dei lavoratori ci attenda con fiducia alla prova. questa attesa ci è di sprone e di conforto, nelle difficoltà di una lotta che ha come posta il rafforzamento della Repubblica democratica, il rapido miglioramento delle condizioni di vita della classe lavorativa, la rapida ascesa del paese. siamo certi che, grazie all' impegno comune, questa grande attesa non andrà delusa.