Pietro NENNI - Deputato Maggioranza
III Legislatura - Assemblea n. 104 - seduta del 26-02-1959
1959 - Governo I Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 80
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , le ragioni del « no » del nostro gruppo al ministero Segni sono già state indicate con tutta la precisione necessaria dal primo oratore della nostra parte, il compagno e collega onorevole Santi, in rapporto a quello che è sempre per noi il problema fondamentale di valutazione in casi di questo genere, cioè in rapporto agli interessi, alle aspettative ed anche all' angoscia presente della classe lavoratrice del nostro paese. queste ragioni sono state ribadite dal nostro compagno e collega onorevole Avolio con particolare riferimento alle aspettative deluse degli uomini della terra, dei contadini, dei braccianti, degli affittuari. in queste condizioni non vi sarebbe molto da aggiungere, giacché il metro su cui noi diamo o rifiutiamo la fiducia è appunto quello degli interessi dei lavoratori che, nel giudizio e nella valutazione nostra, sono una cosa sola con gli interessi generali del paese. tuttavia, onorevoli colleghi , vi è una crisi politica della quale la crisi ministeriale è stata soltanto una espressione. e la crisi politica non soltanto permane dopo la soluzione della crisi ministeriale, ma è anzi più impellente che mai, è destinata ad occupare di sé i prossimi eventi della politica del paese, è all' ordine del giorno del prossimo congresso della Democrazia Cristiana , e non soltanto di questo congresso: è presente allo spirito di quanti nel paese seguono con interesse e con preoccupazione lo svolgimento della lotta politica. né io credo che i piccoli espedienti procedurali che hanno caratterizzato lo svolgimento della crisi ministeriale avranno un grande effetto sulla crisi politica , la quale prima o poi obbligherà tutti ad assumere posizioni precise e responsabili e a non cercare evasioni dietro stati di necessità molte volte immaginari. della crisi è stato detto che era extraparlamentare. e tale, nel pieno e leale esercizio dei suoi doveri, oltre che dei suoi diritti, la considera il presidente della Repubblica allorché chiese all' onorevole Fanfani di tornare davanti al Parlamento perché da un voto responsabile scaturisse una indicazione chiara ed impegnativa delle Camere tale da poter offrire al Capo dello Stato la possibilità di appoggiarsi su un dato sicuro nel procedere, per la parte di sua responsabilità; alla soluzione della crisi. in un certo senso il comunicato presidenziale del 3 febbraio aveva le caratteristiche di un messaggio alle Camere con il quale il Capo dello Stato le invitava ad assumere le responsabilità che loro competono in modo che il popolo italiano potesse comprendere nei loro effettivi termini le ragioni che avevano determinato la crisi. il chiarimento sollecitato dal presidente della Repubblica non vi è stato. del resto, è assai probabile che non vi sarebbe stato anche se l' onorevole Fanfani avesse accettato di venire davanti alle Camere, in quanto quando parliamo di crisi extraparlamentare sforziamo il senso tradizionale e classico dell' espressione. non tanto si è trattato di una crisi extraparlamentare , quanto di una crisi interna della Democrazia Cristiana e che la Democrazia Cristiana dovrà quindi risolvere nel proprio interno. in tali condizioni è evidente che il paese sta pagando in termini di instabilità e di immobilismo il prezzo delle contraddizioni interne della Democrazia Cristiana e del fatto che essa non trova il suo equilibrio interno se non sulla base di esperienze governative empiriche e ligie al canone del lasciar fare, quando naturalmente il lasciar fare si riferisce alle forze economiche capitalistiche e borghesi. il ministero Fanfani aveva rappresentato, dopo le elezioni del 25 maggio, un timido ed assai incerto tentativo di uscire dall' immobilismo con una accentuazione degli aspetti programmatici a lungo termine dell' attività ministeriale. il ministero Segni, come già quello Zoli, abbandona le ambizioni programmatiche per ridursi al tran-tran della ordinaria amministrazione ; potremmo dire che si mette le mezze maniche. se si confrontano le dichiarazioni programmatiche dell' onorevole Fanfani e quelle dell' onorevole Segni, viene alla memoria, o almeno è venuto alla mia, l' episodio narrato in un libro recente della direttrice dell' Express parigino: si tratta di due operai che lungo una strada stanno ammucchiando mattoni. passa un viandante che s' informa sulla natura del loro lavoro; uno modestamente risponde: sto ammucchiando mattoni; l' altro risponde: innalzo una cattedrale. non è difficile vedere chi tra Fanfani e Segni avrebbe dato l' una risposta o l' altra; non è difficile vedere a chi si addice l' una, a chi, come un guanto, si addice l' altra. tuttavia, l' edificatore di cattedrali, nel caso nostro il riformatore sociale, è crollato perché è sembrato non avere il fiato, il coraggio, la forza e le forze che sono necessarie per attaccarsi a problemi di questa natura. egli ha perduto a sinistra non appena è diventato evidente che il suo riformismo sociale era una promessa dilazionata nel tempo — era probabilmente anche un sentimento corrispondente alla sua natura — e costituiva un ingrediente suppletivo di una politica di regime intollerabile nelle condizioni attuali di evoluzione del nostro paese; faceva parte di un integralismo cattolico che è un assurdo nella società moderna per la confusione che crea tra valori assai diversi che devono rimanere distinti: i valori politici e civili ed i valori religiosi e morali. l' onorevole Segni non crollerà, ma venuta la sua ora — forse anche abbastanza presto — ci se ne andrà sulla punta dei piedi, o rimpasterà il suo ministero non appena l' onorevole Saragat o in difetto suo, l' onorevole Simonini, un po' alla maniera dei bambini in classe, alzerà un dito per dire che, dopo tutto, il digiuno ministeriale è già durato abbastanza. e che, nell' interesse, naturalmente, della democrazia, è divenuto di nuovo necessario collaborare in un ministero tripartitico o quadripartitico con l' onorevole Malagodi. credo che questa sia in fondo la traiettoria che ci si prepara a percorrere; per quanto i « notabili » della Democrazia Cristiana , che sono ridiventati i padroni del vapore, siano ancora tra di loro incerti e divisi tra chi crede che sia già venuta l' ora di una coalizione con la cosiddetta grande destra, dai liberali fino ai monarcofascisti, e chi pensa invece che lo strumento più adatto ad una saggia conservazione degli interessi capitalistici e borghesi sia una coalizione di centro, in cui le forze si neutralizzano a vicenda e che trova il suo punto permanente di riferimento nel non fare nulla, ogni qualvolta vi è da assumere una responsabilità in contrasto con gli interessi costituiti. già noi abbiamo avuto col passato ripetute esperienze del genere, nel corso delle quali la Democrazia Cristiana ha trovato abbastanza facilmente il proprio equilibrio, quando si è sentita garantita con temporaneamente dalla presenza dei liberali e da quella dei socialdemocratici. eppure sono le esperienze centriste che hanno lentamente svirilizzato le istituzioni democratiche. comunque, si avveri la prima delle ipotesi formulate o la seconda, l' instabilità e l' immobilismo rimangono le condizioni dell' equilibrio interno della Democrazia Cristiana : e questo, onorevoli colleghi , in un momento in cui sembra a noi che il maggior pericolo che incombe sul paese, sulle istituzioni, sui lavoratori, sia per l' appunto l' instabilità e l' immobilismo, sia il rimettersi alle cose che si fanno da sole e che quando si fanno da sole si fanno generalmente male. malgrado le sue ambizioni iniziali, l' onorevole Fanfani era anch' egli ricaduto alla svelta nell' immobilismo e non aveva più alcuna possibilità di uscirne, con questo in peggio rispetto alla situazione presente, che egli stava coinvolgendo tutta la sinistra cattolica nella impopolarità che gli avevano valso i suoi primi atti di Governo e senza della quale o l' attacco dei notabili sarebbe stato vano, o addirittura non ci sarebbe stato, perché nell' orto di quei signori la pianta coraggio non è quella che abbonda di più. ci lascia quindi del tutto indifferenti, onorevoli colleghi , quando addirittura non ci lusinga, il giudizio di coloro i quali hanno fatto risalire al nostro congresso di Napoli il crollo dell' onorevole Fanfani, affermando che, mentre egli riteneva di aver sperimentato la formula di Governo più vicina ai socialisti, proprio dal nostro congresso avrebbe ricevuto il colpo di grazia . se qualcosa, onorevoli colleghi , ha ricevuto dal congresso di Napoli un colpo di grazia , è la tendenza a credere che il partito socialista potesse essere disponibile per piccole operazioni ausiliarie ed integrative a favore di determinati ministeri o di determinati ministri; laddove (e questo il congresso l' ha detto in tutta chiarezza) il partito socialista vuole essere disponibile per grandi cose che meritino un grande impegno, anche se dovessero comportare dei grandi rischi. il partito socialista è stato disponibile 15 anni or sono per gettare le basi dello Stato democratico ; lo sarebbe oggi, lo sarà domani, se si tratterà di salvare veramente la frattura in atto fra popolo e Stato, ma di saldarla sulla base di una politica che ponga l' accento essenzialmente sul riconoscimento dei diritti e delle aspirazioni dei lavoratori, quando cioè si trattasse di sviluppare sul serio, e non soltanto a parole, una politica di allargamento della base sociale dello Stato; quando si trattasse di affrontare con mezzi congrui i grandi problemi sociali del paese; quando cioè si trattasse di creare finalmente una Italia moderna, liberata dalle piaghe, che l' affliggono da tanto tempo , della miseria, della disoccupazione, dell' analfabetismo. invece il congresso di Napoli non aveva niente da dire che interessasse le sorti parlamentari di un ministero o dei concorrenti al ministero. chiarimmo a suo tempo qui alla Camera, in un discorso che l' onorevole Saragat definì precongressuale (e che tale era, nel senso che anticipava le conclusioni del congresso allora imminente), che l' onorevole Fanfani non aveva niente da attendere da noi se non la riconferma della nostra opposizione. devo dare atto all' onorevole Fanfani che egli non legò in nessuna maniera le sorti del suo ministero al nostro congresso di Napoli, anzi fu assai esplicito nel fissare i confini della sua maggioranza fino e non oltre la pattuglia repubblicana. del resto, aveva ragione di dire il compagno onorevole Santi che, se l' onorevole Fanfani avesse davvero ricercato i voti socialisti, o se altri li ricercasse in un domani più o meno prossimo, sapeva e sa cosa deve fare: deve fare una politica di rinnovamento democratico del paese e di soluzione dei grandi problemi che interessano le classi lavoratrici , deve affrontare in termini di concretezza e di efficienza i problemi sociali dell' occupazione operaia, contadina, tecnica ed intellettuale, deve operare per trasformare in progresso sociale ogni progresso tecnico. su questa base si attua l' allargamento della base dello Stato, che è l' aspirazione di quanti hanno contribuito alla formazione delle istituzioni democratiche e repubblicane. penso che l' onorevole Fanfani, in mezzo alle difficoltà che gli creavano i suoi franchi tiratori , rinviando a dopo il congresso socialista di Napoli i suoi critici di destra, pensasse di utilizzare quanto in effetti è stato detto — e non poteva non essere detto — al nostro congresso di Napoli, che cioè il solo condizionamento efficace della Democrazia Cristiana si esercita stando all' opposizione, non offrendo alibi al sinistrismo di maniera, non scoraggiando le buone volontà, quando buona volontà ci sia e sia pronta a fare qualcosa con qualcuno, il qualcosa essendo la riforma delle nostre strutture, il qualcuno le classi lavoratrici beneficiarie della riforma. sorge, allora, la domanda con la quale l' onorevole Saragat. ha creduto di metterci in imbarazzo: se il ministero Fanfani non rappresentava una esperienza di sinistra, perché allora i « notabili » , i franchi tiratori sono insorti contro di esso? la risposta mi sembra assai agevole: è in atto una lotta che non soltanto oppone i lavoratori alle strutture capitalistiche borghesi, ma oppone tra di loro talune forze capitalistiche, alcune interessate ad un rapido progresso tecnico, altre più lente, più legate a interessi e a forme tradizionali di produzione. la Camera mi scusi se cederò alla tentazione di autocitarmi, ma mi sembra di poter dire che fin dal luglio scorso, quando il ministero Fanfani si presentò alla Camera, noi avemmo chiaro davanti agli occhi quello che sarebbe stato il suo destino. proclamammo cioè, allora, che il posto dei socialisti era alla opposizione, ma nello stesso tempo demmo ritto di quello che di nuovo vi era nel programma che veniva presentato alle Camere, rispetto ai precedenti ministeri. vi era il rifiuto di accettare la collaborazione dei liberali, il riconoscimento che una politica di sviluppo economico non accompagnata da una politica dell' energia non è valida, l' affermazione che una politica creditizia efficace riposa sulla selezione del credito, un accenno a, mutamenti strutturali della società. chiesi allora, e a più riprese, all' onorevole Fanfani se egli si rendeva esatto conto delle difficoltà che gli sarebbe toccato di superare, delle opposizioni che avrebbe dovuto vincere, degli interessi con i quali necessariamente sarebbe entrato in conflitto, sol che avesse voluto muoversi nella direzione del programma presentato alle Camere. basti — dissi — che l' onorevole Fanfani si guardi attorno, nei banchi del Governo e nei banchi della Democrazia Cristiana , per individuare i « vespisti » (oggi si direbbero i franchi tiratori ) pronti a sparargli nella schiena. non faccio i nomi dei colleghi onorevoli Pella o Scelba, Andreotti o Togni, Gava o Bettiol, ma pensavo a loro. e del resto non occorreva una particolare perspicacia o un dono profetico per immaginarli all' opera di demolizione del loro concorrente non appena la sua esperienza è stata colpita a morte dall' impopolarità dei primi provvedimenti e da atteggiamenti provocatori nell' Aula di Montecitorio e nel paese, che scavano solchi incolmabili con l' opinione popolare. in tal senso la crisi del ministero Fanfani era già matura prima del nostro congresso di Napoli. se alle dimissioni da presidente del Consiglio , l' onorevole Fanfani ha poi dovuto far seguire, il 31 gennaio, quelle da segretario del partito, la spiegazione è da ricercare nella amarezza che deve avergli provocato lo spettacolo di irresponsabilità e di squagliamento di parecchia della gente che era stata attorno a lui quando lo credeva destinato a sicuro successo. si è trattato, comunque, di una crisi della Democrazia Cristiana e tale rimane. le stesse dimissioni del ministro Vigorelli, se hanno influenzato il corso della crisi, non le hanno determinata. quanto alla decisione presa dalla corrente di « iniziativa socialista » della socialdemocrazia, di convergere nel partito socialista italiano per realizzare, con noi, l' unificazione socialista, è un fatto che esula dalla tattica parlamentare per inserirsi tra gli avvenimenti politici di maggiore risalto nella direzione del raggruppamento di tutte le energie socialiste e democratiche per una lotta di fondo contro ogni tentativo di avvilire o sabotare le istituzioni democratiche che il paese si è dato nel 1966. quale conclusione, quindi, trarre dalla crisi? quella soltanto, a mio giudizio, di una vocazione naturale della Democrazia Cristiana a una funzione di conservazione sociale, culturale e politica. la sinistra cattolica ha pubblicato un « libro bianco » della crisi ministeriale, assai efficace nella dimostrazione che offre della volontà preordinata e premeditata del gruppo dirigente di piazza del Gesù di andare ad un monocolore sostenuti dall' estrema destra . tuttavia, a mio giudizio, la sinistra democristiana, le masse democristiane di base, le organizzazioni operaie democristiane e cattoliche sono di fronte a un fatto che presenta una gravità maggiore di quella che risulta dai dati puramente parlamentari della crisi: sono di fronte a una tendenza che potremmo considerare della storia e non della cronaca, perché si ricollega alle esperienze del 1922-2, quando la Democrazia Cristiana di allora, cioè il Partito Popolare di don Sturzo, fu messo in crisi e schiantato da interessi economici di destra e da pressioni clericali che gli suscitarono contro il movimento clericofascista. la conclusione degli eventi dei quali ci stiamo occupando prova, onorevoli colleghi , che per la Democrazia Cristiana è insopportabile perfino la politica velleitaria dell' onorevole Fanfani, perfino l' alleanza con una socialdemocrazia timida e quasi si può dire tisica, senza rapporto alcuno con le masse e quindi organicamente incapace di condizionare chicchessia. anche esperienze come quella dell' onorevole Fanfani, così lontane dalle aspirazioni delle masse, e delle masse cattoliche, è sembrato troppo audace e la Democrazia Cristiana ha rapidamente rifluito verso le intese con l' estrema destra . una conclusione della quale dovranno tener conto sia la sinistra cattolica, sia le organizzazioni dei lavoratori di ispirazione cristiana; è comunque la sola conclusione possibile. essa mette in causa la natura medesima di un partito che si appoggia ai più tipici interessi conservatori del paese. il nodo è qui, onorevole Segni: è nelle contraddizioni interne della Democrazia Cristiana . ella lo sa, perché nel 1951-52 ha visto come i « notabili » di allora hanno messo a posto assai rapidamente i propositi suoi e anche dell' onorevole De Gasperi concernenti il cosiddetto « terzo tempo sociale » . ella lo sa, perché, autore di una legge di riforma fondiaria , ha dovuto rinunziarvi ed accontentarsi dello stralcio della legge. ella lo sa, perché, autore della legge di riforma dei patti agrari , ha dovuto rimangiarsela ed assistere impotente al sabotaggio che se ne è fatto. oggi ella fa parte, onorevole Segni, dei « notabili » e devo constatare che ha anche imparato la lezione, tant' è vero che il suo programma ignora i problemi di fondo e di struttura e che il suo è il programma dello immobilismo eretto a sistema. non voglio allungare e appesantire il discorso, ma non posso tuttavia tacere alcune osservazioni concernenti il programma, riprendendo e riassumendo temi già svolti dai colleghi di questa parte della Camera. l' attività pubblica è prefigurata dal presidente del Consiglio in forme prettamente integrative e dovrà quindi rimanere subordinata a quella privata, perdendo la sua funzione di pilota. è esattamente ciò che vuole la Confindustria, la quale è tutt' altro che ostile all' iniziativa pubblica, a condizione che sia integrativa delle deficienze dell' iniziativa privata e a condizione che la sostituisca nei settori troppo rischiosi. come questa politica è esattamente ciò che la Confindustria chiedeva, così essa è esattamente il contrario di quello che da anni chiedono le organizzazioni cattoliche, dalle « Acli » ai sindacati bianchi. al piano Vanoni il presidente del Consiglio ha consacrato la solita giaculatoria. senonché nessuna persona seria pensa davvero che al piano si sia mai posto mano. quel tanto di progresso realizzatosi nell' economia italiana è il risultato della fase quinquennale di congiuntura alta in tutta Europa, anzi in tutto il mondo; fase della quale il Governo non ha saputo approfittare per risolvere almeno alcuni dei problemi di struttura. il discorso del presidente del Consiglio , nella parte economica, è basato sul volontario equivoco tra problemi di struttura e problemi di congiuntura. il Governo, cioè, ignora l' esistenza dei problemi di struttura e crede che la disoccupazione e i malanni ad essa connessi siano il prodotto di una congiuntura sfavorevole. anche questa è la posizione tipica che i liberali hanno tante volte illustrato in quest' Aula e che le organizzazioni sindacali cattoliche hanno sovente denunciato con veemenza. faccia attenzione il Parlamento alle sue responsabilità! un paese il quale non abbia risolto i suoi problemi di struttura e non sia insediato nella piena occupazione non può considerare i problemi di congiuntura facendo astrazione dai problemi di struttura. la verità è che noi siamo alle prese con una crisi di struttura alla quale si aggiunge una crisi di congiuntura. in tali condizioni la posizione assunta dal presidente del Consiglio nei confronti dei problemi posti dal mercato comune europeo è del tutto inadeguata. l' onorevole Segni si limita a manifestare l' intenzione di attrezzare l' industria e l' agricoltura per la concorrenza, mostrando di ignorare che il solo modo adeguato per inserirsi nella competizione europea è quello di risolvere i problemi di struttura, ognuno dei quali comporta un aumento importante della capacità produttiva del paese. in linea generale, quindi, il Governo enunzia una politica di incentivi creditizi e monetari indifferenziati, laddove occorre selezionare gli investimenti, dare un indirizzo qualitativo del credito verso i settori prescelti, intervenire in modo diretto con l' impresa pubblica nelle regioni e nelle zone depresse . se si aggiunge che il Governo rinunzia a presentare provvedimenti sostitutivi della legge sull' imponibile di manodopera, affidandosi alla virtù di occupazione delle opere di bonifica e dei lavori pubblici , si ha un quadro assai desolante delle prospettive che stanno di fronte al paese. il quadro è tanto più desolante se si tiene conto del fatto che questi vecchi metodi, questi vecchi sistemi sono già stati per anni sperimentati, e sperimentati nelle condizioni le più favorevoli, mentre si determinava in Europa e nel mondo una congiuntura economica assai favorevole. tuttavia essi non hanno potuto rimediare a nessuno dei problemi di fondo della nostra società. io non cercherò la prova di queste affermazioni nei nostri testi o nei testi della Cgil, ma vorrei riassumere davanti alla Camera le conclusioni di una pubblicazione ufficiale della quale è autore il professor Pasquale Saraceno e che si intitola: situazione economica italiana all' atto dell' entrata in vigore del trattato di Roma . in quella pubblicazione, dopo il tributo di rito alla politica di stabilità monetaria perseguita negli anni passati, si giunge alla conclusione che sono rimasti « tuttora largamente irrisolti i fondamentali problemi del ristagno agricolo e del Mezzogiorno e, pertanto, della disoccupazione » . ed ecco le conclusioni dello studio in parola. disoccupazione. di fronte ad un incremento annuo dell' offerta di lavoro di 250-270 mila unità (nuove leve ed esodo dall' agricoltura compreso), dal 1950 al 1957 l' aumento di occupazione è stato di 1 milione e 900 mila, cioè di 270 mila unità all' anno. ciò significa che, nonostante la congiuntura favorevole, non vi è stato alcun riassorbimento della disoccupazione cronica. l' iniziativa privata , i servizi pubblici si sono dimostrati impotenti a risolvere il problema. squilibrio tra agricoltura ed industria. dal 1950 al 1957 il prodotto procapite è passato da 54 a 57 nell' agricoltura e da 143 a 145 nell' industria. se si considera che il prodotto nazionale procapite, calcolato globalmente, è in Italia estremamente basso (600 dollari rispetto ai 1.120, i 1.170 e i 1.080 rispettivamente della Germania, del Belgio e della Francia), ci si rende conto della gravità sociale della suddetta diminuzione di reddito nelle campagne. squilibrio tra grande e piccola industria. il citato rapporto rileva l' esistenza, anche tra aziende di uno stesso ramo, di scarti molto ampi nei livelli di produttività e prospetta « il rischio che un andamento meno favorevole della congiuntura, oppure il processo di integrazione nel mercato comune , renda insostenibili talune posizioni aziendali e imponga di accelerare il processo di adeguamento delle unità meno efficienti » . ciò significa che, affidandosi interamente alla iniziativa privata , si avranno concentrazioni e mobilitazioni senza reimpiego della manodopera licenziata. squilibrio fra il Mezzogiorno e il centro-settentrione. il rapporto dice testualmente: « nel 1957 il 38 per cento della popolazione italiana che risiede nel sud ha prodotto solo il 21 per cento del reddito nazionale . per di più questo squilibrio tende ad aggravarsi in relazione al fatto che mentre il sud contribuisce per il 65 per cento all' incremento naturale della popolazione italiana e quindi, grosso modo, delle sue forze di lavoro , esso ha raggiunto, sempre nel 1957, solo il 26 per cento degli investimenti produttivi e in opere pubbliche effettuati in tale anno in Italia » . in termini di reddito, ciò significa che al Mezzogiorno questa politica economica non offre alcuna prospettiva di uscire dal ghetto rappresentato dalle seguenti cifre: rispetto alla media nazionale, già estremamente bassa, il reddito procapite del Mezzogiorno è pari al 55 per cento e rispetto a quella del centro-nord è pari al 44 per cento . investimenti produttivi. molto importante è la constatazione che dal 1950 al 1957 « il risparmio destinato a investimenti produttivi e ad opere pubbliche si deve ritenere sia rimasto invariato o addirittura in lieve declino, intorno all' 8-8,5 per cento del reddito nazionale lordo » . ciò significa che senza un attivo intervento dello Stato si manifesta la tendenza al rallentamento e all' arresto dello sviluppo economico . ecco la situazione di fatto della società italiana nel momento in cui la Democrazia Cristiana opera la sua conversione a destra nella illusione, destinata a durare poco, di consolidare il potere reale delle forze di conservazione. il blocco conservatore di destra, ancora più di quello di centro, non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi di fondo di fronte ai quali il paese si trova. non quelli economico-sociali, non quelli politico-amministrativi, ad incominciare, onorevole presidente del Consiglio , dalle autonomie regionali e locali, delle quali ella si è interamente dimenticato, avendole evidentemente sacrificate al voto favorevole dall' onorevole Malagodi. andiamo, onorevoli colleghi , verso una stagione di implacabili scadenze, di nodi che vengono al pettine. ciò è vero per quanto ha riferimento ai problemi internazionali, non meno per quanto ha riferimento a quelli interni. sull' Europa è sospesa la scadenza del prossimo 27 maggio, quando l' Urss sgombrerà Berlino. è tutto il problema tedesco, e non uno solo dei suoi aspetti, che deve essere risolto, o per lo meno affrontato, prima del 27 maggio. ogni soluzione unilaterale creerebbe una situazione di estremo pericolo. soltanto soluzioni negoziate possono essere efficaci e durature, sia che riguardino alcuni aspetti del problema tedesco, sia l' intero problema. sembra a noi che la sede naturale di un responsabile negoziato sia la tante volte annunciata e la tante volte disdetta conferenza al vertice, debba essa essere preceduta o no da una riunione dei ministri degli Esteri . prendere posizione per una soluzione negoziata è interesse evidente dell' Europa, è interesse evidente anche dell' Italia, contro ogni forma di intransigenza. in questo senso noi chiediamo che operi il nostro paese e che si eserciti sul Governo la pressione dell' opinione pubblica e delle masse popolari . un altro serio motivo di preoccupazione si delinea nell' Africa del nord, dove la manifesta tendenza dei militari e dei colonialisti di Algeri ad allargare il conflitto alla Tunisia ed al Marocco, incontra a Parigi una resistenza ormai soltanto formale e che fa ritenere che il generale De Gaulle , che la quinta Repubblica , non siano verso gli uomini del « 13 maggio » gran che più forti e gran che più capaci di farsi ubbidire di quanto non lo siano stati gli uomini della quarta Repubblica . di fronte alle crescenti difficoltà interne ed africane della Francia, non è da escludersi l' ipotesi di una fuga in avanti della destra francese verso un regime di natura nazifascista, il quale, tuttavia, collocherebbe la destra nella stessa posizione in cui si trovò il maresciallo Pétain, alla testa di un sistema politico privo di base nel paese. delle scadenze interne ho già detto. operai, contadini e tecnici attendono lavoro e non si acquieteranno finché non l' abbiano ottenuto, gli statali reclamano il riconoscimento di diritti troppo a lungo procrastinati e misconosciuti; la gente della scuola ha problemi da risolvere che non possono essere rinviati all' esecuzione del piano decennale , ma debbono essere affrontati, con mezzi adeguati, subito, giacché si tratta della vita e dello sviluppo della scuola. una difficoltà supplementare si è delineata in queste ultime settimane in Alto Adige . in quella regione operano forze separatiste alle quali la Democrazia Cristiana ha offerto, fino a poco tempo fa, la copertura della propria alleanza amministrativa e politica. non si tratta di cedere agli isterismi nazionalisti, ma di attenersi serenamente e fermamente alla tutela degli interessi di tutta la popolazione senza distinzioni linguistiche o razziali. il rimedio contro gli isterismi nazionalisti è nella libertà e nella democrazia, è nella buona amministrazione, e conviene riconoscere che non si è fatta della buona amministrazione in Alto Adige . onorevoli colleghi , in una atmosfera di pacifica convivenza e di distensione interna è sempre relativamente agevole fronteggiare tutte le difficoltà, anche le più gravi. nella atmosfera di sfida e di provocazione che creano le operazioni Sturzo, del tipo di quella che è in corso , ogni problema, grosso o piccolo che sia, ha una naturale tendenza ad esasperarsi. ho detto, onorevoli colleghi , « operazione Sturzo » , intendendo riferirmi non soltanto al significato che ebbe qui a Roma l' avvenimento al quale essa si ricollega, ma anche alle interferenze ed agli interventi extrapolitici che la mossero e che sono ancora, oggi più che mai, vivi e virulenti. in un suo recente scritto il senatore a vita don Sturzo ci induce a mutare nome all' operazione e a chiamarla Gedda, dal nome del presidente dell' Azione Cattolica che la promosse. il vecchio sacerdote di Caltagirone sarebbe allora intervenuto per comporre lo scontro tra Democrazia Cristiana e Azione Cattolica , fra De Gasperi e Gedda e chi era dietro a Gedda. non ho motivo alcuno di mettere in dubbio la parola di don Sturzo il quale, d' altra parte, oggi è tra i promotori del raggruppamento a destra che l' ala clericale cercò di imporre a Roma nel 1952. tuttavia, mi è sembrato strano, onorevoli colleghi , che uno scritto come quello del senatore Sturzo non abbia provocato l' abbondante messe di chiarimenti che comporta. siedono a Montecitorio molti degli attori di quell' episodio, da Pacciardi e La Malfa , che erano ministri, che denunciarono l' operazione, che la fecero fallire con la minaccia delle loro dimissioni dal Governo, all' onorevole Scelba, che ebbe una parte importante a lato dell' onorevole De Gasperi , una parte che noi oggi non sappiamo più esattamente che cosa sia stata, all' onorevole Gonella, che era segretario della Democrazia Cristiana , all' onorevole Saragat, il quale attraversò allora una delle crisi nel corso delle quali d' improvviso si fa luce nel suo spirito la reale natura della lotta democratica in un paese come il nostro, per poi ritornare alla politica di prima, al punto di prima, come se nulla fosse avvenuto. mi sembra che un chiarimento di codesti uomini sui termini esatti dell' allora chiamata « operazione Sturzo » e che d' ora in poi chiameremo « operazione Gedda » , sarebbe utile, mentre una analoga situazione si ricrea sotto i nostri occhi. onorevoli colleghi , nessuno avrà dimenticato che il risultato primo di quella operazione fu di creare in Roma, ed anche qui a Montecitorio, un' atmosfera da Comitato di liberazione nazionale . non durò, ma in quel momento sconcertò non poco gli autori della operazione. si accentuò allora quella specie di assedio che, in occasione di ogni difficoltà per la democrazia, si stringe attorno a noi socialisti, come ai soli i quali potrebbero questo e quest' altro e quell' altro ancora, se soltanto accettassero di non essere socialisti nel senso intero del termine; mentre noi speriamo di poter questo e quest' altro e quell' altro ancora, ma a condizione di rimanere integralmente socialisti, se posso così dire, socialisti a parte intera. dico questo, onorevoli colleghi , perché sia chiaro che operazioni del tipo Sturzo o Gedda non ci colgono del tutto impreparati e che pure considerandole pericolose e nefaste per il paese, non siamo tuttavia disposti a fasciarci la testa prima che la testa sia rotta, anzi riteniamo di essere in condizione di impedire che vi siano delle teste rotte. dico questo per ricordare che operazioni del genere, da pericolose si trasformano in catastrofiche, quando esse coinvolgono, come di recente è avvenuto in Francia, responsabilità di sinistra, mentre possono essere il preludio di un vigoroso risveglio se ognuno a sinistra reagisce subito e forte nell' ambito della sua responsabilità e nella sfera della sua attività. dico questo perché condivido il giudizio della sinistra cattolica contro la quale si è scagliato don Sturzo là dove afferma, nel già citato « libro bianco » della crisi ministeriale, che con la sua operazione a destra la Democrazia Cristiana si accorgerà di aver spalancato le porte del paese ad una alternativa socialista di potere, capace di incidere sullo stesso elettorato cattolico. si sbagliano coloro che a destra si soffregano le mani al pensiero che il primo risultato del costituendo schieramento conservatore a destra debba essere la rinuncia del partito socialista alla propria autonomia politica, debba essere il suo ritorno, pentito e contrito, alle posizioni frontiste. anche il compagno Amendola ha torto quando riprende il discorso dell' unità politica nei termini che i nostri congressi di Venezia e di Napoli hanno scartato, considerandoli come non più adeguati alla situazione ed ai rapporti politici e di classe quali si sono delineati nel nostro paese. così facendo temo che egli non si accorga di comprimere, invece di dilatare, la capacità di espansione delle forze di opposizione, che hanno ognuna il loro compito, la loro funzione, il loro posto. mettere una etichetta frontista su ogni movimento democratico e su ogni fermento di vita nuova vuol dire ostacolarne ed inaridirne lo sviluppo. nella situazione di debolezza dei nostri istituti democratici e di profonda irritazione dei rapporti di classe e di partito, le forze capaci di imprimere e di imporre un corso democratico alla crisi politica del paese sorgono dalla viva dialettica degli interessi contrapposti e dal chiaro ed aperto confronto delle rispettive verità ideologiche, politiche e sociali. la nostra iniziativa autonoma nella classe lavoratrice , nel paese e nel Parlamento è funzione, è strumento di questa necessità e possibilità di azione risolutrice. d' altro canto, l' alternativa democratica posta dal nostro partito, anche nella sua formulazione di alternativa di potere, non ha gli aspetti massimalistici che in essa ravvisa il compagno Amendola. non è il rinvio al grand soir di ogni mutamento della direzione politica del paese. una alternativa democratica è per definizione una alternativa di potere, ma entro l' ordine costituzionale. ogni passo in avanti della democrazia, ogni conquista dei lavoratori nelle fabbriche e nelle campagne, ogni riforma di struttura, concorrono a modificare i rapporti di potere, ad accrescere il potere dei lavoratori. a ciò è tesa la politica che abbiamo chiamato di alternativa, fino a creare una situazione la quale realizzi l' obiettivo di ogni partito: il proprio avvento alla direzione politica del paese. il congresso di Napoli ha al suo attivo un punto che considero di fondamentale importanza, che tale già si avvera nella società italiana : esso va liberando da ogni complesso di soggezione verso il centro e verso la destra le forze laiche e cattoliche, in mezzo alle quali un' abile propaganda insinua il dubbio che non ci siano soluzioni democratiche dei problemi del paese, che sia una legge di necessità quella che oggi spinge la Democrazia Cristiana alla collusione con i liberali e con l' estrema monarcofascista, che sia una legge di necessità l' avvio verso il blocco conservatore e reazionario. ebbene no: codesta legge di necessità non esiste. non hanno ubbidito ad alcuna legge di necessità ma ad una ben precisa scelta economica, sociale e politica i « notabili » della Democrazia Cristiana ai quali si deve l' operazione di destra in atto. non v' è alcuna legge di necessità che vincoli le forze democratiche cattoliche e laiche ad accettare la situazione che si vorrebbe creare. la duplice ed effettiva legge di necessità nella quale noi crediamo ed alla quale facciamo appello è quella di contenere e respingere con una franca ed aperta opposizione democratica in Parlamento e nel paese ogni attentato agli interessi dei lavoratori ed alla vita democratica delle masse; è quella di sviluppare nella lotta quotidiana l' alternativa democratica al monopolio democristiano del potere ed alla destra. questo è l' impegno che abbiamo assunto nel nostro ultimo congresso. ad esso siamo e, spero, saremo tanto più fedeli, in esso abbiamo tanta maggiore fiducia quanto più, scivolando a destra, la Democrazia Cristiana accentua il pericolo che sovrasta sulle istituzioni che il paese si è dato e sul glorioso patrimonio della Resistenza, e crea le condizioni di una sempre maggiore presa di coscienza del primo dei comuni doveri delle forze democratiche: attaccare a fondo il centrismo e la destra nella piena autonomia delle rispettive posizioni ideologiche, sociali e politiche.