Alcide DE GASPERI - Deputato Appoggio
II Legislatura - Assemblea n. 82 - seduta del 29-01-1954
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1994)
1954 - Governo Ciampi - Legislatura n. 11 - Seduta n. 293
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , credo sia la prima volta che io parlo da questi banchi dopo un brevissimo intervento alla Costituente; e per mio conto avrei preferito dimenticare nel silenzio lo spettacolo di questa miseria parlamentare: che segue a distanza di pochi anni le luminose speranze nate nella prima Assemblea della Repubblica. prendo tuttavia la parola brevemente (per eloquente replica alle varie critiche) per un doveroso sentimento di solidarietà verso il Governo dell' onorevole Fanfani che si trova di fronte alla medesima incomprensione di cui fui io stesso vittima sei mesi fa. ad una ostilità preconcetta, decisa ancor prima che la discussione dia modo di chiarire idee e ribattere obiezioni. avvertivo allora (in luglio) che ormai non si trattava più semplicemente di appoggiare o rifiutare un dato governo, ma soprattutto di far funzionare la Camera. è la funzionalità, quindi la vitalità del Parlamento che è in causa, non la sorte di questo o quel partito. si era tanto gridato contro la egemonia di un partito che deteneva la maggioranza assoluta . da quando lo schieramento democratico è stato spezzato e una dozzina di deputati possono determinare uno spostamento decisivo, forse che la situazione è migliorata? consideriamo un momento questa situazione parlamentare. esiste in questa Camera un blocco disciplinato di 143 deputati di stretta osservanza comunista, che per i loro principi marxisti e leninisti, apertamente e tenacemente professati, e soprattutto per i precedenti che essi esaltano di altri paesi dal comunismo governati fanno temere che, se raggiungessero soli o alla testa di una coalizione la maggioranza, trasformerebbero il nostro regime democratico in dittatura di classe e di partito, sicché la loro conquista significherebbe la fine della libertà in Italia. esiste, all' altra estremità dell' emiciclo, un gruppo non numeroso ma valido, che, come abbiamo sentito risuonare ancora ieri nel discorso dell' onorevole Almirante, non sa o non vuol liberarsi dell' ipoteca totalitaria e antiparlamentare delle sue origini. fra queste due estreme (dell' onorevole Nenni mi permetterò di occuparmi a parte), dovrebbe esistere una maggioranza parlamentare che, fatte salve le caratteristiche di ciascun gruppo, che portano certamente a discriminazioni e a distinzioni notevoli, dovrebbe avere la comune preoccupazione di conservare l' attuale regime libero e avere coscienza della necessità di uno sforzo serio e duraturo affinché il declino delle istituzioni non diventi inevitabile e fatale. finora questo sforzo costruttivo non vi è stato, e il paese assiste stupito e preoccupato alla incapacità della Camera attuale di dare al paese un Governo su basi stabili. fallace è il tentativo di riversare la colpa di questa paralisi parlamentare sul partito di entro. la Democrazia Cristiana , dal luglio ad ora, ha sacrificato per la causa democratica comune i suoi uomini più sperimentati e più in vista e ha dovuto portare tutte le responsabilità perché gli altri partiti non seppero accordarsi per condividerle. l' onorevole Pella poi poté raggiungere la maggioranza talvolta solo per l' atteggiamento del partito monarchico partito che era stato eletto al di fuori di quello che nella campagna elettorale abbiamo definito come schieramento democratico. so bene quello che si è detto qui e altrove. ieri l' onorevole Almirante ha formulato l' accusa in questo modo: il vostro partito ha approfittato della vacanza parlamentare per fare una crisi extraparlamentare . io ho assistito a tutte le fasi della vertenza... non vi è nessuna ironia nella mia osservazione, perché non sono contemporaneamente presidente del gruppo e presidente del partito come avviene in altri partiti. dicevo che io ho assistito a tutte le fasi della vertenza e ho preso nota di tutti i colloqui e di tutte le varie determinazioni. se fossimo in diplomazia potrei pubblicare un libro bianco interessante. esso dimostrerebbe che la crisi è nata dal rimpasto, che il rimpasto non venne né proposto né imposto dal partito ma fu ritenuto utile, anzi necessario dallo stesso presidente del Consiglio , il quale lo fece preannunciare proprio per il periodo delle vacanze dandone comunicazione al Consiglio dei ministri . dunque non è esatto che il partito abbia preso l' iniziativa della crisi per interrompere quello che l' onorevole Almirante chiama « il periodo di tregua » . è vero che si ebbero in seno al partito democristiano qua e la manifestazioni di insofferenza perché la situazione parlamentare non si consolidava. ma gli organi responsabili della Democrazia Cristiana hanno ogni volta dissipato ogni dubbio confermando la fiducia all' onorevole Pella e quando questi annunciò il rimpasto non fecero obiezioni di principio. è vero bensì che durante il rimpasto nacquero difficoltà. ed è noto — o si vada a cercare tante farfalle sotto l' arco di Tito — che la disparità riguardava il dicastero dell' agricoltura. ma a mio parere diversità di opinioni possono sempre sorgere quando il diritto costituzionale del presidente del Consiglio di scegliere i candidati per il suo gabinetto deve pure in pratica essere conciliato con gli obblighi che risultano per i candidati dall' appartenenza ad un partito e alla loro adesione al programma di esso. credo che in qualunque democrazia sia così. certo sarebbe stato desiderabile che la crisi fosse stata evitata. ma io, che feci talvolta la parte di mediatore fra i direttivi dei gruppi parlamentari e il presidente del Consiglio , io ho la ferma convinzione che nessuna delle parti nutrisse il proposito di sboccare nella crisi. respingo poi decisamente l' insinuazione dell' onorevole Togliatti che si potesse trattare di ingerenza di uno Stato straniero. egli ci confonde con i partiti che partecipano al Cominform. comunque è ingiusto — come si è fatto da parecchi — addossare personalmente all' onorevole Fanfani la colpa. a Fanfani che tanto nelle riunioni collegiali quanto in privato si adoperò per evitare la crisi. so bene che accanto ai guai parlamentari a cui ho accennato per taluni esiste un altro guaio assai grave, cioè la forza e la vitalità del gruppo democristiano. ho sentito ieri con un certo stupore l' onorevole Romita declamare contro « l' imperialismo cattolico » di don Sturzo e tutte le forze di egemonia che si sono appoggiate finora sul centrismo degasperiano. no, onorevole Romita, il nostro imperialismo è il mandato di 11 milioni di elettori. ed il centrismo non si ispira ad ambizioni di una persona che passa ma si fonda sul sentimento della responsabilità nazionale che è al di sopra di ogni tendenza, che i democristiani nutrono nei confronti del paese. se questa concezione di forze si spezzasse, com' è il desiderio di chi si preoccupa solo del proprio interesse di parte, della democrazia in Italia non resterebbero che i relitti sul mare agitato della sovversione. ed è per lo meno curioso che codeste definizioni offensive siano formulate nello stesso momento in cui si invocano convergenze e che nello stesso discorso, dopo aver condannato nuovamente il quadripartito, si propongano combinazioni a due con la partecipazione a quattro. credevo ieri sera di avere afferrato male il discorso per difetto del microfono, ma confrontando stamane il testo nella Giustizia ho trovato l' identico rebus. la formula Fanfani — dice Romita — è sbagliata perché è la stessa formula proposta da De Gasperi dopo il 7 giugno. sì è la stessa formula, ma è una formula di necessità, allora come oggi, perché nessuna ancora ha potuto constatare che esista una maggioranza assoluta precostituita la quale abbia la volontà e la capacità di accordarsi su un programma comune di direttive e di azioni. De Gasperi non riuscì perché si pretendeva da lui che egli compisse una manovra tattica verso Nenni, destinata a fallire, e da Fanfani si pretese che improvvisasse una riforma elettorale . e così avviene che come allora la Giustizia diceva che De Gasperi se non è sulla via di Kerenski è sulla via di Dollfuss, così oggi si riparla di Dollfuss a proposito di Fanfani. ma anche oggi — rebus sic stantibus — la situazione rimane quella che precisai nel mio discorso di presentazione alla Camera. non essendo possibile la formazione di una maggioranza assoluta , l' incarico di Governo venne affidato al partito della maggioranza relativa con la ferma speranza che nel Parlamento si creasse, a mano a mano che si distanzia la polemica elettorale e si fa più viva la consapevolezza dell' interesse del paese, l' atmosfera di collaborazione che l' opinione pubblica più responsabile attende e reclama. anche questa volta, come allora, la speranza fu delusa, e l' onorevole Fanfani si è presentato come allora, con un ministero di attesa e di lavoro, ma, in confronto del mio, con un progresso notevole sia per il programma sia per l' azione, con una armatura di progetti di produzioni o di investimenti già maturi e finanziati, con uno sforzo concreto per dare lavoro a centinaia di migliaia di disoccupati. quest' uomo, onorevoli colleghi , ha al suo attivo una esperienza fattiva, specie nei dicasteri del Lavoro e dell' Agricoltura dove ha formulato riforme sul serio, tanto che vedendolo oggi alla testa di un Governo dedicare tutte le sue forze al coordinamento, al tanto invocato coordinamento, ed all' impulso ed alla realizzazione, io dico che egli veramente, se lo lasciate lavorare, potrà riuscire a dare una nuova impronta alla nostra economia nazionale. ebbene, no: bisogna sbarrargli la via, evitare anche la discussione (si è tentato di farlo ier l' altro). macché apertura a sinistra! che socialità! che progetti! non si debbono nemmeno discutere. da tempo si reclamava il concorso di forze giovanili e rinnovatrici, si invocava dinamismo, intraprendenza, coordinamento. ecce homo ! e ora lo si copre di scherno. chi ha seguito ieri il discorso dell' onorevole Nenni avrà sentito che l' uomo che nei passati giorni sembrava cercare un avvicinamento alla sinistra della Democrazia Cristiana , e che sembrava preoccupato delle sorti della democrazia e pareva voler dare una mano a chi era incaricato di risolvere la crisi, tutto d' un colpo ridiventa giacobino e dà l' allarme contro il presunto tiranno, perché Fanfani ha avuto l' impudenza di affermare che si sarebbero difese le istituzioni della Repubblica con la forza delle leggi. questo — grida Nenni scandalizzato — è un ritorno al delitto, è un reato di pensiero, quasi che Fanfani avesse pensato a censurare o a reprimere i discorsi di Togliatti o Secchia, a gettare sul rogo i classici comunisti in vendita in via delle botteghe oscure od a mandare in galera gli insegnanti bolscevichi. e tutti questi od altri simili provvedimenti naturalmente — secondo il sospetto dell' onorevole Nenni — si dovrebbero fare con la forza della polizia o del Santo Ufizio . in verità, l' onorevole Fanfani ha parlato di forza delle leggi, dunque di libera, indipendente magistratura; ha parlato di difesa delle libertà, della Costituzione: dunque, salvo sempre il costituzionale diritto dell' eguaglianza giuridica dei cittadini. ogni discriminazione del giudice riguarda l' azione, il fatto, non il pensiero e le idee. ma quando Nenni si preoccupa di non discriminare fra Lenin e Antonio Labriola e incorpora il bolscevismo russo nelle tradizioni del socialismo nazionale italiano, svela la sua intima e dominante preoccupazione: non perdere il contatto con lo Stato-guida, non distanziarsi da quella che chiama l' unità della classe operaia . sotto il velame di una indignazione verbale contro Fanfani. si cela la paura di essere andato troppo avanti; e, dopo aver provocato l' applauso unanime dell' estrema, Nenni torna al suo posto. noi — e qui parlo come capo del partito democristiano — conosciamo Fanfani come uomo d' azione e di libere idee: sappiamo che egli, quando parla di Stato, intende veramente uno Stato democratico e sociale, e se parla di società cristiana è perché la pensa fondata sulla libertà e sulla giustizia. perciò voteremo per lui con fiducia, convinti, con affettuosa speranza, con la certezza di servire la patria e la causa della democrazia.