Pietro NENNI - Deputato Appoggio
II Legislatura - Assemblea n. 708 - seduta del 30-01-1958
Sulla politica interna
1958 - Governo III Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 392
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , sollecitando, all' indomani della conferenza della NATO a Parigi, il dibattito politico che si tiene a distanza di più di un mese, il gruppo parlamentare socialista aveva uno scopo molto preciso: chiedere conto al Governo dell' atteggiamento tenuto alla conferenza, chiedergli conto di ciò che si proponeva di fare di fronte alla situazione creata dalla conferenza e dalle proposte ed iniziative che si sono incrociate assai numerose dopo la conferenza di Parigi. a Parigi, onorevoli colleghi , è avvenuto qualche cosa che era in gestazione da parecchio tempo, che il nostro Governo non aveva in nessuna guisa previsto ed a cui non ha in alcuna maniera contribuito. alla Commissione esteri che si riunì prima della conferenza di Parigi, il ministro Pella ci disse che la conferenza di Parigi avrebbe avuto soltanto il compito di potenziare militarmente l' alleanza. sembrò escludere che la conferenza potesse prendere in esame la richiesta sovietica di un incontro ad alto livello e quella polacca della disatomizzazione dell' Europa centro-orientale. ora, il fatto nuovo della conferenza di Parigi, il colpo di scena , come dissero i giornali, fu che il dibattito, invece di essere centrato sulla questione del potenziamento militare dei missili, si svolse attorno alla proposta del governo polacco di creare nel centro dell' Europa una zona senza armamenti atomici , comprendente le due Germanie , la Polonia e la Cecoslovacchia; ed ebbe come argomento principale la proposta del maresciallo Bulganin di una conferenza dei Primi ministri dei paesi appartenenti ai due blocchi e ai paesi neutrali. il fatto nuovo a Parigi fu la posizione negativa assunta dalla Norvegia, dalla Danimarca, dal Belgio, nella questione dei missili a media portata da installare in Europa; fu la necessità nella quale la conferenza si trovò di rinviare ogni decisione, ricorrendo all' espediente dei paragrafi 20 e 21 della dichiarazione e del comunicato finale della conferenza, con cui si decideva che i missili balistici a media gittata fossero posti a disposizione del comandante supremo atlantico in Europa rinviandone la installazione ad un accordo con gli Stati direttamente interessati. altro fatto nuovo fu l' accettazione di un incontro con Mosca, prospettato dal paragrafo 17 delle deliberazioni nei termini seguenti: « se il governo sovietico dovesse rifiutare (come di fatto ha poi rifiutato) di partecipare ai lavori della nuova commissione per il disarmo, saremmo favorevoli ad un incontro a livello dei ministri degli Esteri per superare il punto morto » . sta di fatto che l' America, malgrado la presenza del presidente Eisenhower, malgrado il carattere patetico del suo viaggio all' indomani di un attacco cardiaco, non aveva mai incontrato una uguale resistenza. ciò sta ad indicare un fatto, a mio giudizio, di estrema importanza, cioè il progressivo spostamento del centro dell' iniziativa e della direzione del patto atlantico dall' America all' Europa, con conseguenze che possono diventare del più grande interesse, essendo tutt' altro che da escludere un orientamento a sinistra, in senso socialista o magari soltanto socialdemocratico, della direzione politica dell' Europa. a tal fine noi contavamo su una vittoria della socialdemocrazia tedesca. non vi è stata, benché il peso politico della socialdemocrazia tedesca rimanga assai importante. contavamo sulla vittoria laburista in Inghilterra, che rimane pressoché sicura. si contava all' estero sulla unificazione socialista in Italia: che anch' essa non vi è stata, benché non ne derivi una condizione di immobilismo per il socialismo italiano. e tuttavia, onorevoli colleghi , anche nei paesi europei a direzione conservatrice e democristiana qualche cosa si muove verso la neutralizzazione progressiva dell' Europa, ipotesi che spaventa il collega Saragat, e, per intanto, verso una intesa est ovest , avversata ormai soltanto, in via pregiudiziale, dai più retrivi circoli nazionali e clericali dell' Europa. gli è che la situazione dell' Europa si è fatta estremamente grave. scriveva nei giorni scorsi l' autorevole The Spectator di Londra: « perché l' Europa non svanisca in una nube a forma di fungo, noi dobbiamo trovare una possibilità di accordo con l' Unione Sovietica » . questo fu sempre, onorevoli colleghi , il punto di vista di noi socialisti italiani, anche quando era azzardato formulare l' ipotesi. oggi fattasi concreta, di una Europa soggetta al rischio di svanire in una nube a forma di fungo. a questo, signori della maggioranza ha condotto la corsa agli armamenti in cui furono riposte tutte le vostre speranze! da questo punto di vista noi assistiamo a un capovolgimento delle posizioni di partenza. nel 1949, quando si costituì l' Alleanza Atlantica , l' America aveva il monopolio delle bombe atomiche; dopo dieci anni essa è sopravanzata dalla tecnica militare sovietica in tre campi: quello dei missili balistici intercontinentali, per cui New York e Chicago sono oggi sotto il fuoco diretto di Mosca e di Leningrado, quello dell' aviazione atomica, quello dei sottomarini atomici. in due rapporti statunitensi (bisogna riconoscere agli americani che essi studiano seriamente le cause del loro arretramento e non nascondono dietro ad illusioni la realtà delle cose) il rapporto Gaither e il rapporto Rockfeller, gli specialisti americani hanno lanciato un vero e proprio grido di allarme. il primo rapporto definisce « insensata » la politica governativa americana dell' ultimo quinquennio in materia di sicurezza nazionale. uno dei membri della Commissione ha espresso in termini drammatici il suo orrore per le cose che andava apprendendo: « mi pareva — ha detto — di passare dieci ore al giorno con gli occhi fissi sull' inferno » . il rapporto Rockfeller conclude osservando che, se l' America non fa subito gli sforzi e i sacrifici necessari, i russi avranno di qui a due anni la superiorità militare totale. si parla comunemente in America, nei più alti circoli scientifici, tecnici e politici, di un ritardo di dieci anni, della scienza e della tecnica americana rispetto a quella sovietica nel campo della conquista degli spazi astrali che, come si sa, influenza direttamente il campo del dominio dell' aria e dello spazio. niun dubbio che l' America sia in grado di riguadagnare il terreno perduto. essa sta scoprendo la crisi del suo famoso modo di vivere, la crisi della sua scuola, la crisi del suo stesso sistema sociale; sta anche scoprendo gli errori della politica estera sterile, negativa, e pseudo moralistica del signor Dulles. il segretario di Stato ha sempre la fiducia del presidente Eisenhower, ma ha perduto quella dei più accreditati circoli politici americani ed europei. egli si è visto accusare, dopo la conferenza di Parigi, di negativismo meschino e di mancanza di intelligenza. « Dulles deve andarsene perché le conversazioni russo-americane divengano possibili » ha scritto uno dei maggiori giornalisti americani: Edward Alsop. niun dubbio , dicevo, che l' America sia in grado di riguadagnare il terreno perduto. ciò che non può riguadagnare, onorevoli colleghi , è la superiorità assoluta, che aveva negli anni trascorsi; ciò che non può riguadagnare, se non cambiando radicalmente politica, è ciò che ha perduto politicamente, in Asia e in Africa. la vecchia idea americana della pace, come conseguenza di una resa incondizionata della Russia sovietica , nell' estremo e Medio Oriente e in Germania, non ha nessuna possibilità di successo. nel denunziarne la inattualità e la infecondità, il giornalista americano Walter Lippmann ha scritto su uno dei nostri settimanali in rotocalco, il Il Tempo , che l' America si trova ormai a dover negoziare da una posizione di eguale potenza. « vi è da aspettarsi — ha soggiunto — che i negoziati siano lunghi e snervanti ma, per quanto lo siano, il desiderio di arrivare a un accordo dovrebbe essere sempre il punto-base della nostra politica » , cioè della politica americana. ai fatti nuovi ai quali mi sono riferito (e che sembrano essere sfuggiti interamente all' attenzione del nostro Governo e del ministro degli Esteri ) e in particolare al fatto che l' Europa occidentale tende ormai a diventare l' arbitra dell' Alleanza Atlantica , se ne è aggiunto quindi un secondo, anch' esso di importanza capitale: l' epoca in cui l' America negoziava da una posizione di preminenza è terminata. l' America e l' Unione Sovietica negozieranno, d' ora in poi, da una posizione di eguale potenza. il punto di partenza del negoziato non può evidentemente essere il vecchio criterio americano della resa incondizionata dell' Unione Sovietica , criterio assai bello — scrive Lippmann — se fosse realistico e se corrispondesse alla realtà delle cose. aggiungo che il criterio di orientamento dei negoziati non può essere, neppure a giudizio mio, quello del mantenimento dello status quo . se per « riconoscimento dello status quo » Mosca intende il riconoscimento dell' esistenza di un sistema di stati socialisti giunti a un grado di sviluppo e di potenza per cui ignorarli sarebbe follia, la cosa è ovvia: se invece il « riconoscimento dello status quo » dovesse essere inteso nel senso che ogni cosa deve restare come è, di là e di qua della cosidetta « cortina » ; che le truppe straniere devono rimanere là dove sono; che la Germania deve continuare ad essere spezzata in due, è altrettanto ovvio che su una tale base il negoziato non potrebbe andare molto lontano. uno dei motivi par i quali noi socialisti, all' incontro tra i ministri degli Esteri o alla ripresa dei lavori della commissione del disarmo, preferiamo una riunione a più alto livello dei capi di governo , è da ricercarsi nella nostra convinzione che occorre innanzitutto creare le condizioni politiche della politica della distensione, della politica del riavvicinamento. perciò abbiamo sempre considerato e consideriamo con estremo favore un tête-à-tête americano-sovietico, non condividendo, a tale proposito, i dubbi e le perplessità di alcuni circoli europei e italiani. è assai importante, mi pare, che uno dei grandi « manitou » della stampa americana, il signor W. R. Hearst, abbia intitolato una serie di articoli scritti dopo il suo recente soggiorno a Mosca: « come l' Unione Sovietica sta guadagnando la pace » ; è assai importante che abbia concluso la serie degli articoli con la proposta di un incontro a due Eisenhower-Kruscev. non mi stancherò di ripetere, onorevoli colleghi , che la politica viene prima della tecnica. i problemi del disarmo, della zona neutra o disatomizzata, dell' unificazione tedesca, del Medio Oriente , potranno essere risolti assai agevolmente quando sia intervenuto un accordo politico, di principio, per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. in questo senso noi consideriamo estremamente positiva la proposta del Primo Ministro inglese per un incontro fra i capi di governo e per un patto di non aggressione . pleonastico, si è detto, dato che i paesi aderenti all' Onu hanno già sottoscritto un analogo impegno. tutt' altro che pleonastico, onorevole ministro degli Esteri , in quanto dovrebbe essere la premessa di una politica interamente nuova, dovrebbe essere la piattaforma sulla quale costruire pezzo per pezzo la pace. in questo senso noi consideriamo positivi gli accenni recenti della casa bianca in favore di un incontro a due americano-sovietico, non già per una intesa a scapito dell' Europa, dell' Asia e dell' Africa, ciò che non è più temibile, ma per aprire la via ad un negoziato generale. onorevoli colleghi , ho parlato di fatti nuovi, di nuove iniziative, di un nuovo spirito che si va creando e diffondendo in Europa e in America. purtroppo nessuna novità si avverte nella politica estera del nostro Governo. le velleità neoatlantiche sono rientrate più presto che non avessero fatto capolino. il presidente del Consiglio Zoli, il ministro degli Esteri Pella, il ministro della Difesa Taviani non hanno condiviso a Parigi nessuna delle preoccupazioni avanzate dai governi scandinavi, dal governo belga, perfino dal cancelliere Adenauer. noi siamo ormai il solo paese che fa la politica estera in funzione della politica interna . da questo punto di vista non si può che considerare scandalosa la polemica attorno al caso del ministro Del Bo : nella violenza degli attacchi contro di lui vi è tutto il provincialismo della nostra borghesia. sorprende e aumenta lo scandalo il fatto che all' attacco abbia partecipato un principe della Chiesa, il cardinale Ottaviani, il cui intervento su un diverso piano, quello delle relazioni fra Stato e Chiesa, comporta la necessità di un più ampio dibattito , al quale il presidente del Consiglio non può ormai sottrarsi. e voglio ribadire la mia speranza, magari ingenua, che al Consiglio dei ministri , l' onorevole Del Bo non sia stato il solo a dire che l' apertura di un dialogo distensivo con l' Unione Sovietica non deve essere subordinata a condizioni inaccettabili. spero che l' onorevole Del Bo non sia il solo parlamentare della maggioranza ad essersi accorto che, da Parigi, si diparte un certo depauperamento del patto atlantico . spero che non sia il solo ad avere avvertito, come egli ha scritto, che potrebbe avvenire che il binomio Germania-Inghilterra si metta alla testa di coloro i quali preferiscono una trattativa il più possibile vasta con l' Unione Sovietica . sono opinioni che corrono nel mondo e che sono condivise dalle menti più elette in Europa e in America. paga ad esso un tributo, che voglio sperare non sia soltanto di ipocrisia, anche il vecchio cancelliere tedesco, se è vero come è vero , che, tornato da Parigi, egli ha detto: « bisogna utilizzare ogni momento per migliorare le nostre relazioni con la Russia » . in Italia opinioni del genere, opinioni a tal punto moderate, scandalizzano il cardinale Ottaviani e il nostro collega Pacciardi, scandalizzano il direttore del resto del Carlino e i fogli parrocchiali dell' Azione Cattolica . il senatore Zoli, bontà sua , non ha gettato ad bestias il suo giovane collaboratore e dopo l' articolo cardinalizio del Quotidiano si è accontentato di un biasimo indiretto. tutto questo, onorevoli colleghi e onorevole ministro degli Esteri , è poco serio ed è poco dignitoso; tutto questo non preannunzia nulla di buono rispetto alle iniziative che sono in corso e sulle quali la Camera attende di conoscere il punto di vista del Governo. ne enumero, per parte mia, tre. vi è in primo luogo la questione della conferenza dei Primi ministri . su di essa il Governo non si è pronunciato in maniera esplicita. ne deve parlare. beninteso, una conferenza di questo genere va preparata, giacché un suo fallimento non ci ricondurrebbe al punto di partenza , ma molto più indietro, ai peggiori periodi della guerra fredda . senonché conviene intenderci su ciò che si vuole quando si parla di preparazione se si intende un accordo preliminare sul disarmo, o sulla questione della zona neutra, o sulla unificazione della Germania (come sembra proporre il collega Saragat), allora si mette il carro avanti ai buoi e si rischia di non avere nessuna conferenza. se si intende, invece, un minimo di accordo sui temi, sul linguaggio, sulle rispettive propagande, sulle indicazioni da dare a successive riunioni a livello tecnico, allora non si può prescindere dalla necessità di una seria preparazione. poco importa — ed è questione indipendente dalle nostre preferenze — se la conferenza al più alto livello sarà preparata per le normali vie diplomatiche, o da una pre-conferenza dei ministri degli Esteri : l' importante è che la conferenza si tenga e si tenga presto: l' importante è che essa segni il punto di partenza di un nuovo corso politico. in altri momenti, quando si parlò di un incontro a quattro od a cinque, Governo e maggioranza ci opposero l' argomento, in verità di scarso peso, che noi accettavamo l' esclusione dell' Italia da una conferenza che interessa l' Italia non meno degli USA e dell' Unione Sovietica . l' ultima proposta sovietica fa cadere tale obiezione, in quanto chiede una conferenza alla quale partecipino tutti i paesi del blocco atlantico e di quello sovietico, più cinque tra i maggiori paesi neutrali. la seconda iniziativa per la quale sollecitiamo l' adesione del nostro Governo è quella che va sotto il nome di piano Rapacky. si tratta di una via di mezzo tra la situazione attuale e il piano laburista inglese, sul quale si è intrattenuto testé l' onorevole Saragat; piano che, come i colleghi sanno, dovrebbe comprendere in una zona neutralizzata le due Germanie , la Polonia, l' Ungheria e la Cecoslovacchia. il piano Rapacky si limita a proporre la creazione di una zona disatomizzata, dalla quale vengano cioè escluse ogni forma e specie di armamenti atomici e nucleari. dire che la potenza delle armi è giunta a un punto tale per cui ciò non impedirebbe un attacco nucleare tra i due blocchi , separati dalla zona neutra disatomizzata, oppure che ciò non impedirebbe un attacco a uno dei paesi della zona, ha il senso di un vero e proprio diversivo. prima di tutto non è senza importanza che i due blocchi non siano in contatto diretto fra di loro, e che tra l' uno e l' altro, nel cuore d' Europa, si frapponga una zona di disimpegno, come dicono gli inglesi. questo concetto è stato espresso in termini mi pare eccellenti dal leader laburista inglese Gaitskell. in una conversazione alla televisione britannica di poche sere or sono, difendendo il suo piano di zona neutra, egli si è visto opporre l' argomento che la creazione di tale zona non impedirebbe il lancio dal di fuori di missili e ha risposto in modo, a me pare, esauriente: « è vero, ma il maggior pericolo non sta tanto nella deliberata decisione di lanciare missili da basi lontane quanto piuttosto in un urto di più limitata portata. il ritiro dalla Germania delle truppe anglo-americane e russe renderebbe tale pericolo assai minore e il ritiro delle forze militari russe dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dall' Ungheria darebbe a questi paesi una maggiore indipendenza » . in secondo luogo, onorevoli colleghi , ogni iniziativa va considerata non staticamente ma nel suo naturale movimento. dalla disatomizzazione alla neutralizzazione il passo non sarebbe lungo, dalla neutralizzazione al ritiro delle truppe sovietiche da tutta l' Europa orientale e di quelle americane dall' Europa occidentale (esclusa l' Inghilterra) vi sarebbe logico sviluppo. da un primo accordo tra le due Germanie alla unificazione della Germania il passo potrebbe essere breve. la storia ci insegna che certe idee forza una volta poste in movimento si fanno strada da sole. conviene dire del resto che, per ora, le ambizioni polacche sono assai modeste. il ministro Rapacky ha tenuto a sottolineare che la accettazione del piano non implica l' impegno ad osservare una politica di neutralità, non comporta da parte dei paesi che l' accettano un rallentamento dei loro legami con i blocchi militari ai quali appartengono. altrimenti detto la Germania occidentale resterebbe nel blocco atlantico e quella orientale e con essa la Polonia e la Cecoslovacchia nel blocco di Varsavia. tuttavia, onorevoli colleghi , si sarebbe finalmente creata non una zona di nessuno, non una zona di tutti secondo gli abusati temi della politica antineutralistica, ma una zona della pace. il piano Rapacky implica un serio sistema di controllo. la Polonia lo accetta, la Cecoslovacchia lo accetta, la Germania orientale ha dichiarato di accettarlo. non vi è nessuna ragione perché non lo accetti la Germania occidentale , la quale del controllo (e su questo con ragione) ha fatto e fa la condizione del disarmo. la terza questione, onorevoli colleghi , quella della installazione delle rampe di lancio dei missili americani a media gittata in Europa e in Italia, comporta un più lungo discorso, non fosse altro perché ci riguarda due volte: come europei e come italiani. ci riguarda come europei, perché tutta la politica che tende a rafforzare negli europei la coscienza della loro autonoma funzione tra l' Unione Sovietica e l' America, è posta in mora se nel momento in cui si apre una prospettiva, una possibilità di negoziato fra i due blocchi , l' Europa si trasforma in una base per armi offensive. qui davvero, onorevoli colleghi , l' immagine dell' Europa che si dilegua in una nube a forma di fungo acquista il carattere allucinante della realtà, diciamo, della possibilità. si tratta di un gesto di disperazione che presuppone una situazione disperata e quella attuale disperata non è; un tal gesto è tanto più assurdo in quanto è emerso dalla conferenza di Parigi, ed è stato confermato alla Camera dei Comuni a Londra, che soltanto fra due anni gli americani potranno forse essere in grado di fornire all' Europa i missili balistici che ci metterebbero alla pari con i razzi russi del tipo attualmente prodotti in serie. come l' Europa potrebbe giustificare davanti a se medesima e davanti agli altri popoli del mondo, il fatto di impegnarsi fuori tempo in una operazione militare aleatoria, prima di aver esperito fino in fondo la possibilità del negoziato? del resto, davanti a questo problema l' Europa ha già manifestato opinioni diverse e qualche volta contrastanti. hanno detto no la Norvegia e la Danimarca, rette da governi socialdemocratici (e io mi attendevo che dicesse no anche l' onorevole Saragat), ha detto no il governo social-liberale del Belgio sotto l' influenza preminente del partito socialista e delle organizzazioni sindacali operaie. non dice no il governo inglese , ma esso è su questa questione incalzato dalla opposizione laburista che sarà il governo di domani. l' onorevole Bevan, prendendo la parola ai Comuni nella seduta del 20 dicembre scorso, ha chiesto a nome del labour party che le armi americane (bombe atomiche, ogive nucleari o razzi) vengano poste sotto il pieno controllo politico del popolo e del governo britannico . ha detto sì, sia pure con molte riserve, il governo di Parigi, e si sa perché: perché per la Francia la questione dei missili è una moneta di scambio con l' America, l' altro termine del negoziato essendo l' Algeria. uguale è la posizione del governo di Bonn per il quale la questione dei missili è una moneta da spendere vuoi a Washington vuoi a Mosca. noi, onorevole ministro degli Esteri , che cosa abbiamo a che fare con la questione dei missili? non ci servono come strumento di difesa, perché in verità non sono un' arma di difesa, ma di rappresaglia; non ci servono come moneta di scambio, perché per fortuna le questioni aperte tra noi e Mosca sono di ben scarso rilievo. se l' installazione in Italia di rampe di lancio di missili americani non giova alla sicurezza europea e non la rafforza, se ciò espone a diventare bersaglio dei razzi sovietici nell' atto stesso in cui diventassimo deposito dei razzi americani, allora, onorevole ministro degli Esteri , mi vuol dire perché noi dovremmo dire di si? perché dovremmo esporci al rischio di diventare cenere atomica? sull' entità del pericolo sembrerebbe inutile insistere se stampa, radio e televisione, non avessero stretto, a quanto pare, un tacito patto per nascondere al paese la verità. pochissimi sanno che una normale bomba H, di quelle che gli aerei trasportano normalmente per esercitazione o di quelle che possono essere sistemate attualmente nell' ogiva di un missile, vaporizza sotto un calore di milioni di gradi tutto ciò che trova entro un diametro di 12 chilometri (vale a dire la città di Roma, di Napoli, di Milano) e produce danni irreparabili entro un cerchio di 30 chilometri di diametro. si provi a disegnare sopra una carta d' Italia una trentina di questi paurosi circoletti! un disegno di questo genere darà la sensazione precisa del rischio a cui si esporrebbe il paese. sembra assolutamente necessario, onorevoli colleghi che, almeno sotto questo profilo, la ignoranza nostra sia per quanto è possibile colmata. prima delle elezioni gli elettori devono conoscere i fondamentali dati di fatto del principale problema nazionale. a tale riguardo sarebbe opportuno che il Governo provvedesse a distribuire una pubblicazione ufficiale del genere di quella che l' ufficio permanente di sua maestà la regina d' Inghilterra ha messo onestamente a disposizione di tutti gli inglesi, al prezzo di 9 pence: The hydrogen bomb , una fonte non sospetta né sospettabile. visitando di recente Londra ebbi la sorpresa di trovare l' opuscolo sul comodino da notte, vicino alla Bibbia, e potei imparare che cosa sarebbe successo dell' Inghilterra, cosa sarebbe successo di Londra, cosa sarebbe successo di me, suo occasionale visitatore, se una bomba all' idrogeno fosse scoppiata. convengo che il rischio non è tutto. ci sono pericoli ai quali l' uomo non può sottrarsi. ma ci vuol dire il Governo che cosa lo induce ad esporre la nazione ad un tale pericolo? mi si dirà, forse, che il Governo non ha risposto ufficialmente sì e non ha risposto no. in effetti non è facile decifrare le tortuose dichiarazioni dei nostri ministri. tuttavia, pur ammantate come sono di molta ipocrisia, esse suonano sì, anzi sì avant lettre . del presidente del Consiglio senatore Zoli un giornalista francese ci dette un grazioso ritratto, come di un uomo affaccendato alla conferenza di Parigi ad offrire le sue montagne, che poi sono le nostre montagne, le montagne di tutti gli italiani, per le rampe di lancio dei missili americani. il senatore Zoli ricusò il ritratto, nel quale non si riconobbe; ma mentre egli smentiva il giornalista francese, il nostro ambasciatore a Washington diceva alla televisione americana che l' Italia era agli ordini del comando della NATO. dopo di allora sono venute le dichiarazioni dell' onorevole Pella alla Commissione esteri del Senato e dell' onorevole Taviani alla Commissione difesa della Camera. in mancanza del testo stenografico non posso che citare i giornali. « il governo italiano — avrebbe detto l' onorevole Pella — è convinto che sarebbe assurdo pensare di rinunciare a quelli che sono gli strumenti più efficaci della nostra difesa e fare affidamento su armi superate di fronte ai più moderni mezzi che sono abbondantemente in possesso dei nostri potenziali avversari » . ridotta al nocciolo, la sua dichiarazione, onorevole Pella, si riduce ad un si motivato in maniera equivoca. non si tratta, onorevole Pella, di dire se l' Italia deve rinunciare o no alle armi moderne o magari all' arma assoluta: si tratta di sapere se essa deve trasformarsi per conto di terzi in deposito di armi di questo tipo e quindi in bersaglio di armi dello stesso tipo. l' onorevole Taviani non è stato più chiaro o lo è stato soltanto in apparenza, quando ha detto che il problema delle rampe « non si è posto e non si porrà » . il solo problema che si sarebbe posto — e risolto — è quello dei missili tattici. cito dai giornali: « si porrà invece la questione di rafforzare le nostre forze armate a queste assegnando anche missili intercontinentali oltre a quelli tattici che già ci sono stati assegnati » . se il ministro ha inteso alludere ad una fase in cui gli eserciti europei, ed il nostro, potranno dotarsi di ogive nucleari e di razzi a media o a lunga gittata senza servitù di comandi stranieri, allora egli si burla del paese e si burla di noi, perché sa che questa è semmai musica dell' avvenire, non è musica del presente. ad impedirlo bastano le deliberazioni del Congresso americano . non giochiamo, onorevoli colleghi , sulle parole; non giochi, onorevole Pella, sulle parole. non ripetiamo la farsa del 1948, quando i democratici cristiani ed anche i socialdemocratici si presentarono al corpo elettorale , escludendo che esistessero accordi ed impegni di alleanza militare; ed un anno dopo erano parte integrante del patto atlantico tradendo il mandato che avevano chiesto al paese! la questione, onorevole ministro, è di importanza, è la più importante che si sia presentata al nostro paese da 10 anni in qua. prima della conferenza di Parigi, io proposi alla Commissione degli esteri che nessun impegno fosse assunto dal Governo senza il consenso esplicito del Parlamento, e che nulla di definitivo fosse concluso prima delle elezioni, prima che sulla questione si fosse pronunziato il corpo elettorale . in questo senso il nostro gruppo presenta alla Camera un ordine del giorno sul quale Governo e Camera avranno la opportunità di pronunziarsi fuori di ogni equivoco. l' ordine del giorno del nostro gruppo dice: « la Camera impegna il Governo a non compiere atto alcuno che pregiudichi la libertà di decisione del Parlamento nella questione della installazione in Italia delle rampe di lancio del missili balistici a media portata; ritiene necessario che la questione non venga in nessuna maniera pregiudicata prima delle prossime elezioni, lasciando su di essa la parola ultima e decisiva al corpo elettorale » . penso che per dei democratici che hanno la parola « democrazia » sulle labbra da mattina a sera rifiutare un impegno di questa natura sia impossibile senza mancare ai più elementari doveri democratici. ripeto che la questione è di importanza, è la più importante di quante si sono poste da 10 anni a questa parte. non comporta solo i rischi ai quali mi sono riferito, e che ci rifiutiamo di far correre al paese; non comporta solo spese che nessun governo serio potrebbe intraprendere quando, per esempio, la scuola va a rotoli, quando vengono al pettine i nodi dei palliativi con i quali la situazione economica e sociale del paese è stata affrontata negli ultimi anni: comporta grosse conseguenze di ordine internazionale, rimette in discussione il patto atlantico . già il nostro collega Tolloy, discutendosi nel luglio scorso il bilancio del ministero della Difesa , fece notare come, accettando in dotazione missili ed armi atomiche , noi incoraggiassimo obiettivamente lo scatenarsi nella nostra sfera strategica di una gara intorno a queste armi. io non so, onorevoli colleghi , se l' Albania abbia armi atomiche ; so che ne avrebbe domani ed avrebbe i più moderni e perfezionati razzi russi, se noi accettassimo di installare sul nostro territorio rampe per i missili americani. io non credo che la Jugoslavia abbia razzi o ogive nucleari; ma anch' essa ne avrebbe domani, qualunque ne fosse il prezzo politico , se noi ospitassimo razzi e ogive americane sul nostro territorio. vale a dire, onorevoli colleghi , che ogni atto comporta una serie di altri atti a catena. io non vedo l' interesse dell' America e non vedo soprattutto l' interesse nostro a scatenare nel Mediterraneo orientale e nell' Adriatico una fatale corsa alle armi della rappresaglia e dello sterminio. il nostro auspicio è che sorga nel cuore d' Europa la zona neutra o per lo meno la zona disatomizzata e che questa possa essere estesa alla Bulgaria, all' Albania, al nostro paese. il sistema sarebbe perfetto quando andasse dal Capo nord al Capo Passero creando una zona di disimpegno attraverso tutto il continente. ma la condizione pregiudiziale ad una iniziativa italiana in questo senso è il rifiuto delle armi di rappresaglia. ho detto che un impegno come quello di cui stiamo parlando riaprirebbe la discussione sul patto atlantico e sulla sua attuale validità. sempre, onorevoli colleghi , si è detto che il patto non comportava nessun automatismo esecutivo. tale è stata in più occasioni la tesi dell' onorevole De Gasperi , autore, con Sforza, dell' adesione italiana al patto atlantico . ed è vero che gli impegni assunti dall' Italia con il Protocollo di Washington del 4 aprile 1949 lasciano, almeno formalmente, al governo italiano , la libertà di accertare se si sia verificato il casus belli , se cioè un interesse vitale comune all' Italia sia così gravemente minacciato dall' aggressione armata altrui da giustificare l' impiego della forza armata per legittima difesa , sia individuale che collettiva. ora, le misure militari prese alla conferenza di Parigi, quando diventassero esecutive, andrebbero molto di là dall' articolo 5 del trattato nord-atlantico, il quale stabilisce bensì che un attacco armato contro una delle nazioni contraenti sarà considerato un attacco diretto contro tutte le parti, ma lascia alle parti di intraprendere immediatamente soltanto l' azione che giudicherà necessaria, ivi compreso — ripeto: ivi compreso — l' impiego della forza armata. del pari l' articolo 11 stabilisce che le disposizioni del trattato saranno applicate dalle parti in conformità con le rispettive procedure costituzionali. ma cosa diviene, onorevoli colleghi , l' articolo 5, cosa diviene l' articolo 11, a che cosa si riduce il nostro diritto di giudicare, qual è l' azione necessaria in conformità con la nostra Costituzione (la quale fra l' altro, esclude la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali), cosa diventa tutto questo, se, avendo alienato basi e porti e concesso rampe, avremo la guerra in casa prima che essa venga dichiarata? a che cosa si riduce la facoltà, che ci è riconosciuta sulla carta, di decidere sovranamente l' eventuale impiego delle forze armate , se avremo sul nostro territorio potenti mezzi di rappresaglia, affidati per il loro impiego, a comandi stranieri? signori del Governo, la questione è grossa e merita di essere approfondita. a termini dell' articolo 12 del patto atlantico , l' anno prossimo , cioè nel 1959, il trattato può essere sottoposto a revisione. io vi invito a valervi di questo diritto. ve lo impone la profonda modificazione sopravvenuta nello stato delle cose per ragioni politiche e soprattutto per ragioni militari (armi termonucleari missili a media e a lunga gittata, dalla decadenza dell' aviazione, eccetera). riassumendo, noi domandiamo al Governo di insistere sulla proposta inglese di un patto di non aggressione tra il blocco occidentale e quello orientale, come documento di portata politico-morale, preparatore degli sviluppi successivi della distensione. gli domandiamo di propugnare la formazione di una zona neutra che comprenda la Germania la Polonia, l' Ungheria, la Cecoslovacchia e della quale la proposta polacca di una zona disatomizzata potrebbe essere la fase iniziale. nella proposta laburista di una zona neutra l' Ungheria c' è. gli domandiamo di prendere le iniziative che giudica le più efficaci ed idonee per disatomizzare la nostra zona strategica, nel Mediterraneo orientale e nell' Adriatico. gli domandiamo un impegno per il disarmo, per l' interdizione delle armi atomiche e termonucleari, per il controllo, che deve accompagnarsi ad ogni seria politica di disarmo. gli domandiamo di favorire ogni iniziativa che tenda a regolare gli armamenti e gli obblighi internazionali delle due Germanie , come premessa alla loro riunificazione. gli domandiamo di mettere allo studio la questione della revisione del patto atlantico . su due punti della revisione l' accordo dovrebbe essere generale. il primo riguarda il diritto di ogni paese della alleanza ad esercitare il controllo assoluto delle armi atomiche e termonucleari, delle basi terrestri e marittime che servono all' impiego ed al trasporto di queste armi. il secondo punto deve sancire il potere esclusivo del Parlamento del paese in cui si trovano armi atomiche e termonucleari ad autorizzarne l' impiego. senonché, onorevoli colleghi , più di ogni singola iniziativa, vale lo spirito con cui un negoziato è intrapreso e condotto. chiediamo perciò al Parlamento di fare della ricerca dell' accordo tra i due blocchi di nazioni il punto base della nostra politica estera . solo così noi potremo contribuire, dopo tante illusioni, dopo tanti insuccessi e tanti errori, alla vittoria della pace. per concludere, una parola, onorevoli colleghi , sulla nostra posizione rispetto alla situazione in generale e rispetto ai problemi della pace nel loro complesso. le difficoltà e i rischi del presente momento non scuotono la nostra fiducia in una soluzione ragionevole e di compromesso. veniamo accusati di non aver di mira che una soluzione integralmente neutralista della posizione dell' Italia in Europa e nel mondo. in verità, senza nulla ripudiare dello spirito e della sostanza della battaglia neutralista di dieci anni or sono, siamo con i piedi nella realtà quanto basta per comprendere che il problema si pone in questo momento in un altro modo. già nel 1955, il nostro congresso, di Torino, assicurava il consenso del partito ad una politica estera che si attenesse ad una interpretazione rigidamente difensiva e geograficamente ben delimitata dal patto atlantico . non è colpa nostra, onorevoli colleghi , se abbiamo avuto a che fare con pavoni o con galletti atlantici invece che con governi e ministri capaci di intendere il senso e il corso della storia e capaci di concepire la politica estera come l' arte di tutelare gli interessi del popolo italiano e di svilupparne il benessere. si dice che noi siamo la eco delle proposte sovietiche. non è colpa nostra se l' iniziativa della politica dei negoziati appartiene alla Unione Sovietica . non vi è un idea, non vi è una proposta, non vi è una iniziativa, da qualsiasi parte sia venuta, da qualsiasi partito sia stata propugnata, che non abbia suscitato il nostro interesse e sovente il nostro consenso. i nostri autori, da un pezzo in qua, in materia di distensione sono i socialdemocratici scandinavi, sono i laburisti inglesi, sono i socialdemocratici tedeschi. non una delle loro iniziative è stata da noi lasciata cadere senza sottolinearne o l' importanza o le insufficienze. si dice che siamo isolati, e sul terreno dei principi è in parte vero, giacché siamo in effetti pressoché soli a tener fede al vecchio principio dell' internazionalismo socialista che rifiuta la ragione di Stato e rifiuta di identificarsi con la politica di potenza degli Stati. e tuttavia, onorevoli colleghi , sul terreno dell' azione quotidiana, sul terreno della critica, su quello dell' iniziativa concreta, da cinque anni in qua, l' onda dei consensi ci sta strappando dal nostro isolamento. partiti, movimenti che muovono da diverse posizioni ideologiche, parlano oggi il nostro, stesso linguaggio. i fatti ci danno ragione. tutto questo ci induce a considerare la situazione come grave, ma non come disperata; tutto questo ci fa credere ad un sempre più forte risveglio di iniziative e di energie contro la fallitissima politica delle posizioni di forza e contro la corsa al riarmo e all' arma assoluta. lavoriamo in questo senso, e lavoriamo di buona lena. siamo, onorevoli colleghi , nel mezzo di una prodigiosa rivoluzione scientifica. sembra che non vi siano più limiti al dominio dell' uomo sulla materia e sulla natura. lo sputnik che vola sulle nostre teste, annunzia la non lontana conquista degli spazi astrali e degli astri. gli esperimenti degli scienziati ad Harwell fanno ritenere non lontano il giorno in cui la potenza di calore e di energia del sole potrà essere prodotta e controllata dall' uomo nei laboratori scientifici. vivere codesta grande rivoluzione scientifica, che ne comporta una politica e sociale è oggi la più grande aspirazione dell' umanità, è la più grande delle nostre aspirazioni. chiediamo perciò una politica estera la quale concorra a liquidare la folle corsa degli armamenti per aprire più larga la via al progresso scientifico della produzione e del lavoro. chiediamo l' unione di tutte le buone ed oneste volontà, per ricacciare indietro le armi terroristiche della rappresaglia e della distruzione.