Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 650 - seduta del 17-10-1957
Informativa urgente del governo sugli incidenti avvenuti a Roma il 14 dicembre 2010
1957 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 413
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , se vi può essere un segno della crisi, come dice il nostro relatore, non della scuola, ma della coscienza nazionale in ordine ai problemi dell' educazione e della scuola, questo umile segno può essere dato da questo mio intervento, quando si tenga conto che non ho mai appartenuto alla eletta schiera di coloro che si sono occupati specificatamente del problema della scuola. in verità, proprio in questi mesi, se non in questi ultimi anni, è maturato in coloro che professionalmente si occupano di altri problemi, come i problemi dello sviluppo economico e tecnico del nostro paese, la sensazione che il problema della scuola ha preso una urgenza e una priorità che sarebbe delittuoso trascurare. e mi compiaccio che il collega Franceschini abbia tentato di costruire una sorta di ponte fra quelle che sono le fondamentali esigenze di uno sviluppo tecnico ed economico e quindi, implicitamente, culturale, e il problema in sé considerato della scuola e, costruendo questo ponte, abbia in certo senso fatto giustizia di alcune impostazioni del passato. in verità, infatti il problema dinanzi al quale ci troviamo è quello della corrispondenza della struttura, dell' ordinamento e delle possibilità della scuola alle necessità non solo dello sviluppo tecnico ed economico, ma anche culturale del nostro paese e della comunità internazionale di cui esso fa parte. l' onorevole Franceschini giustamente, nella introduzione alla sua relazione, ha cominciato a parlare di piano di lotta contro la disoccupazione, di schema Vanoni, di mercato comune . cioè egli, professore di scuola classica, ha dimostrato di essere consapevole che oggi, nella concezione del problema scolastico, bisogna andare al di là dei limiti tradizionali. e tutti, del resto, sentiamo ogni giorno che qualche cosa chiama la scuola alla comprensione di un problema più vasto, appunto di ordine tecnico ed economico, come ho detto. già nel piano Vanoni, dove si parlava della necessità di qualificare professionalmente circa 4 milioni di lavoratori, il problema era ampiamente impostato; ma più di recente è stata una relazione del professor Saraceno, presidente del comitato per lo sviluppo dell' occupazione e del reddito, ad affrontare questo problema con certezza di indicazioni. si tratta di una relazione presentata al presidente del Consiglio , nella quale si constata che l' Italia presenta (unica in Europa) considerevoli riserve di manodopera inutilizzata, del mercato comune in termini di una intensificazione e stabilizzazione delle correnti migratorie. naturalmente — osserva la relazione — questa prospettiva si lega intimamente e necessariamente ad una rinnovata politica di istruzione professionale. dal piano Vanoni e dalla primo impostazione del mercato comune possiamo andare poi ad un area ancora più vasta, perché, anche al di fuori dei paesi che faranno parte del mercato comune stesso, molte altre nazioni prevedono, per i prossimi anni, una crescente deficienza di manodopera qualificata, non solo, ma, altresì una crescente deficienza di elementi direttivi tecnici, amministrativi, economici e, in genere, culturali. se da questa visione più vasta e, direi, più concreta dei problemi della scuola noi passiamo alla realtà della situazione, poche cifre bastano ad allarmarci. per riferirci al problema più evidente e immediato, ancora nei mesi scorsi, esaminando le liste degli iscritti agli uffici di collocamento, si doveva accertare che in esse figurava ancora l' 8,71 per cento di analfabeti, il 38,42 per cento con frequenza elementare, il 48,27 per cento con licenza elementare soltanto, meno del 3 per cento con frequenza alle scuole di avviamento professionale o scuole medie. se da questa rilevazione, che risale a qualche mese fa, andiamo alla rilevazione di due anni fa, troviamo che l' 8,71 per cento di analfabeti, era, allora, il 7,96 per cento ; il 38,42 per cento con frequenza elementare era il 33,26 per cento ; il 48,27 per cento con licenza elementare era il 51,55 per cento . notiamo cioè assai trascurabili miglioramenti e talvolta peggioramenti in quella che è la condizione di istruzione dei nostri disoccupati. a me pare che si ponga qui un problema di fondo . quando saremo in condizione di spezzare la fatale catena per cui, trascurando l' istruzione e la preparazione professionale dei ragazzi nei loro primi anni, finiamo con l' avere, più tardi, disoccupati senza qualificazione? onorevole ministro, dobbiamo porci il problema della qualificazione professionale delle classi più povere e della giusta qualificazione professionale di coloro che hanno conseguito titoli superiori quando l' errore è già stato commesso, quando l' educazione professionale è già stata trascurata nel periodo più felice, quando il titolo accademico non serve più a nulla; o dobbiamo provvedere più tempestivamente? il quesito è importante per la seguente considerazione. la nostra struttura generale di vita economica, sociale, statuale, presenta, a mio modesto giudizio, molte imperfezioni, un quadro generale di non adeguamento alle condizioni di una civiltà moderna. noi troviamo moltissime difficoltà a procedere sui terreno delle riforme e possiamo tranquillamente dire che una riforma burocratica, per darci i risultati che noi auspichiamo, porterà via qualche decennio, se non alcuni decenni. possiamo tranquillamente dire che la stessa riforma tributaria iniziata dal compianto ministro Vanoni è ancora in uno stato di imperfezione, necessitando di una maturazione di coscienza civile che evidentemente bisogna saper preparare. per andare ad uno dei tanti campi rispetto a cui la nostra coscienza democratica è poco tranquilla, al campo previdenziale, possiamo constatare che una riforma del sistema previdenziale è di là da venire perché comporta una complessità di problemi non solo strutturali e tecnici, ma psicologici ed educativi, che non sono di immediata soluzione. in altri termini, questo nostro travaglio riformatore ci darà, in molti campi, delusioni e ci strapperà anni ed anni di lavoro. ma lo stesso accade a proposito della scuola, onorevoli colleghi ? incontriamo le stesse difficoltà? non sentite tutti che, affrontando in primo luogo, e alle radici, il problema della scuola, noi poniamo le basi di un profondo rinnovamento della vita economica, sociale, morale del nostro paese? onorevole ministro, che cosa ha da fare una concezione di questo genere — dalla quale è bene una volta per tutte che noi ci immedesimiamo — con quello che il collega Franceschini giustamente considera il maggiore errore da noi commesso in questo decennio, di avere cioè messo « sullo stesso piano e allo stesso livello tutti i problemi e di averli affrontati tutti con lo stesso encomiabile slancio sulla base dello stesso criterio, che fu quello della equa ripartizione, nei vari settori, delle spese comprese nel bilancio dello Stato » ? credo che tutti noi, a qualunque gruppo politico apparteniamo, dobbiamo fare un esame di coscienza e domandarci se questa impostazione (che è la stessa impostazione dell' attività di Governo) non sia stata responsabile della crisi in cui oggi la scuola si trova; chiederci se non dobbiamo cambiare radicalmente metodo, anche perché, da un punto di vista sia pure soltanto economicistico (né io, onorevoli colleghi , posso aspirare ad occuparmi dei problemi pedagogici che lascio alla altrui competenza), quell' errore ha avuto ed ha gravi ripercussioni nel campo economico-finanziario. dobbiamo considerare il problema della scuola anche come problema di produttività e di alta produttività nel tempo e riconoscere che nel passato abbiamo commesso un errore assai grave e che la continuazione di questo errore — che consiste nel porre la scuola nel quadro di problemi di puro equilibrio finanziario — ci potrebbe portare a conseguenze catastrofiche nell' immediato futuro. tutti noi, competenti di problemi della scuola nei loro aspetti pedagogici, economici e tecnici, dobbiamo fare uno sforzo notevole per collocare tali problemi al di sopra di altri, per portarli alla attenzione e alla responsabilità del paese in primo piano , nella loro prima evidenza. perché in fondo noi possiamo anche trascurare di fare un ponte o di migliorare una strada, possiamo trascurare di fare una magnifica stazione o di costruire un magnifico teatro: di queste necessità nella scala delle priorità noi possiamo ritardare la realizzazione. ma non possiamo evidentemente — e oggi dobbiamo rendercene conto — ritardare una soluzione esatta, completa del problema della scuola. non ve ne siete accorti nemmeno voi; altrimenti ne avreste parlato. comunque, non ha importanza. dirò al collega Franceschini che, in relazione a questa constatazione, nell' esame ulteriore non seguirò il suo itinerario. dopo la premessa fatta, non passerò alla trattazione esemplare, da lui condotta, del problema dell' istruzione professionale. mi atterrò ad un altro corso e partirò invece dalla istruzione elementare. onorevole relatore, noi ancora leggiamo, negli atti ufficiali, che esistono in Italia 4 milioni e mezzo di analfabeti. è una cifra imponente, ma rispetto ad essa dobbiamo fare qualche distinzione. l' analfabetismo o la scarsa qualificazione ed educazione professionale delle classi adulte li dobbiamo considerare fenomeni a sé stanti, fenomeni che vanno affrontati con determinati mezzi: saranno i corsi di qualificazione, saranno le scuole serali, saranno tutte le forme di educazione, di qualificazione con carattere di emergenza che abbiamo inventato in questi dieci anni. ma non dobbiamo confondere questo problema con quello della formazione dei giovani. se riusciamo a istruire da oggi in poi, compiutamente, i ragazzi, possiamo considerare l' analfabetismo o la scarsa qualificazione professionale come fenomeni contingenti e transeunti del nostro ordine economico e sociale . infatti, qualunque sia il numero dei disoccupati di età adulta non qualificati professionalmente, noi potremmo escogitare dei mezzi, dei tempi finanziari per assorbirli in un certo numero di anni (che deve essere il più corto possibile). ma per ottenere questo risultato e per circoscrivere il grave fenomeno sociale di cui ci occupiamo, dobbiamo impedire, fin da adesso, che i ragazzi di oggi siano i disoccupati analfabeti o non qualificati di domani. altrimenti non usciremmo dal circolo vizioso di una disoccupazione che mai si presenta con un minimo di istruzione e di qualificazione. è: inutile, onorevole Franceschini, che parliamo di piani di lotta contro la disoccupazione, delle possibilità del mercato comune , è inutile che il professor Saraceno ci ricordi che vi è carenza di manodopera qualificata e di tecnici e che noi disponiamo di una specie di fondo di riserva per le necessità altrui, se questo fondo di riserva è sempre un fondo di scarto, cioè formato di disoccupati, sottoccupati, analfabeti o assai male qualificati. lasciamo quindi da parte gli analfabeti e i disoccupati che hanno superato gli anni utili per la frequenza scolastica e stabiliamo un ordine particolare di misure per tale massa. ma affrontiamo, però, in pieno il problema di impedire l' ulteriore formazione di milioni di disoccupati non qualificati. probabilmente, fra 7-8 anni, avremo notevole possibilità di utilizzazione e di impiego di tecnici, di mano d'opera qualificata, e sarebbe imperdonabile non aver fatto nulla per rompere il cerchio che ci stringe. ma il quadro che, a tale riguardo, ci fornisce la relazione Franceschini è assai fosco. apprendiamo, infatti, da una rilevazione statistica in essa riprodotta, che, su circa un milione di alunni della prima elementare accertati nel 1950-51, solo il 62 per cento era arrivato alla quinta classe elementare. e sì che il 1950-51 rappresenta un anno in cui avremmo dovuto prendere piena conoscenza dei nostri problemi di sviluppo economico . che coincidenza abbiamo tra i piani, sia pure teorici, di sviluppo economico e questa realtà della nostra vita scolastica? nessuna. manca un parallelismo fra le nostre previsioni di sviluppo economico e la realtà della nostra condizione scolastica. ma quel 62 per cento che cosa è? è una media, il frutto di condizioni di normalità in certe regioni, di condizioni di spaventosa arretratezza in altre. infatti, se consideriamo le regioni meridionali — la Puglia, la Lucania, la Sicilia, la Sardegna — rileviamo, attraverso quella statistica, che arrivano alla quinta elementare circa il 45 per cento dei ragazzi, e nella disgraziata Calabria soltanto il 34 per cento . entriamo così nella maggiore delle contraddizioni in fatto di politica di sviluppo . è chiaro che il fenomeno del pieno impiego si va diffondendo nelle regioni settentrionali e una grande riserva di forze di lavoro continua ad accumularsi in tutta la grande fascia delle regioni centrali e meridionali. la necessità di completare il ciclo della scuola elementare , come preparazione ai corsi professionali, si manifesta quindi più alta nel Mezzogiorno e nel centro d' Italia e nelle zone depresse , perché è lì dove noi vogliamo attingere fra qualche anno, se i piani di sviluppo economico nazionale e internazionale avranno la loro concreta applicazione. ma è proprio nelle zone che hanno più alta la disponibilità di manodopera, che più basso è l' indice di compimento del corso d' istruzione elementare. ecco perché, onorevole Franceschini, non sono partito, nella mia disamina, dal problema dell' istruzione professionale. il fenomeno va colto ancor più alle radici, deve avere come punto di partenza la scuola elementare . so benissimo, onorevole ministro, che noi abbiamo applicato, in questi ultimi tempi, piani interessanti come il piano P. abbiamo fatto accertamenti, constatazioni, tentativi e conseguito miglioramenti. ma possiamo rimanere su prospettive circoscritte? possiamo non procedere ad una programmazione generale dello sviluppo dell' istruzione elementare nelle zone più depresse? possiamo trascurare tutti gli sforzi necessari perché il ciclo elementare sia seguito, dai ragazzi, ovunque? credo che nessuno possa avere dubbi in proposito. se, adesso, dalla scuola elementare passiamo alla scuola cosiddetta professionale, dobbiamo constatare che abbiamo avuto assai modesti miglioramenti. nell' intervista concessa di recente al settimanale Epoca, l' onorevole ministro ha dato cifre per dimostrare come il progresso, in questo campo, sia stato negli ultimi anni, notevole. ma è adeguato tale miglioramento alle prospettive, alle previsioni di sviluppo economico e, quindi, tecnico e intellettuale del nostro paese? il relatore, onorevole Franceschini, ha accennato che, attraverso le scuole professionali e i corsi assimilati, noi prepariamo circa 35 mila lavoratori. ora, possiamo noi fornire all' industria nazionale, che ha bisogno di centomila operai all' anno, solo un terzo di questa cifra? e gli altri due terzi ? e, se è vero che il mercato comune ci aprirà delle prospettive, se è vero che lo sviluppo economico di altre regioni potrà dar luogo a notevoli richieste di manodopera, in che modo noi potremo utilizzare queste possibilità? ho letto con la massima attenzione tutto l' importante capitolo che il collega onorevole Franceschini ha dedicato all' istruzione professionale e ho potuto constatare quanti encomiabili sforzi siano stati compiuti dallo Stato, dalle province, dai consorzi, da enti vari, da privati, per rimediare all' insufficienza dell' istruzione professionale. qui si tratta di separare — come ho detto — quella che è una politica contingente riguardante i disoccupati adulti non qualificati, da quella che deve essere una politica permanente di qualificazione della gioventù. se si fa questa distinzione, onorevole ministro, non credo che basti soltanto un' opera di coordinamento delle iniziative in atto, nel campo della istruzione professionale. noi dobbiamo creare, nel paese, la rete dell' istruzione professionale, la rete capillare dell' istruzione professionale. noi non possiamo rimanere fermi a questa specie di improvvisazione benefica, di pullulare benefico, di istituti professionali creati dove e come si può. bisogna che il ministero della Pubblica Istruzione abbia chiara l' impostazione delle necessità del paese e soprattutto adatti le strutture degli istituti professionali alle condizioni effettive, sociali, economiche delle regioni in cui tali istituti opereranno. occorrono vere e proprie rilevazioni di ordine statistico sugli sviluppi possibili, in previsione dell' emigrazione possibile, perché la rete degli istituti professionali possa servire agli scopi cui noi miriamo. se non v' è una programmazione di questo genere, onorevole ministro, noi rischiamo di rafforzare le possibilità di qualificazione professionale delle regioni più forti e di ulteriormente indebolire la condizione professionale delle regioni più deboli. e siccome le regioni più forti si sono avviate o si avvieranno presto o tardi al pieno impiego, noi avremo nel nostro paese fenomeni curiosi. oggi è difficile trovare un operaio qualificato in Inghilterra, come è difficile trovarlo a Milano o a Torino. ma il problema della possibilità di qualificare manodopera, dove la manodopera esiste, rimane insoluto com' è rimasto insoluto nel passato. dobbiamo estendere la politica della qualificazione professionale dalle regioni forti alle regioni deboli, se vogliamo fare una politica audacemente innovatrice. naturalmente, onorevoli colleghi , non mi addentro nella spinosa materia dell' istruzione superiore classica e tecnica, anche perché qui il conflitto fra umanisti e tecnici è tale da mettermi in soggezione. non vorrei meritare condanne aspre da parte di coloro che tengono alla tradizione umanistica della nostra scuola. credo che nella scuola tecnica vi potrà sempre essere l' educazione umanistica necessaria perché il tecnico sia un uomo completo. ma ciò non toglie che l' articolazione, la strutturazione della nostra scuola, secondo alcune necessità della vita moderna, sia un problema da risolvere senza rimanere troppo legati a schemi del passato. onorevole ministro, non dirò che i ginnasi e i licei sono troppi, ma che le scuole tecniche e gli istituti tecnici sono pochi. dirò di più: le scuole e gli istituti classici abbondano dove dovrebbero abbondare le scuole e gli istituti tecnici. in Italia si chiedono tante cose. il paese ha una sola giustificazione: che noi non lo illuminiamo sufficientemente su questi problemi, che rimangono sepolti nel deserto delle Aule parlamentari. onorevole ministro, io mi riferisco ad una provincia che ella conosce. ripeto, non ho niente contro i licei e le scuole classiche in genere. ma ella non può ignorare che a 19 chilometri da Bari vi è il liceo classico di Giovinazzo, a 6 chilometri da Giovinazzo vi è il liceo classico di Molfetta, a 6 chilometri da Molfetta vi è quello di Bitonto e a pochi chilometri ancora quelli di Corato, Andria, Barletta e, a sud di Bari, di Conversano, eccetera ora v' è una coincidenza strana fra diffusione delle scuole classiche e livello altissimo di disoccupazione manuale ed intellettuale. dobbiamo correggere queste situazioni? entro che limiti? data la mia non specifica competenza, onorevole ministro, posso dare solo qualche indicazione o rivelare qualche mio stato d'animo . ma lascio alla sua riflessione di esaminare se il problema della miglior articolazione della scuola rispetto ai prevedibili sviluppi del nostro sistema economico , e quindi sociale, e quindi morale — perché diventa morale quello che risponde ad uno sviluppo civile, non voglia una attenta considerazione. non credo che il problema sia soltanto di creare nuove scuole e nuove attrezzature. e non sono d' accordo con l' onorevole Alicata che il problema sia di semplici disponibilità finanziarie. v' è un problema di migliore strutturazione della scuola, di tagliare quello che è inutile, di trasportare quello che è inutile dov' esso è utile, di sviluppare quel che è utile là dove si perpetuano forme scolastiche inutili. se da questo quadro, assai sommario, della scuola elementare e media, noi passiamo al quadro universitario, non abbiamo migliori prospettive. la costruzione scolastica è incompleta e insufficiente alla base, incompleta e insufficiente in mezzo, ed è in pessime condizioni al vertice. ho sempre considerato l' espansione delle università uno dei tanti mali della vita del nostro paese. invece di avere poche università bene attrezzate, ogni piccola città d' Italia vuole avere la sua università, anche se male attrezzata, anche se con cattivi o mediocri insegnanti. onorevole ministro, non rispondo sempre degli attacchi del giornale. sto manifestando il mio personale convincimento, che probabilmente non coincide con quello di tutti gli esponenti della mia parte. onorevole ministro, non è solo un problema di riduzione delle università, di concentramento di sforzi, ma è anche un problema di adeguamento di sforzi. la inadeguatezza della scuola, in tutti i suoi gradi raggiunge la sua maggiore e più grave manifestazione nella impossibilità che hanno le università di preparare i giovani alle esigenze della vita tecnica moderna. se dalla scuola in se stessa passiamo a considerare i problemi collaterali degli insegnanti, della loro situazione morale, della loro situazione economica , della loro stabilità, della loro iscrizione ai ruoli, di un assistentato universitario degno e ben pagato, noi vediamo quanti problemi dobbiamo affrontare per avvicinarci ad un ordinamento degno. e accanto al problema degli insegnanti, abbiamo quello dei servizi e dell' edilizia scolastica, in condizioni penose ambedue. proprio per quanto ci riguarda l' edilizia, ella ricorderà, onorevole ministro, che qualche mese fa ha avuto luogo a Napoli una riunione dell' Associazione nazionale degli ingegneri ed architetti italiani. sono venute fuori cifre, per quanto riguarda l' edilizia nel campo della scuola elementare , della scuola media ed universitaria, che non fanno certo onore al nostro paese. a questo punto mi domando: che cosa dobbiamo fare? ho apprezzato lo sforzo del relatore per aprire degli spiragli, dei varchi, di vedere una possibilità di progresso: qui si guadagnano 2 miliardi.... ma poi se ne perdono 10; una legge qua, una legge là; un tamponamento qua, un tamponamento là. mi rendo anche conto dello sforzo dei colleghi di maggioranza e di opposizione per trovare vie di uscita, per risolvere determinati problemi. ma basta questo per essere assolti di fronte al paese e di fronte alla nostra coscienza? ieri, onorevole ministro, stando in casa di amici, ho seguito un dibattito trasmesso dalla televisione, dibattito presieduto dal professore De Francesco , al quale partecipavano il professor Lenti, il professor De Castro ed altri tecnici e docenti. si trattava della qualificazione universitaria. è stata la crudezza di questa discussione che mi ha colpito; lo scetticismo manifestato nei riguardi della capacità dello Stato di risolvere i problemi della scuola, mi ha veramente avvilito. se uomini come il professor De Francesco , il professor Lenti, il professor De Castro , credono che noi non saremo mai in grado né di comprendere, né di risolvere questi problemi, evidentemente non possiamo sperare più nell' entusiasmo di coloro che stanno nella scuola. ora, onorevole ministro, vorrei — se ella mi consente questa presunzione — darle coraggio. capisco che ella sarà sempre battuto in quella che il collega Franceschini chiamava all' inizio « la lotta per un' equa ripartizione delle spese comprese nel bilancio dello Stato » . ma bisogna che noi, ad un certo punto, riconosciamo la priorità del problema della scuola, bisogna che poniamo tale problema al primo piano della coscienza nazionale. ella non può lottare con il ministro del Tesoro , con il ministro della Difesa , con il ministro dei lavori pubblici , perché evidentemente sarà in parte vittorioso e in molta parte sconfitto. quindi ella già si considera in buona parte sconfitto. il quadro sommario della situazione della scuola elementare che è dinanzi ai nostri occhi pone una considerazione di ordine finanziario. noi partiamo da una scuola elementare nella quale mediamente il 62 per cento degli allievi può compiere il ciclo degli studi. che cosa occorre per far compiere al 38 per cento degli allievi il ciclo degli studi? non lo so. non so che ordine di problemi, che tempo, che programmazione, che sforzo finanziario comporta la soluzione del problema della scuola elementare . e se dalla scuola elementare passiamo all' istruzione professionale, all' istruzione media, ai problemi universitari, non so che tipo di strutturazione della scuola venga fuori e quali problemi di ordine finanziario bisognerà affrontare per avere un ordinamento adeguato ai bisogni. a me pare, onorevole ministro, che non solo noi, ma il paese deve sapere, al punto in cui siamo, queste cose. il paese deve sapere che cosa occorre perché la scuola risponda alle necessità che matureranno fra 5-10 anni. noi non possiamo assumerci responsabilità che possono essere estremamente gravi nel giudizio di domani. ma abbiamo la documentazione necessaria a completamente illuminarci? abbiamo un quadro completo di carattere informativo in base al quale discutere? non dico un disegno di legge , giacché comprendo che un Governo non può presentare disegni di legge , così, senza un' idea degli oneri che deve incontrare; ma una relazione che ci dica qual è la situazione reale almeno può essere compilata e diffusa. noi non possiamo affidare né al Tesoro né alla Difesa le ragioni della scuola, né al ministro della istruzione e ai membri delle Commissioni parlamentari il compito di « sfondare » in questo o quel settore. il Parlamento ed il paese siano posti di fronte alla vastità del problema della scuola. occorreranno molti miliardi? ebbene, il paese deve sapere che se vuole una scuola deve fare dei sacrifici finanziari notevoli. i privati e gli enti interessati al problema della scuola e che l' onorevole Franceschini vuole solidali con lo Stato in un' azione di sviluppo, devono sapere quali sacrifici sono necessari per la scuola. ella, onorevole ministro — me lo lasci dire — non è come i suoi colleghi: la sua responsabilità è molto maggiore. in quello che riuscirà a fare lei sta il segreto dell' avvenire, cioè del superamento di alcuni nostri gravi problemi attuali. le chiederò pertanto con un ordine del giorno un rapporto informativo sulla scuola. ho apprezzato ciò che l' onorevole Franceschini ha scritto sulla riforma Gonella, anche se non condivido tutto il suo entusiasmo. ma quel documento, che pure è tanto pregevole, oggi sarebbe insufficiente. quel ponte che l' onorevole Franceschini ha cercato di lanciare tra le necessità dello sviluppo economico , sociale, tecnico del paese e del mondo che ci circonda e la scuola, il ministero deve pur considerarlo. oggi il programma della scuola deve essere visto in previsione dei programmi di sviluppo. è impossibile prescindere da questo ed io chiedo al ministro dell' Istruzione di far sì che la scuola si adegui rapidamente alle esigenze di tale sviluppo. anche perché, onorevole ministro, in questo campo non si farà macchina indietro. se costruisce la soluzione del problema della scuola sulle previsioni dello sviluppo economico e tecnico delle civiltà odierne, ella non si sbaglierà. se sarà costretto a tagliare alcuni rami secchi della scuola classica, stia sicuro che non tornerà indietro in questo campo. lo sviluppo economico , se deve essere sviluppo economico , è condizionato sempre da progressi in una determinata direzione. quindi, il ponte tra le previsioni di sviluppo della nostra società e la scuola, questo ponte lo può costruire e sarà saldissimo. però bisogna che questa relazione vi sia perché si possa decidere qualche cosa. pensando al disegno di legge dell' onorevole Gonella sulla riforma della scuola, può ben dirsi che in esso è la seconda parte della riforma della scuola, ma non vi è, o non è per lo meno dimostrata, l' aderenza della riforma a quella che è la prospettiva di sviluppo della nostra società. e oggi, per avere una vera riforma scolastica , bisogna avere le due parti della costruzione e adeguare la seconda parte alla prima. le chiederò, onorevole ministro, una relazione esauriente. bisogna che ella di fronte a preoccupazioni assai diffuse, dica chiaramente ed esaurientemente di che cosa ha necessità la scuola per risolvere i suoi fondamentali problemi. se poi li potremo o no risolvere, con i mezzi disponibili, questo sarà oggetto di indagine e di meditazione ulteriori. ed avrei finito, onorevoli colleghi . ma non posso chiudere quest' intervento senza occuparmi del problema dei rapporti fra scuola di Stato e scuola privata . il collega Franceschini è stato nella sua relazione di una obiettività e di una signorilità notevoli, come del resto è sempre nel suo costume. ma, quando si è trattato di affrontare quest' ultimo tema, egli ha cominciato ad usare un linguaggio particolare. ha scritto, ad esempio, a proposito della mancata approvazione del disegno di legge Gonella, che sembrò arduo affrontare la rinascente tesi laicista, pernicioso quanto anacronistico veleno ad ogni seria impostazione dell' argomento » . è tornato a parlare, sempre a proposito di laicismo, di « termini anacronistici e inintelligenti » . ha trattato un certo idealismo in maniera non molto commendevole. oltre a quello. ho già avuto occasione di toccare — con la discrezione che è consentita dalla natura delle mie idee — questo argomento. per completare il ciclo, affinché non sia insincero verso me stesso e verso gli onorevoli colleghi , devo ritornarci in questa sede. onorevole ministro, so benissimo che la Costituzione non soltanto fissa l' obbligo del rispetto della libertà d' insegnamento, ma anche dell' iniziativa non statale in materia di scuola. però vorrei che questo problema lo vedessimo per quello che realmente è, nella sostanza. ella sa, onorevole ministro, che il Concordato ha disposizioni importanti, impegnative per lo Stato, in materia scolastica. si tratta degli articoli 36, 37 e 38. l' articolo 36 afferma: « l' Italia considera fondamento e coronamento dell' istruzione pubblica l' insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. e perciò consente che l' insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d' accordo tra la Santa Sede e lo Stato. tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dalla autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall' ordinario diocesano. la revoca del certificato da parte dell' ordinario priva senz' altro l' insegnante della capacità di insegnare. per il detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall' autorità ecclesiastica » . l' articolo 37 dispone: « i dirigenti delle associazioni statali per l' educazione fisica, per l' istruzione preliminare, degli avanguardisti e dei balilla, per rendere possibile l' istruzione e l' assistenza religiosa della gioventù loro affidata, disporranno gli orari in modo da non impedire nelle domeniche e nelle feste di precetto l' adempimento dei doveri religiosi. altrettanto disporranno i dirigenti delle scuole pubbliche nelle eventuali adunate degli alunni nei detti giorni festivi » . l' articolo 38 toglie allo Stato quasi ogni potestà in materia di nomine: « le nomine dei professori dell' università cattolica del Sacro Cuore e del dipendente istituto di magistero Maria Immacolata sono subordinate al nulla osta da parte della Santa Sede diretto ad assicurare che non vi sia alcunché da eccepire dal punto di vista morale e religioso » . quindi, già attraverso il Concordato, che fa parte integrante della Costituzione, noi abbiamo risolto molti gravi problemi e, soprattutto, il problema dell' insegnamento religioso. è evidente che quando uno Stato democratico , che ha l' obbligo di rispettare la libertà di coscienza dei cittadini, si impegna a favorire nelle scuole l' insegnamento della dottrina cristiana secondo la tradizione cattolica, tale Stato è arrivato al maggior punto di concessione. questa è una direzione in cui si è sviluppato l' accordo, la pace fra Stato e Chiesa e, direi, la nostra convivenza. possiamo svilupparlo in un' altra direzione, onorevole Moro? cioè, oltre a queste norme del Concordato, possiamo dare letterale applicazione alla norma 33 della Costituzione e riconoscere così estesamente le scuole private fino a demolire la scuola di Stato? chi si obbliga al massimo rispetto delle norme del Concordato, si mette in legittima apprensione quando, accanto alle norme del Concordato vede una interpretazione della libertà di iniziativa in materia scolastica assai pericolosa e soprattutto fatta da organi dello Stato . e dico francamente perché pericolosa. perché questa libertà di insegnamento non trova tutti in pari condizioni di partenza. ho qui un opuscolo con scritti suoi, onorevole ministro, dell' onorevole Gonella e di altri: « libertà e parità della scuola non statale nella Costituzione » . vi è citato l' articolo 33 e vi si afferma che la libertà di istituire scuole private è da considerarsi come altre forme di libertà essenziali, come strumenti di lotta contro il totalitarismo. no, onorevole Moro, non è così. la scuola statale è garanzia di parità di posizioni di partenza nello sviluppo delle varie ideologie e delle varie formazioni culturali e democratiche. in questo sta l' importanza fondamentale della scuola di Stato che deve essere assimilata ad altre forme di amministrazioni dello Stato, come la giustizia, che tutelano la convivenza democratica. non si può considerare la libertà di iniziativa privata nella scuola alla stessa stregua della libertà di iniziativa economica (della quale, quante limitazioni abbiamo trovato nella storia degli Stati democratici!). non si può fare questa assimilazione. noi non sottovalutiamo la forza della Chiesa e delle sue organizzazioni collaterali. sappiamo benissimo che uno sviluppo della libera scuola privata è affidata alle potenti organizzazioni cattoliche e che favorito dalla Democrazia Cristiana è uno sviluppo ideologico in un solo senso. non potete minarci alla base, cioè nella scuola. non potete minare la libera formazione delle coscienze. onorevole Moro, questo concetto della libertà astratta non corrisponde alla realtà delle cose. se il partito comunista avesse la potenza di organizzare scuole private, forse che voi sareste così inclini a riconoscere scuole private come lo siete adesso? potete misurare — ripeto — la pericolosità della vostra politica, quando la confrontate a quello che vi succederebbe nei confronti di un partito che ideologicamente combattete con grande vigore. ho già detto che l' organo ufficiale della Chiesa, l'Osservatore Romano , ha avanzato, a questo proposito, una teoria assai strana e cioè la teoria secondo la quale la Chiesa deve essere considerata come una libera associazione. ma, onorevoli colleghi , la Chiesa non è da considerare come una qualsiasi altra libera associazione: essa è un' entità spirituale di storica e sovrana importanza e di potere vastissimo. per queste condizioni essenziali che caratterizzano la Chiesa, non è valida la teoria della Chiesa come libera associazione in seno allo Stato. nessuna libera associazione ha il potere di fare un Concordato che presuppone una potenza non solo spirituale, ma un' organizzazione e un' influenza che superano i confini stessi dello Stato. di conseguenza, una politica della scuola che sia guidata dall' idea di assicurare scuole alle organizzazioni ecclesiastiche, alla lunga spegne la democrazia nel nostro paese. quando l' articolo 36 del Concordato afferma che i programmi religiosi devono essere stabiliti d' accordo con la Santa Sede , lo Stato assume la figura di una controparte e tale deve rimanere in questa sua posizione ne! la dialettica relativa all' applicazione del Concordato. siete voi in questa posizione dialettica? dirò con molta franchezza che, se noi analizziamo tempestivamente i problemi da me posti, forse sarà possibile evitare il verificarsi di una situazione che considero assolutamente non augurabile. accennavo a due direzioni in cui sono tutelati gli interessi religiosi, riferendomi alle norme del Concordato ed alla politica verso la scuola privata . ma vi è un terzo elemento. nella scuola si lamenta che la selezione nel campo degli insegnanti comincia ad essere orientata sullo schema di un certo esclusivismo ideologico. e questo è una terza leva che considero estremamente pericolosa per la scuola... ho parlato di una lamentela che corre negli ambienti scolastici. comunque non insisto su questo punto, riservandomi di portare le prove, quando intendessi approfondire l' argomento. per concludere, onorevoli colleghi della Democrazia Cristiana , voi non potete negare che la tradizione laica e civile della scuola italiana, dal Risorgimento in poi, è stata nelle sue manifestazioni una altissima tradizione. voi potete avversare Francesco De Sanctis , per incominciare da lui, e Benedetto Croce , ma ciò non toglie che la via che essi hanno tracciato nel nostro paese è una via nobilissima, la tradizione per la quale l' Italia è stata culturalmente in primo piano nel consesso delle nazioni civili. voi non potete negare che, quando coloro che voi chiamate laici o laicisti hanno onorato lo storico cattolico Gaetano De Sanctis , non si sono affatto ricordati della sua ideologia e si sono ricordati soltanto di un pensatore e storico insigne, che aveva dalla sua i diritti ed i certificati di nobiltà del pensiero. e quando noi, laici, leggiamo Mauriac, insigne cattolico, noi lo sentiamo vivo nella battaglia polemica e civile della democrazia, perché egli combatte nel campo di una cultura assai ricca ed articolata dal punto di vista ideologico. in lui e in insigni cattolici noi sentiamo un mondo culturale diverso e, nello stesso tempo, collegato al nostro e da questa contrapposizione e collegamento insieme e dal dibattito polemico che ne segue, nasce il progresso della nostra civiltà e si forma quello che chiamiamo il patrimonio ideale della democrazia. onorevoli colleghi , bisogna stare attenti. se la cultura cattolica, dentro e fuori la scuola, non ha questo sentimento dialettico nei riguardi dell' altra cultura, quella che chiamate la cultura laica, e non rispetterà la parità dei punti di partenza e dei campi reciproci di azione, la nobile tradizione della cultura italiana ne soffrirà ed anche la vostra cultura diventerà un piatto e sterile conformismo. cioè la cultura cattolica perderà di tanto di quanto forzatamente perderà la cultura laica. onorevoli colleghi democristiani, voi vivrete in quanto il mondo che noi rappresentiamo è vivo. voi sarete vivi in quanto noi saremo vivi. ma, se noi saremo oppressi, con mezzi diretti od indiretti... se noi saremo oppressi con un' opera che potrebbe definirsi di penetrazione programmata, ciò, alla lunga, danneggerà anche voi, e non solo noi. questo è il senso del mio discorso. dobbiamo acquistare tutti la coscienza dei problemi che ci riguardano e dei limiti che devono essere segnati alla nostra azione. vi invito a riflettere sulla situazione e sulle conseguenze di una certa vostra azione. non vorrei che il punto di massima contesa fosse proprio la scuola e la cultura, che sono il fondamento della democrazia. o noi crediamo alla democrazia, e quindi, al di fuori delle nostre particolari idee, crediamo al valore essenziale della polemica ideologica e culturale; o non crediamo alla democrazia, o crediamo a una democrazia puramente apparente, e allora certe battaglie che sono state condotte nel passato non hanno e non acquistano per me significato. ecco che un discorso generale sulla scuola si è concluso con una finale battuta non polemica, ma di chiarificazione. e di ciò mi scuso.