Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 605 - seduta del 23-07-1957
Sfiducia al Governo
1957 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 408
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , signor ministro, nell' esaminare i due trattati sottopostici e soprattutto quello del mercato comune , non mi soffermerò a parlare dei presupposti politici che, almeno per noi europeisti, sono già da tempo fissati, anche indipendentemente dalle vicende della politica internazionale e dai rapporti fra i due grandi paesi che oggi dominano la scena del mondo, gli USA e l' Unione Sovietica . a tal riguardo non può essere accettata, da nessun punto di vista , la tesi politica della minoranza, esposta dal collega Berti. questi trattati non sorgono in un momento di tensione fra i due blocchi , ma piuttosto in una fase di relativa distensione o, per lo meno, in un momento in cui si tenta di creare le condizioni per una relativa distensione. ciò dimostra che la loro urgenza non e condizionata da uno stato di tensione, ma rimane tale anche in una fase di cosiddetta distensione. creare questo mondo europeo, attivarlo, vivificarlo. organizzarlo sia dal punto di vista politico sia da quello economico, è una necessità in senso assoluto, si abbia una tensione o si abbia una distensione, questa essendo l' unica maniera di sopravvivere che ha l' Europa e di essere — come abbiamo più volte affermato in quest' Aula — non più oggetto, ma soggetto di politica internazionale . in questa immutabile cornice politica, dunque, io mi occuperò dei problemi strutturali dei due trattati, per stabilire che cosa essi apportino di nuovo, in che cosa facciano progredire l' idea e le aspirazioni europeistiche, in che non le sodisfino. dirò, per cominciare, che il nostro giudizio complessivo non può essere tranquillamente sicuro. vi sono, nel trattato per la comunità economica europea, punti acquisiti di grande valore. soprattutto, è stato affermato il concetto, al quale io credo, che la costruzione politica europea presupponga la soluzione dei suoi problemi e dei suoi contrasti economici e sociali. veramente qui, per usare un linguaggio deterministico, i problemi della struttura economica devono necessariamente condizionare i problemi della formazione politica . i due trattati rappresentano un reale progresso perché continuano quella marcia sul terreno economico che, come diceva l' onorevole Malagodi, noi abbiamo sperimentato già, in questo dopoguerra, attraverso l' opera dell' OECE e della Comunità del carbone e dell' acciaio . vi è anche un altro elemento positivo fondamentale. finalmente noi usciamo dalla politica per settori, ed entriamo nella visione e nella concezione totale del problema del mercato comune , cioè della riorganizzazione strutturale dell' economia europea in tutte le sue ramificazioni e manifestazioni. noi andiamo al cuore del problema economico dell' Europa o, se volete, dei sei paesi che costituiscono la cosiddetta piccola Europa. ma vi sono altresì elementi negativi. che abbiamo il dovere di tenere presenti e di mettere in luce. in definitiva, che cos' è questo problema del mercato comune inteso nel senso più vasto? è la trasformazione di una struttura ristretta e superata in un' altra struttura più vasta e tecnicamente ed economicamente più efficiente: è la modificazione di un equilibrio esistente per la creazione di un equilibrio nuovo e più vasto. ora, secondo quali schemi generali può essere, da un trattato, affrontata tale questione? questo mi pare il primo quesito che noi dobbiamo porci: quali schemi noi abbiamo per caratterizzare un trattato che tenda alla modificazione di un sistema strutturale? secondo me, noi abbiamo due schemi fondamentali, ai quali corrispondono due tipi di trattato. con un primo schema, si modifica il vecchio equilibrio attraverso una serie di norme automatiche estremamente rigorose, che noi possiamo chiamare liberalizzazione rispetto al vecchio, più ristretto equilibrio. le norme automatiche hanno scadenze, anche prolungate nel tempo, ma scadenze rigorose. ad ogni scadenza il vecchio equilibrio viene modificato e si crea un nuovo equilibrio. è una specie di macchina che opera alla modificazione dell' equilibrio preesistente con inflessibilità. a questo tipo di trattato, con norme automatiche molto rigorose, corrisponde, a mio giudizio, un potere centrale « riequilibratore » molto forte. e ne è evidente la ragione. se noi modifichiamo con inflessibilità un equilibrio vecchio, possiamo anche supporre (al di là di certi effetti compensatori) che si producano zone di crisi, di squilibrio di dissesto economico. ed ecco perché il potere centrale deve avere una forte capacità di azione « riequilibratrice » : perché, determinandosi l' equilibrio nuovo e quindi la possibilità di crisi in settori più o meno vasti, il potere centrale usi le sue capacità riequilibratrici, non per ripristinare le vecchie condizioni, ma per rimediare agli inconvenienti dei nuovo equilibrio. questo tipo di trattato, secondo me, è preferibile perché ha il semplice costo di trasformazione dall' equilibrio vecchio all' equilibrio nuovo, senza il costo del ritorno a vecchi equilibri, ed un potere centrale sufficientemente forte per intervenire a sanare i punti deboli e critici della nuova situazione. abbiamo esempi concreti di realizzazione di questo schema di trattato, di questo congegno così rapido, così automatico, così inflessibile e con poteri centrali così rilevanti? secondo me abbiamo un esempio siffatto, un esempio illuminante e quasi già convalidato, nel trattato che ha istituito la Comunità del carbone e dell' acciaio . onorevole Pella, ella è stato presidente dell' Assemblea di questo organismo: se noi rileggessimo oggi insieme e meditassimo il trattato della CECA e lo paragonassimo al trattato sulla comunità economica europea, ci accorgeremmo immediatamente come esso risponda allo schema da me descritto. noi abbiamo nel trattato sulla Comunità del carbone e dell' acciaio norme automatiche, spaziate nel tempo ma inflessibili e irreversibili. l' articolo 4 di quel trattato è, ad esempio, di una incisività assoluta. in esso è detto che sono riconosciuti incompatibili col mercato comune del carbone e dell' acciaio e, in conseguenza, sono aboliti e vietati nei modi previsti dal presente trattato: a) i dazi di entrata o di uscita, o le tasse di effetto equivalente, e le restrizioni quantitative alla circolazione dei prodotti; b) le disposizioni o i sistemi che creino una discriminazione fra produttori, fra acquirenti, o fra consumatori; c) le sovvenzioni o gli aiuti accordati dagli Stati o gli oneri speciali da essi imposti sotto qualsiasi forma; d) i sistemi restrittivi tendenti alla ripartizione o allo sfruttamento dei mercati. norme automatiche a scadenza scaglionate nel tempo assicurano il raggiungimento di questi obiettivi con assoluto carattere di irreversibilità. e quando per esempio l' articolo 86 del trattato sulla Comunità del carbone e dell' acciaio vuol fare qualche eccezione, non ne fa per i principi che caratterizzano il mercato comune . è detto in quell' articolo: « gli stati membri si impegnano ad astenersi da qualsiasi misura incompatibile con l' esistenza del mercato comune contemplato dagli articoli 1 e 4 » . tutto il trattato è concepito secondo lo schema fondamentale della sua irreversibilità quando, alle scadenze determinate, si sono create le condizioni che caratterizzano l' esistenza e il funzionamento di un vero e proprio mercato comune . le conseguenze? il potere centrale, l' Alta Autorità , ha una capacità di decisione ed una possibilità di intervento che è in relazione diretta all' automatismo e alla irreversibilità del processo di creazione del mercato comune . in altri termini, il congegno liberalizzatore per il passaggio dal mercato ristretto al mercato più vasto è rigorosamente automatico. ma in correlazione, il potere dell' autorità centrale è altrettanto forte. basta considerare al riguardo tutto il sistema delle norme che portano l' Alta Autorità ad aiutare la trasformazione industriale all' interno e all' esterno dei prodotti controllati; basta considerare le disposizioni sugli aiuti, sui prestiti, sul riadattamento e sul reimpiego della manodopera, le importanti norme relativi ai prelievi perequatori, e simili. se vi sono squilibri nel mercato della CECA, l' Alta Autorità può prelevare delle quote su alcune industrie e dare contributi ad altre industrie a costi più gravosi, quando questi costi più alti derivino da una condizione naturale della produzione (miniere a costo marginale più alto e che, per determinate ragioni, non possono essere immediatamente chiuse, eccetera). ma vi è, accanto a questo, un secondo tipo di schema a cui si può adattare un trattato che intenda modificare strutture economiche esistenti. in questo secondo schema, non si hanno norme automatiche liberatrici inflessibili, almeno non si hanno nell' estensione necessaria, perché si passi rapidamente dalla struttura di un mercato ristretto a quella di un mercato più largo. ma correlativamente non si ha neanche un potere centrale munito delle facoltà e delle possibilità riequilibratrici che sono in relazione all' automatismo di rottura delle strutture tradizionali. è il caso, mi pare, del trattato sulla comunità economica europea. il pericolo di un trattato così concepito consiste nel fatto che esso non guarda sempre avanti, ma si riserva la possibilità di guardare o di tornare indietro: non rimedia all' eventuale situazione parziale di crisi creata dal nuovo equilibrio con mezzi che non riportino al vecchio equilibrio: ma si riserva la possibilità di questo ritorno. non so se ho reso chiara l' idea di questi due schemi fondamentali che possono caratterizzare i trattati relativi al mercato comune . come ho detto, la mia preferenza va al primo tipo di trattato. qualsiasi passaggio da una struttura antiquata ad una struttura nuova ha un costo di trasformazione che bisogna affrontare: il potere riequilibratore serve a diminuire non i costi, ma l' incidenza di questi costi su determinate categorie o su determinati settori economici. quando un trattato è concepito con poche norme automatiche, con scarso potere centrale e con la possibilità di ripiegare sul vecchio equilibrio, vi è, secondo me, accanto a un costo di trasformazione, un possibile costo di ritrasformazione, come, del resto, è stato messo in evidenza da tutti gli oratori: dall' onorevole Riccardo Lombardi allo stesso onorevole Malagodi, il quale affermava che in definitiva gli operatori economici preferiscono subire un costo di trasformazione sapendo di andare incontro a un nuovo equilibrio, che subire costi alterni di trasformazione e di ritrasformazione, passando da vecchi equilibri a nuovi e da nuovi a vecchi. per dare un esempio di questo secondo tipo di struttura, basta che io mi riferisca al congegno di liberalizzazione degli scambi dell' OECE. nella storia della liberalizzazione dell' OECE, noi abbiamo continuamente assistito al fenomeno di un progresso liberalizzatore e di repentini regressi da parte di questo o quel paese, ciò che determina costi di trasformazione per adattarsi ad un mercato più liberalizzato e costi di ritrasformazione per tornare ad un mercato più ristretto. l' esempio più recente ci viene dalla Francia, ma ci è venuto dall' Inghilterra, dalla Germania, o da altri paesi sicché il principio della liberalizzazione ha funzionato come una navetta anche se, nel complesso, ha determinato reali progressi. dicevo che il trattato sul mercato comune che noi stiamo esaminando (il trattato sull' ENAL si avvicina di più alla struttura del trattato della CECA) rimanda al secondo degli schemi che ho brevemente illustrati. ed è questo il suo grave punto di debolezza, come cercherò di dimostrare. tutti hanno osservato che la parte che riguarda l' unione doganale è nel trattato, la più rimarchevole, perché è la più automatica; ed è la più certa, perché sia pure in un lungo spazio di tempo, — e qui il tempo non conta, contano il senso e la direzione della marcia — crea un processo irreversibile. in effetti, questo è vero, limitatamente al campo dei prodotti industriali. in altri termini, abolizioni di dazi e norme restrittive non si hanno nel campo di tutta la produzione ma nel campo specifico dei prodotti industriali. se noi, infatti, esaminiamo l' applicazione dello stesso congegno di unione doganale nel campo agricolo, constatiamo che esso sostanzialmente si dissolve. si dissolve attraverso che cosa? in verità, il trattato afferma che le norme sulla riduzione dei dazi e dei contingentamenti si applicano anche al campo dei prodotti agricoli. però, nell' articolo 44 vi è una riserva fondamentale. tale articolo dice: « nel corso del periodo transitorio, sempreché la progressiva abolizione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative tra gli stati membri sia suscettibile di condurre a prezzi tali da compromettere gli obiettivi fissati dall' articolo 39, ciascuno stato membro ha facoltà di applicare per determinati prodotti, in modo non discriminatorio e in sostituzione dei contingentamenti, in misura che non ostacoli l' espandersi del volume degli scambi previsti dall' articolo 45 paragrafo 2, un sistema di prezzi minimi al di sotto dei quali le importazioni possono essere temporaneamente sospese o ridotte, ovvero sottoposte alla clausola che tali impostazioni avvengano a un prezzo superiore al prezzo minimo fissato per il prodotto in questione » . ora, onorevole ministro, dov' è il mercato comune dei prodotti agricoli, o per lo meno l' unione doganale per la produzione agricola?... non esiste. perché nel momento in cui faccio cadere con la gradualità stabilita dall' unione doganale i dazi e i contingenti ed applico un prezzo minimo, è come se ripristinassi dazi e contingenti. il significato del prezzo minimo è di rendere del tutto superflua la protezione doganale e il contingente (è vero, onorevole Lombardi?), bastando il prezzo minimo stesso a porre fuori mercato le produzioni concorrenti. grave è poi che sia annessa al trattato una tabella dei prodotti che possono essere sottoposti a questo regime di prezzi minimi, che è il regime più protezionista che io conosca, tabella che comprende quasi tutti i prodotti agricoli di grande importanza. ma il trattato precisa che nei due anni seguenti alla sua entrata in vigore la tabella può essere arricchita. trovo strano che in un trattato di liberalizzazione del mercato agricolo si possa financo aggravare la situazione attuale, contraddicendo allo spirito stesso del mercato comune . ma vediamo che fine fa questo sistema dei prezzi minimi e se veramente esso cessa, come dichiara l' onorevole Martino, alla fine del periodo transitorio. il paragrafo 2°) dell' articolo 44 dice: « i prezzi minimi non devono avere per effetto una riduzione degli scambi esistenti fra gli stati membri al momento dell' entrata in vigore del presente trattato, né ostacolare un progressivo estendersi di questi scambi. i prezzi minimi non devono essere applicati in modo da ostacolare lo sviluppo di una preferenza naturale fra gli stati membri » . norma saggia ma che dovrebbe potersi concretizzare. il paragrafo 3°) incarica il Consiglio dei ministri di fissare norme obiettive cui gli Stati si dovrebbero attenere nella determinazione dei prezzi minimi. ma vi è un guaio: il Consiglio deve fissare le norme obiettive, deliberando nel corso dei primi tre anni all' unanimità. onorevole ministro, ella sa per esperienza che tutta l' espansione di certe nostre esportazioni agricole ha trovato il maggiore ostacolo proprio in questa pratica dei prezzi minimi o di norme restrittive equipollenti (calendari eccetera). come fare a trovare l' unanimità per norme obiettive sullo stabilimento dei prezzi minimi che garantiscano il nostro interesse? ma non è ancora finito. il paragrafo 4°) dello stesso famigerato articolo 44 dice: « fino a quando non abbia effetto la decisione del Consiglio, i prezzi minimi potranno essere fissati dagli stati membri , a condizione d' informarne preventivamente la Commissione e gli altri stati membri » . quindi, se non si arriva a un criterio obiettivo per la fissazione dei prezzi minimi, ciascuno Stato può fare quel che vuole. vediamo adesso se vi è almeno una scadenza per questo sistema altamente protezionistico dei prezzi minimi, perché, se vi fosse noi potremmo dire che l' unione doganale , in materia di prodotti agricoli, è stata solamente postergata nel tempo. ma il paragrafo 5°) dello stesso articolo recita: « a decorrere dall' inizio della terza tappa e qualora non fosse stato ancora possibile stabilire per determinati prodotti i criteri obiettivi precisati, il Consiglio deliberando a maggioranza qualificata su proposta della commissione, può modificare i prezzi minimi applicati a questi prodotti » . cioè, può intervenire a maggioranza qualificata alla fine della terza tappa, cioè quasi alla fine del periodo transitorio. ed il paragrafo 6°) conclude: « alla fine del periodo transitorio, si procede ad un rilevamento dei prezzi minimi ancora esistenti. il Consiglio, deliberando su proposta della Commissione a maggioranza di 9 voti secondo la ponderazione prevista dall' articolo 148, paragrafo 2, primo comma, fissa il regime da applicare nel quadro della politica agricola comune » . onorevole Martino, alla fine del periodo transitorio vi possono essere ancora dei prezzi minimi. noi non sappiamo con questa deliberazione del Consiglio a maggioranza di 9 voti... le risponderò. dicevo che non sappiamo se alla fine del periodo transitorio il sistema dei prezzi minimi sarà soppresso oppure riconvalidato. se debbo stare ad una interessante tabella di scadenze pubblicata dal giornale Le Monde , debbo notare che, per quanto riguarda l' agricoltura, tale tabella dice. « al 31 dicembre 1972, cioè alla scadenza di tutto il periodo transitorio, il consiglio fisserà. il regime definitivo per i prezzi minimi nel quadro della politica comune » . vorrei sapere, onorevole ministro, se questa interpretazione de Le Monde , secondo cui nel 1972 si potrà riconvalidare il sistema dei prezzi minimi, è esatta. perché se lo è, questo mercato comune dei prodotti agricoli mi pare inesistente o rinviato alle calende greche . la liberalizzazione e la creazione di un grande mercato comune di prodotti industriali sarà una realtà dopo un certo periodo; la liberalizzazione e la creazione di un grande mercato comune dei prodotti agricoli resterà quasi un' aspirazione. quali sono le conseguenze, dal nostro punto di vista , di una politica agricola di questo genere? e chiaro che c' è una solidarietà di settori agricoli di vari paesi nel mantenere una posizione protezionistica. noi l' abbiamo sperimentato durante l' applicazione della liberalizzazione. gli attacchi più gravi alla liberalizzazione non sono venuti dai settori industriali o, se sono venuti da essi, sono stati accompagnati da attacchi violentissimi dei settori agricoli. di quali settori? del settore lattierocaseario, del settore zootecnico, di certi settori ad agricoltura industrializzata. noi stessi, quindi, abbiamo un campo di produzioni agricole che non ha interesse alla creazione del mercato comune e che immediatamente si trincererà dietro la possibilità di una politica di prezzi minimi. e con quali settori di agricoltura europea, questi nostri settori solidarizzeranno in una politica protezionistica? noi lo sappiamo per esperienza quale è la politica protezionista degli altri paesi in materia di agricoltura. la possiamo incontrare nel campo della zootecnia, del settore lattierocaseario. ma non sono i settori più importanti. dove la politica protezionista degli altri paesi ha sempre raggiunto l' acme ed ha costituito sempre grave inceppo allo sviluppo delle nostre esportazioni, è stato nel campo soprattutto delle colture specializzate ortofrutticole. onorevole ministro, chiunque è pratico di accordi commerciali sa che quando si tratta con la Germania, col Belgio, con la stessa Francia, si va incontro alle pretese protezionistiche dell' ortofrutticoltura di tali paesi: sono paesi che hanno una agricoltura specializzata di alto costo che essi difendono contro la nostra agricoltura, a condizioni naturali più favorevoli. noi ci troviamo a subire così una posizione molto grave per certi nostri settori agricoli. il mercato comune dovrebbe significare prima o dopo lo smobilizzo dell' agricoltura ad alti costi dei paesi che non sono favoriti naturalmente nella coltivazione di pomodori o uva da tavola o frutta. il mercato comune dovrebbe cioè distruggere l' agricoltura ad alto costo. e probabilmente noi possiamo pagare un certo prezzo in alcuni settori industriali od agricoli, proprio per il vantaggio che ci deriverebbe dalla riduzione od abolizione di certe colture europee ad alto costo. invece, qui ci troviamo di fronte alla barriera, legalizzata nel trattato, non di un dazio doganale, non del solo calendario (ella sa che i paesi i quali hanno questa agricoltura ad alto costo fissano un calendario, cioè una stagione nella quale è vietata l' importazione di produzioni concorrenti), ma dei cosiddetti prezzi minimi, che costituiscono a mio giudizio l' arma più completamente protezionistica che si possa usare per impedire la formazione del mercato comune . d' altra parte — e vengo ad un problema grave che si riconnette allo sviluppo stesso del piano Vanoni e del piano di lotta contro le aree depresse — che cosa noi possiamo dare in prospettiva alla nostra agricoltura povera nella eventualità della trasformazione in agricoltura specializzata, cioè in ortofrutticoltura, in viticoltura, in olivicoltura? al fondo di tutta la nostra politica agricola delle bonifiche, della riforma fondiaria , di tutte le opere di trasformazione, vi è appunto la diffusione di un tipo di agricoltura che noi riteniamo possa, con il suo sviluppo, contribuire ad attirare lo scambio tra prodotti agricoli ed industriali nell' ambito dell' Europa. al limite noi vogliamo sviluppare una attività che fu quella della California negli USA. io non credo che a New York o a Boston si coltivino pomodori in serra, come si coltivano oggi nel Belgio. non credo che ciò avvenga in un vasto mercato unificato. può invece avvenire nel nostro caso. noi trasformiamo la nostra agricoltura, ed i paesi che dovrebbero stabilire la complementarietà con noi, continueranno a coltivare uva da tavola in serra difendendosi attraverso la pratica dei prezzi minimi. è vero che l' articolo 44 del trattato ammettendo i prezzi minimi, aggiunge che non bisogna pregiudicare lo sviluppo di questa complementarietà e non si deve peggiorare la situazione. ma, onorevole ministro, poniamo il caso che un contadino renano trasformi la sua terra e si metta a produrre uva da tavola estendendone la coltivazione; evidentemente egli si copre col prezzo minimo rispetto alla nostra concorrenza. con quali norme del trattato noi possiamo impedire che non solo si mantengano le colture artificiose esistenti, ma che esse addirittura si estendano? nel campo industriale ciò non avviene: ogni struttura industriale deve scontare la cessazione dei dazi e dei contingenti, quindi si deve adeguare al costo medio del mercato comune . ma nel campo agricolo a quale costo ci si adeguerà? a quello coperto dalla protezione. è vero che il trattato prevede un' organizzazione europea per i prodotti agricoli. ma queste non sono norme automatiche. sono dichiarazioni d' intenzione. i prezzi minimi restano e le norme automatiche che dovrebbero garantire la cessazione del protezionismo agricolo e riequilibrare il mercato sono di là da venire. d' altra parte è prevista nel trattato la possibilità di una deliberazione a maggioranza semplice per far cessare la pratica dei prezzi minimi. ma la Germania ha quattro voti e, nel campo dei prezzi minimi, dato che essa sviluppa un' agricoltura specializzata ad alto costo, voterà precisamente per essi, cioè per il mantenimento dei prezzi minimi. il Belgio — e arriviamo con i suoi altri due voti a sei — difenderà pure il mantenimento dei prezzi minimi. la Francia! crede ella, onorevole ministro, che la Francia si porrà contro la politica dei prezzi minimi? arriviamo a dieci voti. vi sono poi i quattro voti italiani, i quali si divideranno e se due andranno pure ai prezzi minimi, ve ne saranno due altri che andranno a favore di quella agricoltura a tipo espansionistico che è propria delle aree depresse. è esatto. ma il delegato italiano voterà per un compromesso, come è avvenuto per il trattato; voterà cioè per un compromesso fra i due tipi della nostra agricoltura, quella in espansione e quella conservatrice, che si copre con la protezione. questa, onorevole Martino, è una questione puramente formale. io ho voluto dire che esiste un contrasto di interessi nel voto italiano. stiamo alla sostanza della politica, non alla forma. la sostanza vuol dire che noi faremo una politica di espansione del mercato agricolo e quindi non troveremo la maggioranza necessaria per rompere il sistema protezionistico in agricoltura. è un grave elemento di disturbo questo, onorevole ministro. se noi consideriamo che l' equilibrio economico di un paese è rappresentato dalla sua forza industriale ed agricola, dobbiamo considerare che quanto più un paese è fondato su queste due forze, tanto più si troverà in difficoltà rispetto a questi problemi. ecco dunque che il preteso automatismo dell' unione doganale ha, nello stesso campo dei prodotti, limiti ben marcati. se noi andiamo nel campo della liberalizzazione delle forze del lavoro , noi abbiamo, sì, alla fine del periodo transitorio la liberazione dei movimenti, ma quando ci siano, come dice il trattato, offerte di lavoro effettive. l' automatismo della norma liberatrice è relativo. e se passiamo a tutti gli altri campi, movimenti di capitale, insediamenti, libertà dei pagamenti, eccetera, l' automatismo diminuisce sempre più. la tabella de Le Monde è interessante perché mostra, attraverso le scadenze, come il trattato si assottigli. dalla unione doganale per i prodotti industriali, alla politica, supponiamo, economica comune, le scadenze automatiche si fanno vieppiù minori, cioè l' automatismo diminuisce. quali saranno le conseguenze dal punto di vista della creazione del mercato comune ? onorevole ministro, ella è stata tanti anni a presiedere il comitato della ricostruzione e sa che poi queste differenze di marcia nel mercato comune , prima o dopo, si scontano. il parziale dislivello del mercato comune può portare a uno squilibrio che probabilmente si esprimerà in una situazione critica, in un indebolimento della bilancia dei pagamenti . un mercato comune che non presenta compensativi punti di vantaggio per un sistema economico nazionale può portare a determinati squilibri, che si rispecchiano nella bilancia dei pagamenti . vediamo come questo problema è regolato dal trattato. noi abbiamo una prima norma regolamentare di salvaguardia nell' articolo 226 che dice: « durante il periodo transitorio, in caso di difficoltà gravi in un settore dell' attività economica e che siano suscettibili di protrarsi, come anche in caso di difficoltà che possano determinare grave perturbazione in una situazione economica regionale uno stato membro può domandare di essere autorizzato ad adottare misure di salvaguardia che consentano di ristabilire la situazione e di adattare il settore interessato all' economia del mercato comune . le misure autorizzate possono importare deroghe alle norme del presente trattato nei limiti e nei termini strettamente necessari per raggiungere gli scopi contemplati dal paragrafo 1. nella scelta di tali misure dovrà accordarsi la precedenza a quelle che turbino il meno possibile il funzionamento del mercato comune » . questa disposizione è importantissima. non si troverà nel trattato della CECA, nessuna norma che autorizzi la deroga alle disposizioni fondamentali del trattato, autorizzi cioè a fare macchina indietro. invece, qui, in definitiva si ammette che uno Stato, in difficoltà in un determinato settore, possa ripristinare la situazione che ha superato; cioè non rimedia ad una condizione di disagio dell' equilibrio nuovo, rimanendo nel nuovo, ma ritornando al vecchio. queste sono disposizioni che non rientrano nello spirito della Comunità come è stata concepita per il carbone e l' acciaio, ma rientrano nello spirito delle norme che reggono l' OECE. tuttavia l' articolo 226 parla del periodo transitorio soltanto, il che fa presupporre che, se vi sono squilibri dopo il periodo transitorio, nessuno stato membro può ritornare alle situazioni preesistenti. ma l' articolo 226 va visto insieme con il precedente articolo 108 che conclude e definisce il carattere strutturale del trattato. l' articolo 108 afferma che « in caso di difficoltà o di grave minaccia di difficoltà, nella bilancia dei pagamenti di uno stato membro , provocate sia da uno squilibrio globale della bilancia, sia dal tipo di valuta di cui dispone, la Commissione procede senza indugio ad un esame della situazione dello Stato in questione. la Commissione tiene informato regolarmente il Consiglio. il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata , accorda il concorso reciproco; stabilisce le direttive o decisioni fissandone le condizioni e modalità. il concorso reciproco può assumere forma di: a) azione concordata presso altre organizzazioni internazionali ; b) misure necessarie ad evitare deviazioni di traffico quando il paese in difficoltà mantenga o ristabilisca restrizioni quantitative nei confronti dei paesi terzi; c) concessione di crediti limitati da parte di altri stati membri . quando il concorso reciproco raccomandato dalla Commissione non sia stato accordato dal Consiglio, ovvero il concorso reciproco accordato e le misure adottate risultino insufficienti, la commissione autorizza lo Stato che si trova in difficoltà ad adottare delle misure di salvaguardia di cui essa definisce le condizioni e modalità, » . vi è poi l' articolo 109. con l' articolo 108 abbiamo visto un intervento della commissione, che può collocarsi nel quadro della situazione strutturale nuova. ma l' articolo 109 afferma: « in caso di subitanea crisi nella bilancia dei pagamenti , e qualora non intervenga immediatamente una decisione ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, lo stato membro interessato può adottare, a titolo conservativo, le misure di salvaguardia necessarie. tali misure devono provocare il minor turbamento possibile nel funzionamento del mercato comune e non andare oltre la portata strettamente indispensabile a ovviare alle difficoltà, improvvise manifestatesi » . ciò vuol dire che in caso di difficoltà (e naturalmente il parziale funzionamento del mercato comune può creare molte di queste difficoltà) vi può essere un intervento collettivo; ma vi può essere una politica unilaterale dei singoli Stati diretta a ripristinare le vecchie norme restrittive. ecco perché, grosso modo, il trattato sul mercato comune si colloca più vicino alle esperienze dell' OECE che non a quelle della Comunità del carbone e dell' acciaio , e quindi consente il giuoco della navetta, cioè di una liberalizzazione progressiva, ma anche la possibilità, di un ritorno a pratiche restrittive ogni volta che ciò fosse considerato necessario. tutto questo, naturalmente, dal punto di vista dell' automatica creazione di un equilibrio nuovo ci deve preoccupare. non lo dobbiamo trascurare, nella considerazione totale del trattato anche perché (ed ecco che questo mio esame in circolo si chiude), tornando alla famosa unione doganale per prodotti industriali, troviamo una norma che in questo quadro di interpretazione del trattato si spiega. nella terza tappa (a partire da 8 anni) il trattato non ha più norme automatiche, di riduzione ed abolizione delle tariffe doganali. alla fine della prima tappa — dice il trattato — gli Stati dovrebbero essere arrivati ad una riduzione del 25 per cento del dazio di base, alla fine della seconda tappa, ad una riduzione del 50 per cento . nella terza tappa dovrebbe compiersi l' ulteriore cammino. invece la lettera c) dell' articolo 14 dice che alla fine della terza tappa, cioè dopo che si è presumibilmente raggiunta l' abolizione del 50 per cento dei dazi, « il ritmo delle riduzioni è determinato, mediante direttive, dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata su proposta della commissione » . cosa vuol dire questo? alla fine degli 8 anni, prima di passare all' abolizione definitiva dei dazi, si avrà la possibilità di fare una specie di punto della situazione. tutti i fenomeni economici sono collegati: il fenomeno dell' industria si collega a quello dell' agricoltura, tutti e due i fenomeni si collegano al fenomeno dei servizi, del turismo, della libertà del lavoro, si condensano nell' andamento della bilancia dei pagamenti . se la bilancia dei pagamenti ha degli squilibri che derivano dal cattivo funzionamento del mercato comune , si potrà teoricamente ritornare a considerare l' unico sistema automatico esistente, quello che si applica alla produzione industriale . ma ecco ancora un interessante corollario. poiché l' automatismo delle norme che assicurano il trapasso del vecchio al nuovo equilibrio è scarso, è scarsa anche la funzione « riequilibratrice » attribuita al potere centrale. nel trattato sul mercato comune , questo potere non ha la forza che ha, ad esempio, il potere centrale dell' Alta Autorità del carbone e dell' acciaio. per la vastità dei problemi che pone il mercato comune , il fondo sociale europeo e la stessa Banca europea per gli investimenti sembrano strumenti riequilibratori piuttosto deboli, comprovati a quelli di cui dispone l' Alta Autorità del carbone e dell' acciaio. tiriamo dunque le somme di questa schematizzazione che io ho fatto dei trattati. l' onorevole Malagodi ce li ha descritti come strumenti liberalizzatori del mercato ed ha colto l' occasione per sciogliere un inno alla concezione liberistica, che, a suo giudizio, domina i trattati. l' automatismo dei trattati medesimi è così contenuto che non autorizza, secondo me, un siffatto inno pindarico. quando l' automatismo non funziona in agricoltura e negli altri campi che non siano quello industriale o funziona più come dichiarazione di intenzione che come norme concrete, la concezione liberalizzatrice come quella che esiste nel trattato per la CECA non può essere scorta, invero, nel trattato sul mercato comune . d' altra parte è strano che l' onorevole Malagodi, liberale, si trovi, con questa sua impostazione, in contrasto con il liberale onorevole Martino il quale nella relazione accompagnatrice dei disegni di legge , certamente ispirata da lui, dichiara: « la Comunità Europea , non è, in via di principio, né dirigista né liberista, ma assumerà a poco a poco l' indirizzo che l' evolversi della situazione economica permetterà ed imporrà » . indubbiamente questa affermazione della relazione è più esatta e più aderente alla realtà di quanto non sia la dichiarazione di principio dell' onorevole Malagodi. nella stessa relazione, immediatamente dopo, si pone il problema del rapporto fra le aree depresse e le aree sovrasviluppate. per confermare che al trattato non si può dare né una interpretazione dirigista né una interpretazione liberista, la relazione cita tutte le norme e le cautele esistenti nel trattato per correggere le sperequazioni fra aree depresse ed aree sviluppate, facendo in tal modo un esempio manifesto di dirigismo. ed indubbiamente, nei limiti in cui il trattato del mercato comune deve rimediare a questo squilibrio, è un trattato a fondamento dirigista. d' altra parte, contro chi fa la sua polemica l' onorevole Malagodi? egli ci ha spiegato che lo Stato deve far attenzione a non invadere il terreno della iniziativa privata , ma quando il trattato supera le strutture nazionali attraverso la abolizione dei dazi, non fa certo il processo ad un sistema protezionistico a favore dello Stato, ma a favore della iniziativa privata . e anche se le aziende di Stato partecipano alla protezione, non vi entrano che allo stesso titolo col quale vi entrano le aziende private. il superamento delle condizioni protezionistiche attraverso l' abolizione dei dazi e dei contingenti implica che l' iniziativa privata si è servita di tale protezione per il suo sviluppo e non ha accettato quelle condizioni di libera concorrenza che l' onorevole Malagodi decantava. ma l' onorevole Malagodi non ha detto che il privilegio viene soppresso verso l' iniziativa privata , ma verso l' iniziativa di Stato, il che costituisce uno spostamento di termini. giustamente la relazione ministeriale afferma che la difficoltà di fare una tariffa esterna sopportabile è derivata dal fatto che le tariffe interne su prodotti industriali dell' Italia e della Francia sono più alte delle tariffe della Germania e del Belgio. si riconosce che il nostro punto di partenza è costituito da un sistema protezionistico più gravoso e si dice che nel campo dei prodotti agricoli la media che si otterrà per la produzione all' estero del un sistema dei sei paesi sarà uguale, forse maggiore, che nel sistema protettivo della nostra agricoltura. perché evidentemente, in certi campi della agricoltura, noi siamo più forti e siamo stati più liberisti che in certi campi dell' industria. a questo punto dovrei dire qualche parola sulla tesi dell' onorevole Riccardo Lombardi e dell' onorevole Berti. l' onorevole Lombardi ha ragione quando dice di non vedere una sufficiente forza riequilibratrice del potere centrale. tale forza indubbiamente non c' è; ma non c' è perché il sistema è poco automatico. il sistema del trattato, volendo andare avanti, guarda spesso indietro. e quindi ogni Stato si riserva di esercitare un suo potere riequilibratore ripristinando la vecchia struttura, in caso di crisi parziale o totale. questa, d' altra parte, è una risposta a tutta l' impostazione dell' onorevole Berti, il quale nella sua relazione, a scopo polemico, ha fabbricato un sistema automatico perfetto. egli ha detto che rispetto a questo sistema automatico non vi è un potere riequilibratore che ci garantisca. onorevole Berti, non vi è potere riequilibratore, ma non vi è neanche il sistema automatico. quindi, dal punto di vista da cui lei parte, di tutela degli interessi nazionali , dovrebbe avere meno perplessità di noi. perché noi, volendo andare avanti, ci troviamo a non disporre di un potere liberalizzatore automatico talmente forte che ci porti a un nuovo equilibrio, né un potere riequilibratore del tipo della CECA. ella, onorevole Berti, che vuol difendere le vecchie strutture e non accetta i rischi di questo allargamento del mercato, potrebbe essere quasi sodisfatto che il sistema non sia talmente automatico da farci correre i rischi paventati. intanto si contenti di queste misure. è dimostrata così la debolezza della vostra impostazione, onorevole Berti. voi non volete un equilibrio nuovo, non si sa perché. la coincidenza della vostra tesi con la tesi protezionistica è evidente ed è il punto di debolezza di tutta la vostra costruzione. voi accentrate i rilievi sull' automatismo del trattato per dimostrare che la nostra struttura economica è esposta. vi sono, secondo voi, delle norme automatiche che ci stritolano e non abbiamo delle salvaguardie. no! lo Stato italiano, attraverso gli articoli che ho brevemente commentato, è in condizioni di ripristinare un vecchio equilibrio, se si trova esposto. e questo è il rischio: ci si difende tornando al vecchio, e non creando il nuovo. la mia tesi, da questo punto di vista , mi pare coerente. se vi è un forte potere automatico di trasformazione dal vecchio al nuovo, questo comporta un forte potere requilibratore e quindi un potere centrale. se non vi è questo, evidentemente si rimane sul terreno dell' equivoco. a questo punto, trasportiamo le deficienze di ordine strutturale sul terreno istituzionale. è evidente che su questo terreno noi abbiamo le immediate conseguenze della struttura poco automatica del trattato. sappiamo che rispetto alla struttura automatica, inflessibile del trattato della CECA, vi è un' autorità centrale munita di poteri effettivi di decisione: prelievi diretti, equilibramento di situazioni di crisi. ma al riguardo delle istituzioni, la relazione ministeriale al nostro trattato dice: « sarebbe un errore parlare al riguardo di « delegazione » o « abbandono » di sovranità. invero l' attribuzione di poteri e di competenze agli organi comuni non comporta limitazione di sovranità da parte degli stati membri ; ché invece a tali organi gli Stati partecipano o direttamente, essendovi rappresentati dai membri dei parlamenti o dei governi rispettivi o mediatamente, procedendo alla scelta ed alla nomina dei loro componenti » . è esatto. noi non abbiamo un potere centrale forte, abbiamo un trattato basato sul consenso degli Stati. ma la relazione ministeriale esagera quando afferma: « il sistema istituzionale previsto dai due trattati appare assai più efficace ed equilibrato di quello posto in essere dal trattato della CECA, secondo il quale la somma di tutti i poteri amministrativi e normativi è accentrata nelle mani dell' Alta Autorità . il sistema previsto dai nuovi trattati è invece assai più equilibrato e, in definitiva, più efficiente. in particolare la commissione, appunto perché in molti casi non assume la responsabilità finale, potrà più liberamente sollecitare l' azione del Consiglio » . no, onorevole Martino. noi possiamo dire che il sistema del trattato importa una correlativa soluzione istituzionale. ma che la soluzione istituzionale del trattato sulla Comunità sia più efficiente del trattalo della CECA significa, in definitiva, forse un europeismo alla rovescia. un potere centrale fornito di capacità proprie è molto più forte di un potere che deve attingere al Consiglio degli Stati. e il progresso europeistico — e so che ella è europeista quanto me — si avrà quando avremo il passaggio da questi istituti un poco amorfi ad altri istituti. non voglio tuttavia negare che nel trattato ci sia un progresso. quando esso, senza creare un potere centrale provvisto di facoltà proprie, consente la votazione in serio al Consiglio per maggioranze qualificate o semplici, fa un progresso rispetto alla unanimità. e quindi dobbiamo dare atto che se non vi è una sovrannazionalità diretta, vi è per lo meno una sorta di sovrannazionalità indiretta che si esprime attraverso il voto della maggioranza qualificata o relativa. ma dobbiamo avere cognizione dei limiti in cui il problema istituzionale è stato posto, ed è stato posto anche rispetto all' Assemblea. è stato detto nella stessa relazione che l' Assemblea può far dimettere la Commissione con una mozione di censura. ora, questo è un potere assai poco sostanziale. la commissione non è fornita di poteri propri ed esprime la volontà del Consiglio dei ministri . far cadere la commissione significa — come è stato osservato magnificamente dal relatore onorevole Montini — bastonare colui che non è responsabile della politica della comunità economica europea ed assolvere coloro che sono i veri responsabili di tale politica. le deficienze istituzionali, ripeto, non sono tali in sé: sono deficienze connesse alle caratteristiche generali del trattato. vorrei però dire a questo punto la ragione per cui non sono d' accordo con la tesi finale dell' onorevole Malagodi rispetto alla necessità di nominare, in seno al nostro Governo, un ministro speciale per la gestione degli affari del mercato comune . che cos' è il mercato comune , con tutte le sue debolezze? nella sua impostazione complessiva, il trattato per il mercato comune riguarda tutti gli aspetti della vita economica dei diversi paesi della comunità . il Governo di ogni paese è il Governo di uno stato membro della Comunità: dal momento in cui ratifichiamo il trattato, qualunque ministro, quando delibera sui provvedimenti di sua competenza, è il ministro di un Governo partecipante al mercato comune . dopo la ratifica, qualunque problema in materia di trasporti che interessi l' Italia si deve vedere in funzione del problema dei trasporti del mercato comune e viceversa. ma chi è più qualificato a trattare i problemi dei trasporti se non il ministro dei Trasporti ? ogni atto del governo italiano rifletterà una situazione del mercato comune . ho parlato del ministro dei Trasporti , ma avrei potuto parlare dei ministri dell' Industria, dell' Agricoltura, del Tesoro. ma posso parlare anche del coordinatore, cioè del presidente del Consiglio , in quanto egli, come presidente del comitato della ricostruzione, agisce nei riguardi dei problemi di questo settore come un ministro del mercato comune : quindi il presidente del Consiglio risponde delle sue funzioni interne in sede di mercato comune . e anche questo è riconosciuto dalla relazione ministeriale quando dice: « il Consiglio di ciascuna delle due Comunità è composto dai rappresentanti dei governi degli stati membri , in ragione degli ampi compiti attribuiti. spetterà a ciascun governo designare di volta in volta il ministro qualificato a rappresentarlo, in relazione alla materia in discussione » . ho finito, onorevoli colleghi . dopo questo discorso mi si potrà osservare che le critiche sono tante. però ritorno al punto di partenza : questa concezione totale, integrale del problema economico europeo, rappresenta un passo in avanti, almeno come impostazione del problema. secondo me, essere contrari a questo passo significa essere fuori della storia. dobbiamo ratificare e accettare il trattato per quello che è. naturalmente, come europeisti ci dobbiamo porre alcuni obiettivi ulteriori, non fermarci. dirà l' esperienza se le critiche che ho fatto avranno un fondamento oppure no. l' onorevole Montini parla della necessità di un rafforzamento dell' autorità politica, e — in questo rientra la elezione a suffragio diretto dei membri dell' Assemblea. sarà un progresso sul terreno della rappresentatività costituzionale. ma il problema di fondo del mercato comune è il rafforzamento del potere centrale in relazione al rafforzamento delle norme automatiche dirette a creare un nuovo equilibrio. se il trattato mostrerà delle deficienze, noi dobbiamo passare ad un sistema più perfetto di automatismo con il rafforzamento del potere centrale. finisco il mio discorso, citando a questo punto l' opinione di un economista liberale, il Rueff, il quale, in un' interessante intervista al Figaro dichiarava di avere creduto per molto tempo alla sufficienza di norme puramente liberatrici per l' assestamento di un mercato. si è dovuto convincere che questo ideale non si può raggiungere senza l' intervento di ciò che io chiamo il potere riequilibratore centrale, cioè un potere capace di fare arrivare a nuovi equilibri, senza scaricare eventuali crisi su questo o quel settore, di attutire i passaggi, di creare gli sbocchi a situazioni eccezionali. il Rueff ha dichiarato anche che questa armonia tra le norme liberalizzatrici e il potere centrale si riscontra nel trattato della CECA, come ho cercato di dimostrare. egli spera che lo stesso possa avvenire nel campo del trattato sulla comunità economica europea. mi auguro che a questa esperienza grandiosa, che noi caldamente approviamo nonostante i suoi punti di debolezza, si possa passare a un' esperienza più integrale, con un reale progresso rispetto al trattato della CECA, che, a mio giudizio, è il maggior punto che la battaglia europeistica finora abbia raggiunto, sia pure in un settore parziale.