Pietro NENNI - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 480 - seduta del 03-10-1956
Interventi in favore dell'economia nazionale
1956 - Governo II Segni - Legislatura n. 3 - Seduta n. 187
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi . noi socialisti, della dichiarazione del ministro degli Esteri abbiamo apprezzato la prudenza, anche se non ci sfugge che essa è, almeno in parte, il riflesso della prudenza americana nella vertenza di Suez. ma credo che si possa dire che vale anche in politica il proverbio che a caval donato non si guarda in bocca , e, quindi, di questa prudenza vivamente ci rallegriamo. senonché, onorevoli colleghi , la prudenza, se è un metodo, non è però una politica e credo che sotto questo aspetto sia naturale che da parecchi settori si sia fatto carico al Governo di non avere una politica. nel caso che ci occupa, nel caso del canale di Suez, a giudizio nostro, una politica implica due prese di posizione, che non ci sono state se non in forma frammentaria e contradittoria: una presa di posizione sul moto dei popoli arabi verso la loro piena indipendenza e una presa di posizione sul carattere del patto atlantico e della cosiddetta solidarietà occidentale. noi socialisti consideriamo il moto anticolonialista, il moto verso l' indipendenza dei popoli asiatici e africani come un fatto di civiltà; e, perciò, la nostra solidarietà è piena ed intera con codesto moto. esso costituisce uno dei grandi avvenimenti del nostro secolo, così come le guerre e le lotte di indipendenza nazionale del nostro popolo, della Grecia e della Germania, furono tra gli avvenimenti salienti dell' Ottocento. non sempre il moto dei popoli coloniali o semicoloniali si accompagna a realizzazioni politiche di carattere democratico e sociale, ma ne è la premessa, anche quando non ne ha coscienza, anche quando non se ne avvede. da ciò, onorevoli colleghi , nasce il fatto che la rivoluzione nazionalista e il colpo di stato militare del 1952 in Egitto ci hanno trovati pienamente solidali, malgrado i limiti, che abbiamo criticato, che avremo ogni giorno occasione di criticare, della politica interna e sociale del nuovo gruppo dirigente egiziano. il colpo di stato dei militari egiziani, il governo del generale Neguib, il governo del colonnello Nasser costituiscono, entro i limiti delle forze sociali borghesi e piccolo borghesi di cui sono la espressione e l' opera, un progresso nelle forme proprie ai paesi che la tutela coloniale e l' economia feudale hanno tenuto fuori delle rivoluzioni liberali, democratiche e socialiste degli ultimi due secoli e della fermentazione di idee e di azioni di massa, che ha preceduto queste rivoluzioni e le ha seguite. a tale proposito non è giusto parlare di fascismo e di nazismo nei confronti dell' Egitto di oggi, se non per rapporto a secondari aspetti di carattere psicologico. il nazifascismo nasce da una situazione democratica rovesciata; le dittature nazionaliste nascono dallo scontro della piccola borghesia patriottica con la dominazione feudale e con lo sfruttamento e l' oppressione coloniale. i due fenomeni vanno, quindi, giudicati su un piano storico assolutamente diverso. l' uno è un fenomeno di regresso della società, l' altro è un fenomeno di progresso della società. ora, onorevole ministro, negli atti del Governo, nella vostra politica asiatica, nella vostra politica africana e mediterranea, nella valutazione che la nostra classe dirigente borghese ha dato e dà dei grandi eventi storici rappresentati dalle rivoluzioni nazionaliste in Asia o in Africa, non c' è respiro di solidarietà. qualche volta si trova in alcuni atteggiamenti della nostra destra politica soltanto la sodisfazione deteriore per le difficoltà degli inglesi e dei francesi, considerati responsabili della nostra esclusione dall' Africa. per noi si tratta di tutt' altra cosa. noi siamo con i popoli che hanno spezzato o stanno spezzando in Asia e in Africa le catene della servitù feudale e dello sfruttamento coloniale. noi siamo con i popoli arabi , anche se non intendiamo favorire disegni di panarabismo, anche se deprechiamo il furore razziale e religioso di sette, come quella dei « fratelli mussulmani » , e la situazione che esse hanno creato e creano alle frontiere dello Stato di Israele . l' assenza di una precisa posizione politica nei confronti del moto nazionale arabo è, a giudizio nostro, il primo degli elementi di debolezza, di ondeggiamento, di contradizione della politica estera del Governo nella stessa questione di Suez. un altro elemento, a giudizio nostro, fa difetto nella politica estera italiana, e, cioè, una chiara nozione dei limiti politici e dei limiti geografici del patto atlantico . il Parlamento ha votata l' adesione italiana al patto atlantico , sulla base delle dichiarazioni dell' onorevole Sforza e dell' onorevole De Gasperi , che attribuivano al trattato un carattere esclusivamente difensivo, ipotizzando il caso di un' aggressione sovietica contro uno dei paesi dell' Occidente. che il patto atlantico fosse in realtà tutt' altra cosa, noi abbiamo cercato di dimostrarlo molte volte alla Camera e al paese, perché ci incomba l' obbligo di tornare sull' argomento, oggi, in una dichiarazione che vuole essere breve e stringata. tanto più che oggi, onorevoli colleghi , si riconosce generalmente da tutti come il rischio di un attacco sovietico (al quale, per conto nostro, non abbiamo mai creduto) sia sparito o per lo meno diminuito, e come quindi le fondamenta del patto atlantico vadano via via erodendosi. ciò è, del resto, così vero che il ministro degli Esteri è tornato, nella sua dichiarazione, alla questione degli strumenti politici, e non soltanto militari, che l' Occidente dovrebbe darsi per fronteggiare non più la minaccia di una invasione, ma l' iniziativa sovietica sul piano della coesistenza competitiva . non solo il patto atlantico ha ricevuto una interpretazione difensiva dai suoi difensori e propugnatori, ma è stato concluso entro limiti geografici ai quali più di una volta noi abbiamo richiamato il Governo e il Parlamento e ai quali, a proposito della vertenza di Suez, richiamiamo ancora ed espressamente Governo e Parlamento, la regione del Nilo collocandosi fuori della zona che il patto atlantico ha inteso coprire, fuori quindi dei vincoli internazionali sottoscritti dal nostro paese e certamente validi, anche se non ricevettero il nostro assenso, anzi anche se furono da noi aspramente combattuti. bando, quindi, alle ipocrisie e alle finzioni. io trovo del tutto naturale che Il Corriere della Sera si chieda, con altri importanti organi di stampa, quale reale consistenza abbia ancora il patto atlantico ; e trovo naturale che i giornali francesi scrivano che dopo l' « affare di Suez » è diventato difficile invocare, senza sorridere, la solidarietà occidentale. del resto, mi è parso che l' onorevole Martino sorridesse maliziosamente parlando di codesta signora solidarietà. e tuttavia, onorevoli colleghi , non è la prima volta, e non sarà l' ultima, che ciascuno degli associati atlantici è andato per conto proprio. un parallelo eloquente è stato stabilito dal giornalista americano Lippmann tra l' atteggiamento delle maggiori potenze atlantiche nella questione della Corea e in quella di Suez. nel 1950 in Corea, essendo in giuoco gli interessi asiatici dell' America, il presidente Truman passò oltre le riserve britanniche, oltre le esitazioni dell' Onu, e ordinò senz' altro che forze aeree e navali degli USA fornissero protezione e appoggio alle truppe del governo coreano di Seul, rischiando così di trasformare un conflitto locale in un conflitto mondiale. e, certamente, nessuno ha dimenticato il patetico volo a Washington del Primo Ministro laburista inglese Attlee per scongiurare l' impiego della bomba atomica contro la Cina, che avrebbe precipitato il mondo intero in una terza guerra mondiale con conseguenze incalcolabili. nel 1956 è l' America che tira per le falde il Primo Ministro conservatore inglese e il presidente del Consiglio francese; ciò che è stato per tutti noi motivo di sollievo nel momento più acuto della crisi di Suez, per quanto in questa crisi vi sia un punto che non è stato ancora chiarito. e il punto che non è stato chiarito è proprio all' origine della crisi di Suez, è il rifiuto improvviso dell' America di fare onore all' impegno che aveva virtualmente, e taluno dice anche formalmente, assunto di fornire all' Egitto i mezzi necessari per la costruzione della diga di Assuan. è quello il gesto sconsiderato che ha scatenato la rappresaglia egiziana. ciò spiega la veemenza di certi attacchi alla politica americana, per esempio, l' attacco del mio amico laburista Bevan. la Francia sta facendo in questi giorni il calcolo di quanto ha dovuto pagare all' atlantismo. vale a dire, secondo il bilancio di un importante organo di stampa, il riarmo della Germania, l' abbandono della Saar, gli intrighi americani nel Vietminh del sud e in Africa del nord, senza parlare degli interventi nella politica francese. se un giorno ci accingeremo, e bisognerà pur farlo, a fare un analogo bilancio, le conclusioni non saranno diverse e i sacrifici che l' atlantismo ci ha imposti appariranno di gran lunga superiore ai benefici. ma lasciamo stare il passato, guardiamo all' avvenire. e, in considerazione dell' avvenire, sarebbe da parte del Parlamento, sarebbe da parte del Governo, un errore imperdonabile, io credo, adagiarsi su nozioni, come quella della solidarietà atlantica, che non hanno più senso, o non hanno più il senso ad esse conferito dagli avvenimenti del trascorso decennio. siamo, piaccia o non piaccia, all' inizio di nuove forme, anche della solidarietà occidentale. è in atto, in Europa e nel mondo, una rivalutazione delle posizioni neutralistiche, sulle quali Stati come l' India e la Jugoslavia hanno fondato le loro fortune politiche, mentre le nostre fortune sono più che mai in declino. benché l' entente cordiale franco-britannica risorga su posizioni per noi inaccettabili, nella crisi di Suez, pure essa esprime, al di là della questione del canale, un' esigenza di politica autonoma nei confronti dell' America, che potrà avere sviluppi ben altrimenti favorevoli. lo stesso rilancio europeo, nelle misure in cui viene prospettato fuori dei superati schemi dell' atlantismo e de blocchi militari, postula una funzione autonoma dell' Europa, alla quale noi non negheremo certo il nostro concorso se vorrà essere un contributo alla distensione e alla pace. ben poco di positivo pare a noi che vi sia, nella politica estera del Governo, che, in una forma o nell' altra, si ricolleghi alle esigenze che dovrebbero condizionare il corso degli eventi attuali, l' appoggio al moto di liberazione dei popoli coloniali o semicoloniali, il superamento dei vecchi schemi atlantici e una nozione ammodernata della funzione dell' Occidente europeo verso l' America e verso l' Unione Sovietica e i paesi dell'est europeo, nei quali il corso politico che va sotto il nome di destalinizzazione ha aperto nuove possibilità e nuove prospettive. rimane quindi per noi, come solo elemento di sodisfazione, onorevole ministro degli Esteri , la prudenza che ha ispirata la sua dichiarazione e gli atti precedenti. noi chiediamo al Governo che non si diparta in nessun caso e per nessuna ragione da questa prudenza. in questo senso, onorevole Martino, l' affermazione sua che l' adesione del nostro paese all' associazione degli utenti, di cui a Londra in questi giorni si prepara lo statuto, è senza riserve, va chiarita, se non si vogliono rendere incomprensibili le riserve avanzate nelle scorse settimane. per esempio, noi crediamo che non si possa rinunziare alla riserva formulata dal ministro Martino nell' intervista al Figaro circa l' atteggiamento che il nostro paese assumerebbe se l' associazione degli utenti decidesse di non utilizzare il canale. e stato detto giustamente che l' utilizzazione del canale è per noi una questione di vita o di morte. è chiaro che noi non possiamo, per i begli occhi degli azionisti della Compagnia del canale, far intraprendere al naviglio che batte bandiera italiana la circumnavigazione dell' Africa, per il Capo di Buona Speranza , senza con ciò infliggere un colpo mortale ai nostri commerci, al nostro lavoro, alla nostra produzione, ai nostri stessi approvvigionamenti. giusto è stato non associare l' Italia né a parole di minaccia né a velleitarie soluzioni di forza, tanto più, onorevoli colleghi , che i tempi in cui bastava una manifestazione delle grandi potenze navali davanti ad Alessandria per piegare la volontà dell' Egitto, sono passati. l' errore britannico e francese è di non rendersi chiaramente conto che il ricorso alla forza è impossibile, che le sanzioni economiche sarebbero a doppio taglio, che quindi non bisogna irrigidirsi su pregiudiziali di intransigenza, ma o tentare la via dei negoziati diretti, oppure quella del ricorso all' Onu; e quando parlo di ricorso all' Onu non penso al ricorso al Consiglio di sicurezza così come (è già stato presentato, ma penso al ricorso davanti all' Assemblea delle Nazioni Unite , che, allo stato delle cose , è la sola sede dalla quale possa uscire una soluzione accettabile per l' Egitto e per tutti gli utenti del canale. in sé e per sé la questione non è senza soluzione. si tratta di trovare un termine di conciliazione tra il diritto dell' Egitto a nazionalizzare la compagnia del canale e gli interessi degli utenti del canale alla libertà del transito. né mi pare giusto dire che l' internazionalizzazione del canale sia la sola possibile garanzia della libertà del transito. del resto, l' internazionalizzazione non fu sempre la tesi della Gran Bretagna , la quale nel 1883, tre anni dopo l' occupazione britannica dell' Egitto, sosteneva a una conferenza indetta a Parigi per assicurare la libera utilizzazione del canale, che non si può ammettere che una via di comunicazione come il canale di Suez, creata dall' uomo sul territorio di una potenza indipendente per mettere in comunicazione due mari, debba comportare il fardello di una servitù internazionale. la conferenza di Londra, a nostro giudizio, avrebbe più utilmente lavorato alla soluzione della vertenza di Suez, se avesse accettato la proposta indiana di tenere separata la questione della nazionalizzazione della compagnia del canale, da quella della libertà di navigazione, considerando la nazionalizzazione un atto interno della sovranità egiziana, e ricercando, fuori del trattato del 1888, una valida garanzia alla libertà della navigazione. questa libertà ha, del resto, già subito delle violazioni a danno dello Stato di Israele senza proteste da parte dell' Inghilterra. la questione pare a noi che si ponga ormai nei termini seguenti: c' è un problema di sovranità egiziana risolto con la nazionalizzazione e sul quale sembra assurdo credere che si possa tornare indietro; c' è un problema di garanzia della navigazione, implicito nell' importanza mondiale raggiunta dal canale, attraverso il quale nel 1955 sono transitate 107 milioni di tonnellate di merci, tra cui 70 milioni di tonnellate di petrolio. onorevoli colleghi , si è molto parlato nelle ultime settimane di Hitler, della Monaco del settembre 1938, della pace che non può essere salvaguardata a prezzo della capitolazione. è la tesi di molti dei nostri giornali; è, se non vado errato, la tesi dell' onorevole Pacciardi, e non soltanto la sua. si tratta di evidenti esagerazioni polemiche, alle quali tuttavia gli uomini della mia generazione e della mia formazione sono tutt' altro che indifferenti. un certo disprezzo — non è vero, Saragat? — che si è creduto di ravvisare sovente nel giudizio mio, nel giudizio nostro sulle democrazie parlamentari dell' Occidente, ha la sua origine nella disperazione con la quale molti di noi tra il 1936 ed il 1939 hanno lottato, e purtroppo lottato invano, contro abbandoni e capitolazioni delle democrazie occidentali in Spagna, in Austria, in Cecoslovacchia, che spalancarono la via alla guerra nazifascista. né io dimentico che il Primo Ministro inglese Eden, che il presidente del Consiglio francese Guy Mollet furono, in posizioni diverse di responsabilità, tra coloro che si opposero agli abbandoni ed alle capitolazioni di quel funesto triennio. ma a parte l' esagerazione polemica che c' è nel raffrontare il colonnello Nasser ad Hitler, a parte l' assurdo paragone tra il debole e vacillante Egitto e la potente Germania, giova ricordare che la politica della fermezza esige che chi la pratica abbia le carte in regola . ora, né la Gran Bretagna , né la Francia, né, per un altro verso, l' America hanno le carte in regola verso i popoli arabi . non mi riferisco soltanto ai governanti attuali, sibbene alle classi dirigenti inglese e francese nel loro complesso, alla politica che hanno condotto in Asia e in Africa per decenni, politica contro la quale i socialisti hanno combattuto le più belle e fiere delle loro lotte anticolonialiste. basti per la Francia ricordare il nome di Jean Jaurès, basti per l' Inghilterra ricordare l' azione del labour party , nonché uno degli atti salienti della politica di Governo del labour party : la soluzione che esso ha saputo dare, e tempestivamente, al problema dell' India. certo il colonnello Nasser poteva e doveva, nell' atto stesso in cui nazionalizzava la Compagnia, convocare i firmatari della convenzione del 1888 e con loro studiare i termini di una nuova convenzione che garantisse la libertà di navigazione. ma se la revoca unilaterale di un trattato, di una garanzia internazionale, non può essere assunta a metodo legittimo di Governo, tuttavia, onorevoli colleghi , non si può prescindere dalla eredità che pesa sui rapporti dell' Egitto con la Gran Bretagna , sui rapporti del mondo arabo con le vecchie potenze coloniali europee. la risata isterica di Alessandria d' Egitto può avere impressionato, ma i colonialisti non hanno forse riso per decenni delle miserie e delle sofferenze dei popoli di colore? signori, tutto si paga! l' Europa, onorevoli colleghi , non ristabilirà il proprio prestigio in Africa e nei paesi arabi con minacce o con atti di forza, ma liquidando le residue posizioni coloniali. ha ragione il saggio presidente indiano Nehru allorché dice che in crisi di questo genere non abbiamo a che fare soltanto coi motivi del litigio, ma assistiamo allo scatenamento ed all' antagonismo di potenti forze. questo è vero per una parte e per l' altra, giacché in effetti abbiamo assistito allo scatenamento delle forze elementari di nazionalismi troppo a lungo compressi e allo scatenamento di torbidi riflessi di difesa colonialista. su ciò si è creato un pubblico allarme; su ciò si è creata l' impressione di un imminente e permanente pericolo per la pace; da ciò è derivato per i governi il dovere di ricercare e di trovare una soluzione negoziata e pacifica. noi socialisti, alla fine di questo dibattito che preferiamo non dia luogo a voti, consideriamo vincolato il Governo all' obbligo di opporsi a minacce o ad atti di forza, all' obbligo, comunque, di non associarsi a minacce o ad atti di forza in nessun caso e per nessuna ragione. consideriamo il Governo vincolato a favorire una soluzione della vertenza nell' ambito delle Nazioni Unite e davanti all' Assemblea delle Nazioni Unite . non possiamo, invece, considerarlo ancora vincolato ad una operante solidarietà coi popoli asiatici ed africani e ad una solidarietà occidentale che si ponga fuori dai vecchi schemi atlantici, colonialisti o imperialisti. è in questo, onorevole ministro, il nostro dissenso di fondo con la politica generale ed estera del presente ministero. in questo, onorevoli colleghi , è il senso dell' impegno nostro: creare una nuova situazione interna e internazionale nel segno della distensione e nel segno della pace.