Palmiro TOGLIATTI - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 433 - seduta del 13-06-1956
Concernenti l'uccisione del magistrato Giovanni Falcone
1956 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 5
  • Attività legislativa

sarebbe forse stato necessario, signor presidente , che all' inizio di questo dibattito e non solo alla fine di esso, onorevoli colleghi , quando non vi è più posto che per le consuete pure e succinte dichiarazioni di voto , noi avessimo sentito una dichiarazione espositiva del Governo sulla sua politica estera in questo momento. ciò era avvenuto anche altre volte, e ciò avrebbe reso l' intiero dibattito, fin dal suo inizio, più preciso, più ricco, più fecondo di risultati. credo che la cosa fosse necessaria, secondo un criterio generale, anche per chi approvi l' attuale politica governativa, perché negli ultimi tempi, e vorrei dire persino nei due mesi che ci separano dalle dichiarazioni che sono state fatte dal nostro ministro degli Esteri durante il dibattito del Senato, sono avvenuti fatti nuovi di enorme importanza, sono stati presi contatti tra capi di governo e di Stati di primo piano ; i problemi del disarmo, che sono tra i principali problemi che oggi si dibattono sulla scena internazionale, sono stati presentati secondo nuovi aspetti, ha avuto luogo una riunione dei dirigenti politici del patto atlantico il governo italiano è stato investito di determinate proposte di grande portata. una preventiva, preliminare dichiarazione del nostro ministro degli Esteri , a nome del Governo, avrebbe potuto chiarire molti punti tuttora oscuri in linea di fatto, anche se non sciogliere i dubbi, né chiarire i contrasti, né distruggere contraddizioni che appaiono negli sviluppi della politica estera italiana in questo momento. per noi, poi, la cosa era particolarmente importante. nel passato abbiamo sempre criticato la politica estera seguita dai governi che si sono succeduti dal 1947 in poi. abbiamo detto che questa politica non corrispondeva agli interessi nazionali italiani e a ciò che un Governo democratico, legato agli impegni della nostra Costituzione, avrebbe dovuto fare. riconoscevamo però che una politica estera , anche se sbagliata, esisteva. oggi, invece, la nostra opinione è che, in sostanza, non si può dire se esista una politica estera italiana. siamo di fronte, se prendiamo gli ultimi mesi, a dichiarazioni, alcune del solito carattere formale e che possono essere interpretate in qualsiasi modo, altre di contenuto equivoco, altre ancora contrastanti, contradittorie le une con le altre. se si cerca però di stabilire quale è la linea che il nostro Governo segue in politica estera , con atti e iniziative concrete, nella situazione attuale, non si riesce a capire quale essa sia. si è tratti alla conclusione che una linea di politica estera italiana non esiste, nel momento presente. è questo, del resto, uno dei punti in cui più si manifesta l' immobilismo che caratterizza l' attuale formazione governativa. proposito del nostro Governo nel momento attuale è di restare a quel posto, di durare, di difendere la formula e niente più. discutere i bilanci, anche dei settori più importanti dell' attività governativa, in Aule deserte. mandare poi il Parlamento in vacanza, per 3 o 4 mesi, rinviare tutte le questioni, anche le più gravi e urgenti, poste dalle necessità nazionali e poste dalle cose, a chissà quando, a cercare di addormentare una opinione pubblica che già è stanca, sfiduciata per questo stato di cose . questo immobilismo copre, in sostanza, io ritengo, una crisi abbastanza profonda in via di maturazione. ma, se esso è dannoso per quanto si riferisce agli indirizzi politici generali, particolarmente grave e pernicioso al nostro paese esso è per quanto riguarda la politica estera . ci troviamo infatti di fronte a una situazione internazionale che non è immobile, ma cambia e cambia rapidamente, che procede, che si evolve, e si evolve anche indipendentemente dalle previsioni che potevano essere fatte. la nostra politica estera , se si devono ascoltare le dichiarazioni ufficiali, se si deve dar retta agli organi più o meno autorizzati dal Governo, è ferma ai suoi vecchi schemi, alle sue vecchie posizioni, ai suoi vecchi obiettivi, mentre la situazione progredisce verso obiettivi nuovi e in direzioni totalmente diverse. questo è per noi il fatto fondamentale per un giudizio sull' attività governativa in questo campo. di qui noi partiamo per dire che non esiste oggi una vera politica estera italiana, perché non esiste una politica estera italiana adeguata e corrispondente alla situazione nuova, che la valuti, la comprenda, né tenga conto e in essa inserisca una energica iniziativa del nostro paese. il problema fondamentale è che il mondo non è più quello di prima, è cambiato e continua a cambiare. il mondo è cambiato, prima di tutto, nella sua struttura è cambiato, in secondo luogo, nell' indirizzo delle relazioni internazionali, le quali devono adeguarsi a questa nuova struttura e già lo stanno facendo. è cambiato, infine, perché si è accumulata, in quest' ultimo decennio, una grande esperienza dei popoli e dei governi, si sono creati grandi movimenti di masse che ha non condotto lotte fortunate, in difesa della causa della pace, si sono formati nuovi stati di coscienza nei popoli, di qui, è uscita quella situazione nuova in cui noi diciamo, che la guerra oggi può essere evitata. della situazione nuova bisogna tener saper tener conto, se si vuole condurre una politica estera che sia all' altezza delle necessità di uno Stato moderno. come è cambiata la struttura del mondo? le cose sono evidenti, e l' onorevole Bettiol mi perdonerà se io parlo di cambiamento. non è perché io sia testardamente fautore della dialettica. pure sforzandomi di esser dialettico, non mi dimentico di essere cartesiano, quand' è necessario, cioè vedo e registro le cose come esse sono, e se cambiano non posso non tenerne conto. prendiamo come punto di confronto il periodo 1947-49, il momento in cui sorse il patto atlantico e da cui parte tutta la politica che voi avete fatto in questi dieci anni. in quel momento esistevano nel mondo due grandi poli. da una parte stavano l' Unione Sovietica e i paesi dell' Europa orientale . l' Unione Sovietica , società socialista in forte sviluppo, era uscita dalla guerra piena di ferite, ma rapidamente aveva ripreso ad avanzare. nei paesi dell' Europa orientale erano sorti, dopo la guerra, in conseguenza della guerra e del crollo dei regimi reazionari che ivi esistevano, regimi nuovi, di tendenza socialista, avviati verso profonde trasformazioni sociali. queste trasformazioni si sono poi compiute attraverso difficoltà, sbagli, avanzate e ritorni indietro, ma esse rimangono. già allora caratterizzavano questa parte dell' Europa e ancor più oggi la caratterizzano. un grande spazio, quindi, ma in tutto non più di 300 milioni di uomini. all' altro polo, un gruppo di paesi capitalistici altamente sviluppati: sostanzialmente, l' Occidente europeo e il continente americano, 400 milioni di abitanti nel complesso, e alla testa di questo polo gli USA, il paese in quel momento più avanzato e più forte economicamente di tutto il mondo. quattrocento milioni di abitanti, ho detto, ma un netto sopravvento di questa parte del mondo sull' altra per quel che riguardava, allora, gli indici economici, gli indici demografici, militari e così via . nel resto del mondo — e qui considero l' Asia, l' Africa settentrionale e altre parti del mondo — esisteva una situazione ancora confusa. erano ancora presenti le gravi conseguenze della guerra; erano in corso lotte aspre attraverso le quali popoli intieri cercavano di conquistare o riconquistare la loro libertà; si sviluppavano grandi movimenti di liberazione nazionale non ancora giunti, però, sino all' esito loro, sino alla definitiva conquista dell' indipendenza nazionale. in questa situazione sorse il proposito di una larga azione, la quale avrebbe dovuto condurre lo Stato-guida del blocco capitalista, il vostro Stato-guida, gli USA, a conquistare un sopravvento e un' egemonia mondiale. in quelle condizioni, si poteva anche pensare che quel proposito potesse venire attuato. il piano che venne concepito fu, da un lato, di arrestare e se possibile spingere addietro le posizioni del socialismo, impedire lo sviluppo dei paesi socialisti, ostacolare la loro avanzata sulla via che essi avevano preso. dall' altro, per quel che riguardava il resto del mondo, il piano consisteva nel compiere un' opera di penetrazione economica, politica, militare tale che assoggettasse tutti questi paesi, di fatto, più o meno sviluppati che fossero, allo Stato egemonico, allo Stato-guida, agli USA, che in questo modo cercavano di tradurre in atto la loro odierna politica imperialistica, di tipo diverso da quella che fu seguita nei secoli passati. a questa politica fu data una formulazione teorica dagli stessi dirigenti dell' imperialismo americano, quando dissero che il loro obiettivo era di far trionfare in tutto il mondo il modo di vita americano. qui, poi, si tradusse questa formula in un altro linguaggio. si parlò della necessità di far trionfare il modo di vita « occidentale » , di difenderlo, di affermarlo, di impedire che venisse intaccato da nuove avanzate di civiltà di altro tipo. a questa formula corrispose una politica estera che ebbe nel corso di questi dieci anni varie formulazioni. prima si trattò essenzialmente della minaccia dell' uso delle armi atomiche , di cui gli USA per un certo periodo di tempo ritennero (non so se con ragione) di avere il monopolio. poi si parlò di contenimento; quindi di spinta all' indietro del mondo socialista; infine si confessò che la politica condotta, soprattutto nell' ultimo periodo, era stata una danza sull' orlo dell' abisso. portare il mondo fino all' orlo della guerra, in questo modo spaventare il nemico e ottenere partita vinta: questo il vanto del signor Foster Dulles . mezzi concreti di questa politica furono le basi militari e aeree organizzate dagli USA in tutto il mondo, nell' Europa occidentale , nell' Asia, in Africa, dovunque; e i blocchi militari, sorti prima con una certa mascheratura economica e poi apertamente tradottisi in patti puri e semplici di guerra. tali furono e sono il patto atlantico , il patto di Bagdad, il patto del Pacifico. questa politica ha anche avuto il suo costo: un costo materiale e un costo politico e morale. la NATO si dice (non so se la cifra sia esatta) sia costata 311 miliardi di dollari nel corso degli ultimi anni, da quando esiste. l' Italia avrebbe contribuito a questa sterminata somma con 3 miliardi e 100 milioni di dollari : non so quanti miliardi di lire , forse meno, quanto il bilancio dello Stato per un anno, all' incirca. ma oltre al costo materiale vi fu il costo morale. questa politica non poteva essere attuata, infatti, senza una carica di animosità, di odio che venne sparso in tutto il mondo. così fu stimolata e organizzata la guerra fredda . i popoli furono investiti da una menzognera propaganda di odio. questo provocò la rottura di quella unità delle forze democratiche e popolari che si era costituita durante la guerra; provocò un arresto degli sviluppi che si erano intrapresi verso riforme di natura sociale. su tutto il mondo gravò il peso terribile della corsa al riarmo. dalla guerra fredda sgorgarono i primi focolai di una guerra calda. quale è stato il risultato di tutto questo? so che voi, quando esaminate questo problema, di solito vi vantate di ciò che avete fatto. dite che avevate determinati obiettivi e li avete raggiunti. fate pure. vorrei però aggiungere e pregarvi di considerare che, per quel che ci riguarda, pur conoscendo il terribile danno — materiale e morale — che a tutta l' umanità ha arrecato questo indirizzo politico , tuttavia del risultato complessivo della evoluzione compiuta dal mondo in questo periodo noi non possiamo dirci malcontenti, anzi, possiamo ritenerci sodisfatti. si dice che oggi il volto del mondo è cambiato, che è cambiata l' atmosfera che ci respira nei rapporti fra gli Stati. queste sono superficialità. quella che è cambiata è la struttura, è la base materiale del mondo, oggi, è il cambiamento e precisamente quello che noi auspicavamo e per cui nel mondo intiero abbiamo lavorato. il mondo oggi non è più diviso in due, onorevole Bettiol, ma in tre campi o gruppi: ella ha sbagliato parlando di due gruppi soli. per paura di essere legato alla dialettica, non ha tenuto conto della terza posizione. il primo campo comprende il consueto gruppo dei grandi Stati capitalistici giunti all' ultimo punto del loro sviluppo. alla testa di questo gruppo stanno, come nel periodo precedente, gli USA, e continua in questo gruppo la egemonia americana. gli USA continuano a essere lo Stato-guida di tutti voi. seriamente scossa è però questa egemonia. la parte che gli USA hanno avuto negli sviluppi della politica internazionale nell' ultimo decennio, è oggi non solo criticata, ma attaccata da più parti. critiche e attacchi partono non soltanto dalle opposizioni, ma dal seno stesso dei partiti governativi. in paesi di prima importanza è oramai diffusa la intolleranza per i metodi con i quali gli americani hanno cercato di imporre la loro volontà ai più importanti paesi del mondo. non si può dire che esista una totale crisi dell' egemonia americana; certo però si hanno i primi segni di questa crisi. vi è un fermento e malcontento diffuso, che annuncia una profonda crisi. il secondo gruppo comprende il sistema degli Stati socialisti, il quale si è esteso e consolidato, al di là di ogni attesa. oggi comprende la Repubblica popolare cinese , comprende altri paesi asiatici, comprende una parte della Germania, comprende la terza parte del genere umano, la più grande potenza industriale europea, l' Unione Sovietica e quella che sarà senza dubbio, tra alcuni anni, la più grande potenza industriale dell' Asia, la Cina. è un sistema di Stati in fiore e in sviluppo. avendo ottenuto quei successi che tutti riconoscono nella difesa delle loro posizioni e nel resistere agli attacchi che venivano scatenati contro di loro, si sentono oggi più liberi, possono andare avanti in modo più spedito, possono correggere errori e durezze passate. si è iniziato in questi Stati un processo di affermazione e consolidamento di posizioni democratiche che andrà avanti in modo sempre più rapido. ma, oltre a questi due gruppi, ne esiste oggi un terzo. esso comprende popoli e Stati che non appartengono né al blocco dei vecchi Stati capitalistici diretti dall' imperialismo americano, né al sistema degli Stati socialisti. comprende un sistema di Stati nuovi, che appunto perché non appartengono ad alcuno dei due precedenti gruppi, di solito vengono indicati col termine di Stati neutrali. questo termine però non è giusto, non si adatta alla situazione. questi Stati non si estraniano, infatti, dal dibattito e dalla soluzione dei grandi problemi che stanno davanti all' opinione pubblica internazionale e che si devono risolvere sulla scena delle relazioni fra gli Stati. hanno una loro posizione e la difendono. prevale in essi la tendenza a non aderire a nessuno dei blocchi politici o militari oggi esistenti, ma essi proclamano e difendono un principio generale, quello della coesistenza e della collaborazione fra tutti gli Stati, indipendentemente dai loro orientamenti di politica interna , dalla loro struttura economica, dal loro ordinamento sociale. è: da questo gruppo di Stati che sono usciti i cinque punti di Bandung, che oggi credo siano il più moderno e più attuale programma di politica estera che sia stato presentato, in quanto contengono una formulazione concisa e precisa del modo più civile e più umano nel quale oggi possono essere regolati i rapporti tra le grandi comunità organizzate, evitando il pericolo di conflitti e dando una base solida a una pace permanente. bisogna aggiungere, inoltre, che ci troviamo qui di fronte non a potenze o a blocchi di potenze nel senso tradizionale della parola, ma qualche cosa di più e a qualche cosa di meglio. ci troviamo di fronte a civiltà nuove, le quali avanzano, si affermano, si fanno strada nel mondo: il mondo indiano, il mondo asiatico meridionale, il mondo arabo . tratto comune di queste civiltà è la lotta per l' indipendenza e la difesa dell' indipendenza contro l' imperialismo, il rifiuto, quindi, della vecchia politica colonialista che fu e rimane parte sostanziale della civiltà occidentale che voi tanto magnificate, come si vede nel Nord Africa , a Cipro, nel Guatemala, a Formosa, nel Vietnam meridionale, dappertutto. ma vi è un altro tratto comune di queste civiltà, che per noi particolarmente è della più grande importanza. esso è dato dalla tendenza ad accoppiare la raggiunta indipendenza nazionale, a un rinnovamento economico e sociale ottenuto seguendo vie nuove, che non in sostanza quelle che il socialismo ha tracciato agli uomini. abbiamo letto con interesse, ieri, la dichiarazione fatta a una conferenza stampa qui in Roma dal presidente dell' Indonesia nel suo passaggio a Roma, quando egli in forma piena di significato ha detto che non si sodisfa la fame con dei certificati elettorali . mandiamo il nostro saluto, a nome di quella parte del popolo italiano che rappresentiamo, al capo del grande popolo indonesiano, a cui auguriamo di progredire rapidamente sulla via dell' indipendenza e del benessere. questa dichiarazione del presidente Soekarno abbiamo ascoltato con particolare interesse, perché essa dimostra un orientamento nuovo, quell' orientamento verso la soluzione dei problemi sociali che i gruppi borghesi della Europa occidentale non seppero accoppiare alle lotte per la indipendenza nazionale, e per questo condannarono intieri paesi, come il nostro, a rimanere fermi e a regredire. nella stessa luce ci si presenta la grande figura del capo del governo indiano. qualcuno di noi non può evocarne il nome senza commozione. io ricordo di avere incontrato quest' uomo a Barcellona, nel 1938, negli ultimi mesi della resistenza della Repubblica spagnola in territorio catalano. ivi egli fu a visitare i luoghi del nostro lavoro. nel commentare questo suo passaggio per Barcellona così egli si è espresso nella sua autobiografia: « vi era luce lì, la luce del coraggio, della decisione nel fare qualcosa che ne valesse la pena » . così era, in realtà. ma oggi, alla commozione e al rispetto con cui consideriamo la figura di questo grande uomo di Stato, si unisce la profonda stima e l' interesse sempre più vivo per le posizioni che egli afferma e difende, quando dice che la sua intenzione è di avviare il grande popolo indiano (più di 300 milioni di uomini) su quella via di rinnovamento sociale che è indicata dal socialismo. sappiamo che questa via sarà percorsa e dovrà essere percorsa dal popolo indiano con un metodo suo, con un suo ritmo, con una sua propria organizzazione, il fatto, però, rimane. si determina, in questo modo, logicamente, date le posizioni che si affermano in questi nuovi Stati, la tendenza di queste nuove civiltà ad accostarsi sempre più al mondo socialista, a subire la efficacia di ciò che nel mondo socialista viene fatto per risolvere il grande problema del benessere e della giustizia sociale . non per nulla, quando i più alti dirigenti dell' Unione Sovietica , Bulganin e Kruscev, hanno visitato l' India, la Birmania, l' Afghanistan, quel viaggio ha avuto così grande importanza per quei popoli. l' entusiasmo trascinante di folle di milioni e milioni di uomini, che li ha accolti, è indice della nuova situazione in cui viviamo. a parte ciò, certo è che da parte di questo gruppo di paesi nuovi e da quello degli Stati socialisti che formano nel mondo un intiero sistema, giungono oggi le cose nuove, gli slanci rinnovatori, le proposte più avanzate e più giuste, non soltanto nel campo sociale. ma in quello della politica estera . parte da questi paesi, in forme diverse e in diverse direzioni, una azione conseguente per superare le fratture oggi esistenti, liquidare la vecchia politica di guerra dell' atlantismo e dar luogo a una politica che permanentemente garantisca la collaborazione dei popoli e la pace. il vecchio mondo capitalistico, di fronte a queste cose nuove, sembra non aver nulla da dire. rimane chiuso nella sua vecchia armatura, nella sua sfiducia, nella sua incapacità di muoversi e progredire. rimastica vecchie formule e se ne accontenta. qualunque passo venga fatto per sollecitare l' attuare una politica di pace, sempre si trova un professore di diritto e procedura pende, come l' onorevole Bettiol, o di altra disciplina, pronto a dire che non bisogna crederci, che bisogna mantenere i propri sospetti, la propria sfiducia, rimanere chiusi alla comprensione della nuova realtà. ma il mondo intanto va avanti, anche senza di voi e contro di voi. a mutamento delle strutture corrisponde infatti il mutamento degli indirizzi della politica internazionale . e anche qui a me non interessa, in questa sede, il dibattito su quali siano le misure che possano avere avuto una maggiore efficacia nel determinare le modificazioni che già sono in atto. lascio da parte questo tema, ché il trattarlo a fondo potrebbe impedire la reciproca comprensione. quello che ci interessa è soprattutto il fatto, e il fatto ci sodisfa ci sodisfano le cose nuove che stanno avvenendo. noi abbiamo lavorato, abbiamo combattuto anni ed anni per ottenere questo, per ottenere che da una politica di blocchi di guerra, di provocazione alla guerra e di guerra fredda , si passasse a una politica di reciproca comprensione, di distensione e di collaborazione fra tutti i paesi del mondo. questo era l' obiettivo che ci proponevamo e non possiamo che essere sodisfatti nel vedere che ci si comincia a muovere per questa strada. i vecchi indirizzi non valgono più. le guerre calde asiatiche sono terminate. la guerra fredda incomincia ad apparire cosa del passato. vi è stato un primo passo distensivo, compiuto alla prima conferenza di Ginevra e coincidente con il crollo della famigerata CED. poi un momento di arresto, segnato dalla seconda conferenza di Ginevra, dalla creazione dell' Unione Europea occidentale e dalle iniziative che da parte occidentale e dalle iniziative che da parte occidentale l' accompagnarono. in seguito la marcia è stata ripresa. e qui attiro la vostra attenzione su un fatto che è nuovo nella politica internazionale . la marcia verso la distensione è la pace è stata ripresa con un metodo del tutto originale, con il metodo, direi, delle iniziative unilaterali, venute da una parte sola, mentre l' altra stava chiusa in sé, continuava a digrignare i denti, non manifestava che diffidenza e sospetto. così è stato risolto il problema austriaco, con dispetto dell' onorevole Bettiol, il quale si è ieri doluto che sia stata data finalmente una soluzione a questo problema, restituendo al popolo austriaco piena libertà e indipendenza e liberandolo da qualsiasi occupazione straniera. è stato risolto il problema di avviare rapporti fra la Jugoslavia democratica e socialista e i paesi dell' Europa orientale . è stato risolto il problema di avviare rapporti diplomatici fra la Germania occidentale e l' Unione Sovietica . e così si è andati avanti fino alle ultime iniziative di disarmo compiute esse pure con atto unilaterale, da una sola delle parti, dall' Unione Sovietica , prima con la riduzione di 600 mila uomini dalle sue forze armate effettive e poi di un milione e 200 mila soldati. lo vada a domandare là. lo vada a domandare. il nostro Parlamento è investito della proposta dell' invio di una delegazione nell' Unione Sovietica . solleciti dal nostro presidente l' invio di questa delegazione e là potrà porre la domanda, ma non a me, che non sono il ministro della guerra dell' Unione Sovietica . in Asia, a queste iniziative è seguito il contatto e l' intesa fra i paesi del mondo socialista e i principali nuovi Stati asiatici , e l' intesa si è realizzata con la reciproca accettazione dei cinque punti elaborati dalla conferenza di Bandung. in Europa a un tale risultato non si è ancora arrivati, si è ancora lontani da esso; vi è stata però una serie di numerosi contatti, che senza dubbio hanno portato a una migliore comprensione reciproca e alcuni risultati parziali. in queste condizioni, ripeto che è sbagliato limitarsi a parlare di una atmosfera nuova. ci troviamo di fronte a una situazione nuova, la quale richiede una politica adeguata a questa situazione. ma quale politica? qual è oggi la politica del blocco atlantico? l' ultima formulazione ufficiale di questa politica è stata quella disgraziatamente data dal ministro degli Esteri americano alcuni mesi or sono, quando ha parlato della sua abilità nello spingere il mondo fino all' orlo di un conflitto terrificante e distruttivo per ricavarne il maggiore degli utili. vi fu una rivolta in tutto il mondo civile contro questa incauta formulazione della politica dagli USA imposta a tutto il blocco atlantico. critiche sono venuto da tutte le parti del mondo, ma è stata apertamente respinta questa posizione? è difficile dirlo. si è andati avanti sulla via della distensione non per merito di chi aveva formulato questa politica e non dichiarò mai ufficialmente di avere rinunciato ad essa. nessun atto a favore della distensione è ufficialmente venuto dalla parte atlantica. nessuna iniziativa precisa di politica estera è stata presa, da questa parte, che significhi un distacco dal vecchio metodo dei blocchi di guerra e della rottura del mondo in due. questo lo si giustifica, oggi, con la diffidenza, con il sospetto. gli specialisti della danza sull' abisso non hanno più fiducia nella loro diabolica abilità. ma è in loro, è in questi specialisti della danza sull' abisso che i popoli hanno diritto e ragione di non avere nessuna fiducia! la campagna della diffidenza e del sospetto copre la crisi evidente di tutta la politica occidentale e atlantica, crisi che parte dai settori militari e via via si estende a tutti gli altri. per quanto riguarda i settori militari, le cose sono state dette apertamente, dai più autorevoli organi dell' opinione pubblica , in Inghilterra, negli USA, in Francia. all' epoca delle ultime riunioni atlantiche, il Manchester Guardian ha detto chiaramente che il patto atlantico , per quanto riguarda gli armamenti, è in briciole. e ciò per evidenti ragioni: perché la Francia è impegnata in una terribile guerra nell' Africa del nord, perché il popolo tedesco non mostra un grande entusiasmo per il servizio militare obbligatorio e per la ricostituzione di una forza armata agli ordini e al servizio di imperialisti stranieri, perché il Belgio e l' Olanda non accettano l' imposizione del comando atlantico, di allungare la ferma militare. i soli che ubbidiscono alla cieca sembra che siano gli italiani, oramai. però, quando vien fatta questa denuncia della crisi militare del sistema atlantico, alla fine vien fuori il fatto più grave, il problema più profondo, quello delle prospettive. se non lavorate attivamente per la distensione, se volete mantenere la divisione del mondo in blocchi militari contrapposti, se volete continuare nella politica della danza sull' abisso, qual è la prospettiva che aprite al mondo? quando si parla della crisi militare, i capi militari — e in prima linea quelli degli USA — rispondono che hanno le armi atomiche e con esse regoleranno tutto. ecco la prospettiva nella quale tuttora si vuol vivere, alla quale tuttora si vuol rimanere legati: la prospettiva della guerra atomica ! ma ci siamo mai domandati seriamente, dopo aver conosciuto quali sono i progressi che sono stati fatti nella fabbricazione degli strumenti di distruzione atomica e termonucleare, che cosa sarebbe una guerra atomica ? permetta, arriverò anche a questa questione. io rimango legato alla mia vecchia opinione, onorevole Bettiol, che la prospettiva di una guerra atomica è essenzialmente prospettiva di distruzione e sterminio della civiltà attuale! se parziale o totale, non so; certamente, però, di distruzione e sterminio! vi sarebbe un fronte, una divisione del mondo con fronti regolari militarmente organizzati, in una guerra atomica ? no, è stato riconosciuto oramai apertamente! vi sarebbero solo zone di distruzione totale, alternate a zone di totale disperazione degli uomini! certo che l' attuale ordinamento capitalistico, in quella parte del mondo capitalistico che fosse soggetta a una guerra simile, sarebbe travolto. ma che cosa ne uscirebbe? non lo si può dire! si può lavorare con questa prospettiva? si può porre questa minaccia alla base di una qualsiasi politica internazionale ? è cosa assurda, e non solo per i gruppi capitalistici che ad un conflitto atomico sono certi che non sopravviverebbero, in quanto scomparirebbe il sistema stesso su cui essi fondano il loro potere, ma anche per i popoli e per tutti noi. né io esagero, onorevoli colleghi , nel trattare a questo modo il problema, perché esso sorge ad ogni istante. sorge quando vengono dibattuti i temi dell' azione militare cosiddetta difensiva dalle più alte autorità politiche e militari dell' Occidente, così come sorge quando si conducono le trattative per il disarmo. è noto, del resto, che la prima decisione presa dopo la costituzione dell' Ueo è stata propria quella di armare le divisioni dislocate nella Germania con strumenti atomici di distruzione e sterminio. purtroppo, se ci si mantiene sulla strada della divisione del mondo in blocchi militari contrapposti e della danza sull' abisso, non vi è altra prospettiva aperta. senonché, data l' assurdità di questa prospettiva, affermo che non vi è più possibilità di scelta, di alternativa. l' altra strada non è alternativa, ma è necessaria, se vogliamo evitare la distruzione, lo sterminio della civiltà attuale. ed è per questo che la politica estera non può rimanere quella di prima, ma deve cambiare, avviandosi per una strada che porti a garantire la sicurezza generale e la pace permanente di tutti i popoli. primo passo da farsi è la distensione. mezzo per ottenerla: l' accettazione del principio della coesistenza. né intendo discutere se debba trattarsi di coesistenza attiva, passiva, competitiva od altro. per me coesistenza non vuol dire semplicemente esistenza dell' uno Stato accanto all' altro, senza reciproca conoscenza, comprensione o collaborazione. la coesistenza deve implicare l' avvicinamento reciproco e la cooperazione, allo scopo di risolvere i gravi problemi che sono sul tappeto, primo fra tutti quello del disarmo. ma qui si palesa la profonda contraddizione di tutta la politica atlantica e occidentale. i popoli hanno sempre più coscienza della situazione. le voci più illuminate che si fanno sentire, in tutti i paesi, ammoniscono che la vecchia strada deve essere abbandonata, che occorre andare alla ricerca di nuove posizioni. ogni tanto la verità si fa strada, si ha uno sprazzo di luce, si sentono formulare programmi nuovi, esigere profonde modificazioni nell' indirizzo fino ad ora seguito. in questo quadro si colloca la presa di posizione dell' attuale ministro degli Esteri della Francia, il quale, dopo aver proclamato il suo profondo disaccordo dalla tendenza sino ad ora prevalsa nella politica dell' Occidente, ha affermato che occorre cercare una coesistenza fondata su nuove basi e, più precisamente, su una cooperazione economica generale estesa a tutti i paesi nell' ambito delle Nazioni Unite . nella stessa direzione e sulla stessa linea risuona la voce del presidente del Consiglio della Repubblica francese , il quale a un certo punto sembra non voler più condizionare il disarmo alla soluzione della questione tedesca e, nel partire da Mosca, dichiara che non vi è alcun pericolo di aggressione. in direzione analoga sembrano andare le stesse dichiarazioni del presidente degli USA. quando afferma che non si può più pensare alla guerra. ma allora, quale politica verrà seguita? quale è la nuova linea di condotta che voi, alfieri del blocco occidentale , proponete? e quale la politica italiana in questo quadro? qualche parziale riconoscimento della necessità di cambiar strada, ripeto, si costata. però, quando si arriva al punto in cui è necessario cambiare radicalmente qualche cosa, fare finalmente passi positivi per il disarmo, per l' organizzazione di un sistema di sicurezza generale, allora risorge tutto il passato. bisogna rimanere legati ai vecchi blocchi militari! nessuno disarmo! si deve mantenere la cortina di ferro attraverso l' Europa! l' Europa deve rimanere divisa in due blocchi militarmente contrapposti, l' un contro l' altro armato, e disposti a farsi la guerra. è: evidente che dal seno stesso dell' Occidente è necessario, per uscire da questa situazione, venga una spinta più forte, e questa deve venire dai popoli, ma deve anche venire dai governi i quali abbiano coscienza della gravità dei problemi da risolversi e della assoluta necessità di risolverli. l' esempio più caratteristico è quello del dibattito attorno al disarmo, che si trascina ormai da anni ed anni. qui si giuoca a rimpiattino. tutto ciò che è stato detto e che viene ogni giorno ripetuto, che da parte dell' Unione Sovietica non verrebbe ad esempio accettato il principio dei controlli, è menzogna. prendete la prima proposta dell' Unione Sovietica , del 1946, circa il divieto delle armi atomiche e il controllo sull' applicazione di questo divieto, e trovate un piano particolareggiatissimo di controlli e di ispezioni nei singoli paesi, organizzati da una superiore autorità internazionale. è menzogna tutto quello che si dice e si ripete a questo proposito! ma il giuoco a rimpiattino lo si scopre quando si esamina come sono andati i dibattiti. la parte orientale è partita dalla richiesta, in prima linea , del divieto delle armi atomiche , del loro uso e della loro costruzione, per passare quindi alla elaborazione di un piano di riduzione delle armi convenzionali. la parte occidentale ha risposto che ciò non si poteva fare e che bisognava invece seguire la via opposta: bisognava partire da un accordo per la riduzione delle armi convenzionali e poi si sarebbe affrontato il problema del divieto delle armi atomiche . la parte sovietica ha insistito per parecchio tempo sulla propria posizione. alla fine ha detto: va bene , accetto la vostra posizione, incominciamo dalla riduzione delle armi convenzionali e poi passeremo a esaminare il problema del divieto della produzione e dell' uso delle armi atomiche . allora la parte occidentale ha ritirato la propria proposta. è esatto, onorevole Dominedò! per quel che riguarda la riduzione degli armamenti, anche qui si è avuto lo stesso giuoco. l' Unione Sovietica parte dalla richiesta di una riduzione proporzionale, ed io ammetto che questa posizione potesse essere criticabile. la parte occidentale propone, invece, un piano di massimi livelli assoluti di forze territoriali per le più grandi potenze. la parte sovietica insiste per parecchio tempo sulla propria posizione, ma alla fine dice anche a questo proposito: va bene , accetto la posizione vostra. allora, la parte occidentale abbandona la propria posizione. determinate cifre vengono proposte dalla Francia e dall' Inghilterra come livello massimo di armamenti per le grandi potenze: l' Unione Sovietica le accetta, le introduce in un proprio piano senza modificazioni. il Primo Ministro inglese propone un sistema di smilitarizzazione controllata in una zona dell' Europa centrale: a un certo punto l' Unione Sovietica accetta anche questa proposta. persino per il piano di ispezioni aeree proposto dal presidente degli USA, a un certo momento i sovietici dichiarano: va bene , in un sistema generale di controllo, possiamo prendere in esame anche questa proposta. siamo dunque al punto in cui si potrebbe concludere? no, in questo momento si ritorna al punto di partenza , perché la parte occidentale dichiara che sì, che tutte queste proposte vanno bene, ma però bisognerà prima di tutto mettersi d' accordo sui temi di ordine generale. questa è la posizione di ieri dell' onorevole Bettiol: finché non si sarà d' accordo sul modo di risolvere la questione tedesca, non si potrà fare nessun passo in avanti per il disarmo. è una posizione contrastante, persino, con alcuni accenni che nel passato vennero fatti dal nostro ministro degli Esteri in precedenti esposizioni ministeriali. così il tema del disarmo è ritornato in alto mare. vi è stata, infatti, l' opposizione recisa del cancelliere tedesco a qualsiasi passo nella direzione nella quale ormai era chiaro che ci si poteva muovere. vi sono state infine le dichiarazioni del presidente degli USA, che le forze armate americane non potranno mai venire ridotte. come si andrà avanti? ripeto. è necessario che dall' interno del mondo occidentale sorgano spinte nuove. e qui sorge per noi il problema della politica estera italiana e della responsabilità, dei nostri governanti. l' Italia, in questo momento in cui il blocco occidentale appare incatenato a posizioni da cui da tutte le parti si chiede che ci si stacchi, ma da cui non ci si riesce a staccare, che cosa fa? qual è la nostra politica estera , quali sono le nostre proposte, quali sono le nostre iniziative? ha il nostro paese una politica estera che sia adeguata alla nuova situazione che oggi esiste nel mondo? noi siamo immobili, fatta eccezione di alcune formulazioni nuove di cui parleremo, Ina che rapidamente sono state cancellate, perché contradicevano con tutto il resto. la politica estera di un paese è fatta dal Governo e dagli organi dell' opinione pubblica . se si prende in esame la politica che viene fatta dalla maggior parte di questi organi che, in sostanza, sono controllati più o meno dal Governo, o almeno coordinano le loro posizioni con quelle governative, il quadro è sconsolante. non parliamo delle posizioni che vengono prese verso i paesi del mondo socialista: si è rimasti al vecchio stile fascista, tinto di nerofumo clericale. per quanto riguarda i nuovi gruppi di Stati liberi asiatici e africani, e, in generale, il problema del colonialismo, la posizione che viene fuori è quella di un curiosissimo colonialismo per conto degli altri. noi difendiamo il sistema coloniale quando esso, nella maggior parte del mondo, è crollato, e non abbiamo alcun interesse a difenderlo anche perché nel tentativo di conquistare posizioni coloniali per poco non abbiamo perduto la nostra indipendenza e siamo stati costretti a riconquistarla con tanti sacrifici e con tanto sangue. credo che soltanto in Italia sia avvenuto di poter leggere sulla rivista La Nuova Antologia , considerata espressione del pensiero culturale quasi ufficiale del nostro paese, un lungo articolo, nel quale si sostengono i diritti del Portogallo su quel territorio di Goa, che viene rivendicato dal popolo e dal Governo indiani, interessati a condurre a fondo la lotta per distruggere ogni traccia di colonialismo. noi siamo per il cosiddetto governo di Formosa, siamo, nel Vietnam meridionale, per le marionette americane, siamo per i colonizzatori americani contro il popolo del Guatemala; dovunque si affaccia il nuovo colonialismo di marca americana, noi siamo al seguito dei colonialisti. per ciò che si riferisce all' Europa, quello che si cerca a forza di far credere all' opinione pubblica , è che non sta avvenendo niente di nuovo: capi di governo e capi di Stato si incontrano, dibattono problemi, cercano intese, giungono a determinati risultati parziali, il commento è sempre quello: non vi è niente di nuovo, non vi è niente di fatto, non cambia nulla, è tutto un trucco. è invece sono cambiate e cambiano molte cose. il viaggio dei dirigenti sovietici nell' Asia meridionale ha portato a un accordo di stretta collaborazione tra il più grande paese socialista e i più grandi Stati di questa parte del mondo. il contatto del Primo Ministro svedese Erlander coi dirigenti dell' Unione Sovietica porta alla dichiarazione che vi sarà una cooperazione tra i due paesi nel campo del disarmo e della distensione internazionale. il contatto tra i dirigenti sovietici e il Primo Ministro danese Hansen porta al riconoscimento reciproco del principio della pacifica coesistenza, basata sul non intervento , sul rispetto della sovranità degli Stati e sulla non aggressione. il contatto tra i dirigenti sovietici e il capo del governo norvegese porta all' impegno del governo norvegese di non concedere basi, sul proprio territorio, a potenze straniere, impegno che viene assunto dalla Norvegia nonostante essa faccia parte dell' Alleanza Atlantica . tutto questo, per gli organi della nostra opinione pubblica , non è niente! vi è stato poi il viaggio in Inghilterra dei dirigenti sovietici, e anche da questo non sarebbe uscito niente, sarebbe un fallimento completo. ma da questo viaggio intanto è uscito un ampio accordo di collaborazione e di scambi culturali; è uscito un inizio di accordo per scambi economici che potrebbero toccare, in cinque anni, la cifra di un miliardo di sterline; è uscito l' impegno dei due governi a fare tutto il possibile per porre termine alla corsa agli armamenti in ogni parte del mondo; è uscito l' accordo fra i due governi su questi due punti fondamentali: l' interdizione delle armi atomiche e l' inizio immediato di una sostanziale riduzione controllata degli armamenti classici da parte delle cinque grandi potenze. fallimento anche il contatto a Mosca tra i dirigenti sovietici e i capi del governo francese . ma da questo contatto è uscito, prima di tutto, un ampio accordo di cooperazione culturale; è venuta l' espressione della comune volontà di operare in vista della riduzione della tensione internazionale; è venuta l' espressione della ferma volontà dei due paesi di prendere misure atte a rafforzare la fiducia reciproca e a migliorare i rapporti tra gli Stati, quali che siano le differenze esistenti nei loro sistemi politici , economici e sociali, cioè è venuto il riconoscimento del principio della coesistenza pacifica , è venuto un accordo di massima per risolvere il problema del disarmo è così via . la nostra opinione pubblica viene orientata, non so se per ispirazione del Governo, dei gruppi che dirigono l' economia italiana , o di potenze e interessi stranieri, in senso totalmente opposto alla realtà di quello che sta avvenendo; viene ingannata continuamente allo scopo di coprire con una maschera qualsiasi il fatto che l' Italia non ha oggi una sua politica estera , che l' Italia non giuoca nel mondo quella parte che potrebbe giocare. il nostro Governo che fa? quali sono le sue iniziative, i suoi atti? la relazione al bilancio presentata dal collega designato dalla Commissione esteri, bene riflette questa assenza di una politica estera adeguata alla situazione attuale. delle più importanti e decisive questioni, non parla. esalta il fatto che la nostra politica estera si svolgerebbe da anni secondo le stesse linee precise. ma in questi anni la situazione è radicalmente cambiata, oggi ci sono nuove cose davanti a noi. esalta il fatto che or sono cinque anni, il 17 dicembre del 1951, ad Ottawa venne presentata, dal rappresentante del governo italiano , non so quale rivendicazione di applicazione del patto atlantico in un modo determinato. ma, oggi, non siamo più nel 1951. oggi ci troviamo di fronte a una spinta nuova, che tende a superare i limiti del patto atlantico come patto militare, per trasformarlo in un patto di cooperazione che possa anche diventare, domani, la base di un sistema di sicurezza generale. il 1951 non ha nulla a che fare con la situazione di oggi. persino il nostro ingresso nelle Nazioni Unite non significa, per il nostro relatore, niente di nuovo, nessuna svolta nell' azione politica italiana ! al contrario, diciamo noi, essendo entrati nelle Nazioni Unite la nostra politica deve avere una svolta verso una direzione nuova, una svolta verso la partecipazione attiva ai grandi dibattiti internazionali con posizioni chiare, autonome, con iniziative che ci pongano al livello delle grandi potenze. ma la politica governativa corrisponde alla vacuità di questo rapporto. il solo elemento nuovo che è affiorato negli ultimi tempi, sono dichiarazioni fatte durante il viaggio del presidente della Repubblica negli USA. queste dichiarazioni non potevano non colpire l' opinione pubblica , perché in esse era contenuto un certo riconoscimento, per lo meno, della nuova realtà che sta davanti a noi. si è parlato, infatti, di un nuovo corso delle relazioni internazionali, necessario per aderire alla realtà della situazione, si è parlato del fatto che la situazione è mutata in tante parti del mondo, si è parlato del riarmo come di un tragico lusso, si è parlato della necessità di modificare il contenuto del patto atlantico , che sarebbe stato sino ad ora di carattere, puramente militare, e dovrebbe essere trasformato in un sistema di cooperazione economica. come si vede, ci si trova qui davanti ad alcune posizioni nuove, degne di discussione per lo meno, se non di totale consenso. ma queste posizioni nuove, non appena formulate e venute a conoscenza dell' opinione pubblica sono contestate, combattute e in pari tempo affogate dalle molteplici dichiarazioni che si susseguono, ufficiali, semiufficiali, non ufficiali, per ben precisare che esse non sono per niente nuove, ma corrispondono a ciò che l' Italia ha sempre fatto, alla proposta fatta a Ottawa nel 1951, alla richiesta altre volte fatta di applicazione dell' articolo 2 del patto atlantico , e così via . quando voi affogate in questo modo la novità di queste dichiarazioni sotto queste spiegazioni, voi uccidete anche quella briciola che vi è stata finora di originale nelle formulazioni della nostra politica estera . a queste posizioni nuove, del resto, bisogna riconoscere che nulla ha corrisposto come iniziativa pratica, come azione concreta di natura diplomatica e politica da parte dei dirigenti della nostra politica. vi è stato l' incontro di Parigi tra il presidente della nostra Repubblica, il ministro degli Esteri e i dirigenti della Repubblica francese . si ebbe a un certo punto l' impressione che si fosse per lo meno qui giunti a una concordanza di principio circa il piano presentato dal ministro degli Esteri francese per rompere il carattere militare del blocco atlantico e trasformarne dall' interno la sostanza. ma nello spazio di poche settimane le cose sono completamente cambiate. si è manifestata subito la recisa opposizione dei dirigenti della politica estera americana, prima, durante e dopo la riunione atlantica di Parigi, e dalla riunione atlantica di Parigi che cosa e uscito? il piccolo topolino della commissione dei tre che dovrebbe adesso prendere a studiare le proposte, rielaborarle, ripresentarle a una nuova riunione, dove si farà senza dubbio un' altra Commissione e così si andrà avanti. completa assenza di iniziativa verso il campo socialista. da un anno sta davanti ai due rami del nostro Parlamento l' invito all' invio di una delegazione parlamentare per un incontro amichevole con i rappresentanti delle grandi assemblee legislative dell' Unione Sovietica . la questione è stata trascinata per più di un anno attraverso contestazioni procedurali e altri cavilli. non sappiamo ancora che cosa ne uscirà. vi è una proposta di contatti tra dirigenti del nostro Governo e i dirigenti del governo sovietico . una rivista che si dice di ispirazione ufficiale del ministero degli Esteri . questo non è compito del ministero degli Esteri . questa rivista sembra prendere a un certo punto posizione favorevole alla realizzazione di questo contatto. ma nulla si conclude, e nemmeno si sa da che parte venga l' opposizione e che argomenti porti. un giornale svizzero abbastanza autorevole pubblica che il ministro degli Esteri americano avrebbe sconsigliato il viaggio perché il successo di un eventuale viaggio a Mosca del ministro Martino non rafforzerebbe il sistema atlantico. ma a noi ciò che importa è che si rafforzi la posizione internazionale dell' Italia. il fatto è che anche in questo campo avremo il merito di essere gli ultimi, quelli che arrivano dopo che tutti gli altri hanno già avuto il coraggio di andare, di ritornare e di concludere qualcosa. verso gli Stati del campo non socialista e non atlantico vi sono stati diversi viaggi, dichiarazioni ufficiali ricche di buone parole, ma non ho visto finora fatti né misure concrete di politica estera . persino la proposta che ad un certo momento fu affacciata da parte egiziana, se non erro, di un intervento mediatore italiano, quando si temeva un conflitto nel Medio Oriente , non è stata raccolta. chi è che ha consigliato al nostro Governo di non raccogliere quella proposta? forse non vi era accordo nel Governo stesso sulla posizione da adottare? perché nemmeno in questo campo abbiamo saputo far sentire al mondo che l' Italia esiste e conduce una sua politica, la quale non è dettata e non deve coincidere né con quella del ministero degli Esteri inglese, né con quella del dipartimento di Stato americano ? nei confronti dell' Asia siamo succubi degli americani. i nostri rapporti — cordialissimi e intimi — sono con l' isola di Formosa, col fallito Ciang Kai Scek , con questa isola e con quest' uomo che sono il modello del nuovo tipo di colonialismo instaurato dagli americani. persino nel campo del commercio con la Repubblica popolare cinese ci siamo lasciati battere da tutti. è verissimo che gli USA hanno ottenuto che gli Stati i quali sono ad essi particolarmente obbedienti non riconoscano la Repubblica popolare cinese . ciò nonostante, però, questi Stati da alcuni anni fanno un commercio attivissimo con la Cina. noi abbiamo cifre insignificanti. la Repubblica popolare cinese ha recentemente concluso con il Canada un accordo commerciale per la fornitura di navi, di macchine utensili, di equipaggiamento elettrico, di fertilizzanti, di veicoli, automobili, eccetera, tutte merci che sarebbe interessante potessero essere fruite dal nostro mercato. bisogna poi tenere presente che il popolo cinese è un popolo altamente civile. da parte dei governanti della Repubblica cinese non ci verranno certamente mai poste le condizioni umilianti che ci vengono imposte dagli USA, quando chiedono che le fabbriche le quali lavorano per forniture americane debbano fare una discriminazione tra gli operai a seconda della loro appartenenza a partiti e a sindacati di diversa tendenza. noi lasciamo che la Cina commerci con tutti i paesi, atlantici non atlantici: noi siamo fedeli al dipartimento di Stato , anche a costo di rovinarci! anche per gli scambi culturali e turistici siamo in coda a tutti gli altri. sussistono tuttora i vecchi e indegni divieti. vi è stato un prefetto della Repubblica che è intervenuto con misure di ordine pubblico contro una associazione turistica la quale si era data alla buona opera di organizzare viaggi verso l' Unione Sovietica e paesi dell' Europa orientale . chi ha dato quell' ordine? il nostro Governo? perché fino all' ultimo volete essere i patiti del sipario di ferro, gli estremisti atlantici, gli alimentatori del sospetto e della diffidenza, i nemici della distensione e della pace? per l' oltranzismo atlantico non vi è più luogo, oggi. l' oltranzismo atlantico è merce che non ha più corso. e di qui sorge la bizzarra situazione in cui vi trovate: volete continuare a fare gli oltranzisti, ma la situazione va avanti senza di voi, e una politica estera che corrisponda a questa situazione nuova noi no l' abbiamo. mi sono domandato parecchie volte, e la questione effettivamente si pone: perché questo avviene? si dice che la cosa dipenda dal fatto che i nostri governanti sarebbero dominati dall' incubo della politica interna . non posso svolgere azioni concrete in favore della distensione è stata ed è il programma dei comunisti, dei socialisti, e il Governo non può dare oggi l' appartenenza di aderire a questo programma. una delegazione parlamentare nell' Unione Sovietica come si fa a mandarla? nel Parlamento italiano ci sono anche dei comunisti, bisognerà dunque che ci sia qualche comunista il quale vada nell' Unione Sovietica a spese del Parlamento. quale scandalo, è cosa che non si può fare! quanto al viaggio dei capi del nostro Governo nell' Unione Sovietica per prendere un primo contatto con i dirigenti di quel grande paese, è ciò che gli oppositori chiedono a gran voce da mesi e mesi. come può un Governo il quale vuole mantenere la coerenza col proprio assoluto immobilismo prendere una simile posizione e darla quindi vinta all' opposizione? signor ministro, credo che qui ci troviamo di fronte a una forma di provincialismo infantile la quale deve essere abbandonata. coloro che hanno saputo fare una politica estera in Italia, in tempi molto lontani, hanno saputo sempre servirsi anche delle correnti di opposizione per avere maggiori carte nel proprio giuoco, per elevare l' autorità del paese, per saper raggiungere determinati obiettivi seguendo vie a volte diverse. ma forse il motivo vero per cui noi oggi non abbiamo una politica estera è più profondo. il nostro paese rimane, per sua disgrazia, legato al vecchio orientamento dei partiti clericali dell' Europa occidentale . quando si è manifestato il proposito degli USA di organizzare l' Europa occidentale come base loro per far prevalere in tutto il mondo il cosiddetto modo di vita americano, cioè per la difesa del vecchio ordinamento capitalistico, i partiti clericali dell' Europa occidentale hanno collegato a questo il loro proposito di riuscire, con l' appoggio degli USA e attraverso la politica della guerra fredda condotta dall' imperialismo americano, a diventare i dirigenti di tutta l' Europa occidentale . volevano ridar vita, dicevano, all' Europa di Carlo Magno. ebbene, bisogna riconoscere che questo proposito ha fatto fallimento. la politica dei partiti clericali nell' Europa occidentale è completamente fallita. direi che ha fatto fallimento anche di fronte alla coscienza cattolica, perché operava una inammissibile riduzione dell' universalismo cattolico al capitalismo morente, cosa che la coscienza cattolica non credo possa accettare. i partiti clericali sono stati i principali responsabili della divisione del mondo e della guerra fredda . ma hanno fatto fallimento. il momento in cui sembrava possibile l' attuazione del loro proposito egemonico, è finito e non tornerà più. la Francia, dagli uomini del partito clericale è stata condotta alla più grave sconfitta che abbia subito nell' ultimo decennio, che le è costata la perdita dell' Indocina, per una parte diventata Stato indipendente, per l' altra parte trasformatasi in colonia americana. è la politica clericale che ha creato l' oltranzismo atlantico, è la politica clericale che ha rifiutato la comprensione del modo di risolvere il problema tedesco. è la politica clericale che, cercando la via di uscita in un vacuo europeismo, ha compromesso la stessa causa dell' unità europea perché ha fatto il contrario di ciò che si sarebbe dovuto fare per giungere a superare le differenze tuttora esistenti e avvicinare l' uno all' altro i popoli europei . quali sono oggi i termini del problema tedesco? poteva essere risolto in un determinato modo anni or sono onorevole Bettiol, sono d' accordo con lei: era necessario che gli accordi di Potsdam non venissero violati, perché quegli accordi prevedevano misure particolari di trasformazione politica democratica e di trasformazione sociale della Germania. questi accordi vennero applicati nella parte orientale, non nella parte occidentale. il blocco di Berlino fu la conseguenza di quelle violazioni. oggi il problema ha un aspetto internazionale, ma è per questa parte strettamente legato a quello del disarmo, non però nel senso che ella, onorevole Bettiol, ha detto ieri, che la soluzione del problema tedesco deve essere premessa al disarmo, bensì nel senso precisamente opposto. sino a che la frontiera che oggi divide in due la Germania separa l' uno dall' altro due blocchi armati, questa frontiera non potrà mai essere spostata con il consenso di entrambe le parti. è necessario che questa frontiera non sia più quella che separa due blocchi armati l' uno contro l' altro. è necessario cioè che si ponga il problema del disarmo e si facciano passi in avanti nella sua soluzione. allora si creeranno condizioni nuove perché anche il problema tedesco, attraverso l' accordo delle due parti della Germania, possa venire affrontato e risolto. ma il problema dell' unità della Germania ha anche un altro aspetto, che noi particolarmente e con noi tutti i partiti i quali vogliono il progresso sociale , non possiamo trascurare. nella Germania orientale sono state attuate profonde riforme sociali. è stata tolta la terra ai vecchi Juncker, e questa terra è stata distribuita ai contadini che oggi la posseggono e la lavorano. la grande industria è stata nazionalizzata. sono state nazionalizzate nella Germania orientale le grandi fabbriche che oggi sono proprietà del popolo. sono state attuate quindi delle profonde riforme di ordine sociale. io non discuto oggi se tutto quanto ivi è stato fatto sia buono o cattivo. questo è un altro problema, che non sta dinanzi alla nostra Camera. dico però che nella Germania orientale sono state attuate delle profonde riforme sociali. e il problema che oggi si pone a noi, così come si pone all' attenzione di tutti i partiti socialisti e socialdemocratici europei, e non soltanto comunisti, è come si possa risolvere la questione dell' unità della Germania senza che siano distrutte queste riforme sociali. se l' unità dovesse essere realizzata distruggendo queste riforme, tutta l' Europa farebbe un passo indietro, e un terribile passo indietro. ecco un tema che noi sottoponiamo alla riflessione dei colleghi di parte socialdemocratica, ecco un tema che ritengo dovrebbe essere oggetto di riflessione per tutti i partiti socialdemocratici europei, i quali, affrontandolo seriamente e tentando di dare ad esso una soluzione, potrebbero veramente far compiere seri passi avanti alla soluzione del problema tedesco. fino a che, però, il mondo occidentale rimarrà testardamente legato alle sue vecchie posizioni, una soluzione non verrà trovata e si prepareranno rovesciamenti di opinione nella Germania stessa, che non saranno a favore vostro. per quello che riguarda l' europeismo, tre errori fondamentali noi abbiamo sempre indicato in ciò che voi avete tentato di fare in questa direzione. il vostro europeismo, prima di tutto, non è mai stato democratico. voi avete sempre escluso la rappresentanza delle minoranze dagli organismi che eleggevate in questa Assemblea per realizzare la integrazione europea . avete negato, in partenza, la democrazia. in secondo luogo, il vostro europeismo è stato l' equivalente di una politica di blocchi militari, non di una politica di unificazione dell' Europa. creava quindi nell' Europa non unità, ma divisione. in terzo luogo, il vostro europeismo non è mai stato una formula di progresso, perché è sempre stato collegato al proposito di far trionfare il cosiddetto modo di vita americano, cioè di difendere il vecchio capitalismo morente nei diversi Stati dell' Europa occidentale e di sbarrare la strada al socialismo. noi non siamo contro, anzi, siamo favorevoli a un processo che tenda ad avvicinare le diverse parti dell' Europa. ma guardate al passato. l' Europa si è avvicinata a una maggiore unità soltanto quando hanno avuto in essa più larga influenza, nei suoi ceti dirigenti o nelle sue masse, i movimenti progressivi. questo è avvenuto nel Settecento, con l' illuminismo. allora uno scrittore italiano, un pensatore francese, non erano estranei alla corte di Prussia o a quella di Pietroburgo. pensatori e filosofi di tutti i paesi, attraverso le frontiere si scambiavano le loro opinioni, discutevano da uno Stato all' altro. vi era indubbiamente maggiore unità nella cultura europea di quella che oggi non esista. nell' Ottocento vi sono stati due grandi movimenti unitari, il movimento di liberazione nazionale e il movimento socialista, ma lo sviluppo dell' imperialismo ha troncato qualsiasi accostamento o processo di unificazione. oggi si può rianimare una tendenza unificatrice non nella difesa del capitalismo, ma nella ricerca di un progresso sociale , nell' accostamento e nella reciproca comprensione di tutti i movimenti che si muovono in questa direzione, il che deve portare, prima di tutto, a superare la artificiale barriera che separa la parte occidentale dalla parte orientale. alla testa di questo movimento possono essere i partiti comunisti, i partiti social democratici, tutti i partiti di ispirazione socialista. a loro spetta il compito principale. non credo all' efficacia del metodo che voi avete seguito. credo all' efficacia di un metodo nuovo, graduale, che tenda ci creare, partendo da contatti bilaterali, sfere sempre più larghe di reciproca intesa fra i diversi movimenti di ispirazione socialista e democratica e fra i diversi paesi. questa, ad ogni modo, è la strada per cui bisogna muoversi. il vostro sedicente europeismo non e riuscito a creare nulla. è sorto con una impronta reazionaria. non ha condotto ad un risultato concreto. ora parlate di un rilancio europeistico. quando sento queste cose, penso al passato, quando ci venne presentata la famosa unione doganale franco-italiana come qualche cosa che avrebbe dovuto entro pochi anni modificare i rapporti fra questi due grandi paesi dell' Europa occidentale , e non ne uscì nulla, assolutamente nulla. da questo vostro rilancio che cosa potrà uscire? forse un' altra commissione ad hoc , come voi le chiamate! un vecchio poeta francese, il Béranger, sembrava avesse previsto queste cose quando parlava, in una sua poesia, un centinaio di anni fa, della Sainte Alliance / faite au nom de la Providence / et que signe un congrés ad hoc . parlava, è vero, di sultani che si erano riuniti per creare un blocco di Stati nell' Africa del nord. oggi si riuniscono i ministri degli Esteri , i rappresentanti di gruppi parlamentari di maggioranza, elaborano risoluzioni, decidono di incontrarsi ancora una volta e poi un' altra ancora, ma nulla esce da tutto questo, assolutamente nulla, perché è falso il punto di partenza . sono oggi davanti a noi, come davanti ad altri paesi, le proposte di collaborazione atomica su una base europea. le discuteremo quando ci verranno presentate. ritengo che possano avere un valore soprattutto per un paese come il nostro. in questo campo, purtroppo, siamo alla coda di tutti gli altri, non abbiamo fatto ancora nessun progresso sensibile, nonostante il contributo che l' intelligenza italiana ha saputo dare agli sviluppi di questi studi. ne discuteremo a suo tempo. secondo la nostra opinione, però, la cosa migliore è di risolvere il problema sul piano più largo, che è quello delle Nazioni Unite . in questo quadro si possono avere i più efficaci aiuti dai paesi che più sono andati avanti in questo campo. ma ora persino il vecchio Churchill irride alla vostra Europa, che un tempo era anche la sua, quando dice che oramai è tempo di ammettere la Russia e i pesi orientali nel patto atlantico e di fare del patto atlantico la Europa vera, cioè un sistema di sicurezza europea. certo, questa è la strada giusta e non so se e quando si andrà avanti per questa strada. noi cercheremo di andare avanti per la strada che ho indicato. ma ella, onorevole Bettiol, ha giustificalo in pieno la critica che io faccio quando dico che l' assenza di una politica estera italiana in questo momento è dovuta alla influenza clericale ponendo qui, e per il modo come l' ha posto, il problema della pace religiosa in altri paesi e rivendicando il riconoscimento in questi paesi di quello che ella chiama il magistero della Chiesa. ma io mi domando: perché l' Italia deve occuparsi di questo problema? forse che noi siamo lo Stato della Chiesa? noi siamo la Repubblica democratica italiana, non siamo lo Stato della Chiesa. nei paesi cui ella si riferisce, le libertà religiose sono garantite pienamente, e quanto al modo di regolare i rapporti col centro della Chiesa cattolica , questo è problema di politica interna di ciascun paese e noi non possiamo intervenire in esso. se vi è in questo campo qualcosa da regolare per quel che riguarda i rapporti con le autorità della Chiesa, ci pensino queste autorità. è compito loro. so benissimo che queste autorità hanno oggi perduto nel mondo gran parte delle loro posizioni e soprattutto del loro prestigio e ne soffrono. se ciò è avvenuto, è avvenuto perché hanno tenuto, probabilmente, una linea di condotta contraria a quella che avrebbero dovuto, imprudentemente presentandosi o lasciandosi presentare come fautori della politica della guerra fredda , dei blocchi, del trionfo del modo di vita americano. sappiano ora dar prova esse pure della necessaria comprensione. è un compito che spetta a loro. noi chiediamo (e mi avvio alla conclusione), in conseguenza della critica che ho sviluppato, un mutamento radicale dell' indirizzo della nostra politica estera . non poniamo il problema del patto atlantico . ci pensa lo sviluppo delle cose a minare dalle radici il sistema dei blocchi e dei patti militari contrapposti. noi chiediamo un mutamento di indirizzo, che adegui la nostra politica estera alla nuova situazione che vi è nel mondo. chiediamo vengano liquidati anche gli ultimi resti dell' oltranzismo atlantico e dell' influenza clericale sulla nostra politica estera ; che venga rotta la sudditanza del nostro paese a interessi e posizioni estranee all' Italia, che venga fatta una politica nazionale italiana, per dare un nostro contributo, un contributo italiano alla causa della distensione, dell' accettazione generale dei principi della coesistenza, dell' intesa e della collaborazione fra tutti i popoli per la realizzazione di un piano generale di disarmo e di sicurezza collettiva. per quel che si riferisce alla trasformazione del patto atlantico in un sistema di aiuti economici, la nostra opinione è che la cosa migliore sia di portare questo problema davanti all' Assemblea delle Nazioni Unite e di affrontarlo e risolverlo in quel quadro. la proposta, che ci è stata fatta dal capo del governo sovietico Bulganin, di procedere noi pure sulla via dell' iniziativa unilaterale per avviare a una soluzione il problema del disarmo, riteniamo debba essere accettata o, per lo meno, discussa a fondo nel contatto che riteniamo debba aver luogo fra i dirigenti del nostro paese e i dirigenti sovietici. una riduzione della ferma come contributo alla causa del disarmo sarebbe salutata da tutto il popolo e, particolarmente, da tutta la gioventù italiana, come cosa molto buona. concretamente, proponiamo che finalmente vengano rotti gli indugi e superate le tergiversazioni per quanto si riferisce all' invio in Russia di una delegazione parlamentare, di membri della Camera e del Senato. chiediamo venga organizzato un incontro fra i dirigenti del nostro paese e i dirigenti dell' Unione Sovietica , allo scopo di regolare le questioni pendenti tuttora fra i due paesi e di stabilire fra di essi rapporti non soltanto di reciproca comprensione, ma di intesa e di amicizia. chiediamo un mutamento radicale della posizione del governo italiano verso la Repubblica popolare cinese , il riconoscimento della Repubblica popolare e lo stabilimento di rapporti economici ampi e sviluppati in tutte le direzioni, che siano anche un sollievo per quei settori della nostra economia che più ne hanno bisogno. chiediamo venga seguita una politica di amicizia verso tutti i paesi già soggetti al giogo coloniale e che questa politica non si esprima soltanto con complimenti e visite, ma con iniziative concrete. questi popoli debbono sentire che il popolo italiano , il quale tanto ha combattuto e tanto sangue ha versato per la conquista della propria libertà nazionale, oggi è con loro nella lotta che essi conducono per la loro indipendenza e per distruggere definitivamente il colonialismo. il nostro movimento e il movimento delle masse popolari , cui noi diamo il nostro contributo, lavoreranno per ottenere che gli obiettivi che noi proponiamo vengano raggiunti. in due modi ci proponiamo di lavorare: sviluppando ancora di più quel grande movimento popolare dei partigiani della pace che già tanto ha fatto per far trionfare la causa della pace nel mondo intiero e, in secondo luogo, stabilendo contatti, i più efficaci possibili, con i movimenti di altri paesi che si muovano nella nostra stessa direzione. questo è un prezioso contributo che noi possiamo dare alla causa della reciproca comprensione fra i popoli e, quindi, alla causa della pace. onorevoli colleghi , è in atto una svolta nel mondo, quella svolta che noi abbiamo auspicato e per la quale abbiamo combattuto. si tratta di una svolta nella direzione della pace e del progresso sociale . noi vogliamo che il nostro paese, l' Italia, dia a questa svolta il proprio contributo, prendendo iniziative concrete per far progredire e trionfare la causa della distensione internazionale, del disarmo, della pace. chiediamo questo perché vogliamo che cresca nel mondo il prestigio della nostra patria, attraverso una politica estera attiva, efficace, rispondente alla situazione di oggi. questo chiediamo, per questo lavoriamo e combattiamo, per questo continueremo a combattere e a lavorare.