Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 404 - seduta del 16-03-1956
Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia
1956 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 329
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , tra i pochi dossiers che tengo per le materie alle quali presto una particolare attenzione, quello riguardante le partecipazioni statali e l' Iri è certamente il più voluminoso, perché comprende importanti relazioni, a partire dai lavori dalle Commissione per la Costituente, una continua, ininterrotta polemica di stampa, e una infinità di ordini del giorno e di dichiarazioni parlamentari. vi era, quindi, da presumere che dopo tanto esame del problema, sia in Parlamento che fuori, questa discussione rappresentasse un punto di arrivo o, direi, la coagulazione di un lungo dibattito. in verità, onorevoli colleghi , come avrete potuto notare dall' assiduità alla discussione, al traguardo non solo i battaglioni si sono squagliati, ma anche gli ufficiali e i generali che avevano condotto la battaglia. quanto a me, mi sono trovato in un grave imbarazzo. quello che potevo dire sul problema e quello che il mio partito poteva pensare, sono espressi in una relazione a stampa presentata nel 1951 e in varie mozioni. avvertivo in me una predisposizione a non parlare. d' altra parte, era in me il dubbio che fosse un po' disertare i doveri parlamentari trascurare la sola occasione in cui le nostre discussioni possono acquistare una solennità e una definitività, che condotte in altra sede esse, certo, non hanno. infine, mi sono trovato a dover ascoltare discorsi di colleghi dell' estrema destra — che naturalmente oggi non sono presenti, perché un' altra nobile abitudine del nostro Parlamento è che ciascuno ascolti i discorsi suoi — nei quali essi davano al dibattito attuale una strana interpretazione, come se esso potesse interessare, proprio come manovra politica, il mio gruppo parlamentare . debbo dire agli onorevoli colleghi della destre. che le nostre preoccupazioni politiche vanno al di là del problema delle partecipazioni statali e che, almeno dal nostro punto di vista , l' interesse alla discussione è un interesse puro al problema. debbo, anzi, compiacermi col Governo per la presentazione del progetto, perché suppongo che l' abbia fatto per rispondere ad una esigenza varie volte affacciata in Parlamento, e non per preparare a più o meno breve scadenza combinazioni politiche. ed entrando in argomento, noto intanto con piacere che è stato risolto esattamente il problema se dovessero prima riformarsi le strutture particolari, per esempio la struttura dell' Iri, o se non si dovesse prima porre attenzione all' aspetto generale del problema, e quindi creare l' organo politico capace di assumere precise responsabilità nella riorganizzazione delle strutture particolari. ringrazio gli onorevoli Lucifredi e De'Cocci per aver condiviso questo punto di vista , e non posso quindi accettare le critiche del collega Napolitano quando dice che il non essersi preoccupati delle strutture particolari ha significato un indebolimento dell' impostazione generale del problema. no, qui il solo problema che dovevamo affrontare era quello di creare la struttura generale, cioè di creare il ministero attraverso cui si può, solo, determinare una politica in questo settore. questa è stata l' impostazione della mia relazione nel 1951, e ho allora detto che preoccuparsi delle strutture particolari, prima di aver creato l' organo politico, poteva portarci ad inconvenienti di una certa entità. non ho perciò condiviso l' idea — pur ritenendo che gli atti della Commissione Giacchi abbiano il loro valore e la loro importanza — che si studiasse la modifica dello statuto dell' Iri prima che si costituisse il ministero delle partecipazioni statali , perché evidentemente dalla soluzione generale dipendeva la possibilità che questo statuto ed il riordinamento dell' Iri avessero un carattere o l' altro. non trascuro tuttavia la ragione politica per cui il problema dell' Iri è venuto alla ribalta, in tutte le discussioni, prima che si discutesse sulla riorganizzazione delle partecipazioni statali . questo, del resto, capita nel campo del petrolio: si discute più dell' Eni che della questione generale; si discute più dell' Iri che della riorganizzazione delle partecipazioni statali . la ragione consiste nel tentativo di portarci a discutere di statalismo e di antistatalismo, prima ancora di avere fissato i dati concreti del problema. si fa intorno all' Iri una battaglia di principio, come del resto è emerso dalle dichiarazioni dei colleghi della destra, onorevoli Cafiero e Angioy. credo che non sia questa la sede adatta per risolvere una grande questione di principio. ritengo che ancora una volta debbano essere messi a punto i dati storici. e in base a questi considerare se l' Iri abbia o non abbia una sua legittimità d' esistenza. i dati storici del problema quali sono? è stato ripetuto tante volte, anche in questa Aula, e va ribadito, che l' Iri non è nato da una scelta dello Stato; è nato dalle deficienze, dall' incapacità, dalla cattiva amministrazione dell' iniziativa privata . con questo non faccio il processo all' iniziativa privata : è lontana da me ogni idea del genere. posso altrettanto fermamente sostenere ed affermare che vi sono campi in cui l' iniziativa privata ha fatto il proprio dovere, sa saggiamente creare ed amministrare imprese economiche. ma ciò non toglie che il dato storico di fronte a cui noi siamo è questo: lo Stato non ha scelto di creare l' Iri, lo Stato si è visto scaricare addosso una infinità di aziende che l' iniziativa privata aveva ridotto in condizioni pressoché disastrose. l' onorevole Cafiero, l' altro giorno, si è sbarazzato facilmente di questo problema affermando: « noi non siamo d' accordo che lo Stato debba intervenire; si lascino morire le aziende quando le aziende sono dissestate, e non si consumi il denaro del contribuente in questi interventi » . l' onorevole Cafiero forse non conosce le proporzioni della crisi dell' altro dopoguerra, crisi che coinvolse non soltanto il sistema industriale, ma anche il sistema bancario ; crisi che poteva trascinare con sé tutto il sistema economico italiano. l' onorevole Cafiero, d' altra parte, dopo avere enunciato questo principio, non si è ricordato, proprio nel campo in cui egli opera, che gli armatori i quali ebbero denaro per ricostruire la flotta nell' immediato dopoguerra con tassi di favore e con lunghe rateizzazioni, non solo, in alcuni casi, hanno chiesto dilazioni ai pagamenti, nonostante le grosse possibilità offerte dall' esercizio marittimo, ma qualche volta hanno mancato addirittura ai loro impegni. quindi, onorevole Cafiero, mi pare difficile che si possa fare il processo alla Finmare per le sovvenzioni che essa ottiene dallo Stato quando, almeno per quanto riguarda l' attività armatoriale privata, non tutte le carte sono in regola; anzi, forse. poche carte sono in regola. tornando al problema dell' Iri, io lo vorrei porre in dati concreti. cosa è costato al contribuente l' intervento della crisi bancaria e industriale seguita alla prima guerra mondiale ? in lire 1954, tenendo conto degli impegni iniziali assunti dallo, Stato. tale carico ci può fare ammontare in 600 miliardi. ma io voglio correggere questo dato e calcolo i 600 miliardi secondo la svalutazione continua della moneta, secondo, direi, il minore potere di acquisto che il contributo dello Stato aveva per le successive svalutazioni monetarie. facendo questo calcolo, arriviamo alla cifra di 404 miliardi. che cosa, prima della guerra, si è recuperato, attraverso l' amministrazione Iri, di questi 404 miliardi (perché vi è stato anche un certo recupero)? vi è stato un primo fondo di dotazione, attraverso utilizzo di riserve, nel 1937: si è accantonato un miliardo di lire che, ai valori del 1954, si converte in 60 miliardi di lire . nel 1942 si è accantonato un altro miliardo come fondo di dotazione, che, ai valori del 1953, corrisponde a 36 miliardi. quindi, sulla spesa di 404 miliardi addossata al contribuente si sono recuperati 96 miliardi. di conseguenza, la perdita netta addossata allo Stato, e quindi al contribuente, è stata di 808 miliardi. questo è stato il costo della conversione, dopo la prima guerra mondiale , della nostra grave crisi industriale bancaria ed economica, risolta con la creazione dell' Iri. ma che cosa è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale ? a partire dal 1946, l' Iri ha visto aumentare, con contributi dello Stato, il suo fondo di dotazione e ha ricevuto autorizzazioni dirette dal Tesoro: i primi sono ammontati a miliardi 118 in lire correnti, a miliardi 133,6 in lire 1954, le seconde sono ammontate a 15 miliardi in lire correnti, a 17,2 miliardi in lire 1954 (compresi gli interessi). si ottiene, arrotondata, una cifra di 151 miliardi: lo Stato, cioè, per tutto il processo di riconversione dopo l' ultima guerra ha dato all' Iri 151 miliardi. nel bilancio 1954 dell' Iri è portata ancora una perdita di 24 miliardi per l' industria meccanica. quindi noi possiamo dire che su questi 151 miliardi 24 miliardi sono ancora una esposizione dell' Iri; e possiamo concludere che, nel processo di conversione, quei 94 miliardi del fondo di dotazione di prima della guerra sono andati perduti. ma quando paragono i 308 miliardi di perdita del processo di conversione seguito alla prima guerra mondiale , e sommo i 94 miliardi del primo fondo di dotazione perduti più i 24 miliardi che ancora sono portati in bilancio come perdita, arrivo alla cifra di 118 miliardi. tutto il processo di conversione dell' Iri, di questo enorme complesso aziendale, è costato molto di meno del processo di conversione che, dopo la prima guerra mondiale , ci ha portato alla creazione dell' Iri. comparando i due processi di conversione, e legittima la deduzione che la gestione Iri è costata allo Stato molto meno del processo di conversione che aveva come punto di partenza la proprietà delle aziende da parte di privati. onorevoli colleghi della destra, vogliamo dimenticare questo dato? a tutti coloro che scrivono così sommariamente, così facilmente, così superficialmente sull' Iri, debbo dichiarare che le cifre suddette fanno onore alla gestione dell' Iri. si consideri, poi, che il processo di conversione dopo la prima guerra mondiale vide il nostro paese vincitore, non vide il paese occupato da truppe straniere, non vide le distruzioni per azioni belliche che abbiamo visto nella seconda guerra mondiale . se il processo di conversione della seconda guerra mondiale , nonostante l' eccezionalità della situazione, non ci ha dato i risultati catastrofici della prima, non possiamo continuare a fare il processo all' Iri in nome dei principi. e, direi, non soltanto in nome dei principi, ma anche in nome di interessi particolari, i quali sono rispettabili quando adempiono a un' utile funzione privata e collettiva insieme; ma non sono rispettabili quando non fanno il loro dovere e quando, hanno nella loro storia questi precedenti, vale a dire il precedente della crisi che ha seguito la prima guerra mondiale . onorevoli colleghi , potrei andare oltre in questa analisi. potrei dirvi che il dissesto delle aziende private nel campo siderurgico e meccanico, che si è avuto ancora dopo la seconda guerra mondiale , ha continuato ad esercitare un peso enorme. si calcola che al 1953 il fondo industrie meccaniche abbia avuto dallo Stato 63 miliardi. ma, se le mie valutazioni non sono errate, 40 di questi 63 miliardi sono andati perduti. ed il Fim è intervenuto per aziende private, per la Breda, per le Reggiane, per l' Isotta Fraschini . in altre parole, noi abbiamo avuto ancora in questa guerra, per questo gruppo di aziende, la cui occupazione operaia era la metà dell' occupazione operaia nell' azienda meccanica dell' Iri, una perdita di 40 miliardi. l' incapacità dell' iniziativa privata di sostenere un processo di conversione dopo un periodo bellico è testimoniata anche dopo la seconda guerra mondiale , sia pure per alcuni rami, cioè per i rami più esposti della meccanica. perché questo non è accaduto nelle aziende private dell' Inghilterra o degli USA? perché questo non è accaduto nelle aziende private della Germania? perché in questi paesi, dove evidentemente lo sviluppo degli armamenti ed i processi bellici sono stati enormemente superiori ai nostri, l' iniziativa privata ha saputo sostenere il costo della conversione, mentre da noi non ne è stata capace? e noi vogliamo fare il processo all' Iri con questi dati e con questi precedenti? ma bisogna che stabiliamo il giusto rapporto tra iniziativa pubblica e iniziativa privata . e se dobbiamo dare merito all' iniziativa privata in certi campi, dobbiamo anche sapere individuare dove l' iniziativa privata non fa che succhiare le mammelle dello Stato, dove cioè essa non fa che servirsi. del denaro dello Stato per suoi scopi e per sue attività speculative. ho parlato dei 24 miliardi di perdita che nel bilancio al 31 dicembre 1954 l' Iri ancora portava. ebbene, ho potuto esaminare i primi dati relativi al 1955. non è calcolato l' aumento di valore che le azioni hanno subito in Borsa in quest' anno. se noi volessimo considerare questo aumento, che è un elemento per la costruzione del bilancio, troveremmo che l' Iri ha una plusvalenza nel 1955 di 40 miliardi, il che significa che ha assorbito la perdita di 24 miliardi. se poi andiamo a vedere la situazione contabile delle banche dell' Iri, troviamo assai bassi valori patrimoniali. se noi dovessimo fare una reale valutazione del patrimonio bancario dell' Iri, troveremmo una plusvalenza intorno a 30 miliardi. e così già nel bilancio del 1955 noi troviamo una plusvalenza intorno a 60-70 miliardi, che copre più che abbondantemente la perdita di 24 miliardi. l' onorevole Cafiero diceva che l' Iri: che ha ricevuto nel dopoguerra dallo Stato 151 miliardi, amministra un immenso patrimonio. l' onorevole Cafiero valutava le attività dell' Iri ad oltre mille miliardi. no, onorevole Cafiero, io le posso dire che le attività che l' Iri sostiene valgono 3.000 miliardi. il patrimonio è immenso. ma che cosa ne vuol dedurre l' onorevole Cafiero? che questo patrimonio non rende? no, questo patrimonio rende; questo patrimonio incassa, per i rami che sono attivi. dividendi li incassano gli azionisti privati, e li incassa l' Iri. il patrimonio rende. naturalmente quando si va a stabilire se vi è un rendimento di questi 151 miliardi che lo Stato ha anticipato all' Iri nel dopoguerra, devo dire che l' Iri non è ancora in condizioni di dare tale rendimento. la situazione dell' industria meccanica pesa ancora sul complesso. ma, onorevoli colleghi , per una organizzazione che controlla un patrimonio di 3.000 miliardi (farei paragonare questo patrimonio con quello delle aziende « Fim » per vedere la differenza!, parlare oggi di rendimento per i 151 miliardi significa presumere troppo, data la gravità del processo di conversione. voler fare il processo all' Iri, ripeto, con superficialità non serve a nulla e non è, secondo me, una prova che noi siamo maturi per considerare seriamente i problemi del nostro paese. d' altra parte, parliamoci francamente: noi sappiamo quali strutture burocratiche si riescono a creare nel nostro paese intorno a gestioni pubbliche. noi sappiamo benissimo che lo Stato non eccelle attraverso alcuni suoi organismi nell' amministrazione della cosa pubblica . ma vogliamo, anche in questo campo, fare il processo all' Iri? ebbene, l' Iri regge 3 mila miliardi di gestione con 154 persone; le finanziarie con 391 persone, di cui 73 alla « Stet » , 65 alla « Finmare » , 17 alla « Finelettrica » , 116 alla « Finmeccanica » e 120 alla « Finsider » . onorevoli colleghi , io li vorrei vedere questi grandi complessi privati o pubblici che reggono un patrimonio di 3 mila miliardi con 391 persone. vorrei veramente vederli! è una prova, secondo me, di estrema serietà, quella che l' Iri dà, di estrema semplicità, di rigore amministrativo. non ho mai sentito parlare di scandali Iri, scandali che qualche volta hanno immortalato l' attività di altre pubbliche organizzazioni. noi non possiamo che considerare l' esperimento della gestione Iri dal punto di vista della correttezza, della snellezza, della sburocratizzazione, come un aspetto positivo della nostra vita politica ed economica. le spese di amministrazione dell' Iri sono state, nel 1954, di 0,205 rispetto all' importo delle partecipazioni. onorevole Cafiero, vorrei vedere le spese di amministrazione di alcune grandi organizzazioni private! dal punto di vista del personale, nel 1938 tutti i dipendenti delle aziende Iri erano 210 mila unità, cifra salita a 243 mila nel 1947 (punta massima); nel 1954 siamo a 214 mila (siamo oggi, dopo la smobilitazione, a un livello superiore a quello del 1938). togliamo di mezzo la polemica particolare sull' Iri, e torniamo, più serenamente, al problema generale delle partecipazioni dello Stato. dicevo che il Governo ha scelto la via migliore nella risoluzione di questo problema, affrontandolo dal punto di vista della creazione di un ministero delle Partecipazioni dello Stato. vi è stata qui una obiezione di carattere costituzionale; si è parlato dell' articolo 95 della Costituzione, per cui una legge deve stabilire l' ordinamento e il numero dei ministeri. è una obiezione seria e fondata; ed io mi rammarico che la legge prevista dalla Costituzione non sia stata presentata tempestivamente. però, per quanto riguarda il ministero, devo dire che se avessimo avuto la legge sull' attribuzione dei ministeri nel 1949, nel 1951, o nel 1952, non per questo non ci si sarebbe posto il problema della creazione del ministero; ci possiamo rammaricare del ritardo, ma non possiamo condannare la necessità di creazione di un organo importante da un punto di vista politico ed economico. l' onorevole Angioy e l' onorevole Lizzadri hanno, dai rispettivi punti di vista , criticato il relatore e lo stesso Governo per il fatto di una certa freddezza della impostazione. in definitiva, gli onorevoli Angioy e Lizzadri hanno detto: qui non vi è una scelta politica, ma la fredda creazione di un organo ministeriale. probabilmente si vorrebbe creare una specie di ufficio studi; e noi non vogliamo un ufficio studi. onorevoli colleghi , la creazione di un ministero non è mai la creazione di un ufficio studi. la creazione di un ministero è un fatto politico per eccellenza. si investe di responsabilità politica di fronte al Parlamento un ramo dell' attività dello Stato. non esiste a priori la possibilità che creando un ministero si crei un ufficio studi: no, qui è stata fatta una scelta politica. il problema che poneva il relatore e che io stesso pongo (problema che esiste) è il significato costituzionale di questa scelta. mi pare di interpretare rettamente il pensiero del relatore quando dice che attraverso questo organo si farà la politica che la maggioranza vuole. mi pare di interpretarlo rettamente perché in regime di democrazia, e quindi con maggioranze alterne, evidentemente la politica che si può fare attraverso un ministero è una politica che varia secondo il variare della maggioranza parlamentare . voglio dire che è vero (mi rivolgo ai colleghi della destra) che la creazione di un ministero è una scelta politica, cioè mette a fuoco determinati problemi. ma fatta questa scelta politica, il campo in cui può oscillare la politica del ministero delle partecipazioni statali è un campo abbastanza vasto. naturalmente, un ministero delle partecipazioni statali di orientamento socialista, sostenuto da una maggioranza ad orientamento socialista, farà una politica diversa da un ministero delle partecipazioni statali ad orientamento più liberale. come, del resto, quando al ministero dell'Agricoltura si alternano ministri di diverso colore politico, evidentemente si accentuano aspetti politici, senza per questo sacrificare gli interessi dell' agricoltura, ma interpretandoli secondo le esigenze politiche della maggioranza, attraverso cui si esprime il Governo. la creazione del ministero è una scelta politica, ma una scelta, trattandosi di organi strutturali, abbastanza larga, perché, entro questa scelta, si possono definire diverse politiche. per parte mia non vedo assolutamente che questo ministero debba nascere agnostico, come poteva sospettare l' onorevole Lizzadri. non può nascere agnostico. almeno come io l' ho visto nella mia relazione. troverete in essa una elencazione dei suoi compiti. questo è esatto. dicevo quale poteva essere l' orientamento del ministero secondo il mio particolare giudizio. e parlavo in quella relazione del problema di ottenere condizioni di maggiore redditività, di concorrere all' attuazione dei programmi statali, di rimediare alle deficienze dell' iniziativa privata ove fosse impotente a trattare certi problemi, di assicurare un maggiore sviluppo di certi servizi, di reagire ad eventuali tendenze monopolistiche dell' industria privata, eccetera. indicavo una serie di fini; ma a questa serie di fini ponevo anche un limite. il problema più interessante, su cui evidentemente la discussione parlamentare avrebbe dovuto essere più profonda e complessa, è questo del limite. esso per me consisteva in ciò: per se stessa , per definizione, la partecipazione statale è una partecipazione dello Stato sul mercato libero dell' iniziativa privata . vi è un limite di quella che può essere la partecipazione dello Stato, per il fatto che è partecipazione dello Stato. noi vediamo, attraverso la struttura dei vari organi per mezzo dei quali lo Stato si esprime, che, per esempio, l' azienda autonoma è già altra cosa. azienda autonoma delle ferrovie o Azienda forestale è già qualche altra cosa rispetto alla partecipazione. lì, veramente, abbiamo l' azienda pubblica che entra con tutte le sue caratteristiche nel campo dell' economia. dicevo nella mia relazione: non bisogna confondere la partecipazione dello Stato con il processo di nazionalizzazione. la nazionalizzazione di un settore economico è una scelta politica affatto diversa dalla partecipazione dello Stato. se io mi creo, come Stato, una partecipazione e non nazionalizzo un settore, evidentemente faccio una scelta, ma con carattere più limitato della nazionalizzazione. in effetti, la nazionalizzazione è una scelta che il Parlamento può sempre fare. ma la scelta della nazionalizzazione non può dipendere dal fatto che si abbia una partecipazione, bensì da altre considerazioni: per esempio, non escludo che si possa arrivare alla nazionalizzazione dell' industria elettrica a prescindere dal fatto che l' Iri abbia o meno la maggioranza delle partecipazioni nella stessa industria. superato questo problema, ne rimane un altro, cui anche i colleghi della destra hanno accennato: perché avete voluto un ministro e non avete dato questo incarico a uno dei ministri esistenti, cioè non avete dato questa competenza ad una delle organizzazioni amministrative esistenti? anche qui vi è una sottile questione di principio, se noi vogliamo esaminare a fondo il problema delle strutture dello Stato democratico . giustamente il relatore diceva che se avessimo attribuito la competenza delle partecipazioni statali al ministero dell'Industria — che pareva il più idoneo ad assumere questo compito — non avremmo risolto bene il problema: non (come diceva l' onorevole Angioy) perché il ministero dell'Industria si deve occupare e deve sviluppare l' iniziativa privata . non mi pare che così sia stato interpretato esattamente il pensiero del relatore. il discorso che io facevo, e che ho visto ripreso nella relazione dell' onorevole Lucifredi, è diverso: il ministero dell'Industria è un organo tecnico che, nelle sue decisioni, non deve conoscere né le aziende a partecipazione statale , né quelle a partecipazione privata; non può determinare i suoi orientamenti tenendo conto se l' azienda è a partecipazione statale o a partecipazione privata. è un organo superiore che riguarda il settore dell' industria e che prescinde dal carattere che ha l' azienda dal punto di vista patrimoniale e dal punto di vista giuridico. questo è un dato importante per un giusto ordinamento della nostra amministrazione, e mi pare che questa sia anzi una prova di come noi siamo rispettosi della distinzione delle competenze, per non creare neppure il sospetto che, attraverso il ministero dell'Industria , vi possa essere una politica di privilegio nei riguardi delle partecipazioni dello Stato. lo stesso si poteva dire quando si è parlato dell' attribuzione delle partecipazioni al ministero del Bilancio . il ministero del Bilancio rappresenta la suprema tutela, il supremo regolatore della vita economica del paese. nei suoi giudizi esso deve tener conto di punti di vista più generali di quelli che sono rappresentati dal ministero delle partecipazioni statali . si può dire: ma che discorso! anche il ministero delle partecipazioni statali sta nel Governo, quindi rappresenta quegli interessi che sono al Governo. ma è chiaro che il Governo è concepito unitariamente, se pure con divisione di compiti ed anche, entro certi limiti, come contrapposizione di compiti. se sorgono contrasti, ad esempio, tra il ministro dei lavori pubblici e quello del Tesoro, non sorgono certo per ragioni personali, ma ciò avviene per quella articolazione della vita del Governo e del Parlamento, per cui due punti di vista si contrappongono per trovare la loro suprema conciliazione. l' esistenza del ministero delle partecipazioni statali è appunto uno degli elementi di determinazione della politica governativa, ma è anche un elemento che, singolarmente, rappresenta quegli interessi per i quali il ministro dell' Industria è nelle condizioni di obiettività necessaria per contrapporsi allo stesso ministro delle partecipazioni statali , se questo fosse necessario nell' interesse superiore del paese. così il ministro del Bilancio è in condizione di poter valutare il punto di vista del ministro delle partecipazioni statali e anche, in certi casi, senza doverlo subire, senza dovere egli stesso rappresentare quegli interessi. e quindi una giusta articolazione di una politica di Governo. onorevoli colleghi , se questa scelta ha avuto un significato politico, questo patrimonio che lo Stato si è costituito attraverso i sacrifici del contribuente, non può essere amministrato al di fuori di una responsabilità politica precisa, in presenza cioè della responsabilità politica del ministro delle partecipazioni statali . mi pare che il problema sia stato risolto nelle migliori condizioni e che non possa essere oggetto di critiche di alcun genere, nemmeno dal punto di vista della cosiddetta burocratizzazione. in definitiva, nella mia relazione, avevo suggerito un ministro senza portafoglio , del tipo del ministro per la Cassa del Mezzogiorno , che avesse a sua disposizione una segreteria tecnica e un ispettorato. mi pare, dopo la proposta della commissione, che ci si sia orientati verso questo tipo di ministero. la stessa soppressione della direzione generale che caratterizza un dicastero, lo indica. vengo, poi, al problema più importante che è nato dalle partecipazioni statali , al problema, cioè, se si dovesse trattare di una gestione diretta o di una gestione autonoma. questo è stato uno dei punti più controversi e più discussi e, secondo me, un punto che meritava la maggiore attenzione. voi sapete che noi abbiamo due sistemi per la gestione delle partecipazioni statali : uno diretto, la direzione generale del demanio, uno indiretto, che si esplica attraverso l' Iri, attraverso l' Eni, che sono organi autonomi di gestione economica. credo che questo concetto di gestione tecnica ed economica autonoma sia un concetto che bisogna far prevalere nella organizzazione moderna dello Stato democratico . credo che noi non dobbiamo sviluppare la tendenza alle gestioni dirette dell' attività economica. in tutti i grandi paesi democratici, la gestione autonoma è la forma di gestione migliore, è quella che ha reso i più grandi servizi dal punto di vista dell' interesse generale. quindi, noi dovevamo fare e abbiamo fatto una scelta fra la gestione diretta, che avrei considerato come estremamente pericolosa, e una gestione autonoma. con l' emendamento che la Commissione ha presentato al disegno di legge , non solo si mantiene la gestione autonoma dell' Iri, ma si dice che le aziende che saranno trasferite dal demanio al ministero delle partecipazioni statali , entro un anno dovranno essere riportate alla gestione autonoma. è un concetto sanissimo, che approvo incondizionatamente per quelle ragioni che ho già illustrato e per quelle cifre che io vi ho dato sulla gestione Iri. v' era un problema grave, forse il più grave, di scelta in questo campo delle partecipazioni statali : riguardava l' organizzazione sindacale , l' aspetto sindacale del problema. anche qui abbiamo fatto precedere questo aspetto allo stesso provvedimento che crea il ministero, attraverso l' ordine del giorno Pastore che ha avuto l' appoggio di molta parte della Camera. ma debbo dire che sul problema sindacale avevo le mie preoccupazioni, non dal punto di vista dello sganciamento dalla Confindustria, ma da quello dell' unità di trattativa sindacale. quando studiavo questo problema, l' aspetto che più mi preoccupava, nel considerare i rapporti fra Iri e sindacati, era: noi possiamo creare due regimi salariali, due regimi contrattuali, uno delle aziende private e uno delle aziende Iri? possiamo avere una industria, un sistema economico che si articoli in due diverse posizioni? questo francamente non lo vedevo. questo è veramente il punto più grave del regime che andiamo creando. se dovessimo articolare la posizione sindacale rispetto al carattere delle aziende, noi entreremmo in un problema di gravità eccezionale. ebbene, quello che mi ha fatto piacere — e che io raccomando all' attenzione del Governo — è la dichiarazione che nel suo discorso — di critica, di sprone e anche di approvazione — ha fatto l' onorevole Lizzadri, penso a nome di tutti i sindacati. questa dichiarazione io la considero impegnativa. Lizzadri ha dichiarato: « né hanno consistenza le insinuazioni che i sindacati cercherebbero di ottenere condizioni salariali e normative più favorevoli per i lavoratori delle aziende Iri. i sindacati sono tenacemente legati al principio dell' unità contrattuale, il cui strumento deve diventare l' articolo 39 della Costituzione e non la legge Vigorelli » (questa polemica non mi riguarda) « che prevede proprio la formazione della volontà collettiva da parte padronale e da parte dei lavoratori » . questa, dal punto di vista sindacale, è una dichiarazione di estrema importanza, che ci toglie ogni dubbio e ogni perplessità. spero che, per lealtà delle nostre posizioni e per evitare che domani ciascuno di noi possa essere accusato di essersi cacciato in un' impresa senza uscita, questa dichiarazione abbia la solennità e il carattere impegnativo che merita. i sindacati ed i rappresentanti dei lavoratori sono d' accordo che non si può creare un doppio regime salariale nelle industrie. se questo punto è affermato così solennemente, se il Governo si trova di fronte a questa solenne dichiarazione, il Governo stesso può procedere rapidamente allo sganciamento delle aziende Iri dalla Confindustria. lo dico io che sono stato da questo punto di vista il più preoccupato, lo dico soprattutto dopo quello che è avvenuto nel campo delle organizzazioni padronali. queste sono libere di organizzarsi come vogliono e di operare le scelte che vogliono (al posto loro io sarei stato più cauto e più comprensivo della situazione), ma è evidente che vi è un riflesso immediato di questa loro azione: le aziende a partecipazione dello Stato, ovviamente, non possono continuare a partecipare ad un fronte che ha così decisi propositi di influire sulla situazione politica del nostro paese. quindi mi pare — lo dico francamente al Governo — che sia l' ora di operare in questo settore e di vedere come debba essere risolto il problema dell' unità contrattuale: bisogna esaminare anche come tale unità possa strumentarsi nelle trattative. credo che oggi su questo problema non vi sia più molto da dire. noi ci avviamo a questa esperienza moderna di organizzazione di un settore della vita economica dello Stato. prego tutti i colleghi di vederlo con tranquillità, senza eccessive preoccupazioni. anche i colleghi della destra non vedano, in questa creazione, uno strumento per arrivare alle cosiddette socializzazioni totali. procedere o non procedere su certe vie non dipende dallo Stato; dipende dalla coscienza sociale e politica di coloro che hanno la gestione degli interessi privati. come ho creduto di dimostrare, se lo Stato è intervenuto con l' Iri, è intervenuto perché la scelta è stata imposta dalla cattiva gestione delle iniziative private. lo Stato si può fermare, lo Stato può non andare avanti se coloro che hanno la gestione dell' iniziativa privata hanno il senso delle loro responsabilità non solo private, non solo verso gli azionisti, ma verso la collettività, verso la società tutta. evidentemente il ministero delle partecipazioni statali può rappresentare un limite di politica di intervento; ma se l' iniziativa privata non ha il senso delle sue responsabilità sociali e se continua ad esercitarsi nel compito di far gravare sulla collettività la cattiva amministrazione che fa delle imprese private, evidentemente non avremo toccato con il ministero delle partecipazioni statali il punto di arrivo . si tratta di trovare il giusto punto: che ciascuno, nel nostro paese, faccia il suo dovere, che ciascuno amministri con senso di responsabilità quello di cui è amministratore. a mio avviso, lo Stato ed i privati debbono essere in gara ed in concorrenza. come io biasimo e mi rammarico che le gestioni dello Stato siano gestite in perdita per cattive amministrazioni, e questo biasimo perché è un colpo mortale al principio della gestione pubblica, così debbo francamente dire che ogni volta che una gestione privata è una cattiva gestione che cagiona perdite alla collettività, bisogna colpire l' iniziativa privata .