Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 385 - seduta del 23-02-1956
Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia
1956 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 328
  • Comunicazioni del governo

onorevoli colleghi , le principali linee del discorso che pronuncerò furono scritte nel presupposto di un colloquio, di un dialogo affettuoso ed in certi punti polemico con il compianto amico e collega Ezio Vanoni. mi consentirete, quindi, di esprimere ancora una volta il mio dolore ed il mio grande rammarico per il fatto che questo dialogo, che poteva servire a fare il punto della situazione, non possa avere più luogo. d' altra parte, questo mio discorso non è quasi rivolto al Governo; è un discorso che riguarda in primo luogo il Parlamento, tenendo presente un ammonimento del ministro Vanoni al quale ha fatto riferimento l' onorevole Malagodi. ha detto il ministro Vanoni, nel difendere la sua politica, che dinanzi ai due rami del Parlamento erano iniziative per un ammontare di 550 miliardi per spese ricorrenti ogni anno e per un ammontare di circa 1.500 miliardi per spese straordinarie non ricorrenti, gravanti spesso su due, tre, quattro esercizi. se si aggiunge a questa l' altra accusa rivolta all' opposizione di destra, e soprattutto al Msi, di avere, nella questione degli statali, tentato di gettare sul bilancio statale un ulteriore peso di 300 miliardi (le argomentazioni dell' onorevole Almirante non sono valse a diminuire il significato di questa cifra), noi possiamo valutare di quanto, ancora prima della responsabilità di Governo, sia la responsabilità dello stesso Parlamento a determinare l' indirizzo della nostra politica economico-finanziaria. non possiamo accettare l' idea, ormai diffusa, che non il Parlamento sia l' organo determinante degli indirizzi della politica economico-finanziaria ma il Governo, soprattutto per quanto riguarda la direzione del volume della spesa. per cominciare dobbiamo anzitutto precisare i termini di questo dibattito. in proposito devo dire al collega onorevole Riccardo Lombardi che fino ad un certo punto è esatto che noi di questa parte della Camera contendiamo la ortodossia finanziaria della destra, intendendo per ortodossia finanziaria il rispetto e l' amore per una tradizione finanziaria che non appartiene alle dottrine moderne dello Stato democratico . in verità, l' opposizione ha oscillato in questo dibattito fra due posizioni, quella della cosiddetta ortodossia finanziaria, con la rivendicazione che ne deriva in materia di cosiddetto pareggio del bilancio e di cosiddetto pericolo di inflazione, e la rivendicazione di quella che si suol dire, con termine non molto felice, una politica produttivistica. abbiamo udito gli oratori dell' opposizione di destra servirsi una volta dell' una e una volta dell' altra argomentazione. ma v' è di più. nella foga del suo discorso (del resto per molti punti degno di essere ascoltato e considerato) l' onorevole Cantalupo è arrivato ad elogiare, contro i governi quadripartiti di questa legislatura, una politica della precedente legislatura. egli cioè è arrivato a ricordare, quasi con nostalgia, le impostazioni di politica economico-finanziaria dei precedenti governi. e alla mia obiezione che anche quella era politica quadripartita l' onorevole Cantalupo è rimasto un poco disorientato. voglio ora tornare sull' argomento per vedere più chiaro in questo aspetto della questione, il che probabilmente ci consentirà di vedere altrettanto chiaro nell' ordine dei problemi dinanzi ai quali ci troviamo. onorevole Cantalupo, ci fu un momento della nostra storia economica e finanziaria in cui il settore al quale ella apparteneva, assieme a uomini di altri partiti che per altro io stimo altamente, non facevano una discussione fra una politica produttivistica e un' altra politica che si vuole rimproverare al Governo attuale; ma polemizzavano fra una impostazione che poteva essere di ortodossia finanziaria, cioè di vecchio stile, e una impostazione produttivistica. la verità è che alcune correnti politiche del nostro paese si sono difese di volta in volta sul terreno sul quale potevano difendersi. e ricorderò a questo proposito un dato che ha qualche importanza per la comprensione di questi problemi e ha qualche importanza anche per comprendere che cosa è stata la linea Pella. a me dispiace molto che l' onorevole Pella non sia qui presente e abbia in certo senso trascurato questo dibattito. avrei voluto poter parlare in sua presenza, per la chiarezza delle posizioni reciproche e perché egli potesse personalmente ascoltare le mie parole. nel luglio 1949 ero presidente della Commissione di finanza, e si discuteva del bilancio finanziario. pregai i miei colleghi della Commissione di consentirmi di parlare non come presidente, che rappresenta una responsabilità di carattere ufficiale, ma come singolo e semplice membro del Parlamento. era strano che proprio in materia di bilancio, cioè nella materia in cui si crea una vera solidarietà fra il ministro del Bilancio e il presidente della Commissione di finanza, io avessi dovuto prendere posizione di opposizione all' onorevole Pella: opposizione evidentemente non determinata da alcun motivo personale, ma da un profondo contrasto di concezione su quelli che potevano essere gli aspetti e gli sviluppi della politica economica e finanziaria e quindi sociale del nostro paese. ricordo che, parlando da semplice deputato e discutendo del bilancio e della presentazione che ne aveva fatto l' onorevole Pella, toccai alcuni punti fondamentali. il primo punto fondamentale fu questo: non ritenersi legati, in via pregiudiziale e aprioristica, alla teoria del pareggio del bilancio, che è una teoria che la dottrina economica moderna non riconosce più. la dottrina economica moderna, che inserisce l' attività dello Stato nel profondo della vita economica di un paese, dice che si può avere un bilancio in pareggio e una pessima situazione del paese, anche economica e finanziaria; e si può avere un bilancio in spareggio e una buona situazione economica e finanziaria. il secondo punto riguardò la difesa monetaria, e cioè riguardò il pericolo che noi correvamo nel veder sempre una minaccia di inflazione: dopo aver fatto una politica di difesa monetaria era erroneo continuare a credere che l' obiettivo di un Governo dovesse essere quello di soltanto ed esclusivamente difendersi da un pericolo di inflazione monetaria. ma il terzo punto, il più importante riguardava l' utilizzazione degli aiuti Marshall. polemica lunga, onorevoli colleghi : polemica che è durata alcuni anni; e contrasto che oggi può essere valutato, perché ha avuto profonde conseguenze per il nostro paese. in quel mio discorso, dicevo che gli aiuti Marshall costituivano un apporto fondamentale per dare sviluppo alla nostra economia e per risolvere il problema delle depresse strutture economiche ereditate dal passato. gli aiuti Marshall erano condizionati all' andamento della bilancia dei pagamenti ; ma dicevo allora: se noi non abbiamo nella economia interna una capacità di assorbimento di beni strumentali, di beni di consumo , tale che risolva alcuni problemi fondamentali di struttura, noi avremo una bilancia dei pagamenti in avanzo ma questa bilancia dei pagamenti in avanzo che diminuisce gli aiuti Marshall sta a significare soltanto che noi, nel periodo più favorevole non affronteremo certi problemi e quindi ci trascineremo situazioni che rappresentano una debolezza fondamentale della nostra struttura economica. e in quel discorso, onorevole Cantalupo, parlammo per la prima volta delle aree depresse, delle due Italie, della necessità di fare del bilancio statale lo strumento, nella sua parte investimenti, per affrontare i problemi di struttura che avevamo ereditato dal passato. non siamo certo stati della teoria di un collega dell' opposizione di destra che l' investimento di denaro italiano nelle colonie accrescesse la produttività della nostra economia e desse lavoro ai disoccupati. questa fu la polemica. e l' onorevole Pella, che è uomo coerente con le sue idee, si difese allora su posizioni che l' onorevole Lombardi ha chiamato di ortodossia finanziaria. ho ascoltato l' onorevole Malagodi e devo dire che, quando la linea Pella, alla fine del 1949, fu modificata, i liberali non erano più al Governo; alla vigilia della riforma agraria , dei provvedimenti per la Cassa per il Mezzogiorno e di questa spinta di carattere strutturale, con nostro grande dispiacere i liberali abbandonarono il Governo: il che vuol dire che una politica di spinta presuppone in determinati casi certe condizioni politiche. perlomeno presuppone una fede in certe impostazioni che guardano un poco più in lontano della congiuntura di ogni giorno. considero come un grande ricordo della mia vita di avere partecipato alla prima elaborazione di questa politica diretta a modificare le condizioni strutturali del nostro paese. e devo dire che anche allora le posizioni erano chiare ma abbastanza contrastanti: da una parte l' onorevole Pella con le sue concezioni rispettabili e tradizionali, dall' altra l' onorevole Segni con la riforma agraria , l' onorevole Campilli con la Cassa per il Mezzogiorno , l' onorevole La Malfa se volete, con le partecipazioni e il commercio con l' estero, e soprattutto — avendo possibilità di spaziare in diversi campi — l' onorevole Vanoni. dicevo che il fatto che alla vigilia dell' applicazione del Piano Marshall noi non avessimo un piano di sviluppo ha pesato enormemente sul corso ulteriore delle cose. si sono perduti occasioni e tempi che potevano meglio essere utilizzati. e ne darò un piccolo esempio. onorevole Malagodi, mi ha fatto piacere sentire da lei elogiata oggi e accettata la politica di liberalizzazione degli scambi. ma questa politica di liberalizzazione degli scambi, che fu intrapresa nel 1951, non aveva il solo scopo di cimentare la nostra struttura industriale sul mercato internazionale. la politica di liberalizzazione era anche una maniera di rimediare agli inconvenienti di non avere avuto tempestivamente una politica di sviluppo . infatti, che cosa ha portato alla politica di liberalizzazione nel nostro paese? il fatto onorevoli colleghi , che noi accumulavamo riserve valutarie quando gli USA dovevano commisurare i loro aiuti alle necessità della nostra bilancia dei pagamenti . vi era e vi è stato sempre questo problema: di spendere la nostra valuta per poter avere altra valuta necessaria ad ampliare il nostro processo di sviluppo economico. essendo, nel 1951, la Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria agli inizi della loro attuazione, bisognava scontare questo allargamento del mercato e delle nostre necessità, in certo senso anticiparlo, in certo senso spingerlo. mi ricordo che qualche anno fa l' onorevole Pella rimproverava anche alla Cassa per il Mezzogiorno e ai ministri della spesa di lasciare inutilizzati i fondi di bilancio disponibili. ma, onorevoli colleghi , la spesa non si muove dopo qualche mese dalla programmazione: la spesa si muove dopo qualche anno o dopo alcuni anni dalla programmazione. e quindi l' errore iniziale di non aver programmato tempestivamente per dare uno sviluppo alla nostra economia, ha pesato nelle fasi successive del nostro sviluppo economico . perché dico questo, onorevole Cantalupo? perché (e appunto in questo caso i nostri contrasti hanno valore) quel periodo fu il risultato di uno sforzo per rompere certi argini, e alcuni di noi erano da una parte ed altri dalla parte opposta. bisogna che l' opposizione di destra non si diletti troppo della cosiddetta politica produttivistica. oggi può apparire utile come linea di attacco al Governo, ma domani potrebbe impegnare troppo. la politica produttivistica di quegli anni, che presupponeva la Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria , se diventa politica produttivistica per il piano Vanoni, richiederà enormi sacrifici da parte di tutti e soprattutto dei ceti che l' opposizione di destra rappresenta. sarà difficile che quella parte del paese sia disposta ad accettarli. so benissimo che in definitiva fra le due posizioni dell' opposizione, quella di gridare alla minaccia di inflazione e quella di gridare alla deviazione finanziaria, la posizione sia seria sia di affermare: no, non si tratta di questo, ma si tratta del fatto che voi avete sacrificato la politica produttivistica a una politica di spese non produttive. del resto, lo stesso onorevole Pella ha dichiarato quanto io leggo in un recente articolo, « il cammino della pubblica spesa » , pubblicato dalla Gazzetta del popolo del 12 febbraio. dice l' onorevole Pella: « saggia politica finanziaria è quella che si propone di eliminare il disavanzo o quanto meno di contenerlo entro limiti suscettibili di copertura, con l' afflusso spontaneo di capitale privato verso il Tesoro, eccetera » . e aggiunge: « al di sopra del problema del disavanzo, esiste il problema dell' entità e della qualificazione della spesa, e un bilancio quasi pareggiato non sarebbe perciò solo un buon bilancio se il totale del prelievo tributario necessario a coprire la spesa fosse massacrante per l' economia del paese oppure se la spesa non fosse destinata a finalità economicamente e socialmente più utili e se ciò dovesse tradursi in sperperi inutili » . siamo dunque alla discussione se si debba o non si debba mantenere una tendenza produttivistica. del resto, è giusto che sia così perché, in termini di equilibrio finanziario, le voci di maggiore allarme non hanno trovato né la convalida delle dichiarazioni dell' onorevole Gava, che pure si è dimesso, né la convalida delle dichiarazioni dell' onorevole Pella, né la convalida delle dichiarazioni di qualsiasi tecnico o uomo di notevole preparazione nel campo della finanza e della economia. noi abbiamo ascoltato il discorso dell' onorevole Malagodi, che da questo punto di vista non può che essere che il più guardingo, il più cauto, il più prudente. quel discorso è stato tranquillizzante, se una parte del paese voleva essere tranquillizzata su questo aspetto del problema, tranquillizzante al punto che nella difesa del bilancio 1956-57 l' onorevole Malagodi ha condotto una vivace polemica con le forze della destra. debbo a questo proposito trascurare l' impostazione data dall' onorevole Almirante quando si è riferito al 1938, al 1925. a me pare che il voler difendere, dal punto di vista dello sviluppo economico , il periodo fascista nei confronti di quello attuale sia un' opera vana che non ha nessun fondamento in nessuna specie di realtà, direi in nessuna sorta di cifra, la più artefatta che voglia essere. per quanto questa democrazia abbia fatto poco, ha sempre fatto molto più di quanto non abbia disfatto il regime nei venti anni in cui ha dominato l' Italia. dunque, non abbiamo un problema (credo che siamo tutti sensibili a questo aspetto delle finanze dello Stato) di rischi immediati. qui si è citato, per esempio, l' ammontare del debito pubblico . nelle cifre ufficiali, alla data del 31 dicembre 1955 il debito pubblico ammontava a 4.451 miliardi. l' onorevole Paratore, tenendo conto dei residui, che per altro a me constano oggi di 1.120 miliardi e di partite minori che non sono riuscito ad individuare, arriva alla cifra di 7 mila miliardi. si citava la cifra di 10 mila miliardi di Rèpaci, di cui io non so trovare neppure le componenti. fermiamoci alla cifra ufficiale, quale risulta dal conto del Tesoro. nel 1938 avevamo un debito pubblico di 141 miliardi e 118 milioni. applichiamo un coefficiente di svalutazione. ai valori attuali, quel debito pubblico oggi ammonterebbe a 7.916 miliardi. siamo a 4.451, cioè al 56,45 per cento del debito di anteguerra. abbiamo marciato certamente. ma, se consideriamo il peso del debito pubblico in quel periodo, siamo appena a più della metà e quindi abbiamo qualche respiro per sistemare questo aspetto della nostra finanza. so benissimo che è la composizione del debito pubblico a dare oggi qualche preoccupazione. infatti il 36 per cento di esso è rappresentato da debiti patrimoniali (consolidati redimibili e poliennali) e il 64 per cento da debiti fluttuanti. qui abbiamo un problema di tesoreria, di scadenze che possono metterci in preoccupazione. so anche, per essere franco, che il cosiddetto debito patrimoniale è composto per il 95.10 per cento da scadenze di buoni poliennali e solo per il 4,90 per cento da debiti consolidati: quindi so che le scadenze, sia del debito fluttuante sia di quello che non si considera fluttuante ma ha scadenze vicine, rappresentano un peso per la nostra tesoreria. so anche — e ce lo dice l' onorevole Paratore — che dal 1959 noi cominceremo il rimborso dei buoni poliennali . questi problemi sono gravi, ma noi presupponiamo uno sviluppo del nostro reddito nazionale , e possiamo quindi pensare di risolverli. so anche che i residui passivi sono aumentati: al 31 dicembre 1955, se non erro, siamo arrivati ad un aumento di 300 miliardi. queste partite dovranno avere una certa sistemazione nella seconda parte dell' anno, e saranno problemi delicati. ma basterebbe ciò a darci una visione pessimistica? ed è giusto citare l' aumento della circolazione monetaria come sintomo di un processo inflazionistico? io credo di no. lo sviluppo della circolazione è parallelo, anzi è minore dello sviluppo del reddito nazionale . nel 1950 avevamo un prodotto netto ai prezzi di mercato di 7.695 miliardi. si calcola che nel 1955 avremo un prodotto netto di 11.536 miliardi, con un aumento quindi fra il 1950 e il 1955 del 50 per cento . ebbene, la circolazione alla fine del 1950 era di 1.173 miliardi, oggi è di 1.712 miliardi; abbiamo quindi un aumento del 46 per cento . voi sapete che, quando la circolazione non aumenta in misura superiore all' aumento del reddito nazionale, dal punto di vista monetario vi può essere una certa tranquillità. per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti (l' onorevole Malagodi ha ragione quando afferma che ancora dipendiamo da aiuti e prestiti dall' estero), abbiamo chiuso il 1955 con una maggiore riserva valutaria di circa 100 milioni di dollari . d' altra parte sapete che il solo risultato che abbiamo raggiunto finora, per quanto riguarda il piano Vanoni, è quello di avere destato enorme interesse nell' ambito internazionale. dovunque è stato presentato il piano Vanoni, si è incontrato estremo interesse, sia in Europa sia nel Nord America . molti paesi si sono dichiarati disposti ad aiutarci. so che Germania e Belgio, per non parlare dell' OECE e degli USA, si sono dichiarati disposti a venire incontro alle esigenze dell' Italia. debbo purtroppo constatare che, semmai, è stato il nostro paese a dimostrarsi meno pronto a sviluppare il piano Vanoni di quanto non si siano dimostrati i paesi esteri cui il piano è stato sottoposto. se passiamo ad altre cifre, notiamo che il reddito nazionale dal 1954 al 1955 è aumentato del 7 per cento , la produzione industriale dell' 8-9 per cento , il costo della vita di solo il 2,3 per cento all' incirca. quindi i maggiori indici della nostra vita economica non sono tali da gettarci nell' allarme. è vero: vi è un certo rischio nell' indebitamento a lunga scadenza per una politica propulsiva, ma è un rischio che viene compensato — nelle previsioni del piano Vanoni — dall' accrescimento del reddito nazionale , dallo sviluppo dell' esportazione e della nostra economia. ma, a questo punto, sgombrato il terreno da problemi di carattere congiunturale, inizia la mia parte critica. se il nostro problema fosse di ordine congiunturale, noi potremmo stare tranquilli; ma il nostro problema è di carattere strutturale, come lo considerammo prima del 1950. noi non abbiamo bisogno di una congiuntura favorevole; abbiamo bisogno di continuare ad incidere sulla struttura economica e quindi sociale del nostro paese. se la situazione si considera da questo angolo visuale , non posso più condividere l' ottimismo dell' onorevole Malagodi, né il modo fin qui usato per apprezzare le cifre. occorre elevarsi sulle cifre contingenti, per vedere che indicazione esse ci danno in un quadro di sviluppi e di prospettive. partiamo, per l' entrata, da quel fatidico 1950-51 nel quale lo Stato iniziò la sua politica di vasti interventi nel campo della proprietà fondiaria e del Mezzogiorno e gettò le prime linee della riforma tributaria . nel campo delle imposte, su cui si fonda il bilancio di uno Stato moderno, nel campo cioè dell' imposizione diretta, leggiamo le seguenti cifre. nel 1950-51 le imposte dirette davano miliardi 187,3 rappresentando il 14,6 per cento di tutte le entrate tributarie; fino al 1954-55 questa percentuale non era aumentata: restava del 14,3 per cento . nel 1955-56 essa era salita al 17,5 per cento , nel 1956-57 al 18,2 per cento . cioè, nel periodo dal 1950-51 al 1956-57, nell' equilibrio del nostro bilancio le imposte dirette davano un contributo percentuale di poco superiore a quello di partenza. le tasse ed imposte dirette sugli affari passavano, nello stesso spazio di tempo, da 31,7 a 33,9 per cento ; le dogane e imposte sui consumi dal 23,8 al 26,8, i monopoli dal 17,9 al 14,6. la struttura generale del nostro bilancio, per quanto riguarda le entrate, ha avuto quindi scarsi spostamenti: se le entrate tributarie fra i due anni considerati sono passate da 1.287 miliardi a 2.473, tutti i cespiti all' incirca si sono ugualmente mossi. ecco un primo elemento negativo. la riforma tributaria , che doveva gradualmente raggiungere l' obiettivo di fondare le nostre entrate sul pilastro della imposizione diretta, ha uno svolgimento lentissimo. noi credevamo che in un periodo relativamente breve l' imposizione diretta fosse stata almeno in grado di essere un elemento fondamentale del bilancio. questo purtroppo non è avvenuto. questo è un po' il compito per il domani, onorevole Andreotti. qui ha avuto ragione Bresciani Turroni , il quale, in un articolo pubblicato sul Il Corriere della Sera del 26 febbraio, diceva appunto che calcolando il possibile gettito in base alla curva dei redditi (curva che si calcola su dati sperimentali) si doveva trovare una materia imponibile, senza modificare le aliquote esistenti, molto ma molto maggiore dell' attuale. affermava l' illustre economista: « di fronte a risultati così scoraggianti non si comprende il compiacimento talvolta manifestato circa gli effetti della riforma tributaria . la verità è che essa non ha finora raggiunto l' obiettivo principale, che era da una parte quello di ottenere dichiarazioni sincere, dall' altra parte di diffondere negli uffici delle imposte un' atmosfera di fiducia verso i contribuenti » . quest' argomento è stato usato anche dal senatore Frassati in un importante articolo pubblicato sulla La Stampa e i cui dati sono stati ripresi dall' onorevole Amendola nel discorso di ieri. sono cifre certamente impressionanti. nel bilancio del 1954 degli USA l' imposta sul reddito nazionale pesava per il 50,6 per cento e l' imposta sul reddito delle società per il 34,5 per cento ; nella Svezia l' imposta cumulativa sul reddito e sulle società pesava per il 40,8 per cento ; nel Regno Unito per il 49,3 per cento ; in Olanda per il 32,2 per cento ; in Germania per il 38 e qualche cosa; nel Belgio per il 41,6 per cento . cioè, mentre in questi paesi le imposte dirette si avviano a rappresentare, quando non l' abbiano superato, il 50 per cento delle entrate tributarie, totali, risponderò. noi siamo assai lontani da questa percentuale. nel 1956-57, considerate le nuove imposte, non siamo arrivati che al 18,2 per cento del totale. si dice, lo ha detto anche l' onorevole Malagodi e lo ripete adesso l' onorevole Cantalupo, che noi siamo un paese a reddito molto basso. ma siamo anche un paese ad alta disoccupazione. il fatto di avere i redditi bassi secondo me non giustifica la limitazione o lo scarso gettito, altrimenti il nostro problema diventa insolubile. noi non possiamo uscire dal dilemma: o attraverso le risorse che abbiamo troviamo i mezzi per lo sviluppo della nostra economia, o avendo redditi bassi ci teniamo i redditi bassi e quindi le zone di depressione sociale che essi comportano. so benissimo che non possiamo aumentare la pressione con l' imposizione di nuove imposte o di più alte aliquote, e so benissimo che il nostro sforzo si deve concentrare nel far funzionare le leggi esistenti; ciò che comporta una grande responsabilità e comporterà una grande abnegazione da parte del ministro delle Finanze . ma bisogna che noi usciamo dal vicolo chiuso in cui ci troviamo, e bisogna che tutti quanti pensiamo seriamente ai problemi della vita del nostro paese. nella corsa alla quale ciascuno di noi è trascinato, verso il procacciamento individuale di un maggiore reddito, nell' affermazione di criteri utilitari individuali, singolari, noi non troviamo la chiave per la soluzione dei nostri problemi. la verità è che una delle parti essenziali dell' equilibrio del bilancio, la parte dell' entrata, ha squilibri fondamentali che dovremo rapidamente correggere. vi riusciremo? ecco il punto interrogativo . se noi guardiamo alla spesa, troviamo anche qui segni preoccupanti. io non ho i dati del 1956-57, ma è stato qui rilevato che gli investimenti produttivi nel sistema della spesa hanno perduto quota. nel 1950-51 abbiamo speso, per investimenti produttivi, 468 miliardi, cioè il 24,7 per cento di tutta la spesa; nel 1955-56 abbiamo speso 499 miliardi, cioè il 18,1 per cento . la cifra assoluta non è diminuita, perché da 468 miliardi siamo arrivati a 499, ma, se consideriamo che la spesa è passata da 1.893 miliardi a 2.725, è chiaro che gli investimenti produttivi hanno perduto di importanza. ma v' è una voce che non ha avuto questo andamento, la voce « oneri diversi » . badate, questa voce non comprende il costo di tutti i servizi generali dello Stato. molte spese di questo tipo sono comprese nelle spese della pubblica istruzione , in quelle della difesa, eccetera la voce « oneri diversi » considera: organi e servizi generali dello Stato; spese aventi relazione con le entrate; servizi di culto; oneri connessi con la guerra » . ebbene, questa cifra, che era di 139 miliardi nel 1950-51, è passata a 304 miliardi nel 1955-56: pesava per il 7,4 per cento nel 1950-51, ed è salita al 14,1 per cento nel 1955-56. è un parziale esempio di come sono aumentati i costi dei servizi generali dello Stato. cosa dobbiamo pensare di uno Stato in cui i servizi generali raddoppiano di costo nel giro di qualche anno, mentre i servizi produttivi diminuiscono di peso percentuale? questa è una azienda che si appesantisce di giorno in giorno, un' azienda la cui struttura non è più capace di servire il paese. considerate questo enorme contrasto: da una parte il bilancio è squilibrato in entrata, perché l' imposizione diretta non è il cardine su cui si deve sostenere; dall' altra è squilibrato in uscita, perché i servizi generali lo irrigidiscono sempre di più e non ne fanno uno strumento utile allo sviluppo della vita economica e sociale nazionale. sono i due aspetti del bilancio più preoccupanti, quelli che devono richiamare la nostra più attenta considerazione. se noi consideriamo cura per cifra, troviamo sempre giustificazione a qualunque spesa; ma se noi guardiamo il bilancio nella sua struttura, nei capisaldi fondamentali che lo caratterizzano, dobbiamo stare attenti alle degenerazioni che in esso si producono. mi pare che i problemi che il bilancio dello Stato italiano presenta siano questi, problemi cioè connessi ad una struttura talmente pesante, talmente anchilosata, che non serve più allo scopo cui dovrebbe servire. naturalmente, onorevoli colleghi , se le cose si guardano da questo punto di vista , è evidente che gli aspetti congiunturali acquistano minore importanza, perfino quando si tratta di accrescimento del reddito nazionale : è su questo punto, onorevole Malagodi, che io dissento dalla sua visione. se noi consideriamo il bilancio, anche se pesante e squilibrato, nei suoi aspetti congiunturali immediati inquadrandolo in una situazione economica del paese, non possiamo vedere certo pericoli immediati. ma se consideriamo la struttura del bilancio in relazione a quelli che sono i bisogni della collettività italiana, evidentemente la situazione cambia. ella non ha detto la stessa cosa perché ha affermato che prevede certi sviluppi del reddito capaci di consentirci la soluzione di problemi limitati. infatti, quando ella calcola che in un certo numero di anni avremo 400 miliardi in più, di cui destinava la metà a riduzione del deficit, 100 milioni agli investimenti, 50 alla scuola e 50 alla giustizia. ora, onorevole Malagodi, se noi inquadriamo le sue cifre in una normale politica di sviluppo , possiamo ben prenderle in considerazione. ma, se guardiamo alla situazione del nostro paese qual è, prospettata nel piano Vanoni, queste cifre non reggono più da nessun punto di vista . in altre parole, se dobbiamo operare una scelta per il piano Vanoni, evidentemente i problemi del bilancio ci si pongono in maniera diversa da quella che finora è stata considerata. qui, secondo me, è il problema di fondo di questo dibattito. che cosa dobbiamo fare? abbiamo toccato il punto d' arrivo con la Cassa per il Mezzogiorno , con la riforma agraria e con le altre riforme strutturali; abbiamo cioè dato alla nostra economia un assetto tale che possiamo subire soltanto le oscillazioni della congiuntura, o dobbiamo affrontare una seconda tappa del nostro duro cammino? il piano Vanoni ci dice che non siamo nella prima situazione, ma siamo nella seconda. l' onorevole Lombardi ha affermato che la riforma agraria e soprattutto la Cassa per il Mezzogiorno non erano una politica nuova; erano il coordinamento di una vecchia politica dei lavori pubblici . credo che questa visione dell' onorevole Lombardi non si possa accettare. la Cassa per il Mezzogiorno ed il suo coordinamento con la riforma agraria , con la politica degli scambi e con l' integrazione europea rappresentano una politica assolutamente nuova. ed il piano Vanoni che cosa è se non il proseguimento e l' allargamento di quelle esperienze? sono le esperienze della Cassa per il Mezzogiorno , fatte su piano regionale , che hanno portato il ministro Vanoni a vedere il problema nella sua intierezza, a concepire lo schema decennale di sviluppo della occupazione. il nostro paese ha vaste aree depresse non più e non soltanto nel Mezzogiorno. è stato un errore considerare che il problema delle aree depresse fosse solo un problema del Mezzogiorno. le zone depresse sono ovunque sia la disoccupazione; sono nell' arco alpino, sono in Umbria, sono nel Lazio, sono nel Mezzogiorno. il piano Vanoni pone in un quadro più vasto e nazionale la politica delle aree depresse. ma vorrei dire di più. ieri alcuni colleghi hanno interrotto l' onorevole Lombardi, quando ha affermato che la minaccia di inflazione può aver luogo, ad esempio, in Inghilterra perché là vige una economia di piena occupazione. dove si ha una economia di piena occupazione, come in Inghilterra e negli USA, si può avere uno sviluppo economico e del reddito che può condurre a certi risultati inflazionistici. ma l' onorevole Lombardi osserva che l' Italia non si trova in queste condizioni, giacché essa ha ancora grave disoccupazione e sottoccupazione; ha strutture industriali non utilizzate. vorrei approfondire questo concetto ed osservo che il nostro bilancio, così come esso si va sviluppando, presenta la contradizione di essere un bilancio, in certo senso, di una economia quasi di pieno impiego, mentre siamo tuttora in fase di disoccupazione e di sottoccupazione. cioè, onorevole Malagodi, noi abbiamo costruito un bilancio come se fossimo un paese di piena occupazione, mentre non siamo un paese di piena occupazione e dovremo costruire un bilancio per la disoccupazione e la sottoccupazione. ma ciò mi conduce, colleghi dell' estrema sinistra , ad esaminare un altro problema. la nostra economia presenta due circolazioni: da una parte la circolazione di un' economia di quasi benessere; dall' altra la circolazione di un' economia estremamente povera, di disoccupazione e di sottoccupazione. e la nostra contradizione sta in questo: che noi alcune volte — troppe volte — badiamo all' economia di quasi benessere e dimentichiamo le esigenze di un' economia povera, di disoccupazione e di sottoccupazione. su questo sorge appunto la polemica con le forze di sinistra. l' economia di quasi benessere non soltanto è l' economia di quasi benessere dei ceti capitalistici, ma trascina con sé un certo benessere delle masse di lavoratori che lavorano in quell' economia. l' economia di sottoccupazione e di depressione è, invece, nel Mezzogiorno e in altre zone, economia di depressione di piccoli ceti capitalistici. e noi abbiamo quindi queste due economie che sembrano vivere come due economie separate, come se avessimo due mondi differenti, quello che io dico due Italie: una Italia che si avvia o rasenta le soglie di una civiltà moderna e una Italia che non arriverà mai, nelle presenti condizioni e senza un grande sforzo, a sentire i benefici economici e sociali di una moderna civiltà democratica. non vi meravigli, onorevoli colleghi , che su questa considerazione e su questa visione voi avete incontrato un valtellinese e incontrate spesso dei meridionali; voi avete visto che su questi banchi hanno parlato soprattutto meridionali, perché il problema delle aree depresse, che non è — ripeto — un problema meridionale, è piuttosto sentita da uomini che hanno vissuto quella esperienza. lasciatemi a questo punto rievocare una sensazione. quando fui in Russia, la prima impressione che ebbi fu di trovarmi a casa mia, cioè ebbi l' impressione di essere in una zona depressa. non traetene considerazioni ed illazioni. non intendo dare giudizi su quello che il regime sovietico ha fatto per modernizzare quel paese; la mia sensazione si riferiva alle condizioni di partenza di quel paese. vi è una solidarietà fra le aree depresse del mondo e vi è una capacità degli uomini che sono nati nelle aree depresse di comprendere il problema e di sentire dove veramente le condizioni economiche presentano un grado insopportabile di arretratezza. onorevoli colleghi , queste due economie, queste due Italie che hanno una vita diversa, sono la caratteristica del nostro paese e bisogna che facciamo una scelta. è la scelta che ci è consigliata dal piano Vanoni. la scelta fondamentale del piano Vanoni è questa e non un' altra. ma i termini di questo problema sono enormi e vasti e vogliono un impegno senza limiti del paese. so benissimo che vi sono grossi redditieri che non pagano le tasse; so benissimo che non si può chiedere a chi meno ha da pagare per chi più ha; ma dobbiamo uscire in qualche maniera dal circolo chiuso nel quale ci troviamo. dobbiamo incominciare con i mezzi che abbiamo. il congegno fiscale marcia per conto suo, ma certo il congegno fiscale non era nel 1950-51 in condizioni migliori di adesso, e noi abbiamo cominciato. so benissimo la debolezza della parte entrata del nostro bilancio e le inflazioni inutili, improduttive, sperperatrici della parte spesa. sono stato recentemente in alcune zone del cuneense ed ho saputo che i figli dei piccoli proprietari di vigneti abbandonano i campi per andare a lavorare alla « FIAT » , mentre nei vigneti medesimi subentrano i contadini meridionali e i contadini del Veneto. l' esempio dimostra come le aree depresse chiamino il proletariato povero, che cerca di avviarsi verso una condizione migliore. il problema è appunto di far sì che il proletariato più povero rimanga nella propria zona. bisogna cioè che la civiltà arrivi nelle zone depresse , mentre attualmente tali zone si impoveriscono sempre di più attraverso il fenomeno della emigrazione e della sostituzione. credo che il ministro Vanoni ci abbia lasciato un testamento con il suo piano, abbia cioè lasciato alla democrazia italiana qualche cosa che la deve profondamente impegnare. con le prime critiche che io rivolsi al piano Vanoni, affermai che di esso era stata scritta la seconda parte, cioè quello che si deve fare, le industrie che si devono creare, i grandi servizi pubblici ai quali bisogna dar vita per attuarlo. larga parte del piano, infatti, è dedicata alle aree depresse, considerate come zone di raccolta degli impianti industriali, come zone destinate alla industrializzazione. non è stata scritta invece la prima parte del piano, cioè non sono stati indicati i sacrifici che il popolo italiano dovrà compiere per applicare la seconda parte. e la detta politica produttivistica, colleghi destra, comincia proprio qui. io concordo con voi che il nostro bilancio è anchilosato, ha perduto di elasticità e si è adagiato sulla impostazione di una congiuntura favorevole. ma esso deve, prima o dopo, adeguarsi a quella parte d' Italia che ha più bisogno. ma tanti e tanti sacrifici bisognerà chiedere a tutti gli italiani e soprattutto a quegli italiani che più possiedono e che talvolta portano i loro capitali d' estero ignominiosamente. onorevole Malagodi, nessuno più di me crede che in un progetto di sviluppo della nostra struttura economica e sociale debba darsi posto alla iniziativa privata , ma nessuno più di me crede che l' iniziativa privata non risolverà, mai il problema di sviluppo senza l' iniziativa dello Stato. ognuno al suo posto. oggi possiamo dire che, se non si fosse iniziata nel 1950-51 la politica del Mezzogiorno, alcuni nostri settori industriali sarebbero oggi in gravissima crisi. la politica di espansione delle esportazioni sui mercati esteri su cui si è fondato il nostro sviluppo industriale presenta caratteri di instabilità e di aleatorietà: oggi dà profitti, ma domani può dare gravissime perdite. e quindi non basta la sola iniziativa privata . l' avvenire della nostra economia sta anche in una grande e responsabile iniziativa di Stato. certo l' elemento fondamentale del piano Vanoni è uno stretto coordinamento tra l' iniziativa privata e l' iniziativa di Stato. d' altra parte, se vogliamo attuare il piano Vanoni dobbiamo fare una scelta, e se noi crediamo all' avvenire del nostro paese questa scelta impone la responsabilità di alcune forze politiche . onorevoli colleghi , in questo discorso non mi sono voluto occupare di aspetti politici. mi sono limitato a parlare dei problemi derivati dalle dimissioni dell' onorevole Gava e soprattutto dalla morte del povero ministro Vanoni. noi dobbiamo pensare seriamente se questo piano deve essere indicato, come meta raggiungibile, alla coscienza democratica degli italiani o deve rimanere — come si dice un progetto accademico. non so se siamo maturi per questa scelta; penso che però la nostra democrazia non avrà modernità — come diceva l' onorevole Riccardo Lombardi — ma soprattutto non avrà avvenire, se non avrà risolto i problemi della miseria, della disoccupazione e della sottoccupazione nel nostro paese.