Palmiro TOGLIATTI - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 28 - seduta del 03-10-1953
Sulla situazione nel Medio Oriente
1953 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 128
  • Attività legislativa

alquanto strano, signor presidente , potrebbe sembrare, almeno a prima vista, ed essere chiamato, il modo come fino ad ora si è sviluppata questa discussione sul bilancio del ministero degli affari esteri , per il fatto che, in sostanza, se si tiene conto degli interventi dei principali oratori, esso si è concentrato quasi esclusivamente sopra una questione, sulla questione di Trieste, cioè sui problemi che si pongono per regolare la situazione attualmente esistente nella Venezia Giulia . non so onorevoli colleghi , se sia stata oggettivamente giusta questa limitazione. riconosco però senz' altro che essa corrisponde agli orientamenti prevalenti nella opinione pubblica o nella maggior parte di essa, oggi. ripeto, la cosa può non apparire giusta oggettivamente. sono infatti accaduti di recente fatti tali, si sono e sono tuttora aperte dinanzi all' opinione pubblica internazionale e all' opinione pubblica del nostro paese, e sono poste dinanzi al nostro Governo, questioni tali che oggettivamente sono più ampie per la loro portata e, per certi aspetti, anche più importanti, di quella triestina. basti pensare alla firma dell' armistizio in Corea, avvenimento che ha cambiato qualitativamente la situazione internazionale che sta davanti a noi. da una situazione internazionale nella quale era in corso un conflitto armato siamo tornati a una situazione di pace, o di relativa pace per lo meno. abbiamo avuto qualche segno che la politica estera del nostro Governo si sia resa conto di questo cambiamento qualitativo della situazione e siano stati compiuti gli atti necessari per adeguarsi ad essa? bisogna rispondere di no. atti simili non vi sono stati. la nostra politica estera non si è ancora accorta di questo cambiamento qualitativo della situazione internazionale, quantunque se ne sia accorta l' opinione pubblica e se ne siano accorti, e lo si vede ogni giorno più, gli organi della opinione pubblica anche più restii al nostro campo, al campo democratico avanzato. hanno avuto luogo le elezioni tedesche, le quali, anche se non hanno ancora profondamente alterato, però tendono ad alterare profondamente i termini della situazione europea. è stata data nel nostro paese una giusta interpretazione di ciò che significano le elezioni tedesche, del modo come si è avuto quel risultato e di ciò che da quel risultato può sgorgare in un avvenire prossimo o in un avvenire più lontano? non mi pare. e soprattutto non mi pare che negli atteggiamenti concreti del nostro Governo, per quanto si riferisce alla nostra politica internazionale , abbiano potuto essere registrati, nel corso delle ultime settimane, atti qualsivoglia adeguati al mutamento della situazione europea che è stato segnalato dal risultato delle elezioni tedesche. vi è di più: nel corso degli ultimi mesi, o dal 7 giugno in poi, anche se vogliamo limitarci a questo periodo postelettorale, abbiamo assistito da un lato ad atti esasperati di intervento di potenze imperialistiche nella vita interna di altri Stati allo scopo di provocare incidenti perfino di carattere insurrezionale. parlo in particolare dei fatti di Berlino del 17 giugno. nonostante ciò non vi è dubbio che abbiamo pure assistito a uno sviluppo lento, ma sicuro, della tendenza a una distensione della situazione internazionale, alle trattative per accordi di pace, e così via . anche di questa situazione, che investe tutto il complesso dei rapporti internazionali, si è avuto qualche indizio, negli ultimi tempi, che si siano accorti gli uomini i quali dirigono la politica estera italiana in questo momento? non abbiamo avuto segni di questa natura. si è continuato come prima, come se nulla stesse accadendo, come se l' esito dei processi che sono in corso nell' arena internazionale e particolarmente nell' arena europea non ci interessasse, ci dovesse lasciare in disparte. ripeto che tutte queste questioni sono di portata molto più ampia che non il semplice problema triestino. riconosco però che ad esso esse sono tutte più o meno legate, e questo sarà, in sostanza, il tema del mio intervento in questo dibattito. se vogliamo tuttavia prescindere, per ora, dalla considerazione di questi elementi generali della situazione internazionale ed europea, dobbiamo riconoscere — e noi in particolare riconosciamo agevolmente, direi anche con sodisfazione — che questo imporsi della questione triestina nel nostro dibattito sulla politica estera e davanti all' opinione pubblica del paese è cosa salutare, è cosa buona, può essere cosa molto efficace per gli sviluppi di tutta la nostra politica nazionale. e mi spiego brevemente. bisogna rifarsi ancora una volta al 7 giugno e alle nuove correnti e posizioni che lentamente (lo riconosco) ma con sicurezza, dopo il risultato del 7 giugno, continuano ad affermarsi nella opinione pubblica , conquistando terreno in strati sempre più larghi. si tratta di correnti e posizioni democratiche e democratiche avanzate, che tendono a rivendicare una serie di profonde trasformazioni della politica economica , interna e internazionale che è stata seguita fino ad ora. il primo profondo mutamento, al quale già ebbi occasione di accennare nel corso di un precedente dibattito in quest' Aula, ha avuto luogo per quel che riguarda la situazione economica del paese e le condizioni di vita della grande maggioranza dei lavoratori e cittadini italiani. da un lato vi era allora l' ottimismo superficiale governativo, un ottimismo di maniera, per cui, sulla base di un elenco di cifre e dati statistici più o meno sinceri, si concludeva che le cose andavano bene, che non potevano andar meglio, che ormai si era sul limite di un benessere raggiunto attraverso la ormai compiuta ricostruzione. dall' altro vi era il nostro richiamo alla realtà; v' eravamo noi, che dicevamo e ripetevamo in tutti i modi: è vero, sì, che in qualcosa siamo andati avanti, che abbiamo ricostruito, lavorato, ma è pur vero che nonostante ciò e per colpa delle classi dirigenti la situazione economica della maggioranza dei cittadini che vivono soltanto di lavoro è grave, tende a peggiorare, è insopportabile. di qui sorgeva la nostra richiesta che a questo si dovesse guardare prima di tutto e quindi si dovesse rivendicare e far condurre dal Governo, appoggiato dalle rappresentanze nazionali e dalle grandi organizzazioni democratiche, una lotta grande contro la miseria, contro l' indigenza dei lavoratori, contro quei gravi difetti della nostra situazione economica che pesano sulle spalle della maggioranza del popolo italiano . questa era la situazione che prima esisteva. nei dibattiti politici successivi al 7 giugno che hanno avuto luogo in quest' Aula, e nelle ripercussioni che si sono avute sugli organi anche i meno rivoluzionari, diciamo così, dell' opinione pubblica , il tono oggi è cambiato. abbiamo sentito da tutte le parti la denuncia dell' insopportabile situazione economica dei lavoratori. da tutti i settori abbiamo sentito rivendicare misure efficaci per la lotta contro le conseguenze della disoccupazione, contro la miseria, contro l' indigenza dei cittadini italiani. questo è un primo, profondo mutamento. si sono tratte da esso tutte le conclusioni che ne debbono derivare? si è arrivati alle conseguenze pratiche, alla proposta di misure concrete da adottarsi in comune, con l' appoggio del popolo? non ancora. direi anzi che vi è una forte resistenza ad andare avanti su questo terreno. vi sono da segnalare mutamenti nella politica governativa che vadano in questa direzione? non vi sono, per il momento. il primo passo , però, è stato fatto. le questioni sono poste e di questo noi ci rallegriamo. qualche cosa di simile è avvenuto nel campo dei rapporti tra i cittadini e lo Stato e in ordine al riconoscimento dei diritti fondamentali garantiti al cittadino dalla Costituzione repubblicana. anche qui il quadro precedente era questo: da una parte, il mondo ufficiale imponeva l' accettazione generale di una profonda scissione delle forze del paese e di una guerra fredda contro le forze democratiche avanzate; dall' altra parte noi rivendicavamo una distensione nei rapporti politici e sociali attraverso il rispetto e l' applicazione integrale della nostra Costituzione. denunciavamo gli arbitri, la violazione delle leggi e della Costituzione, la sostituzione di un regime di controllo paternalistico e di polizia al regime di legalità democratica e repubblicana che avevamo voluto fosse instaurato dopo il crollo del fascismo. e sembrava che noi fossimo soli, gridanti nel deserto, rivendicanti cose impossibili ad attuarsi. alcuni recenti episodi hanno avuto il salutare effetto di far vedere come anche in questo campo la situazione stia cambiando. essi hanno fatto schierare in difesa della legalità democratica e costituzionale forze più numerose di quanto non si potesse sperare, uomini nuovi, organizzazioni nuove. essi hanno risvegliato nella grande massa dei cittadini la coscienza della necessità di imporre il dispetto della legalità democratica e repubblicana, il rispetto della Costituzione, e di porre fine all' arbitrio con il quale è stata coperta per anni la guerra fredda contro le forze avanzate dei lavoratori e della democrazia. anche qui, vi sono già delle realizzazioni? non so se possa essere considerato una realizzazione il fatto che qualcuno dei dirigenti più in vista dello stesso partito democristiano respinga oggi da sé l' accusa di voler orientare la politica italiana sulla linea di un fronte anticomunista, cerchi di addossare ad altri questa colpa, di liberarsene. anche questo è un segno dei tempi. anche in questo campo però, devo riconoscere che dalla generalizzata consapevolezza della necessità di cambiare qualche cosa, ritornando al rispetto della legalità democratica e repubblicana, ancora non si riescono a trarre le conclusioni e le conseguenze pratiche necessarie per indicare i passi concreti i quali possano essere fatti per ottenere questo rispetto. mancano ancora le proposte concrete sulla base delle quali ci si possa mettere d' accordo e andare avanti. però anche qui i primi passi sono fatti, altri passi si stanno facendo e verranno, e la situazione non potrà non cambiare nel senso da noi e da una così grande parte del popolo auspicato. per quanto si riferisce alla politica estera , la questione di Trieste tocca profondamente la coscienza nazionale, per il modo stesso come sono andate storicamente le cose, per la via attraverso cui si è giunti a completare l' unità nazionale attraverso una guerra sanguinosa e dolorosa, e per tutto ciò che è avvenuto poi. però, anche qui, sorge oggi un elemento particolare. la questione di Trieste, come il caso Aristarco-Renzi per quanto si riferisce ai rapporti tra i cittadini e lo Stato, come le inchieste sulla miseria e la disoccupazione per quanto si riferisce alla situazione economica del paese, ha esercitato e sta esercitando sempre più la funzione del reagente che facilita la precipitazione di una coscienza nuova. nuove masse di cittadini, riflettendo ai casi di Trieste, sono tratti alla conclusione che il danno è venuto, in questo campo, dalla politica che è stata fatta e che soltanto modificando questa politica, quindi, si potrà sperare di risolvere il problema triestino in conformità con le aspirazioni della coscienza nazionale, con gli interessi della nostra patria. i cittadini sono oggi spinti a pensare in modo nuovo e a scoprire che anche in questo campo, cioè nel campo dei rapporti internazionali, le cose non sono andate bene e non possono continuare così come sono andate sinora, a meno che non si voglia. no accumulare nuovi danni sulle spalle del paese. si apro in questo modo, in sostanza, e davanti a strati nuovi del popolo, la critica all' indirizzo generale di politica estera che e stato seguito finora; si estende e diventa accessibile a nuovi milioni di cittadini quel processo all' indirizzo generale dell' azione governativa nel campo dei rapporti internazionali il quale porta a concludere che è mancata, negli ultimi anni, una politica italiana , una politica la quale abbia fatto andare avanti il nostro paese, e non danneggiato e indebolito, invece, le sue posizioni. è, sul rapporto tra questo indirizzo generale di politica estera e l' evoluzione dei termini della questione triestina, da quando essa si è posta dopo la fine della seconda guerra mondiale , che l' attenzione viene oggi concentrata, e deve esserlo. è su questo che io cercherò, onorevoli colleghi , se me lo permettete, brevemente di concentrare anche la vostra attenzione. quale è stata la nostra politica estera dal 1947 in poi? è stata una politica atlantica. direi anzi che la politica estera dei governanti italiani è stata una politica atlantica anche prima del 1947, perché, in sostanza, qualcosa che si può chiamare una politica atlantica antelitteram veniva fatta sotto mano anche mentre noi eravamo ancora al Governo; e forse fu proprio questo il motivo di fondo per cui noi dovevamo essere esclusi dal Governo, anzi, dovevamo uscirne, per non addossarci così gravi responsabilità davanti al paese e alla storia. quale è, dunque, il contenuto della politica atlantica? quale il suo succo? è la divisione del mondo non solo in due blocchi i quali, come avveniva nel passato e accennava ieri il collega dell' estrema destra , possano arrivare attraverso reciproche concessioni e intese a un certo equilibrio, ma in due blocchi che non si possono più comprendere e devono opporsi l' uno all' altro e consolidarsi fino a farsi la guerra. la linea di demarcazione tra questi blocchi non è più di politica internazionale , come nel passato. è di natura ideologica, ma con qualcosa di particolare, perché il termine ideologico, attribuito a questi blocchi, ha un significato tutto speciale. non bisogna lasciarsi da esso trarre in inganno. quale pensate possa essere il rapporto ideologico fra un operaio o un funzionario dei sindacati inglesi e il gerarca del carnefice Franco? eppure entrambi oggi fanno parte dello stesso blocco atlantico: dovrebbero essere quindi considerati ideologicamente parenti nell' affermazione e difesa della stessa cosiddetta civiltà occidentale. quale può essere il rapporto ideologico tra il disoccupato della valle del Po, o l' abitante delle borgate di Roma, anche se egli è un credente, e il magnate tedesco, già hitleriano, il quale sogna, oggi come ieri, la propria egemonia nel suo paese, in Europa e anche fuori dell' Europa? quale è, qui, la unità o anche solo la vicinanza ideologica? non esiste. il termine ideologico usato in questo caso è usato abusivamente. in realtà, una esatta definizione del blocco atlantico può essere data soltanto sul terreno economico-sociale. il blocco atlantico è il blocco creato da quegli imperialisti i quali respingono tutte quelle trasformazioni del mondo capitalistico che tendano a sviluppare i rapporti economici nella direzione del socialismo. questa è la sola definizione giusta e possibile. orbene, nella formazione e nella propria adesione a questo blocco di forze economico-sociali capitalistiche, conservatrici e reazionarie, strette nella difesa dell' ordinamento economico di cui sono espressione, l' Italia avrebbe dovuto trovare — si dice — la soluzione dei suoi problemi, il sodisfacimento dei suoi interessi nazionali . quali problemi si ponevano dunque a noi alla fine della guerra, per il modo stesso come eravamo stati portati a una così dolorosa e spaventosa catastrofe militare, civile, economica e morale? gravissime erano le questioni che si ponevano. nessuno da parte nostra ha l' intenzione di sminuirne la gravità o di affermare che si potessero o si possano risolvere con delle frasi. troppo vi era e vi è da riconquistare, troppo da riparare, troppo da correggere. in sostanza, si trattava di riconquistare nel mondo all' Italia un posto conforme alle sue tradizioni, alle aspirazioni della coscienza nazionale, alle condizioni della nostra popolosità, alle nostre ricchezze, alle posizioni che occupiamo in Europa e nel mondo. bisognava quindi rientrare nell' organizzazione dei grandi Stati europei e del mondo. bisognava risolvere le questioni economiche, sempre gravi, che sono legate alle posizioni di uno Stato in confronto con gli altri Stati. si poneva poi il problema dell' integrazione del trattato di pace (per la parte in cui non era stato ancora definito: le colonie) e dell' applicazione del trattato stesso. qui veniva la questione di Trieste. ora, la politica atlantica che è stata fatta che cosa ci ha dato in tutti questi campi? in che misura ha essa dimostrato di poter essere una politica nazionale? in che misura, cioè, ci ha portati a progredire nella soluzione di questi problemi, o per lo meno nell' avvicinamento a una soluzione di essi? anche qui, lungi da me il proposito di affermare che la posizione dell' Italia nel mondo sia oggi eguale a quella che era nel 1945 o nel 1946. questo sarebbe assurdo. abbiamo vissuto, lavorato, combattuto. ci siamo riorganizzati: è evidente che in avanti non potevamo non andare, in maggiore o minor misura. ma in qual modo quella politica ci ha fatto andare avanti? ci ha essa aiutati a risolvere le gravi questioni che stavano davanti a noi oppure è stata un ostacolo? poche parole sulle questioni economiche, ove siamo andati di male in peggio. nel commercio estero abbiamo avuto sempre una situazione critica. quando sembrava che potessimo esportare, non ci pagavano; oggi, forse, ci pagherebbero, ma non esportiamo. abbiamo perduto le migliori occasioni che ci si potevano offrire di dare slancio alla nostra industria e agli scambi attraverso contatti e rapporti nuovi con paesi lontani, in via di rapida industrializzazione. la cosa ci fu impedita dalla politica atlantica. nel regolare il nostro commercio estero, e persino lo sviluppo della nostra industria, abbiamo permesso l' intervento di potenze straniere, le quali rappresentano interessi non soltanto concorrenti con i nostri, ma addirittura contrari a quelli dell' Italia come complesso nazionale. ci siamo quindi esclusi, per un intiero periodo di tempo , da intiere aree del mondo, con le quali avremmo potuto commerciare, in Oriente, in paesi un tempo coloniali, in Estremo Oriente . non abbiamo fatto nessun passo in avanti nella soluzione dei problemi della nostra emigrazione, che ancora si pongono oggi, con una impressionante tragicità, nello stesso modo in cui si ponevano nel 1945-46. infine subiamo ora i danni evidenti della politica economica cosiddetta europeistica. sono lieto che anche da altri settori si siano levate voci le quali si aggiungono alla nostra denuncia di questi danni. ci ha interessato il fatto che abbia potuto circolare una notizia secondo cui anche nel Governo qualcuno si sarebbe accorto della necessità di non andare avanti ciecamente sulla via del cosiddetto europeismo economico, perché è una via che ci può portare a rovine immediate. questa è la realtà, che occorrerebbe oggi confrontare con quello che venne detto dai governanti negli anni passati. non possiamo dimenticare che per alcuni anni è stato fatto credere al popolo italiano che andavamo verso l' unione doganale con la Francia. si è voluto far credere al disoccupato di Torino e di Milano che avrebbe potuto andare a lavorare liberamente nelle officine Renault, al grande pubblico che si sarebbero comprati in Italia prodotti francesi a buon mercato e venduti i nostri in Francia a prezzi alti. tutto questo è stato puro e semplice inganno. nel campo economico la politica atlantica non ci ha aiutati ad andare avanti ma, se mai, ha contribuito a rendere più grave la nostra situazione. nel campo politico, cioè per quello che riguarda la posizione dell' Italia nel mondo e il suo prestigio, le difficoltà in partenza erano, senza dubbio, gravissime, per le conseguenze della sconfitta a cui eravamo stati portati, e quindi per una tendenza naturale — storicamente « naturale » , voglio dire — di altri Stati a limitare la nostra indipendenza, a tenerci sotto sorveglianza e controllo. di qui le gravi difficoltà. ma, anche qui, in che modo la politica atlantica ci ha aiutato a superarle? lasciamo da parte la propaganda; per un momento cerchiamo di guardare in faccia le cose come stanno. non siamo riusciti a entrare nell' Organizzazione delle Nazioni Unite , perché il modo stesso come ci presentavamo sollevava una questione non superabile di « veti » dell' una e dall' altra parte. quando si dibatte, poi, la questione di Trieste, anche il cittadino più semplice si accorge che un maggior prestigio non lo abbiamo. abbiamo anzi minore libertà di movimento di quanta ve ne fosse in periodi passati, o di quanta si potesse sperare di raggiungere entro un ragionevole periodo di tempo . il Mediterraneo e il Tirreno sono di fatto, oggi, diventati incontrastato dominio americano e inglese. l' Inghilterra aveva ed ha Gibilterra e Malta. oggi però gli USA hanno una serie di basi navali e aeree nella penisola iberica. il fatto è molto grave per l' Italia, e mi è parso assai strano che nessuno se ne sia accorto e non vi abbia fatto nemmeno la più lontana allusione. una nostra qualsiasi libertà di movimento nel bacino del Mediterraneo non esiste più. ci hanno messo una camicia di forza , per cui siamo costretti, preventivamente, a una docile sottomissione a determinate grandi potenze. nell' Adriatico vi è Trieste, base anglo-americana oggi, che dà una posizione di predominio alla Jugoslavia. vi è poi l' Albania, alla quale farò cenno più tardi. non si vede come qui siano migliorate le nostre posizioni; anzi, esse sono evidentemente diventate peggiori. serie ferite sono state portate, poi, alla nostra indipendenza. onorevole presidente del Consiglio , noi delegati e rappresentanti del popolo italiano ignoriamo tuttora a quali condizioni giuridiche siano state installate sul nostro territorio determinate forze armate appartenenti a potenze straniere. non ne sappiamo nulla. quale è la competenza dei nostri tribunali rispetto a queste forze armate ? quale è la competenza dei loro comandi rispetto alle nostre forze di polizia e alle nostre forze armate ? non lo si sa. gli atti che senza dubbio esistono a questo riguardo e in cui sono posti limiti seri alla nostra sovranità nazionale non sono stati comunicati al Parlamento: rimangono nel cassetto del presidente del Consiglio . e poi si dice che questa è democrazia. no, questa non è democrazia. noi subiamo qui una nuova perdita di prestigio, derivante dal fatto che le nostre libertà democratiche sono limitate e calpestate, perché dobbiamo subire, in conseguenza della politica atlantica, serie limitazioni della nostra indipendenza nazionale. per quanto si riferisce al trattato di pace , non voglio fare se non un rapido cenno alla questione coloniale, perché vede, onorevole Bettiol, sono convinto che pochi italiani si commuovono al suo Teneo te Africa . appunto: non credo vi siano molti italiani che soffrono di questo male. vi è però da fare una costatazione, anche qui. non so se abbia ragione l' onorevole Cantalupo, il quale ha detto che noi saremmo entrati nel patto atlantico con una esplicita rinuncia a sostenere determinate posizioni nei confronti dell' alleato inglese e a proposito delle colonie. sta di fatto, che per essere entrati nel patto atlantico abbiamo rifiutato di utilizzare in qualsiasi modo una posizione più favorevole all' Italia sulla questione coloniale, perché veniva da una potenza non atlantica, anzi veniva da quella potenza, l' Unione Sovietica , contro cui è diretta l' organizzazione atlantica. quali le ragioni profonde di tutto questo? permettetemi alcune brevi considerazioni di ordine generale prima ch' io passi alla questione concreta di Trieste. quale è l' origine dei gravi errori compiuti, e di cui abbiamo sofferto e soffriamo in tutti i campi della nostra politica estera ? tre errori soprattutto mi pare si possano individuare. il primo è l' esclusione di qualsiasi alternativa; il secondo è l' inserimento gratuito nel famoso blocco ideologico atlantico; il terzo è un errore di prospettiva. si è ignorata e trascurata, prima di tutto, la necessità di avere sempre aperte, nel campo della politica internazionale , delle alternative. questa è una necessità assoluta per un paese come il nostro, che ha le sue debolezze organiche, accresciute poi dalla sconfitta fascista. il fatto di avere una certa libertà di movimento è vitale per poter sviluppare una politica estera italiana, ed io non ne parlo soltanto in relazione con quella questione dei rapporti con il mondo orientale cui accennava ieri l' onorevole Cantalupo, ma in generale. nello stesso blocco atlantico noi non abbiamo mai avuto alternative, mai quelle possibilità o libertà di movimento che si sono sempre prese tutti gli altri paesi per la difesa di quelli che considerano i loro interessi, le loro aspirazioni. per quel che si riferisce ai rapporti con il cosiddetto mondo orientale, non mi ha stupito il collega Cantalupo quando ha detto che, nell' opuscolo da lui redatto — e interessante — in cui si parla dell' attività diplomatica del Contarini, alcune pagine che si riferiscono proprio alla necessità per l' Italia di non sbarrarsi mai la strada in quella direzione sono state scritte dal conte Sforza. non mi ha stupito. io stesso avevo rilevato, scorrendo le pagine dell' ultimo volume del conte Sforza, apparso immediatamente prima o subito dopo la sua scomparsa, quelle note che l' onorevoli Nenni ha chiamato quasi di dolore, e me le ero spiegate nel senso che quest' uomo, che nel passato era pure stato un diplomatico e aveva fatto della politica estera , bene o male, secondo le norme tradizionali della diplomazia, si era visto a un certo punto ridotto ad essere il propagandista di quell' anticomunismo che egli stesso aveva definito una stupidità, e costretto a costruire su questo una politica estera che a un certo momento doveva rilevarsi un insieme di contradizioni, un assurdo. non mi stupisce quindi che il conte Sforza avesse potuto scrivere quelle pagine. del resto, credo sia sufficiente rifarsi agli Atti parlamentari della scorsa legislatura per vedere come fosse per noi un giuoco il condurre la polemica contro il conte Sforza, per la politica che egli fece quando fu negli ultimi anni alla testa del dicastero degli Esteri, servendoci proprio di sue affermazioni e attività precedenti. esclusa qualsiasi possibilità di alternativa e cioè di libertà in tutte le direzioni, come si può costruire una politica estera italiana? non si può. parlerò poi della ridicola favola che si vuole accreditare dicendo che noi vorremmo l' Italia si inserisse in un « blocco » sovietico. questa è una sciocchezza alla quale l' opinione pubblica intelligente ed esperta sempre meno crede. forse che il giorno in cui, attraverso un atto cui ci vantiamo di aver dato la nostra personale collaborazione, venne riconosciuto il governo italiano dal governo dell' Unione Sovietica nel tragico 1944, noi entrammo a far parte di qualche blocco sovietico, o antiamericano, o antinglese? nemmeno per sogno. avevamo però riconquistato una certa libertà di movimento, e questo era essenziale. questa capacità e possibilità è stata esclusa — per definizione, cioè per la natura stessa della politica atlantica — in questi ultimi anni e sarà esclusa fino a che non si cambierà strada. il secondo gravissimo errore fu che la nostra adesione alla politica degli altri fu sempre data gratuitamente. anzi (mi riferisco però a conversazioni personali, a dibattiti del Consiglio dei ministri , non a dibattiti avvenuti in questa Aula), ricordo che era stata perfino teorizzata la posizione cui noi dovevamo gratuitamente aderire, perché questa adesione gratuita ci avrebbe conquistato meriti tali per cui sarebbero stati riconosciuti e sodisfatti, a suo tempo, tutti i nostri interessi nazionali . pura follia, e poi lo si è visto! gratuitamente abbiamo aderito, e senza contraccambio abbiamo ceduto tutto quello che si poteva cedere, sino a rinunciare a parte della nostra indipendenza nazionale e a tollerare gravi lesioni della nostra sovranità. in cambio: l' appoggio a Tito contro di noi! conseguenza, in sostanza, inevitabile del fatto di aver tentato di costruire una politica estera sopra un anticomunismo di principio, mentre gli altri, che ci spingevano, e che tuttora ci spingono per questa strada, che ci sollecitano ad essere i primi della classe nella lotta contro il comunismo, sotto mano, naturalmente, fanno i loro interessi e ci mettono nel sacco. il terzo errore è stato di prospettiva. si è lavorato sulla prospettiva di una scissione sempre più grave dell' Europa e del mondo in due campi contrapposti e inconciliabili, fino a che dovesse scoppiare qualcosa di terribile. questa prospettiva, prima di tutto, era per l' Italia una prospettiva di catastrofe, come sarebbe prospettiva di catastrofe per tutti i popoli; in secondo luogo, era una prospettiva falsa, che non teneva conto della volontà dei popoli, dell' interesse delle nazioni europee, della reazione inevitabile delle masse popolari contro coloro che volessero condannarle a un altro macello come quello della seconda guerra mondiale . la conclusione di tutto questo è stata, infine, l' assenza di una vera politica nazionale, di una politica nella quale, partendo da quella situazione cattiva in cui eravamo, irta di difficoltà e di ardui problemi, si accrescesse però a poco a poco la libertà di movimento del nostro paese, e questo potesse migliorare la propria posizione economica, accrescere il proprio prestigio, fare di nuovo, passo passo, una politica che lo rimettesse nel rango di una grande potenza. in questo quadro ritengo debba essere collocata la questione di Trieste. noi paghiamo qui una serie di tragici errori, anzi di delitti, commessi contro la nostra patria dagli uomini del regime fascista, e una serie di successivi sbagli collegati alla sostanza della politica atlantica cui il nostro paese è stato legato. le tappe degli sviluppi della questione quali sono state? prima il trattalo di pace; poi la mancata applicazione del trattato di pace , a cui venne sostituito un regolamento provvisorio diventato definitivo, con la divisione in zona A e in zona B e con il progressivo inserimento, oggi quasi totale, della zona B nell' organizzazione statale della Jugoslavia; a un certo punto la dichiarazione tripartita ; poi gli accordi di Londra, in contrasto tanto con il trattato di pace quanto con la dichiarazione tripartita (l' onorevole Saragat lo ha egli stesso riconosciuto); infine la tensione ed esasperazione di oggi. l' essenziale per il Governo attuale mi pare continui ad essere la dichiarazione tripartita , se rettamente ho inteso le dichiarazioni del presidente del Consiglio . ad ogni modo, questo fu l' essenziale per i governi che hanno preceduto quello attuale. ma avete voi pensato perché venne fatta la dichiarazione tripartita ? l' argomento corrente, ampiamente servito all' opinione pubblica internazionale dalla stampa inglese, americana, francese, di tutti i paesi, è che si è trattato soprattutto di una operazione elettorale diretta a influenzare l' opinione pubblica italiana, e quindi assicurare un successo al partito che più direttamente era legato alla politica atlantica. questo è vero e nessuno lo nega. ma per l' altra parte, che valore ha avuto la dichiarazione tripartita ? credo che su questo punto non si è riflettuto abbastanza. probabilmente gli stessi nostri governanti hanno mancato a quel tempo delle informazioni che da altre parti si avevano. quando fu fatta la dichiarazione tripartita , il 20 marzo 1948, se ricordo bene, il contrasto tra la Jugoslavia e l' Unione Sovietica era già cominciato, e non poteva non essere noto a coloro che sono dotati della capacità di informarsi e di essere informati. la cosa risulta dal fatto stesso che le lettere scambiate tra Tito e i dirigenti dell' Unione Sovietica , e che segnano le tappe del contrasto, hanno in parte date anteriori. la dichiarazione tripartita ebbe quindi, verso la Jugoslavia, un valore del tutto particolare. per quel che riguarda l' Italia si trattava di farla votare per il partito democratico cristiano . per quel che riguarda la Jugoslavia si trattava puramente e semplicemente di un ricatto. muovetevi più in fretta — si diceva a Tito — e lo si minaccia, ma in pari tempo strizzandogli l' occhio. la esasperazione attuale, infine, come è sorta? tutti conoscono gli atti concreti, le manifestazioni, le note delle agenzie jugoslave, il discorso di Tito, il successivo scambio di documenti diplomatici, e così via . ma tutto questo quando avveniva? tutto questo avveniva nel momento preciso in cui per quel che riguarda l' Inghilterra il governo jugoslavo aveva ampiamente regolato i propri rapporti e iniziato un periodo di buona amicizia. per quel che riguarda gli USA, poi, erano in corso vere e proprie trattative di ordine militare. non so dire con precisione a quale risultato concreto siano approdate, ma il fatto è che esiste oggi una collaborazione militare tra la Jugoslavia, gli USA e l' Inghilterra, e che di questa collaborazione si sono fissati i termini proprio nei giorni del conflitto attuale. dopo il discorso di Tito e dopo il discorso del nostro presidente del Consiglio in Campidoglio, che portavano al massimo la tensione tra i due paesi, vi sono state le manovre jugoslave. dove sono state fatte queste manovre? alla Sella di Lubiana, e l' obiettivo proposto era proprio quello di spezzare la resistenza di forze armate che difendessero la città di Trieste contro l' avanzata delle forze armate jugoslave. alle manovre erano presenti le più alte autorità militari atlantiche, e pare vi fosse anche un generale italiano il quale (poveretto) avrebbe persino manifestato il suo compiacimento per le qualità combattive dell' esercito jugoslavo. tutto questo vogliamo dunque nasconderlo al nostro paese? no, tutto questo il paese lo deve sapere, e tutto questo discende direttamente dalla dichiarazione tripartita , la quale ebbe tra i suoi scopi la conquista della Jugoslavia alla politica atlantica. dopo di essa, infatti, la situazione è cambiata nel modo che tutti sappiamo, per cui quando voi oggi vi riferite alla dichiarazione tripartita compite un atto privo di qualsiasi valore. che valore ha, invece, la proposta di plebiscito fatta dal presidente del Consiglio in Campidoglio? noi riconosciamo che la, proposta ha, in sé, un contenuto democratico. la richiesta di un plebiscito per risolvere un problema nazionale non può essere respinta. trattandosi di uno strumento che in sé e democratico, è evidente che una adesione di principio a questa proposta siamo disposti a darla e la daremo, se ci verrà richiesta in modo adeguato. si badi, però, che non sempre è opportuno chiedere un plebiscito per risolvere una questione nazionale, perché a volte la richiesta può portare a conseguenze contrarie a quelle che si vorrebbero raggiungere. perciò i migliori teorici della questione nazionale hanno detto che bisogna sempre tener conto della situazione generale e degli scopi generali del movimento, prima di seguire questa via. su questo punto io dissento dall' onorevole Nenni, che ritiene la proposta del plebiscito sia capace di sbloccare la situazione. noi temiamo che essa non solo non sblocchi la situazione, ma ci porti o ad una via senza uscita o a qualcosa di peggio della situazione attuale. un plebiscito come consultazione democratica, infatti, non è attuabile fin che dura l' attuale occupazione militare anglo-americana da una parte e l' amministrazione e l' occupazione militare jugoslava dall' altra. la sorte ci guardi da un plebiscito fatto in queste condizioni. esso potrebbe risultare disastroso, cioè dare un esito quasi totalitario a favore della Jugoslavia nella zona B e un esito incerto e pezzato nella zona A , ove sarebbero senza dubbio dei settori di quasi maggioranza jugoslava. la sorte ci guardi da un risultato simile, perché esso riaprirebbe la questione in un modo sfavorevole al nostro paese, ci farebbe fare un grosso passo indietro e forse ci metterebbe persino, per certi aspetti, dalla parte del torto. che dire poi del pericolo di ripercussioni relative all' Alto Adige ? occorre parlarne, perché abbiamo sentito ieri pronunciare in Aula a questo proposito parole preoccupanti: perché assai preoccupante è il fatto che un accenno alla richiesta del plebiscito anche per l' Alto Adige sia stata fatta nella stampa del partito cattolico austriaco, che ha la maggioranza in quel parlamento; perché infine ci deve preoccupare la notizia che in Alto Adige , da parte del partito che ha raccolto la maggioranza nelle ultime elezioni, venga oggi iniziata una campagna per la richiesta del plebiscito. attenzione, dunque! l' onorevole presidente del Consiglio sarà certamente d' accordo con noi nel ritenere che una questione siffatta non può essere posta per l' Alto Adige senza che ciò ferisca profondamente la nostra coscienza nazionale, facendo balenare ipotesi catastrofiche per il nostro paese. tanto più è necessario dir questo perché dietro la popolazione dell' Alto Adige sta non soltanto la piccola Austria, ma sta la grande e minacciosa Germania. si badi! questa fu la prima pietra di paragone della politica mussoliniana di alleanza con la Germania. fu a proposito di questa questione che gli italiani incominciarono ad aprire gli occhi, a capire che quella era una politica antinazionale che ci avrebbe portati ad una catastrofe. pericolosa, dunque, la proposta di plebiscito e scarsamente attuabile, d' altra parte: perché basta che una delle parti la rifiuti — e una delle parti ha già rifiutato — perché ci troviamo di fronte a una nuova situazione senza vie di uscita. sta bene, si dirà. sono risultate due posizioni di principio opposte, quella di Tito e quella del governo italiano . cercate di mettervi d' accordo! iniziate delle trattative! si ritornerà così alla vecchia posizione inglese ed anche americana, contrastante col trattato di pace oltre che con la dichiarazione tripartita . su quale base si potranno iniziare le trattative? e quali ne potranno essere i risultati? quale posizione intermedia, cioè, si potrà raggiungere? quando si iniziano delle trattative, infatti, è inevitabile che si cerchino e alla fine si accettino delle posizioni intermedie, onorevoli colleghi . una di queste posizioni intermedie è stata prospettata dall' onorevole Saragat, ieri. lascio da parte le considerazioni dell' onorevole Saragat circa il valore attuale del trattato di pace per quanto riguarda la sovranità sul Territorio Libero . credo però, dopo aver consultato il testo, che egli abbia sbagliato, o che abbiano sbagliato i suoi consulenti legali, giacché l' articolo cui egli si riferiva non parla di entrata in vigore dello statuto, ma di entrata in vigore del trattato. ora, il trattato è entrato in vigore con la firma. ma questa è una questione particolare. la proposta dell' onorevole Saragat era che si dovrebbe giungere, almeno attraverso trattative, all' amministrazione italiana della zona A . questo però significherebbe la divisione pura e semplice del territorio. queste è una proposta, del resto, che venne già fatta altre volte e che la Jugoslavia respinge. questa è la spartizione, di fatto, del Territorio Libero di Trieste . ma badate che, se la spartizione, nel passato, quando si istituirono le amministrazioni separate delle due zone, poteva ancora essere discussa con la Jugoslavia, oggi la discussione di questo punto sarebbe inevitabilmente legata a quella di particolari rivendicazioni jugoslave, concessione di una parte dell' amministrazione e così via . questo è il vero pericolo. il pericolo cioè è che prima di tutto la situazione sia bloccata da un semplice rifiuto, e che in seguito, rinviata la questione alle trattative fra le due parti, ci si venga a trovare in una situazione peggiore di quella attuale. se non facessimo ciò che l' onorevole Saragat ora propone, noi continueremmo a fare, in sostanza, ciò la nostra diplomazia sta facendo da alcuni anni, cioè concessioni unilaterali che non concludono la questione, ma la lasciano pendente in condizioni per noi sempre peggiori. è evidente infatti che oggi l' attribuzione dell' amministrazione della zona A all' Italia significa, prima di tutto, la legalizzazione dell' incorporazione già di fatto avvenuta della zona B nella Jugoslavia, e significa inoltre lasciare aperta la possibilità di dibattito attorno a un intervento amministrativo jugoslavo della città di Trieste. questo dimostra il valore della proposta che noi manteniamo, pur riconoscendo che essa pure è difficilmente attuabile, e che consiste nel richiedere puramente e semplicemente l' applicazione del trattato di pace . l' onorevole Saragat ha buon giuoco quando dice che il trattato di pace è una cosa cattiva. qualsiasi italiano è d' accordo nel dire che è una cosa cattiva il trattato di pace ! la responsabilità la portano gli uomini di quei banchi e i loro infausti predecessori: non l' abbiamo noi. vi sono cose cattive nel trattato di pace , ma io mi servo di esso come termine di confronto, perché bisogna vedere se non si giunga, con l' applicazione del trattato, a una situazione più favorevole dell' attuale, sia per le popolazioni italiane sia per quelle croate e slovene della regione. se si applicasse il trattato, infatti, i diritti democratici di tutta la popolazione del Territorio Libero sarebbero molto più ampi di quanto non siano adesso che vige nella zona A un regime militare di occupazione e nella zona B un regime di terrorismo. se si applica il trattato, poi, si esclude qualsiasi spartizione, cioè si fa andare indietro la Jugoslavia. inoltre, non dimenticate che, se è vero che è un principio democratico il plebiscito, è anche un principio democratico il rispetto dei trattati, e soprattutto lo è in una situazione così confusa come quella di oggi, in cui sono necessari dei puliti di riferimento che escludano le modificazioni dovute ai colpi di forza e agli intrighi. quello di cui abbiamo bisogno, io credo, è qualche cosa che ponga un limite, che segni un punto di arresto nel peggioramento della situazione. il trattato ha peggiorato la situazione preesistente; l' occupazione militare e la divisione in due zone hanno peggiorato la situazione prevista nel trattato; ciò che è avvenuto nella zona B ha reso ancora più cattiva la situazione di quelle popolazioni. se si giungerà alla spartizione, si peggiorerà ancora di più, giungendo sino a discutere lo statuto stesso della città di Trieste. è possibile mettere un punto di arresto, invece? tale sarebbe l' applicazione pura e semplice del trattato, la quale però, d' altra parte, non escluderebbe ulteriori sviluppi a noi favorevoli. ma qualora voi vediate una impossibilità di chiedere questo, vi è tuttavia una richiesta meno impegnativa ma altrettanto efficace che ci può fare: quella della costituzione di una amministrazione civile unica e comune per le due zone, su una base democratica. una richiesta simile, anche senza essere il trattato di pace , e però nello spirito del trattato di pace e nello spirito democratico e, qualora fosse accolta, errerebbe condizioni favorevoli anche al plebiscito. che cosa vuol dire, infatti, un' amministrazione civile unica per le due zone? vuol dire unificazione delle due zone, ritorno alle loro case degli esuli e dei profughi dell' una e dell' altra parte, sgombero delle truppe straniere, ristabilimento delle libertà democratiche che oggi non esistono praticamente in nessuna delle due zone, intervento diretto dei triestini nell' amministrazione civile della loro città, eliminazione della discriminazione nazionale; vuol dire, infine, anche una distensione locale in attesa di sviluppi ulteriori più ampi e decisivi. quel che soprattutto io sottolineo, pur riconoscendo tutte le difficoltà di ottenere il sodisfacimento anche di una richiesta parziale, è che occorre qualche cosa che ponga un termine al peggioramento continuo, a nostro favore, della situazione e renda possibile un miglioramento di essa e, soprattutto, lo renda possibile senza che si giunga a una scissione del Territorio Libero , perché allora veramente avremmo un peggioramento dello stesso trattato di pace , ci troveremmo di fronte alla ribellione della coscienza degli abitanti di Trieste stessa e della grande maggioranza degl' italiani. non è facile, lo riconosco, lavorare per risolvere in mesto modo ragionevole la questione, ma il pericolo è che si resti dove si è ora e che, continuando la situazione internazionale a evolversi come è avvenuto in questi ultimi anni, vi sia un continuo peggioramento ai nostri danni. si arriva così al problema di fondo . occorre estendere la visuale; occorre guardare al di là e al di sopra della questione singola, inserire il problema particolare, che è un problema di tensione o distensione della situazione, nel quadro generale dei rapporti internazionali e vedere quale è la strada che, seguita da noi e da altri, possa portare a mutamenti a noi favorevoli. se si continua, insomma, nella politica atlantica e nelle forme esasperate che vennero adottate dai governi italiani prima del 7 giugno, la situazione migliorerà a nostro favore? no, diventerà anzi sempre più grave per noi. occorre, dunque, vedere chiaramente dove ci può portare in generale, e in rapporto alla questione di Trieste, una continuazione della vecchia politica atlantica nelle forme che conosciamo, e dove invece ci potrebbe portare e quali possibilità diverse ci aprirebbe in tutti i campi una correzione di questa politica. continuare una politica atlantica vuol dire, in sostanza, escludere una distensione internazionale, veder continuata la guerra fredda fra i popoli oltre che nell' interno degli Stati, veder continuata e stimolata la guerra anche calda contro i popoli coloniali che rivendicano libertà e indipendenza: assolutamente non si vede quale interesse abbiamo noi ad aderire in qualsiasi modo a una lotta simile. vuol dire vedere accentuata la corsa agli armamenti che noi particolarmente opprime, oltre che tutti gli altri popoli. vuol dire, infine, vedere l' Europa anche più profondamente divisa di quanto oggi non sia. e qui sorge la questione più seria, quella della CED, cioè dell' organizzazione militare atlantica, che si vuol fondare sulla base di una rinascita del militarismo tedesco. ho sentito ripetere ieri da bocca socialdemocratica la tesi atlantica pura, secondo la quale ci vuole l' esercito tedesco per difenderci dal bolscevismo. questa era, ieri, lo ricordiamo tutti, la tesi hitleriana. il bolscevismo come fenomeno sociale, cioè la trasformazione sociale che rivendicano le masse lavoratrici avanzate e i comunisti, viene avanti senza bisogno di alcun esercito straniero, per lo sviluppo delle cose e della coscienza degli uomini, e per l' attività delle loro organizzazioni e dei loro partiti. se si tratta invece di aggressioni, aggressioni non ve ne sono state, aggressioni non vengono minacciate da nessuno. il giorno però in cui un esercito tedesco sia ricostituito in qualsiasi modo, nelle condizioni attuali di divisione della Germania e dati i rapporti politici e sociali che esistono nella Germania occidentale , dove ci troveremmo? credo che tutti debbano riconoscere che ci troveremmo al 1938, al 1939. parlo per coloro che ricordano il tragico periodo fra le due guerre. quale è la situazione che esiste oggi nella Germania occidentale ? ci dicono che ivi l' hitlerismo non esiste più, perché non se ne sentirebbe più parlare come prima. la realtà è che il paese ivi è dominato da quei grandi gruppi industriali e finanziari monopolistici che furono dietro all' hitlerismo, che lo fecero sorgere, lo finanziarono, lo spinsero alla guerra, lo armarono, trassero profitto dalla sua guerra e ora sono di nuovo alla testa dell' organizzazione economica e quindi dell' organizzazione politica di questo Stato. questo è già grave; ma vi è altro. nella Germania come oggi si presenta nella sua parte occidentale, una liberazione dall' hitlerismo non vi è stata. vedete quello che è accaduto in Italia. credete che quello che è avvenuto in Italia valga poco? in Italia ci siamo liberati dal fascismo attraverso un rivolgimento profondo della coscienza nazionale al quale noi abbiamo dato un grande, forse il più grande dei contributi, ma al quale un contributo avete dato tutti voi, onorevoli colleghi , che sedete in quasi tutti i settori di questa Camera. oggi in Italia non può avanzare di nuovo qualcosa che ricordi il fascismo senza che immediatamente la coscienza nazionale si ribelli, sorga spontanea nella maggioranza del popolo la resistenza, la condanna recisa, la rivolta. questo perché in Italia ci siamo liberati dal fascismo per opera nostra e della parte migliore del popolo. questo nella Germania occidentale non è avvenuto. di Hitler nella Germania di Bonn non si parla; ma non è che non se ne parli perché colui che parli di Hitler possa essere messo al bando: non se ne parla perché lo conservano nascosto nell' animo. né dobbiamo credere che la cosa più grave sia la ricomparsa dei gerarchi e carnefici hitleriani alla tesi dell' apparato statale diretto dal cancelliere Adenauer. la cosa grave è questa mancata liberazione dall' hitlerismo, dall' ideologia della preminenza della Germania su tutta l' Europa, della necessità per la Germania di conquistarsi lo spazio, di comandare a tutti gli altri, di imporre il proprio ordine a tutti i popoli d' Europa e del mondo. di tutto questo, i tedeschi che comandano nella Germania occidentale non si sono liberati e non accennano a liberarsi. anzi, vanno avanti per la strada che fu quella di Hitler. è per questo che la proposta di ricostituzione di un esercito tedesco diretto da questi uomini è grave e deve essere respinta da tutti i popoli, i quali ricordano il passato e sanno quale pericolo minacci la loro indipendenza, la loro pacifica esistenza e la loro vita stessa se il militarismo tedesco verrà fatto risorgere. non è nel nostro interesse muoverci in questa direzione. la questione della CED, onorevole presidente del Consiglio , non è dunque legata da noi soltanto al problema di Trieste, ma a tutti i fondamentali problemi della nostra vita nazionale, i quali chiedono che non vengano in nessun modo aperte le porte alla rinascita del militarismo, dell' espansionismo e della prepotenza germanica, in qualsiasi modo sia mascherata, da chiunque venga appoggiata. è nostro interesse che la Germania venga unificata per via democratica, ma occorrono un' azione e un controllo collettivi delle grandi potenze per evitare che questo paese possa costituire nuovamente un pericolo per tutti i paesi europei , e prima di tutto per noi. ma perché, mi si potrà dire a questo punto, voi concentrate il fuoco contro la politica atlantica, mentre d' altra parte voi stessi asserite che questa politica è in crisi? come conciliare le due cose? è evidente: la politica atlantica attraversa una profonda crisi, dovuta, da un lato, al peso insopportabile che ha gettato sui popoli d' Europa e di cui questi popoli si vogliono liberare, e dall' altro lato dovuta a contrasti profondi d' interessi e posizioni nazionali e anche di posizioni imperialistiche. però, per il momento, possiamo noi dire che siano modificate le linee di azione dell' imperialismo americano, che è l' animatore della politica atlantica? queste linee direttive non sono modificate; se mai si sono modificate, ma in peggio, le linee di attuazione. alla crisi evidentissima che pone in discussione e in forse la politica atlantica in Inghilterra, in Francia, in Italia, i tre paesi atlantici per eccellenza, l' imperialismo americano sinora ha risposto accentuando il suo intervento aggressivo nelle cose interne degli altri Stati. è evidente che, a meno che non vi siano dall' altra parte sempre degli uomini disposti a molto tollerare per il bene della pace, come è successo finora, questa politica conduce direttamente alla guerra. ma vi è di più. l' imperialismo americano è passato agli accordi diretti. vi è l' accordo diretto con Franco; vi è l' accordo diretto con i generali tedeschi; vi è l' accordo diretto con la Jugoslavia. in una continuazione di questa politica è certo che noi non possiamo che vedere peggiorata sempre più la nostra posizione. Tito varrà sempre di più, per gli imperialisti e aggressori americani; noi avremmo sempre di meno. questa è una logica della politica atlantica. in questo sono d' accordo pienamente con l' onorevole Nenni. ma guardiamoci da un' altra logica, anche più pericolosa, la quale tendesse a superare, diciamo, l' attuale disaccordo esistente tra noi e la Jugoslavia attraverso avventure di cui sappiamo come potrebbero cominciare, ma non sappiamo come potrebbero finire. onorevole Pella, che significato dobbiamo attribuire a quelle espressioni del comunicato e dei commenti che sono stati fatti dopo la visita qui del tiranno attuale del popolo greco e in cui si accenna a determinate rivendicazioni contro l' Albania? che cosa, vogliono dire quelle espressioni? si afferma o si lascia capire che la Grecia ha delle rivendicazioni contro l' Albania, e queste rivendicazioni toccane il territorio e la frontiera, e cioè l' integrità dello Stato albanese. queste rivendicazioni, si dice dovranno essere trattate per via diplomatica. ma quale è mai stata la via diplomatica che consenta di trattare rivendicazioni territoriali di questa natura? che cosa significa ciò? cosa vi è sotto? noi abbiamo il diritto di conoscerlo da lei, signor presidente del Consiglio , e noi abbiamo il diritto e il dovere di accendere la vigilanza del popolo italiano sopra questo problema. ella, signor presidente del Consiglio , ha il dovere di dire a questa Camera che il governo italiano , fedele agli interessi della nazione italiana, è per la libertà, per l' indipendenza e per l' integrità territoriale dell' Albania. ella ha il dovere di dire questo e noi abbiamo il dovere e il diritto di dire agli italiani di stare attenti che nell' ombra non si trami qualche oscura avventura, per cui per qualche concessione fatta al nord si darebbe mano libera a Tito per una aggressione nella direzione meridionale, d' accordo coi tirannelli della Grecia. stiamo attenti, la guerra non è divisibile. lo sappiamo da lungo tempo. una avventura militare che scoppiasse in quel punto, tendendo a modificare, e a nostro danno sempre, tutta l' attuale situazione balcanica, potrebbe avere per noi le conseguenze più gravi. abbiamo il dovere di denunciare queste cose al popolo italiano , di metterlo in guardia. lo sviluppo di una politica atlantica può portare a questo. non dico che ci porti di necessità, anche perché ci siamo noi e soprattutto vi è il popolo italiano , capace di far sentire la sua voce e imporre la propria volontà di pace, però, state attenti. ma se la continuazione della politica atlantica è, come credo di aver dimostrato, piena di pericoli ed esiziale, esiste dunque un' altra strada? sì, esiste. e lo ripeto: non si tratta di andarci ricantando la sciocchezza che noi vorremmo l' adesione al « blocco sovietico » , o una neutralità suicida, che ponesse l' Italia fuori dell' arena delle grandi potenze. tutte storie a cui — lo dico ancora una volta — l' opinione pubblica intelligente non presta più fede. noi dobbiamo prendere atto che esiste una tendenza alla soluzione pacifica di tutte le questioni internazionali oggi esistenti e quindi alla distensione, e dobbiamo agire, come Stato e come governo italiano , oltre che come popolo, per accentuare questa tendenza. agevolare la marcia in questa direzione. qui sta la nostra salvezza. occorre abbattere le barriere artificiali elevate tra popoli e popoli, che impediscono gli scambi culturali e commerciali, la comprensione reciproca. occorre riprendere contatti economici, politici e culturali vasti con tutti i paesi del mondo, con l' Oriente, con l' Estremo Oriente da cui ora siamo tagliati fuori. perché proprio noi dovremmo essere esclusi dai contatti commerciali e politici con l' Estremo Oriente ? siamo un grande paese che sta in mezzo ai mari, che sempre ha commerciato con tutto il mondo, che sempre si è interessato di tutte le questioni che si ponevano anche in Estremo Oriente . perché dobbiamo essere i vassalli, i pupilli sotto tutela della politica aggressiva degli americani contro il popolo cinese , contro altri popoli asiatici, contro i popoli africani, che vogliono la loro indipendenza e cercano di conquistarla? perché l' Italia dovrebbe accodarsi a questa politica esiziale, contraria a tutte le nostre tradizioni, a tutti i nostri interessi? occorre quindi — ci chiederanno i colleghi di parte repubblicana o di parte liberale — rinunciare all' europeismo? no, noi vi chiediamo soltanto di fare una vera politica europeistica. vedete quanto io sono conservatore! sono un uomo che crede ancora perfino alle cose che mi hanno insegnato alla scuola elementare e cioè che l' Europa va dallo stretto di Gibilterra fino agli Urali! in questo spazio vivono oggi popoli che hanno ordinamenti diversi. fare una politica europeistica, deve voler dire adoprarsi per superare le barriere fra questi popoli, instaurare un regime di tolleranza, di comprensione, di emulazione se volete, di commercio, di scambi reciproci, di confronto fra i risultati ottenuti dall' una e dall' altra parte, di coesistenza pacifica , insomma, e di rinuncia a questa guerra fredda che ci rovina tutti, che non ci può portare altro che a una catastrofe. nel quadro di una politica estera emendata nel senso che noi indichiamo, possiamo noi ottenere qualche cosa di più di quanto non si sia ottenuto sinora? senza dubbio. attraverso il rafforzamento e il trionfo della corrente di distensione internazionale che dobbiamo favorire, a cui possiamo dare un efficace contributo, perché siamo un grande paese che conta qualche cosa, possiamo ottenere prima di tutto l' ingresso dell' Italia nell' Organizzazione delle Nazioni Unite , un miglioramento dei nostri rapporti internazionali economici, un accrescimento del nostro prestigio ed anche — ed è questo che ci interessa oggi — una più favorevole soluzione della questione di Trieste. per lo meno, otterremo che si creino le condizioni in cui possano essere rivendicati e ottenuti mutamenti che non peggiorino la situazione nostra, ma la migliorino, oppure aprano la via a un miglioramento di essa. riteniamo noi che sia possibile ottenere dal Governo attuale mutamenti in questa direzione? è difficile rispondere, perché atti in questa direzione non ne abbiamo visti, sinora, e non ne vediamo. nemmeno quell' atto significativo che sarebbe il ristabilimento di rapporti commerciali e politici normali con la grande Repubblica popolare cinese , atto che il governo italiano potrebbe fare a buon mercato e che lo allineerebbe soltanto, per esempio, con l' Inghilterra, nemmeno questo atto il nostro Governo ha avuto ancora il coraggio di compiere. c' è un veto! la nostra sovranità, la nostra indipendenza, la nostra libertà nazionale non è intiera. l' onorevole Pella, però, ha detto al popolo italiano che Trieste è un banco di prova . ha aggiunto che è il banco di prova delle amicizie. noi diciamo che Trieste è, sì, un banco di prova , e non delle amicizie, ma delle alleanze e di tutta la politica estera che è stata fatta finora; aggiungiamo però che banco di prova di questa politica deve diventare tutta la situazione internazionale dell' Italia, in tutti i suoi aspetti. non vi è aspetto di questa situazione che, attentamente considerato, non ci dica che è necessario cambiare qualcosa se vogliamo che la situazione del nostro paese finalmente migliori. non rivendichiamo nessuna politica estera filosovietica, o filocomunista, o in qualsiasi modo ideologicamente orientata verso di noi. rivendichiamo una cosa sola: una politica estera italiana, la quale possa essere approvata da tutti quei cittadini, i quali hanno a cuore, al di sopra di tutto, l' interesse, il prestigio, l' indipendenza del loro paese, la causa della pace e la causa dell' umanità.