Pietro NENNI - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 241 - seduta del 21-12-1954
Ratifica ed esecuzione degli Atti internazionali firmati a Roma il 2 marzo 1957
1954 - Governo Zoli - Legislatura n. 2 - Seduta n. 605
  • Attività legislativa

signor presidente e onorevoli colleghi , il pronunziato disinteresse con cui da parte della Camera si discute la ratifica dei protocolli di Parigi potrebbe essere considerato un triste segno di insensibilità, se non fosse invece l' indice del turbamento e della inquietudine generali. credo che la più amara delle considerazioni che dobbiamo fare è che l' anno poteva e doveva finire meglio. il 1954 era nato su un segno di distensione assai chiaro, con la ripresa dei negoziati diretti tra gli alleati dell' ultima guerra, negoziati che erano stati interrotti sin dal 1947. e la conferenza di Berlino, che si riunì dal 25 gennaio al 18 febbraio, se non risolse i problemi che aveva all' ordine del giorno e che erano quelli dell' unificazione tedesca, del trattato di pace con l' Austria e della sicurezza europea, pure creò le premesse del dialogo e sottolineò come non ci sia nessun modo di portare avanti la soluzione dei problemi internazionali all' infuori dei negoziati diretti. il giudizio ultrapessimistico, che nel corso della discussione è stato dato da taluni colleghi sulla conferenza di Berlino, non è stato allora, e non è oggi, condiviso dalla parte socialista. la conferenza di Berlino, per il fatto solo della sua convocazione, per lo spirito con cui affrontò i maggiori problemi del nostro tempo ha segnato una tappa importante verso la distensione. e, se è esatto che non furono risolti alla conferenza di Berlino neppure i problemi asiatici, non va tuttavia dimenticato che essi furono rinviati alla conferenza di Ginevra, convocata su basi più larghe e in modo che per la prima volta vi potesse partecipare, in funzione di grande potenza asiatica e mondiale, la Cina di dopo la rivoluzione, e che la conferenza di Ginevra: dopo traversie assai movimentate e in determinati momenti addirittura drammatiche, ebbe una conclusione pienamente favorevole. l' accordo sull' Indocina non fu facile. lo precedette la più grave crisi che si sia determinata tra gli occidentali dal 1947 ad oggi. tale crisi toccò il suo punto culminante dopo la caduta della fortezza di Dien Bien Phu , allorché parve non si potesse più impedire l' estensione del conflitto a tutta l' Asia e probabilmente a tutto il mondo con l' intervento dell' America in Indocina. ad evitare la catastrofe furono allora — e ne va dato loro pubblico riconoscimento — il governo britannico , il quale recisamente si oppose all' estensione del conflitto, e l' assemblea nazionale francese, che, con la piccola rivoluzione del 17 luglio, portò alla Presidenza del Consiglio il signor Mendès-France. la successiva conferenza a Washington fra il presidente Eisenhower e il Primo Ministro Churchill ebbe come risultato l' abbandono da parte dell' America del progettato intervento in Indocina. dopo questa decisione, non c' erano più seri ostacoli all' accordo e in effetti il 21 luglio, partì da Ginevra per l' Indocina l' ordine di cessare il fuoco. fu, onorevoli colleghi , un grande successo della pace, fu anche un grande successo dei popoli asiatici contro l' imperialismo, fu un evento che commosse ed entusiasmò l' opinione pubblica di tutto il mondo. un' altra grande vittoria fu conseguita dai fautori della distensione quando, nel successivo mese di agosto, l' assemblea nazionale francese seppellì il trattato della Comunità Europea di difesa. voto memorabile, che collocò la Francia all' avanguardia di un nuovo corso della politica europea e mondiale dette alla Francia un prestigio che essa non aveva più da alcune decine di anni; voto i cui risultati si risentono ancora dal momento che taluni almeno degli aspetti i più inquietanti della CED non sono più in discussione. tuttavia, data dal voto del parlamento francese contro la CED la involuzione che ha condotto la diplomazia occidentale ai protocolli di Parigi. la classe dirigente inglese e quella francese hanno avuto paura di avere avuto coraggio e di avere avuto ragione. gli accordi di Parigi sono il risultato del cattivo compromesso intervenuto fra l' America da una parte, l' Inghilterra e la Francia dall' altra parte. il timore di vedere l' America rinchiudersi su posizioni isolazioniste fece retrocedere i governi di Londra e di Parigi. il compromesso divenne possibile allorché il Primo Ministro francese Mendès-France accettò il principio del riarmo tedesco nell' ambito dell' Unione Europea occidentale. considerati da questo punto di vista , che mi pare non sia stato sufficientemente approfondito, i protocolli di Parigi hanno il carattere non di un contributo alla distensione generale fra i due blocchi , ma quello di un cattivo compromesso tra gli occidentali. fa parte del compromesso — e ne costituisce uno dei rari elementi positivi — anche l' accettazione da parte americana dell' idea e del principio della coesistenza con Mosca. si tratta di un principio ormai ufficialmente ammesso dal presidente Eisenhower e dal segretario di Stato Foster Dulles . ciò ha dato esca ad una polemica drammatica fra il presidente americano ed i senatori McCarthy e Knowland, e per la verità l' opposizione tra questi uomini e i gruppi che essi rappresentano non è tattica, ma involge una diversa valutazione dei problemi di fondo della politica americana. senonché, se si cerca di approfondire il senso che gli americani danno alla politica della coesistenza, ci si accorge che le parole non hanno lo stesso significato per loro e per noi. dirò alla maniera dell' onorevole Saragat che assistiamo alla contaminazione di principi fondamentali. è stato contaminato il principio della sovranità e dell' unità tedesca, ad esso sovrapponendo quello del riarmo e, ciò che è peggio, del riarmo di una Germania divisa. è stato contaminato lo stesso principio della coesistenza pacifica fra i popoli, ad esso sostituendo quello della coesistenza armata tra gli Stati sulla base dello statu quo . in tali condizioni, il significato storico e generale degli accordi di Parigi è che essi sono volti al raggiungimento di una condizione di equilibrio fra Oriente ed Occidente sulle attuali posizioni. in altre parole e nella migliore delle interpretazioni, sulla base degli accordi che la Camera è chiamata a ratificare, si dovrebbe poter raggiungere una condizione e un equilibrio di pace armata. ora, onorevoli colleghi , il vecchio principio britannico dell' equilibrio delle forze, che fu efficiente nell' Ottocento, quando si tratto di impedire che si generalizzassero le ultime guerre nazionali (quelle del nostro Risorgimento e quelle che in Germania portarono alla costituzione dell' impero), o quando si trattò di isolare le guerre coloniali , oggi rappresenta un pericolo. sull' equilibrio delle forze si può stabilire un modus vivendi provvisorio, non l' organizzazione della pace. la pace si organizza soltanto con i mezzi della pace. la maggioranza cattolica che si appresta a votare la ratifica e che ha sconfessato, condannato cattolici come gli onorevoli Melloni e Bartesaghi, ai quali non sfugge il contrasto fra pace armata e pace cristiana, tenga presenti le parole di Pio XI nell' allocuzione Ubi arcano Dei : « la condizione di pace armata è quasi un assetto di guerra, il quale dissangua le finanze dei popoli, ne sciupa il fiore della gioventù, ne avvelena e intorbida le migliori fonti di vita fisica, intellettuale, religiosa e morale » . in verità, la configurazione della coesistenza, che ci viene dall' America, se può rappresentare, come effettivamente rappresenta, un progresso sulla tesi, fino ad ora prevalente a Washington, di « ricacciare indietro » il comunismo, di liberare i popoli che esso opprimerebbe, sta però molto al di qua della nostra concezione della coesistenza pacifica , alla quale è indispensabile non soltanto la ripresa di contatto ma la collaborazione organica dell' ovest con l' est. né credo che basti il fatto che l' Unione Europea occidentale rappresenta un progresso sulla Comunità Europea di difesa, o per lo meno un meno peggio, perché venga a cadere la nostra opposizione che è stata e rimane una opposizione di principio e una opposizione strumentale. opposizione di principio, in quanto fin dal 1946 noi socialisti assumemmo come criterio e direttiva di politica estera la libertà dagli impegni militari, altrimenti detta la neutralità. tutti gli eventi dal 1946 fino ad oggi ci hanno confermato nel pensiero che se l' Italia si fosse tenuta estranea ai blocchi militari avrebbe meglio e più efficacemente tutelati i propri interessi nazionali e gli interessi generali della pace, non isolandosi — come si dice o si vuol far credere — ma più attivamente che mai assumendo, nei limiti delle proprie possibilità, la propria funzione naturale, che è di suscitare ogni possibile occasione di dialogo e di incontro tra l' est e l' ovest. opposizione strumentale che si è espressa e si esprime con una critica di fondo agli strumenti diplomatici attraverso cui negli ultimi anni si è pervenuti, da un lato ad un autentico rovesciamento delle alleanze, e dall' altro alla divisione attuale del mondo e dell' Europa. perciò combattemmo aspramente la CED. e non fu battaglia inutile se, in definitiva, si può dire dell' Unione Europea occidentale che rappresenta un progresso sulla CED. quali sono le differenze? sono sparite dagli accordi di Parigi le strutture sovranazionali contro le quali polemizzammo con tanto accanimento, non per rinchiuderci — come taluno sembra credere — nell' orticello nazionale, ma perché esse implicavano la subordinazione e l' asservimento politico economico e militare delle piccole potenze alle grandi e dell' Europa all' America. l' onorevole La Malfa ci ha chiesto se riteniamo possibile la soluzione dei problemi economico-sociali del paese entro i limiti dello spazio economico nazionale. fatto a noi socialisti, il discorso può sembrare persino bizzarro. con ogni energia noi tendiamo all' allargamento dei mercati ed alla creazione di un mercato unico , europeo e mondiale. tuttavia tra una tecnocrazia cosmopolita e l' internazionalismo socialista, vi è una differenza assai profonda. né il pool del carbone e dell' acciaio (la cosiddetta CECA), né l' integrazione economica europea quale era prevista nella CED, rappresentano, neppure approssimativamente, ciò che noi vogliamo. si tratta di strutture le quali realizzano di fatto il consolidamento, e qualche volta il peggioramento, delle differenze di livello tra le varie economie nazionali e comportano il controllo dei paesi industrialmente più progrediti su quelli meno progrediti. quanto ci viene chiesto non è il sacrificio della sovranità nazionale a profitto del principio della sovranazionalità, ma la stabile sottomissione dei nostri gruppi industriali ai grandi monopoli mondiali e americani. è vero che la crisi economica delle singole nazioni non si supera e non si risolve rinchiudendosi nel mercato nazionale , ma è anche vero che la crisi permane e si aggrava con strutture sovranazionali che siano subordinate a esigenze militari o dominate da monopoli mondiali e americani. finché le strutture economiche — nazionali o sovranazionali che siano — rimangono al servizio dell' economia capitalistica, la quale bagna nell' atmosfera della tensione internazionale e della preparazione alla guerra, la nostra posizione non può essere che critica e di opposizione. tornando al rapporto fra la CED e l' Ueo vorrei dire che approvo l' affermazione del relatore di maggioranza laddove dice che i trattati si pongono su due piani diversi. l' Ueo è da respingere; epperò, se i protocolli di Parigi verranno ratificati, occorrerà vigilare perché ciò che in essi è meno pericoloso della CED venga rispettato e applicato. sarà necessario, onorevole ministro degli Esteri , non lasciare alienare il principio dell' unanimità del voto stabilita — purtroppo non senza eccezioni — dall' articolo 8 del trattato di Bruxelles. ciò perché l' unanimità del voto costituisce una difesa dei piccoli nei riguardi dei grandi e dei minori verso i maggiori. dovrà il nostro Parlamento vegliare perché gli accordi rimangano circoscritti entro i limiti della cooperazione e non dell' integrazione degli eserciti nazionali, cooperazione e integrazione non essendo evidentemente la medesima cosa. soprattutto, dovrà il Parlamento essere attento acché l' automatismo dell' aiuto che i contraenti in base al trattato di Bruxelles debbono a quello di essi che fosse oggetto di una aggressione, escluda, come esplicitamente ammette il relatore di maggioranza onorevole Gonella, l' automatismo della dichiarazione di guerra che deve rimanere esclusiva prerogativa del Parlamento. su questo punto chiedo al ministro Martino di volerci dare il suo esplicito giudizio, nel senso che la dichiarazione di guerra rimane vincolata alla procedura dell' articolo 78 della Costituzione. senonché, onorevoli colleghi , il punto centrale e cruciale del dibattito non è questo. se gli accordi di Parigi avessero comportato soltanto l' adesione italiana al riesumato patto di Bruxelles e alla creazione dell' Ueo, si sarebbe in definitiva potuto dire che gli impegni che col patto di Bruxelles l' Italia assume non sono sostanzialmente diversi da quelli che essa ha già sottoscritto col patto atlantico . la svolta radicale che i trattati di Parigi fanno fare alla politica europea e mondiale è costituita dal riarmo della Germania occidentale e dal suo inserimento nel blocco militare occidentale. si tratta di una svolta pericolosa che modifica la natura stessa dei precedenti accordi militari, non soltanto perché la Germania avanza delle rivendicazioni territoriali nei confronti della Polonia e della Unione Sovietica , ma perché non può sfuggire a nessuno come il riarmo, in un paese la cui unità è spezzata, non può che creare una situazione di cose in cui l' unificazione si farà ineluttabilmente nel segno della ricostituita forza militare. avremo, cioè, una ricaduta della Germania nella politica bismarchiana. le limitazioni e il controllo previsti dai protocolli per gli armamenti e in particolare per la fabbricazione di determinati tipi di armi (e fra queste le armi atomiche ) non tolgono granché al riarmo tedesco. d' altro canto, la tanto vantata agenzia degli armamenti proposta dai francesi, e che è stata espurgata dagli americani di quanto in essa poteva rendere effettivo il controllo, è ormai e soltanto una organizzazione simbolica della diffidenza della Francia nei confronti della Germania. diffidenza, onorevoli colleghi , che in questi giorni tiene la Francia in ansiosa attesa e che la fa ritrovare spaccata in due come nell' agosto scorso, al momento del voto sulla CED, cosicché fino all' ultimo minuto rimarrà incerto ogni pronostico sulla ratifica dei protocolli che consacrano il riarmo tedesco e che sollevano a Parigi preoccupazioni analoghe a quelle dei vicini orientali della Germania. e tuttavia, onorevoli colleghi , le ripercussioni politiche e diplomatiche del riarmo tedesco si preannunciano con le assai più serie e gravi delle ripercussioni di ordine militare. nessun partito si è reso interprete di questa inquietudine quanto la socialdemocrazia tedesca. noi socialisti italiani abbiamo raccolto e raccogliamo l' appello rivolto dal Spd alla Internazionale socialdemocratica e deploriamo che i socialdemocratici di casa nostra si siano schierati con il cancelliere Adenauer e col segretario di Stato Foster Dulles contro il loro compagno Ollenhauer e contro la Confederazione generale del lavoro tedesca. epperò non è sfuggito a nessuno il senso di disperazione insito nelle più recenti manifestazioni dei socialdemocratici tedeschi e dei democratici tedeschi; fra i quali sono i due ex cancellieri tedeschi Wirth e Bruning. ciò che essi temono — e lo hanno detto in termini espliciti — è la pietrificazione della divisione della Germania, dell' Europa, del mondo. ciò che paventano e che divenga impossibile per sempre o per un lungo periodo di tempo riannodare il filo spezzato dei negoziati diretti tra i quattro. « la decisione — ha detto Ollenhauer al Bundestag — oggi è ancora nelle nostre mani; domani può essere troppo tardi » . ora, onorevoli colleghi , non vedo nessuna ragione valida al rifiuto dei governi occidentali e dell' Internazionale socialdemocratica di accettare le due proposte dei socialdemocratici tedeschi: la prima intesa a dare la precedenza alla riunificazione germanica sul riarmo; la seconda volta a far precedere la ratifica dei protocolli di Parigi da una nuova conferenza dei quattro in base alle proposte formulate di recente dall' Unione Sovietica sulla riunificazione della Germania. in verità, avviene qualcosa che difficilmente si presta ad una spiegazione razionale, e tutti siamo avviluppati in una contradizione colossale. è del tutto evidente che il mondo è entrato in una fase di distensione fra l' ovest e l' est. la minaccia di una terza guerra mondiale , se è tuttora virtuale, non è più attuale. tutti parlano di coesistenza, di sicurezza europea, di graduale disarmo. ai fantasmi dell' aggressione sovietica non crede più nessuno, neppure — credo — l' onorevole Giuseppe Bettiol. l' ultima volta che io parlai con il compianto onorevole De Gasperi di politica estera egli mi disse queste testuali parole: « forse ci siamo sbagliati, ma devi credermi se ti dico che siamo vissuti alcuni anni nel terrore dell' aggressione sovietica » . se soggettivamente questo poté essere il sentimento dell' onorevole De Gasperi e di molti altri, oggettivamente nulla lo giustificava. in ogni modo nessuno crede oggi, neanche soggettivamente, ai fantasmi dell' aggressione che dovrebbe calare dall' est. e allora come si spiega la specie di fatalismo con cui la maggioranza si accinge a ratificare il trattato dell' Ueo nel momento stesso in cui dichiara possibile ed augurabile una svolta distensiva fra l' ovest e l' est? perché, onorevoli colleghi , non fare prima quello che si dice di voler fare dopo, cioè la conferenza dei quattro e la conferenza per la sicurezza europea? cosa si cela dietro questa contradizione? per taluni la menzogna è patente. gli altri, i più, sono vittima di un errore di valutazione sulle conseguenze del riarmo tedesco. « sarò ingenuo — ama dire il ministro Martino — ma io credo nei negoziati paralleli » . onorevole Martino, l' ingenuità non sarebbe per lei una attenuante, ma una aggravante. intanto, onorevole ministro, i negoziati paralleli sono diventati dei negoziati successivi: prima la ratifica, poi la conferenza a quattro. ma quello che a me sembra assurdo ed impossibile è che si sottovalutino le reazioni che l' inserimento d' una Germania armata nel blocco atlantico ha sollevato e solleva in tutto l' est europeo, a cominciare dalla Repubblica democratica tedesca . non ha senso comune credere che le proteste e le reazioni di Mosca cadranno di fronte al fatto compiuto. non ha senso comune contare sugli effetti psicologici d' una situazione di forza, anche se si accetta la massima di James Bryce: « la politica ha la sua sorgente nella psicologia » . da 37 anni in qua, da Brest Litowsk a Yalta a Ginevra, lo spirito di avventura è stato sempre assente dalla politica estera sovietica, ma essa non ha soggiaciuto mai ai fatti compiuti. ed ecco che nella confusione generale degli spiriti, di fronte alla perplessità che solleva la fretta di ratificare, si fa innanzi la sottile ed arbitraria distinzione tra ratifica ed esecuzione dei protocolli di Parigi. ratifichiamo — si dice — dopo di che saranno necessari almeno un paio di anni per il riarmo tedesco, e nel frattempo si potrà trattare e forse concludere un accordo generale di sicurezza e di pace. e ognuno ha la sua pietra da portare all' edificio di questo castello, che potrebbe essere soltanto una generosa illusione: il presidente americano Eisenhower e il Primo Ministro francese Mendès-France; i britannici ed i belgi; anche la nostra maggioranza. il relatore onorevole Gonella per la prima volta introduce in un documento della maggioranza l' invito al Governo di promuovere una conferenza europea per la sicurezza. questo pensiero è ripreso e consacrato in un ordine del giorno dai colleghi Montini ed altri. noi prendiamo in parola il relatore Gonella e i presentatori dell' ordine del giorno democristiano e prenderemo in parola il ministro degli Esteri se responsabilmente si impegnerà in questo senso. tuttavia, onorevoli colleghi , non inganniamoci a vicenda , non giuochiamo sulle parole, non creiamo delle barriere di carta mentre si tratta di agire per evitare all' Europa nuove crisi e nuove difficoltà. noi siamo risoluti a utilizzare anche il periodo tra l' eventuale ratifica degli accordi di Parigi e la loro esecuzione per tentare di riannodare il filo spezzato dei negoziati diretti tra i due blocchi . ma la Camera non può ignorare la realtà delle cose, che è la seguente: non ci sarà unificazione tedesca se non sulla base della neutralizzazione della Germania; il trattato di pace con l' Austria difficilmente potrà entrare nella sua fase esecutiva se non sarà prima risolta la questione tedesca; la conferenza per la sicurezza europea non avrà dinanzi a sé la via libera se prima non sarà chiuso il capitolo delle controversie sulla unificazione della Germania; gli stessi progressi che la questione del disarmo generale ha fatto all' ultima sessione dell' Onu possono venire seriamente compromessi e potremmo avere dopo l' accordo all' Onu non l' inizio graduale del disarmo ma uno sbalzo nella corsa al riarmo. questa, onorevoli colleghi , è la nostra preoccupazione alla fine di un anno che aveva offerto all' Europa e al mondo l' occasione, non raccolta, di porre definitivamente fine alla guerra fredda . da ciò, al di là delle ragioni di principio, il nostro voto contrario ai protocolli di Parigi. dopo di che, anche se la ratifica venisse votata, noi non ci abbandoneremo alla illusoria speranza che il mondo possa adagiarsi in una coesistenza priva di fiducia e irta di armi, né ci abbandoneremo alla disperazione davanti al rischio certo di nuove complicazioni che potrebbero ricondurre l' Europa ai momenti peggiori della guerra fredda . della pace come della libertà si è giustamente detto che vanno riconquistate ogni giorno. si può essere sicuri che, per quanto ci concerne e ci compete, persevereremo nello sforzo inteso a trovare ai problemi europei una soluzione che non sia di forza, ma di diritto e di giustizia. ma avevamo il dovere di dire al Parlamento e al paese che la situazione in Europa apparirà di molto aggravata dopo la ratifica, se ratifica ci sarà. il terreno stesso dei negoziati si restringerà. da un lato è difficile vedere quali concessioni possa fare l' Unione Sovietica che non abbia già fatto, quando, accedendo alla proposta delle elezioni libere in tutta la Germania, ha implicitamente rinunziato alla propria posizione di forza al di là dell' Elba. dall' altro lato non si vede come gli alleati occidentali possano concedere all' indomani della ratifica, quanto hanno ricusato prima, e cioè la neutralizzazione della Germania unificata, che a noi appare come la condizione della stabilità dell' Europa nella distensione e nella pace. se il ministro Martino ha in proposito una informazione, o una idea, ce lo dica; e se non l' ha, il suo ottimismo rischia di apparire come una manifestazione di ingenuità o di inesperienza. il timore nostro, onorevoli colleghi , è che l' Europa paghi con nuove difficoltà, e in ogni caso con una pausa nella distensione che era ormai in atto, la mancanza di coraggio dell' Inghilterra e della Francia di fronte agli americani che hanno fatto del riarmo tedesco una cattiva questione di prestigio. tuttavia la previsione di nuove difficoltà non ci fa disperare del domani. i popoli avranno il coraggio che è mancato ai governi; essi ricondurranno il problema europeo entro i suoi limiti, che sono, come agli albori della civiltà ellenica, l' esigenza e la necessità della collaborazione dell' Occidente con l' Oriente. i protocolli di Parigi sono un ostacolo sulla via di questa collaborazione. farebbe grande onore al Parlamento italiano respingerli, o almeno subordinarli ad un serio e organico tentativo di risolvere i problemi tedeschi senza compromettere la pace in Europa. sarà titolo di onore per noi averli avversati e, ove venissero ratificati, disinnescarli per rendere inoffensivo il potenziale esplosivo che contengono e svuotarli del loro contenuto di attrito e di divisione europea e mondiale. il nostro voto contrario alla ratifica dei protocolli di Parigi avrà così, onorevoli colleghi , il significato di un atto di fiducia nella volontà di distensione e di pace del nostro popolo e di tutti i popoli d' Europa e del mondo.