Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
II Legislatura - Assemblea n. 232 - seduta del 13-12-1954
Impedimento a comparire in udienza
1954 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 277
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevole colleghi, sono stato fra i primi, se non addirittura il primo, a manifestare vive preoccupazioni e perplessità sul significato e sulla portata degli accordi di Parigi, naturalmente ponendomi dal punto di vista della politica che il gruppo repubblicano ha costantemente difeso in questa Camera. sono anche stato il primo a manifestare un certo rammarico ed un certo rincrescimento per il fatto che nel corso di queste difficili trattative l' Italia non abbia avuto l' opportunità, direi la possibilità, di far valere alcuni dei principi che avevano sorretto la sua precedente politica estera . e quindi sento il dovere, onorevoli colleghi , di essere il primo ad esporre in questa Camera le argomentazioni e le ragioni che mi hanno portato a questo giudizio. naturalmente non dimentico le condizioni nelle quali l' onorevole ministro degli Esteri , al quale mi lega una affettuosa amicizia, ha assunto il dicastero degli Esteri; cioè sono ben presenti a me le circostanze in cui il ministro degli Esteri ha dovuto operare, nel momento cioè nel quale l' Europa attraversava una grave crisi, dopo la caduta della CED e nel momento in cui bisognava prendere delicate e difficili decisioni, senza possibilità, quasi, di svolgere in via preliminare un' azione diplomatica preparatoria. tuttavia, per togliere ogni equivoco, dirò che il gruppo repubblicano voterà a favore degli accordi di Parigi. ma il fatto che noi arriveremo alla votazione a favore non ci esime, ripeto, dall' esprimere le nostre più vive perplessità, nonché dal mettere in rilievo le gravi incognite che si presentano all' orizzonte europeo. devo ripetere qui quello che l' onorevole Pacciardi ha dichiarato in sede di Commissione degli esteri: noi arriveremo a una votazione a favore con freddo raziocinio, accogliendo gli accordi di Parigi come il minor male possibile nella situazione in cui oggi ci troviamo. e per dare le ragioni di questo nostro atteggiamento mi consenta la Camera di riandare un po' indietro nel tempo e di ricordare la discussione sul patto atlantico che ebbe luogo nella primavera del 1949, discussione alla quale ebbi l' onore di intervenire. fu in quella occasione che io dichiarai, a nome del gruppo repubblicano, che noi consideravamo il patto atlantico come un patto strumentale rispetto ad una politica più sostanziale e storicamente più impegnativa, quale era l' inizio di un processo di unificazione europea . il patto militare, cioè, per noi, o almeno per me, aveva un valore puramente strumentale e contingente. il fine ultimo della politica dei paesi occidentali europei in questi anni, avrebbe dovuto essere la loro unificazione economica, sociale e politica. quel discorso richiamò la cortese attenzione della Camera e i gruppi di estrema sinistra , se non poterono accettare favorevolmente il punto di vista europeistico che io espressi in quell' occasione, non manifestarono quella ostilità preconcetta, che ha contraddistinto quali costantemente le discussioni di politica estera del nostro paese da qualche anno a questa parte. l' onorevole Togliatti ebbe la cortesia, allora di dire che La Malfa aveva fatto un tentativo di portare la discussione su un piano più elevato, e l' onorevole Basso, in nome del partito socialista , polemizzò lungamente con la mia impostazione, alla quale egli attribuì il carattere di una manifestazione terzaforzista! ci considerò la prospettiva, la visione di carattere europeo, un punto di vista nuovo nella valutazione dei problemi connessi al patto atlantico ; ma la si considerò anche come una impostazione di carattere quasi utopistico. e in effetti nel 1949, quando io facevo quella interpretazione del patto atlantico , cioè di un patto militare, nemmeno io avevo la sensazione precisa, immediata dello sviluppo che il processo europeista avrebbe avuto negli anni seguenti. anch' io sono stato sorpreso dal corso delle vicende. e debbo oggi constatare che il rapporto allora stabilito fra un patto militare, come il patto atlantico , ed il processo di unificazione europea , ha costituito il tema delle drammatiche discussioni europee di questi ultimi anni. non che, fin da allora, sottovalutassi l' aspetto militare dei problemi europei, perché, onorevoli colleghi , questo aspetto militare, in un mondo armato, non può essere trascurato nemmeno dai piccoli e deboli paesi dell' Europa; ma volevo stabilire un rapporto fra un fatto contingente, come era a mio giudizio il fatto militare, e un fatto di portata storica più definitiva, come era il fatto europeo. non era tanto una sottovalutazione, quanto lo stabilire una certa proporzione nella visione dei singoli problemi. ripeto, il corso delle vicende successive ha dato più ragione di quanto io sperassi a quella impostazione. in verità, che cosa ha avuto più sviluppo, in questi anni, dal punto di vista di un processo di integrazione europea . gli sviluppi che abbiamo avuto dal 1949 in poi hanno toccato più l' aspetto economico dei problemi europei, che l' aspetto militare e politico. ed essi hanno avuto luogo sulla base di due strutture completamente diverse, ma in uno stesso campo di problemi. noi abbiamo avuto, per esempio, lo sviluppo del processo di integrazione economica europea attraverso l' OECE, cioè l' organizzazione economica di sedici paesi europei ; abbiamo avuto lo sviluppo di una politica economica sulla base della Comunità dei sei paesi del cosiddetto pool del carbone e dell' acciaio. cioè, nel corso di questi anni, noi abbiamo visto precisarsi il processo di integrazione economica europea in un' area più vasta, quale è quella dei paesi dell' OECE, in un' area più ristretta, quale è quella della Comunità del carbone e dell' acciaio . e per quali problemi? se noi guardiamo alla politica economica svolta dall' OECE noi ci incontriamo nel processo graduale di liberazione degli scambi europei e nella acquisizione di un sistema unilaterale di pagamenti europei. e coloro che in questa Camera si occupano di problemi economici, sanno che questo processo di integrazione attraverso il sistema della liberazione e il sistema del congegno multilaterale, quali che siano le opinioni politiche che si possano avere, ha rappresentato un progresso rispetto ai sistemi con i quali questi problemi erano affrontati e risolti dall' Europa di prima della guerra. nel campo più ristretto della CECA noi abbiamo avuto il primo avviamento alla creazione di un mercato comune europeo; esperienza non mai fatta prima di oggi, esperienza completamente innovatrice, e innovatrice perché ad essa era unita la costituzione di una autorità con poteri sovranazionali. quindi, il processo europeo ha progredito non nei suoi aspetti militari e, direi, quasi politici, ma nei suoi aspetti economici che, a parer mio, in questo e in altri momenti, dominano la vita dei popoli. onorevole ministro Martino, mi consenta di osservare, non certo per spirito polemico, che nessun progresso hanno fatto le buone intenzioni economiche e sociali dichiarate agli articoli 1 e 2 del trattato di Bruxelles, come mi sforzerò di dimostrare dopo. nessun progresso sulla via dell' acquisizione di una problematica europea sulla base del Consiglio d' Europa , dell' Assemblea di Strasburgo cui io ho partecipato. si è trattato di un tribunale di altissimo valore nella discussione dei problemi europei, ma sfortunatamente l' Assemblea di Strasburgo è rimasta priva di potere deliberante e quindi si è limitata ad essere un tribunale di esposizione dei problemi europei. ma dirò di più. tra la fine del 1952 e gli inizi del 1933, fra queste esperienze economiche di carattere assolutamente innovatore nella vita dell' Europa del dopoguerra, si è inserita una iniziativa, poco conosciuta, del governo olandese, una grande iniziativa — a mio giudizio — sul terreno economico, presa dall' allora ministro degli Affari esteri olandese. l' Olanda, in quel periodo, propose una comunità tariffaria fra i sei paesi della CECA. essa abbandonò l' idea di un' integrazione economica europea realizzata per settori e concepì il piano di una grande comunità economica , attraverso la creazione di un vasto e completo mercato comune . vi sono rapporti su questo interessante, a mio giudizio, e ignorato progetto del governo olandese che sono molto significativi, rapporti che rivelano il travaglio attraverso cui i governi sono arrivati alla concezione di una grande economia europea. nel progetto del governo olandese si manifestava la convinzione che lo stabilimento di una comunità politica tra i sei paesi non potesse non essere accompagnato da passi concreti verso la fusione degli interessi dei paesi stessi nel campo economico . la fusione doveva avvenire in modo graduale. essa avrebbe dovuto riferirsi alle economie nazionali nel loro complesso e non a singoli separati settori onde consentire le opportune compensazioni. e per porsi in grado di far fronte a perturbamenti di ordine sociale ed economico nei singoli paesi si sanciva il principio della responsabilità comune, per la prevenzione e la neutralizzazione di tali perturbamenti. attraverso tale progetto, si arrivava veramente ad una concezione unitaria dell' economia europea; ad una concezione capace di accogliere il concetto di una politica di sviluppo e di espansione, che costituisce il pensiero di tutti i partiti democratici avanzati e dei partiti socialisti di Europa. ripeto: trattando di questi problemi, eravamo non su un terreno militare, ma su un terreno prettamente economico. e solo nel corso di questo processo, è intervenuto il fattore militare. che cosa (è la CED o è stata la CED, onorevoli colleghi ? la CED non è stata l' occasione per parlare del riarmo tedesco o per esporre il problema del riarmo tedesco: la CED è stato il vaso nel quale si è colato il riarmo tedesco, cioè il problema del riarmo tedesco preesisteva, se volete, o poteva seguire ad una soluzione come quella della CED o della comunità politica , ma non è vero — lasciatemelo dire — che era attraverso la CED che si voleva far avallare dai popoli europei il riarmo della Germania. e ciò è tanto vero, che noi oggi, sia pure attraverso un diverso sistema e un diverso congegno, qual è quello dell' Ueo, parliamo del riarmo tedesco non parlando più degli altri aspetti, cioè degli aspetti economici, sociali e politici, che erano legati al processo d' integrazione europea . lascio giudicare agli onorevoli colleghi se la persistenza dell' elemento militare che era al fondo della CED e la caduta degli elementi economici, sociali e culturali, che erano nel quadro della politica europeistica, rappresentino un progresso per la vita dei popoli europei , o non rappresentino disgraziatamente un grave e terribile regresso. d' altra parte, è molto interessante per me assistere alla polemica che, per esempio, L'Unità e Avanti! conducono contro i « cedisti » di oggi. Churchill, Mendès-France e forse, sotto le righe, contro l' onorevole Martino, è interessante perché si è trattato di una sostituzione, non solo del quadro politico generale (dalla CED, all' Ueo) ma anche di personaggi. qualche anno fa, sulle colonne dell' L'Unità e dell' Avanti! si leggevano i nomi di De Gasperi , o di Sforza, di Adenauer o di Schumann o di Bidault, e si contrapponevano a questi nomi quelli di Churchill, o di Mendès-France, o dei cosiddetti « distensionisti » . oggi la scena è cambiata: in prima linea nelle responsabilità per il riarmo della Germania sono il capo del governo inglese Churchill, il ministro degli Esteri Eden, Mendès-France, il nostro onorevole Martino in Italia, mentre i « cedisti » di ieri non sono più sulla scena. ma il problema fondamentale, il problema militare, il problema del riarmo della Germania, è rimasto in piedi. era se volete, nel trattato della CED, dove vi erano altri elementi, altre possibilità, dal punto di vista politico e quindi economico e sociale ; è nel trattato dell' Ueo. voglio dire: se è vero che il problema del riarmo tedesco è stato elemento di divisione, direi che questo elemento di divisione persiste e domina la nostra scena politica e la nostra discussione. a meno che, in questi giorni, l' intelligente politica estera della Russia sovietica non è riesca a far franare gli accordi di Parigi, noi possiamo considerare acquisito il riarmo della Germania sotto forma di adesione al trattato di Bruxelles invece che sotto forniti di adesione a una struttura sovranazionale come la CED. ripropongo ancora una volta la domanda: valeva propria lo pena di avere il riarmo tedesco senza avere integrazioni economiche, politiche, sociali e culturali dell' Europa, che sono gli elementi compensativi di una struttura puramente militare? le integrazioni economiche o politiche o sociali non sono elementi accrescitivi di una forza militare. non potete considerare l' unificazione culturale fra i popoli europei come elemento accrescitivo di una forza militare o di uno sviluppo militaristico. non dovete, voi socialisti, considerare l' integrazione economica e sociale dei popoli europei come elemento che potrebbe accrescere l' aggressività di una formazione militare. li dovete considerare come elementi distensivi per eccellenza nella loro sostanza, perché appunto comportano la partecipazione di tutti i popoli europei , secondo la divisione classica fra borghesia e proletariato, alla costruzione di una nuova situazione. dopo queste premesse sulle quali ho dovuto intrattenermi un po' a lungo, vengo subito all' apprezzamento degli accordi di Parigi. e evidente che mentre tutto il precedente processo europeo era un processo per la creazione di una Europa integrata, noi siamo, con gli accordi di Parigi, alla concezione di un' Europa articolata. c' è un' articolazione evidente negli accordi di Parigi, che non c' era nel precedente sistema con cui si voleva costituire l' unità dei popoli europei . nel quadro di alleanze, quale è concepito attraverso il trattato di Bruxelles e gli accordi di Parigi, ciascuno Stato, a mio giudizio, non fa che prendere impegni di natura strettamente militare. si afferma che l' aspetto positivo, rispetto a quello negativo, di questa maggiore articolazione sia rappresentato dalla partecipazione più attiva dell' Inghilterra al sistema. l' onorevole relatore per la maggioranza, il collega Gonella, ha dedicato un paragrafo a questo riguardo. egli ha rilevato che, per la prima volta, l' Inghilterra non solo mantiene quattro divisioni e la 2° forza aerea tattica in Europa, ma non può ritirare queste forze dall' Europa continentale se non per deliberazione « della maggioranza delle altre potenze contraenti » a meno che « non si verifichi una crisi grave di oltremare » . il fatto della più attiva partecipazione inglese agli accordi di Parigi è stato uno degli elementi che hanno portato la pubblica opinione a valutare favorevolmente gli accordi. ma, onorevoli colleghi , vi è stato mai nessuno che abbia potuto pensare che l' Inghilterra si sarebbe disinteressata dell' aspetto militare dei problemi europei? è vero che l' Inghilterra, quando si trattava della CED, prendeva l' impegno, mi pare, di mantenere una sola divisione in Europa. ma pensiamo seriamente che il problema della corresponsabilità dell' Inghilterra nella politica continentale europea si risolva con il fatto di mantenere una o quattro divisioni nel continente? questo può essere un motivo per illudere l' opinione pubblica ; non può essere certamente un motivo per dire che un paese è solidale con l' Europa solo se tiene nel continente quattro divisioni, anziché una. nel caso della precedente guerra, si è visto che l' Inghilterra fu costretta a ritirare le sue divisioni quando esse non potevano più rimanere sul continente. ma c' è un precedente di grandissima importanza in questo campo. il primo a parlare di esercito europeo non è stato Pleven, non è stato Shuman; il primo assertore dell' esercito europeo è stato Winston Churchill, il capo del governo inglese all' Assemblea di Strasburgo , se non erro nel 1949 o 1950. mi dispiace che non sia presente, in questo momento l' onorevole Vecchietti con il quale polemizzo volentieri. effettivamente, se una responsabilità di aver voluto il riarmo tedesco vi è, questa è del capo del governo inglese che ha costantemente pensato che il massimo elemento equilibratore della situazione militare europea fosse il riarmo della Germania. io mi sono sempre meravigliato che il nome di Churchill, da questo punto di vista , sia stato usato come un nome di un distensionista. e non perché io attribuisca al capo del governo inglese velleità offensive o guerrafondaie, ma perché la distensione... se vogliamo giudicare rettamente e non contrapporre puramente e semplicemente Churchill a De Gasperi , dobbiamo giudicare che il riarmo della Germania non era voluto da De Gasperi in misura maggiore di Churchill, ma dobbiamo ammettere per lo meno che lo volessero in eguale misura. pertanto, se noi... allora potrei dire che vi sono tanti Togliatti, ma non lo dico... comunque mi pare difficile che gli uomini, soprattutto gli uomini di Stato, siano governati da umori; ritengo invece che abbiano visioni di fondo dei problemi. la partecipazione dell' Inghilterra al sistema di difesa europeo era scontata anche nel quadro della CED. vi è una prova di questo, una prova per contrario. infatti, nel momento stesso in cui accettiamo (come dice il collega Riccardo Lombardi) il leadership dell' Inghilterra nel quadro della Unione occidentale (ma speriamo che non si tratti di questo, perché non mi piace affatto la faccenda dei leadership, nel momento in cui l' Inghilterra diventa parte integrante del sistema europeo di difesa, il signor è Monnet ottiene l' associazione dell' Inghilterra alla CECA. quindi il processo europeo si svolge quasi contemporaneamente in direzioni diverse: i continentali, attraverso gli accordi di Parigi, si muovono verso l' Inghilterra; l' Inghilterra — attraverso l' azione diplomatica del signor Monnet — si muove verso la Comunità carbo-siderurgica. Monnet, con il quale parlavo di ciò, mi diceva: « questa è la prova palmare che se avessimo insistito sul processo di unificazione europea , avremmo avuto completamente a fianco l' Inghilterra, mentre rovesciare questa situazione potrebbe significare un rinvio sine die del processo integrativo » . onorevole ministro, non vorrei mostrare sfiducia sulla partecipazione inglese al processo di unificazione europea ; anzi, sarei lietissimo di apprendere che l' Inghilterra ha cambiato politica. tuttavia l' Inghilterra, con perfetta lealtà e coerenza, in questi anni ha detto: se volete arrivare ad una processo integrativo profondo, sia sul terreno politico che su quello economico, fate ed io non vi ostacolerò. ha cambiato opinione l' Inghilterra in questi ultimi tempi? sarei lieto di apprendere dalla sua viva voce, onorevole Martino, che il ministro degli Esteri italiano ha elementi per dirci che l' Inghilterra farà quello che finora non ha fatto né ha inteso fare. d' altra parte l' onorevole Martino, nei suoi discorsi sul bilancio degli affari esteri , ci ha detto delle cose interessanti. in apertura, nella seduta del 22 ottobre, egli affermava: « il sistema elaborato a Londra non ha soltanto aspetti militari essenziali per la difesa comune e per la tutela della pace nel nostro continente; esso contiene i germi di una solidale collaborazione dei paesi europei economica, sociale e culturale » . e nella seduta di chiusura del 9 ottobre aggiungeva: « l' obiettivo supremo degli accordi di Londra è appunto la pace e, con la pace il progresso sociale ed economico della grande comunità degli uomini liberi. noi abbiamo cercato a Londra di gettare le basi di un organismo europeo fornito di poteri e di attribuzioni potenzialmente illimitati nel campo culturale, sociale ed economico, proprio come è desiderato dall' onorevole Pacciardi » . importanti dichiarazioni, che per noi sarebbero anche estremamente consolanti, per noi che del processo europeo non abbiamo visto soltanto l' aspetto militare, ma gli aspetti più profondi, che riguardano l' economia e la vita sociale dei popoli. ma esse rispondono alla realtà delle cose, quale finora è conosciuta? il trattato di Bruxelles che abbiamo ereditato, nell' articolo 1 dice: « convinti della stretta solidarietà dei loro interessi e della necessità di unirsi per affrettare la ricostruzione economica dell' Europa, le alte parti contraenti organizzeranno e coordineranno le loro attività economiche in vista di portarle al più alto grado di rendimento, eccetera eccetera » . e all' articolo 2 si parla non solo di un coordinamento di politica economica e sociale, ma anche di un coordinamento di politica culturale . ma quale risultato ha dato il trattato di Bruxelles, sopratutto se lo paragoniamo a quello che è stato raggiunto da altre istituzioni di carattere europeo? ho qui, con me, un rapporto del segretariato del Consiglio di Europa in data 20 agosto 1954. riferendosi all' articolo 2 del trattato di Bruxelles, che riguarda le questioni sociali, in questo rapporto si dice che gli scopi sociali contemplati dal trattato stesso hanno indotto a costituire quattro comitati, che si sono incaricati della salute pubblica, delle pensioni di guerra, della riadattazione e del reimpiego degli invalidi. onorevole Martino, è un po' poco per credere che dal trattato di Bruxelles possa nascere, con questi precedenti, un processo integrativo dell' Europa. i lavori delle commissioni del trattato di Bruxelles hanno portato a esaminare una vasta gamma di soggetti, hanno fruttato utili scambi di informazioni, qualche volta si sono modificate le legislazioni nazionali sull' assistenza sociale dei singoli paesi, si sono costituiti molti comitati per l' organizzazione culturale, cioè si è fatto un utile lavoro, si sono approfonditi dei problemi, ma poi è accaduto che ciascun Stato si è regolato come meglio ha creduto e l' integrazione si è realizzata altrove e con altre istituzioni. del resto, questa nostra sfiducia circa gli aspetti economici, sociali e culturali della nuova organizzazione sorta con gli accordi di Parigi, è la sfiducia anche del relatore per la maggioranza e di quello di minoranza. io ho attentamente cercato nelle due relazioni un appoggio alla dichiarazione del ministro degli Esteri , una discussione dei problemi economici e sociali, che facevano parte del nostro vecchio patrimonio europeista. il relatore per la maggioranza è stato silenzioso su questo punto e lo stesso ha fatto il relatore di minoranza . quindi, il mio scetticismo è anche quello degli onorevoli rappresentanti del Parlamento incaricati di illustrare gli accordi di Parigi. ma non si fermano qui, onorevole, Martino le nostre perplessità. un elemento di debolezza degli accordi di Parigi non sta solo in questi aspetti, che sono aspetti fondamentali della nostra utopia europeistica, se volete considerarla tale. prendiamo un problema concreto ed estremamente grave, quello della Saar. anche qui ho avuto la mala ventura di dover anticipare critiche, che poi si sono diffuse in Italia e fuori d' Italia. leggevo, questa mattina, su di un giornale della capitale, un articolo sul problema della Saar piuttosto grave come giudizio sulla situazione. a mia personale opinione i due rappresentanti del governo francese e del governo tedesco non hanno avuto la esatta percezione del riflesso che la soluzione affrettata del problema della Saar avrebbe potuto avere sull' opinione pubblica dei rispettivi paesi. l' onorevole Mendès-France a mio giudizio ha voluto usare del problema della Saar come di un lenitivo per la sua opinione pubblica , allo scopo di rendere più agevole l' approvazione degli accordi di Parigi. ed il capo del governo tedesco non poteva tornare da Parigi con una seconda sconfitta di carattere diplomatico, dopo la caduta della CED; ma per questo non ha potuto valutare le reazioni dell' opinione pubblica tedesca, che sono gravi e che mi rendono perplesso già sulla possibilità stessa di ratificare degli accordi, oltreché sul carattere duraturo degli accordi medesimi. l' europeizzazione della Saar aveva un significato in un grande quadro europeistico. se avessimo costituito una comunità politica , l' europeizzazione della Saar sarebbe apparsa una conseguenza logica e necessaria di questo quadro di lavoro per tutti i paesi. ma è chiaro che, dall' opinione pubblica tedesca, non può essere compresa l' europeizzazione della Saar in un quadro completamente diverso, cioè in un quadro di pure alleanze di carattere militare. e come risultato, onorevole Martino, che cosa noi abbiamo oggi? che il capo del governo francese non ha certo placato le opposizioni al riarmo tedesco offrendo una migliore soluzione della Saar. e gli impicci in cui si trova il cancelliere della Germania sono troppo noti, perché io li abbia qui ad illustrare. è evidente che c' è nella opinione pubblica tedesca una ostilità profonda all' accordo sulla Saar che incide sulla possibilità di ratifica degli accordi di Parigi. a me pare che il problema della Saar avrebbe dovuto attirare una qualche attenzione da parte delle terze potenze presenti agli accordi di Parigi, soprattutto da parte dell' Inghilterra e dell' Italia, che avevano una grande responsabilità, per lo meno indiretta, in questo campo. ho parlato anche personalmente al ministro degli Esteri di questo problema e sono stato cortesemente ascoltato, gli ho proposto una azione italiana per vedere di avviare a più equa soluzione questo problema. ho letto in alcuni giornali che si pensa ad una nuova conferenza internazionale per ridiscutere il problema della Saar. io chiedo proprio alla cortesia del ministro, se i doveri diplomatici non glielo impediscono, di darci qualche indicazione. è un problema che riguarda direttamente la Francia e la Germania, ma è un problema che riguarda indirettamente i popoli europei . del resto noto che anche la Russia sovietica se ne occupa, e in forte misura. questo problema è entrato nell' ambito delle preoccupazioni di politica estera che in questo momento agitano tutti i popoli. ma il problema della Saar, si può dire, è un problema che non tocca direttamente gli interessi italiani. ma in quella frettolosa elaborazione degli accordi di Parigi, c' è qualcosa che ci tocca direttamente. e questo qualcosa è rappresentato dalla dichiarazione comune franco-tedesca in materia economica, dichiarazione che afferma la possibilità di una associazione stretta di interessi fra Francia e Germania, associazione stretta di capitali sia sul territorio metropolitano che nell' Africa del nord, e afferma altresì la possibilità di accordi commerciali a lungo termine fra Francia e Germania soprattutto per assicurare l' esportazione di prodotti agricoli francesi in Germania. anche in questo campo ho avuto la mala ventura di gettare il grido di allarme. la dichiarazione comune franco-tedesca ha rappresentato, a mio giudizio, un ritorno al bilateralismo economico di brutta fama che credevamo di aver superato attraverso il progetto multilaterale di integrazione europea . devo dire all' onorevole ministro che l' atteggiamento del suo dicastero a questo proposito è stato un poco contradditorio, perché, mentre alcuni grandi giornali, forse per ispirazione ufficiosa, tendevano a calmare l' opinione pubblica e anche le mie personali preoccupazioni come cittadino e deputato, la rivista Esteri, invece, sembrava, da un certo punto di vista , condividere tali preoccupazioni. ora, indubbiamente, la soluzione di alcuni problemi economici franco-tedeschi contribuisce a creare un clima di pacificazione, ma questo non può essere fatto in danno di una comunità più vasta e di paesi che hanno pure importanti interessi economici da difendere. è vero che è stata annunziata la visita del presidente del Consiglio francese in Italia, nel corso della quale si tratterà di questo problema e magari ci sarà offerta una partecipazione all' accordo; è altrettanto vero che l' onorevole Vanoni è andato in Germania per trattare accordi economici. ma proprio in questi giorni io leggevo, in un giornale economico, la giusta osservazione che la costruzione di una economia europea non può derivare da un insieme di accordi fra « coppie » di paesi europei . fino ad oggi il processo di integrazione economica è stato compiuto su di un quadro di solidarietà più vaste e parallele. del resto le stesse preoccupazioni sono state espresse da molti settori della Camera dei Deputati ed anche del paese. obiezioni a questi progetti bilaterali sono state avanzate dai sindacati democratici riunitisi a Strasburgo e da parte degli industriali riuniti nell' organizzazione della « Cepes » . lo stesso onorevole Cantalupo, pur accettando in pieno il nuovo quadro dell' unione occidentale, che consente una certa indipendenza politica a ciascun paese, ha manifestato preoccupazioni su questi sviluppi bilaterali della politica europea , e perfino l' onorevole Lombardi Riccardo, se non erro, ha puntato la sua attenzione su questo aspetto del problema in Commissione esteri. tutto questo vuol dire che il problema di uno sviluppo bilaterale degli accordi economici dà preoccupazione a ogni settore, in quanto effettivamente può rappresentare un elemento di debolezza nella difesa degli interessi italiani. d' altra parte devo dire che, se anche attraverso la visita di Mendès-France, noi riuscissimo a partecipare a questi accordi economici franco-tedeschi non dovremmo tuttavia dimenticare gli interessi di paesi con i quali abbiamo marciato insieme. io, per esempio, sarei molto lieto di sapere quali sono in questo momento i nostri rapporti con i paesi del Benelux, che si sono trovati in una condizione veramente disgraziata. si tratta di paesi che più hanno resistito al processo di europeizzazione per un certo numero di mesi o anche di anni e poi hanno abbracciato con convinzione questa casa e hanno compiuto il loro dovere con perfetta lealtà e hanno anche avanzato, come osservavo prima, progetti e iniziative di concreta solidarietà europea. li abbiamo abbandonati nel corso di questa revisione di politica europea ? l' Italia che non è una grandissima potenza economica e che ha molto interesse a trovare contatti e un piano di adozione comune coi paesi del Benelux, intende fare una politica associata coi paesi del Benelux e compiere con loro la sua opera di mediazione e di interventi nei confronti del gruppo franco-tedesco? anche questa domanda vorrei porre all' onorevole ministro degli Esteri ; e sarei grato di ricevere una rassicurante risposta. ma ciò mi porta di nuovo ad un problema di ordine più vasto. cioè sia a destra, attraverso le dichiarazioni dell' onorevole Cantalupo, sia da parte del partito socialista si sono manifestate preoccupazioni circa gli sviluppi bilaterali d' una politica europea . ma non è questo il risultato del fatto di avere così fortemente osteggiato la politica di integrazione europea ? la posizione dell' onorevole Cantalupo, quale risulta oggi, e quindi della destra, è, su questo problema del tutto contradittoria. da una parte la destra osteggia qualsiasi manifestazione di superamento della sovranità nazionale, non intende abdicare a nessuna quota del potere nazionale; ma dall' altra parte essa intende tutelare pienamente alcuni interessi nazionali . ma si tratta di vedere, nel gioco delle forze che oggi operano in campo economico , se questa tutela può avvenire con piena efficacia senza la creazione d' una autorità sovranazionale; bisogna vedere cioè se esiste il perfetto equilibrio fra gli interessi in gioco. c' è dunque una contraddizione evidente nella concezione nazionalistica che oggi si fa valere sulla scena europea. l' onorevole Cantalupo la rappresenta in più modesta forma; De Gaulle la rappresenta in forma più rimarchevole; ma la contraddizione esiste, ed è evidente. che cosa vogliono i nazionalisti? l' onorevole Cantalupo si compiace che l' Inghilterra sia più presente nel gioco europeo e d' altra parte non si compiace che l' Inghilterra sia il leadership nel gioco europeo. c' è dunque una sua politica filoinglese e una sua politica anti-inglese, c' è cioè l' esempio, attraverso queste manifestazioni del pensiero nazionalista, contradditorietà, di contrasto e quindi di debilitazione cui il nazionalismo porta i popoli europei , elemento questo che, secondo me, costituisce uno dei presupposti su cui fonda la politica estera della Russia europea. ed infatti, guardando sempre, onorevoli colleghi , ad un problema di politica generale, se è vero che l' Unione Europea porta, da un punto di vista militare al riarmo della Germania così come avveniva con la CED non possiamo negare che un grande successo diplomatico abbia conseguito la Russia sovietica col passaggio dalla CED all' Unione dell' Europa occidentale , e ciò appunto perché il problema dell' Europa è rimasto puramente militare, i paesi europei alla frontiera della Russia rimangono, da un punto di vista economico, da un punto di vista politico, divisi, completamente divisi, ciascuno con la tendenza a portarsi sul terreno della difesa di interessi puramente nazionali e nazionalistici. che si tutelino gli interessi nazionali va bene , ma scegliendo le vie idonee per tutelarli. ma non si continui il voler difendere interessi nazionalistici. essi sono stati ragione delle due crisi belliche che hanno rovinato l' Europa. ed è un grande risultato il passaggio dalla CED all' Unione dell' Europa occidentale , quando si consideri che tale passaggio non ha consentito la costituzione di un grande spazio — soprattutto economico — europeo? c' è la presenza dell' Inghilterra come contropartita del successo che la diplomazia sovietica ha conseguito, impedendo la costruzione di un grande spazio europeo. ma l' Ueo sarà il punto di arresto? perché se anche su questo dovessimo cedere, non avremmo né gli aspetti politici, né gli aspetti sociali, né gli aspetti economici e neanche gli aspetti militari di una solidarietà europea e, quindi, di un principio di creazione del grande spazio europeo. io vorrei porre una domanda a coloro che hanno sempre osteggiato la visione europeistica del problema, che noi abbiamo: perché deve esistere un grande spazio politico ed economico della Russia sovietica , perché deve esistere un grande spazio politico ed economico degli USA e perché un grande spazio politico ed economico dei paesi dell' Occidente europeo non deve esistere, senza che si gridi alla minaccia contro la distensione e la pace? non faccio questione di Russia sovietica o di USA, ma faccio questione di necessità indipendenti dei popoli europei , e la trasporto su un terreno a cui sono sensibile: sul terreno economico. ma c' è qualcuno qui che possa credere che le economie dei paesi europei possano reggere su base nazionale? l' onorevole Cantalupo lo crede, da buon nazionalista, ma io non credo più che le economie europee possano reggere su basi nazionali sono piccoli spazi di fronte a grandi spazi economici, sono organizzazioni economiche deboli e fragili, che possono essere travolte alla prima situazione critica. il signor Monnet, nell' abbandonare la CECA, ha fatto un rapporto estremamente interessante. valutando i risultati della creazione della Comunità del carbone e dell' acciaio , in sostanza ha detto: la « creazione di questo mercato comune ha dato all' economia europea delle prospettive che non poteva avere sulla base dei mercati nazionali; la creazione del mercato comune del carbone e dell' acciaio ha attutito le conseguenze per l' Europa della recessione americana, ha consentito all' economia europea — nel settore dei carbone e dell' acciaio — di venire alla fase di espansione molto prima che se la depressione l' avessimo avuto sulla base di economie puramente nazionali. secondo me, questa testimonianza del signor Monnet ha assoluta rispondenza nei dati obiettivi: la creazione del mercato comune ha attenuato le conseguenze della recessione, ha anticipato i benefici di una espansione. se ne è andato. è stato sconfitto e se ne è andato. non posso negarlo. ma c' è una comparazione possibile e che ci rende chiaro il problema. per esempio, abbiamo avuto due politiche di integrazione economica europea nel campo degli investimenti. la politica nel settore del carbone e dell' acciaio e la politica nel settore petrolifero. l' una è stata fatta dalla CECA, l' altra dall' OECE. poiché nel campo del carbone e dell' acciaio abbiano avuto la creazione di una autorità e di un vero mercato comune , con abolizione graduale delle barriere doganali e con disposizioni coordinatrici comuni per i sei paesi, le conseguenze della recessione americana si son potute attenuare e la ripresa nel campo del carbone e dell' acciaio è avvenuta in migliori condizioni che non sulla base di un mercato nazionale . ma andiamo a vedere che cosa è avvenuto nel campo del coordinamento della politica degli investimenti nell' industria petrolifera. l' OECE ha tentato di governare gli investimenti per la creazione di grandi impianti petroliferi, ma, poiché il potere nazionale è rimasto, l' OECE non è riuscita a limitare gli investimenti dei vari paesi nell' industria petrolifera e oggi abbiamo la prospettiva di una grande crisi nell' industria della raffinazione dei petroli: crisi di eccesso di capacità produttive e, domani, crisi di sbocchi. cioè, che cosa è avvenuto? che, per aver fatto una politica su base nazionale, noi abbiamo dedicato miliardi di lire o di franchi o di Marchi in investimenti che, in definitiva, saranno stati poco utili o produttivi per la comunità dei popoli europei . e la condizione dell' Europa dal punto di vista del risparmio e dell' impiego di capitali è tale che noi non possiamo concederci il lusso di fare investimenti improduttivi. ma le politiche nazionali, poiché comportano una possibilità di concorrenza sui mercati esteri , tendono ormai ad essere politiche di concorrenza sulla base di sviluppi di investimenti che poi si dimostrano improduttivi. si dice che nei trattati sovietici si prevede una guerra fra gli Stati capitalistici come sbocco finale della crisi dell' Occidente. credo che di guerra non si possa parlare. tuttavia questi contrasti di interessi... almeno studi quello sovietico; già è qualcosa. non la insegno. potrebbe evitare di essere sempre spiritoso. è un cattivo mestiere. non mi sono mai preoccupato della sua nobile persona. dicevo: queste contradizioni dei sistemi di economia europea su base nazionale sono un grave elemento di debolezza per la vita dei popoli europei . mi fa piacere questa sua interruzione, onorevole Nenni, perché non mi rivolgo ai nazionalisti: né ai nazionalisti per conto proprio né ai nazionalisti per conto altrui. mi consenta di dire, onorevole Pajetta, che quando ricorro a queste frasi è perché penso soltanto a lei. onorevole Nenni, non abbiamo pensato solo ai problemi militari. d' altra parte, questi problemi militari ad un certo punto hanno lo stesso valore per noi e anche — mi pare — per il partito socialista . l' onorevole Nenni, dopo un lungo contrasto sul patto atlantico , ha dichiarato, da uomo politico realista, che, in fondo, il patto atlantico esisteva e bisognava tenerne conto. saranno approvati gli accordi della Unione dell' Europa occidentale , non saranno approvati? l' onorevole Nenni ci dirà fra qualche mese, se saranno approvati, se egli li considera alla stessa stregua del patto atlantico . ma rimangono altri problemi, al di fuori di quelli militari, che per noi sono contingenti: rimangono i problemi economici e sociali, i problemi del coordinamento di queste economie europee deboli, in quanto pervase da spirito autarchico e nazionale. io domando al partito socialista : non interessano questi problemi? una politica di espansione del mercato europeo, con il superamento delle frontiere nazionali, non interessa il partito socialista italiano? la integrazione economica, e quindi quella politica e sociale dell' Europa, era un interesse dei democratici cattolici, si diceva. ma questi problemi interessano anche i democratici laici, anche i partiti socialisti europei. credo che i problemi della integrazione economica europea, una volta superato il problema militare, debbano interessare certamente i socialisti. perché non dovrebbero interessarli? ma dunque i socialisti sono così avulsi dalle necessità della nostra vita economica, da poter vivere in un mondo diverso da quello in cui viviamo? non è possibile. ecco perché ho fiducia che ci incontreremo sulla valutazione di questi altri problemi, che sono i problemi della condotta economica e sociale dei popoli, senza di che — ecco il mio pessimismo — i paesi europei sono veramente condannati a una fine assai misera. d' altra parte, quale esperienza concreta abbiamo del superamento delle ideologie? una esperienza che viene dalla CECA medesima. i socialisti tedeschi sono stati contrari alle concessioni europeistiche; ma nella CECA, proprio perché si trovano in un quadro costituzionale ben preciso, cosa perseguono i socialisti tedeschi? perseguono gli interessi delle classi lavoratrici e cercano di modificare le condizioni in cui opera la CECA senza starne fuori. essi lottano contro i cartelli e per una politica di espansione del mercato. essi non si mettono al di fuori del sistema, stanno nel sistema. ne abbiamo una riprova in un problema che vi interessa molto da vicino: la libera circolazione della manodopera siderurgica. voi sapete che i governi hanno approvato di recente una convenzione con la quale si impegnano di rendere possibile la libera circolazione della manodopera siderurgica nei sei paesi. tuttavia nella convenzione vi sono delle limitazioni: bisogna che prima che sia consentita l' emigrazione vi sia il posto di lavoro . ebbene, tutta la commissione sociale della CECA — compresi i socialisti tedeschi, che non amano questi sistemi — ha avuto un abboccamento con il Consiglio dei ministri della CECA per chiedere che sia tolto qualsiasi intralcio alla libera circolazione della manodopera siderurgica e che essa non sia sottoposta al fatto che il lavoratore di un paese, prima di recarsi in un altro paese, abbia il permesso. in questo quadro dell' integrazione economica europea, i partiti che rappresentano le classi lavoratrici sono portati a sviluppare nel mercato comune una politica delle classi lavoratrici stesse. allora io ho il diritto di chiedere al partito socialista se, una volta superati i problemi di carattere militare, su questi altri problemi della integrazione economica europea noi non possiamo trovare una base d' accordo. ma quale è la forza propulsiva che ci fa uscire dall' angustia della nostra economia nazionale? è vero che la nostra politica economica può essere mal condotta, può essere condotta con spirito conservatore; tutto questo può essere vero, ma vi è anche un limite obiettivo, dato dalla impossibilità di risolvere i problemi dell' economia in un piccolo spazio economico, nello spazio economico nazionale. questo è un dato obiettivo che ci può unire tutti. non è possibile, per quanto si possa fare una politica di sviluppo , una politica di espansione, sulla base nazionale, superare certi limiti fisici di impossibilità. evidentemente il piccolo spazio economico è, nell' economia moderna, un piccolo spazio economico e non può convertirsi in grande spazio economico. d' altra parte l' esempio ci viene dalla Russia sovietica , dalla coordinazione che fa dei suoi piani economici, dal fatto che i suoi piani economici presuppongono un enorme spazio e la collaborazione fra popoli di diversa origine nazionale. e quello che è possibile alla Russia sovietica da una parte, quello che è possibile agli USA dall' altra, non deve essere possibile all' Europa? per quale destino noi dobbiamo essere condannati ad essere o diventare i paesi balcanici dell' epoca attuale? sono questi i problemi che oggi attraggono la nostra attenzione, onorevole ministro. abbiamo già superato, ci siamo scaricati dei problemi militari, vadano in porto o no le soluzioni dell' Unione Europea occidentale. ma noi pensiamo a questi altri problemi come vi abbiamo sempre pensato. e in questa visione di altri e importanti problemi, non portiamo una mentalità aggressiva. ho letto con piacere la dichiarazione contenuta nella relazione di maggioranza dove è scritto che il governo italiano potrebbe farsi promotore di una conferenza dell' Europa occidentale per la riduzione degli armamenti. mi sia consentito di ricordare che io, a nome di altri colleghi, un anno fa, ho presentato una mozione (esattamente nell' ottobre scorso) con cui chiedevo che nel quadro della costituzione della Comunità si facesse una politica di non aggressione fra il gruppo dei paesi della comunità e la Russia sovietica . quindi, la politica distensiva non è una creazione di questo momento, è sempre stata nel nostro spirito; soltanto che, accanto alla politica distensiva, noi abbiamo avuto una parallela preoccupazione non dell' aspetto militare dei problemi europei, ma dell' aspetto più profondo economico e sociale dei problemi stessi. non crediamo alla possibilità di sopravvivenza di una Europa su basi nazionali. sappiamo che la cultura nazionale, la storia nazionale, sono il presupposto di questa Comunità dei popoli europei , ma sappiamo altresì che il quadro nazionale non contiene più la possibilità di risolvere i problemi europei. onorevole ministro degli Esteri , anche nel momento in cui noi diamo il nostro voto per gli accordi di Parigi non siamo ottimisti, non intendiamo essere tali. noi vorremmo vedere, fin da adesso, la via attraverso la quale può riprendere il processo integrativo economico europeo, vorremmo vederne gli strumenti. vorremmo sentire che l' Inghilterra ha cambiato il suo atteggiamento. come diceva il Manchester Guardian di alcuni giorni fa, noi vorremmo essere sicuri che l' Inghilterra non deluda un' altra volta i popoli continentali europei. onorevole ministro, dal suo discorso noi aspettiamo qualche indicazione concreta in questo campo. comunque, in tante sconfitte — come dicono i nostri avversari — che cosa manteniamo ancora in piedi? non lo spirito di una alleanza militare, ma la necessità di trovare un punto comune di questa civiltà occidentale europea, che ha nutrito la storia.