Pietro NENNI - Deputato Maggioranza
I Legislatura - Assemblea n. 729 - seduta del 06-08-1951
1951 - Governo V De Gasperi - Legislatura n. 1 - Seduta n. 193
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , penso di non essere il solo ad essermi rammaricato, in queste ultime settimane, di non avere, subito dopo le elezioni del 10 giugno, insistito quanto sarebbe stato necessario perché fosse discussa la interpellanza, con la quale il gruppo parlamentare del partito socialista italiano desiderava conoscere le conseguenze che il Governo intendeva trarre dalle elezioni di primavera. se quella discussione si fosse svolta, e si fosse svolta con l' ampiezza che logicamente avrebbe dovuto avere, tutti avremmo visto assai più chiaramente nella crisi e nella soluzione della crisi, e si sarebbe evitata l' ipocrisia di considerare e la crisi e la sua soluzione come indipendenti dai risultati della consultazione elettorale. è evidente che, dopo una campagna elettorale , sia pure di carattere amministrativo, la quale si è conclusa con la perdita di due milioni e mezzo di voti da parte del Partito di maggioranza su poco più dei due terzi del corpo elettorale ; che ha dimostrato come la sinistra abbia non solo mantenuto ma consolidato le sue posizioni; che ha inflitto una eloquente smentita a coloro che credevano nella liquidazione per soffocamento del partito socialista italiano; che, infine, ha visto risorgere all' estrema destra le vecchie classiche tendenze dell' irrazionalismo antidemocratico e del vaniloquio nazionalista, passate dalla nebulosa qualunquista all' incarnazione « missina » della mitologia fascista, se non ancora dei suoi metodi; è evidente, dicevo, che non possiamo considerare la crisi del Governo e la soluzione ad essa data come indipendenti dal piccolo terremoto elettorale della scorsa primavera. a questa considerazione non toglie nulla il fatto che in seno alla Democrazia Cristiana le correnti alle quali risale la iniziativa della crisi si siano appuntate più su quella che è stata chiamata la « linea Pella » , cioè sulla politica del Tesoro, ritenuta la causa dell' indietreggiamento elettorale del loro partito, che sulla politica generale, ed in modo particolare sulla politica estera . un tale giudizio è parziale: si riferisce ad un aspetto della politica del Governo e della maggioranza, ed elude il problema di fondo . si dice degli stranieri che essi sono in grado di anticipare il giudizio dei posteri. certo si è che in questi giorni abbiamo trovato, sotto la firma dello scrittore francese Maurice Vaussard — il quale conosce assai bene i problemi italiani e in particolare quelli del mondo cattolico italiano ed europeo — un giudizio sulla crisi particolarmente perspicace ed acuto. a giudizio del collaboratore di Le Monde la crisi della Democrazia Cristiana si deve all' immobilismo, a quella che egli chiama la « neutralizzazione del centro per timore delle ali estreme » . in verità, onorevoli colleghi , il dramma della maggioranza del 18 aprile è stato quello dell' immobilismo; per timore di giovare alla sinistra o alla destra, il gruppo dirigente ha ancorato il Governo e il paese su posizioni statiche. identico e l' odierno dramma della Democrazia Cristiana , dove il centro immobilizza le frazioni di destra e di sinistra, in ciò ravvisando la condizione dell' unità del partito. tendenze simili sono estremamente pericolose, giacché nulla nuoce di più al paese, al Governo, alle coalizioni politiche, che mantenere l' unità nella immobilità del pensiero e dell' azione; alla lunga ciò porta alla disintegrazione e alla paralisi. diceva un altro francese, della vecchia guardia ottocentesca, Jules Favre, che ci sono solo due politiche: quella dei principi e quella degli espedienti. noi siamo giunti in Italia alla politica degli espedienti, come risulta dalla lunga serie dei rimpasti del sesto gabinetto De Gasperi e dai criteri che egli ha seguito nella formazione del settimo gabinetto. tuttavia mi rendo conto che, parlando di un eminente uomo di parte cattolica, è difficile ammettere in lui l' assenza di principi; e certo l' onorevole De Gasperi ha una visione generale della vita e della politica che impernia ormai soltanto su dei miti e su delle posizioni apocalittiche e da millennio, il cui elemento fondamentale è l' anticomunismo. orbene, signori, sulla base dell' anticomunismo — non lo diciamo soltanto noi, lo ha detto di recente il professore Jemolo, eminente rappresentante della cultura cattolica, lo dice sovente l' onorevole Giordani — sulla base dell' anticomunismo non si fa nessuna politica; dietro l' anticomunismo sistematico e pregiudiziale c' è il nulla, c' è il vuoto. ciò spiega l' insodisfazione pressoché generale di fronte al programma esposto dall' onorevole De Gasperi all' inizio del nostro dibattito, nel quale stanno in piedi, sì e no , un paio di apocalittiche concezioni da crociata, e del quale si potrebbe dire — col linguaggio di Marx che si tratta di un cumulo di chiacchiere a lato delle quali passa il rude mondo delle realtà politiche e sociali. per dimostrare quanto il programma del settimo gabinetto De Gasperi sia lontano dalle richieste del partito socialista italiano, io confronterò i vari punti dell' ordine del giorno votato all' inizio della crisi dai nostri gruppi parlamentari con l' esposizione programmatica del presidente del Consiglio . ciò mi pare necessario, prima di tutto per mostrare come la nostra opposizione non si richiami puramente e semplicemente al contrasto tra i principi generali del socialismo e quelli della Democrazia Cristiana , ma affondi le sue radici in una valutazione divergente su quanto oggi e necessario e possibile fare in Italia; e poi perché ciò mi offre l' occasione di rispondere a chi, con stucchevole e noiosa ripetizione, denuncia nel nostro atteggiamento una manovra. il termine e stato adoperato anche dall' onorevole Saragat, il che dimostra come egli abbia dimenticato, che da Marx a Lenin, e per quanto concerne l' azione parlamentare da Jaurès al nostro Filippo Turati, nel pensiero e nella politica socialista sia fondamentale l' esigenza di spingere le frazioni più avanzate della democrazia liberale e cristiana, e le frazioni della destra socialdemocratica ad essere realmente quel che dicono, di voler essere e non possono essere se non nella misura in cui vengono pungolate, sospinte, sostenute, dall' azione delle masse popolari . molti ricordano, anche in quest' Aula, come nelle sue lezioni all' università di Roma, all' inizio del secolo, Antonio Labriola mostrasse nella presenza di Babeuf alle calcagna di Robespierre l' inizio di un periodo della storia in cui la classe operaia si assumeva la funzione di pungolo delle forze più progressive della borghesia, per aiutarle appunto ad essere ciò che dicevano di voler essere. dunque, all' inizio della crisi, noi abbiamo espresso l' augurio che essa concorresse ad una distensione politica interna , e abbiamo chiaramente spiegato che cosa intendevamo per distensione: non la confusione dei partiti, non un equivoco embrassons-nous, non la ricostituzione artificiale di formazioni politiche che hanno reso grandi servizi al paese fra il 1944 e il 1947, ma un ambiente, un' atmosfera in cui diventasse possibile considerare i problemi per quello che sono, al di fuori di ogni apocalittica e manicheistica divisione e frattura. quando, signori, noi parliamo di distensione, pensiamo a una condizione delle cose, in cui, per esempio, non pensiamo sia indispensabile che l' onorevole De Gasperi alzi il bavero della sua giacca, come se tremasse dal freddo, solo perché l' onorevole Togliatti avrà detto che fa caldo, in cui il ministro Scelba e i servizi da lui dipendenti giudichino dell' attività di una organizzazione comunista o no, per quello che è, e non partendo dal presupposto che si tratta della feccia e della lebbra della società, come il ministro dell'Interno e andato ripetendo su tutte le piazze durante la campagna elettorale ; ma sulla base dell' unico criterio democratico possibile, e cioè l' eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, dal che deriva che, entro la legge e entro la Costituzione, abbiamo tutti identici doveri e identici diritti. in questo senso noi socialisti parliamo di distensione, come della condizione per creare o ricreare una nuova vita politica e sociale. così facendo, abbiamo la coscienza di interpretare una delle esigenze più profonde del nostro popolo nel presente momento. ed eccomi alla soluzione data alla crisi ministeriale. una delle sue caratteristiche è che, nata sui problemi della politica finanziaria , ci presenta una sola novità: la degradazione del senatore Sforza da ministro degli Esteri a ministro senza portafoglio . desidero dire a questo proposito che, avendo per quattro anni aspramente combattuto la politica del ministro Sforza, non ebbi mai come bersaglio la sua persona. penso, anzi, che l' onorevole Sforza, per la ricchezza delle sue esperienze e la vastità delle sue relazioni nel mondo internazionale, abbia messo a disposizione di una politica sbagliata un insieme di mezzi che l' hanno resa meno meschina. per questa ragione noi socialisti non chiedevamo di cambiare il ministro se non nella misura in cui ciò comportava il cambiamento della politica estera . cosa abbiamo ottenuto? poco o nulla, e forse, in un certo senso, esattamente il contrario delle nostre aspirazioni. l' onorevole Sforza nelle sue conversazioni private scherzava sovente su quelli che chiamava « i clericali del patto atlantico » . ebbene, credo che obiettivamente si possa dire che il presidente del Consiglio è un tipico clericale del patto atlantico , e lo è più di lui il nuovo sottosegretario agli Esteri, uno di quei giovani d' Azione Cattolica che, in perfetta buona fede , io penso, hanno trasferito sul piano della politica. estera della nazione le loro ansie e le loro preoccupazioni di cattolici militanti per i difficili rapporti della loro Chiesa col mondo sovietico, e non si rendono quindi conto che la politica estera deve ispirarsi soltanto ed essenzialmente ad una valutazione obiettiva degli interessi sociali e degli interessi politici ed economici della nazione. quando si trasferisce una pregiudiziale religiosa e filosofica sul piano delle normali relazioni internazionali si ha il fenomeno, al quale assistiamo, di una politica estera priva di nuances, e nella quale manca completamente l' elemento che i francesi del secolo scorso chiamavano « il gioco dei contrappesi » . noi socialisti, allorché la crisi si è aperta, abbiamo, in un ordine del giorno reso pubblico ed illustrato poi al Capo dello Stato , domandato una politica estera che « nel quadro della organizzazione internazionale della pace e della sicurezza collettiva » tutelasse efficacemente gli interessi nazionali . in altre parole, invitavamo la maggioranza a rivedere e limitare l' area delle alleanze e degli impegni militari, ad orientarsi verso il nostro ingresso all' Onu, fondando la nostra politica sull' accettazione dei principi e degli impegni della Carta di San Francisco e non altro. l' onorevole De Gasperi ci ha offerto di « consolidare, sviluppare, approfondire » quella che, non so se per un lapsus o per una anticipazione, non ha più chiamato l' Alleanza Atlantica ma « la federazione atlantica » . onorevoli colleghi , allorché il presidente del Consiglio pone il problema in tali termini, allora diviene necessario riesaminare che cosa è in questo momento l' Alleanza Atlantica , quali trasformazioni essa ha subito dall' aprile 1949, quando la maggioranza votò l' adesione dell' Italia al patto atlantico . conviene, cioè, esaminare in che misura uno strumento diplomatico, presentato allora come di natura essenzialmente politica, si sia trasformato in uno strumento militare a cui presiede un comando americano, e che è funzione di una lotta di interessi il cui epicentro è in Asia e che viene dagli imperialisti mascherata sotto l' orpello di parole altisonanti quali la difesa delta libertà, della civiltà, del cristianesimo. i fatti nuovi sono il riarmo della Germania che, come avevamo previsto, fa del militarismo tedesco l' arbitro dell' Europa; l' estensione dell' area atlantica alla Grecia e alla Turchia, che trasforma anche strumentalmente il patto atlantico , in quanto la linea di contatto diretto tra i due blocchi , che era di 50-60 chilometri nella zona artica della Norvegia, si stenderà in avvenire per cinque o seicento chilometri, in una delle zone più pericolose dell' Europa, dove urgono e premono movimenti rivoluzionari di carattere nazionale e sociale. altri fatti nuovi sono l' inclusione di fatto della Jugoslavia nel sistema atlantico e la tendenza verso quello che già viene chiamato l' asse Belgrado-Atene-Ankara; e il patto a due in via di conclusione fra USA di America e Spagna, ciò che prelude all' inclusione di fatto, se non di diritto, della Spagna franchista nella « federazione » atlantica. abbiamo, inoltre, l' intensificazione della corsa agli armamenti, a favore della quale si esercita sui paesi europei una pressione americana che assume sovente il carattere del ricatto o dell' intimidazione. la cricca militare americana è assai scontenta del modo come vanno le cose in Europa e, per fortuna nostra, anche del modo come vanno le cose in America, tanto che, mentre si critica da noi la poltroneria dei parlamenti, in America è in corso una campagna contro la « svirilizzazione » , « l' ammollimento » dell' opinione pubblica , a seguito delle proposte presentate dal delegato sovietico Malik e dell' inizio delle trattative di armistizio per la Corea. in questi giorni, il generale Marshall ha manifestato il suo allarme dichiarando essere per lui « inconcepibile e molto triste il modo con cui il popolo americano ha reagito ad una dichiarazione sovietica » . a codesta trasformazione del patto atlantico sta per seguire una trasformazione fondamentale del sistema degli aiuti americani attraverso l' ECA è in progetto, se già non è in attuazione, una trasformazione dell' ECA, per cui gli aiuti non andranno agli Stati, ma, all' interno dei singoli Stati, alle organizzazioni industriali e commerciali, operaie (si immagina quali) che, a giudizio dell' America, meritano di essere appoggiate. qual è il punto di vista del Governo sull' insieme di questi fatti? a me pare evidente che essi sottolineano: primo, l' aggravamento del carattere non difensivo ma aggressivo del patto atlantico (è come se, in una situazione rovesciata, l' Unione Sovietica allestisse le sue basi navali, aeree, militari nel Messico, nel Canadà o nel Venezuela); secondo, la persistente e aggravata minaccia di una terza guerra mondiale . voglio ora esaminare tali fatti dal punto di vista dei nostri interessi italiani, di quello che significano per la nostra nazione. il riarmo della Germania occidentale , nelle condizioni in cui si fa, nel pieno risveglio del militarismo nazista, rappresenta una minaccia seria per gli interessi italiani, sia nell' Alto Adige , sia a Trieste. è stato molto opportuno che, nelle polemiche di queste ultime settimane attorno a Trieste, si sia ricordato ciò che avvenne durante la repubblica (o la repubblichina) di Salò nel 1943, allorché, approfittando della sciagura del nostro paese, Hitler stese la mano sulla Venezia Giulia e creò l' Adriatisches Kusterland , onde porre un' ipoteca su quel territorio! a distanza di quarant' anni , il grande alleato dei fascisti si comportò come la cricca militare austriaca, la quale, in occasione del terremoto di Messina, divisò di aggredirci. la estensione dell' Alleanza Atlantica alla Grecia e alla Turchia è stata considerata da taluni nostri scrittori militari un fatto positivo e che ci giova. io vedo, invece, in essa riprendere consistenza a Londra e a Washington la vecchia concezione strategica churchilliana, secondo cui va Valle Padana dovrebbe essere considerata un territorio aperto sul quale attirare e imbottigliare le truppe nemiche per poi schiacciarle con una manovra delle ali, di conseguenze assai più gravi della manovra delle ali su cui ci intrattenne sabato scorso l' onorevole Saragat, giacché in questo caso, sciaguratamente, le spese dell' imbottigliamento le farebbe la Valle Padana , cioè la regione, in una certa misura, determinante della vita economica del nostro paese. il problema della Spagna deve essere considerato dal punto di vista militare, ma soprattutto dal punto di vista politico. io non credo, onorevoli colleghi , che i comandi militari americani, e soprattutto il governo americano , abbiano corso il rischio di sollevare contro di loro quella vasta parte dell' opinione europea e mondiale che non ha fatto, non vuol fare, non farà la pace con Franco, per ragioni soltanto militari, per ottenere cioè la libera disposizione delle basi della penisola iberica, importante fino a un certo punto per gli USA, i quali dispongono delle basi di tutta l' Africa mediterranea, di quelle della Grecia e della Turchia e, purtroppo, anche delle basi del nostro paese. dietro l' accordo a due con Franco c' è un duplice ricatto: ricatto politico verso i governi dell' Europa occidentale , il laburista in primo luogo, e quelli influenzati dalla socialdemocrazia, perché rinuncino alle insufficienze e incertezze della loro politica del riarmo; ricatto militare per fare intendere ai governi dell' Europa occidentale che l' accordo con la Spagna mette a disposizione degli USA una testa di ponte in Europa largamente sufficiente per condurre la guerra atomica , che è nei progetti del Pentagono. spero che questi militari si sbaglino. vi è, comunque, una larga dose di infantilismo nel modo con cui trattano i problemi europei. essi non si rendono conto che il problema spagnolo è oggi uno dei più gravi problemi morali e politici dell' Europa e che le cose in Spagna sono a tal punto rotte e imputridite che, anche dando a Franco le centinaia, di migliaia di dollari di cui ha bisogno, non verrà ristabilita una situazione, irreparabilmente condannata dalla storia e dalla volontà del popolo spagnolo . ma io chiedo al Governo del nostro paese, a questo Governo: possibile che esso non abbia niente da dire? possibile che esso si attenga a un silenzio ipocrita, peggiore di una adesione aperta alla tesi americana, giacché rivelatore di un imbarazzo morale che non riesce a tradursi in una posizione politica? comunque, ritengo che non saremo solo noi socialisti a denunciare l' impossibilità per l' Italia di una politica di amnistia nei confronti di Franco. non è possibile, e saranno solidali con noi nella protesta e nell' azione i socialdemocratici e quanti tra i democristiani non identificano Franco né con la religione, né con la democrazia e neppure con la Spagna. ora, sull' insieme di questi problemi, noi abbiamo il diritto di chiedere al Governo qual è la sua opinione e quale politica intende seguire. parlerò tra breve della Jugoslavia e del riarmo. desidero tornare per un momento sul problema della trasformazione dell' ECA, per chiedere al Governo se ritenga compatibile che l' intervento implicito nel sistema degli aiuti americani, che ha già determinato situazioni morali e politiche che sollevano la preoccupazione e qualche volta la protesta, dei migliori cittadini, arrivi alla forma degradante degli aiuti a singole imprese ed organizzazioni. signori, noi andiamo verso il regime delle capitolazioni. e ne abbiamo, del resto, una anticipazione a Livorno. ho letto, (e quasi non volevo credere ai miei occhi) che gli operai livornesi, che la necessità del pane quotidiano obbliga a lavorare per il centro americano sbarchi, dovranno essere muniti di una « carta di sicurezza » . può il Governo accettare una tale situazione? la tessera sarà data dal prefetto, su ordine di chi? e non si corre il rischio che la « carta di sicurezza » americana divenga necessaria per il personale dipendente dalle singole aziende che d' ora in poi riceveranno direttamente gli « aiuti » americani? arriveremo dunque al punto che, per lavorare e circolare in Italia, non basterà più essere un cittadino italiano, ma ci vorrà sui nostri documenti di identità la stampigliatura dello Stato americano ? se vi è qualcuno disposto ad accettare un tale stato di cose , lo dica; ma abbia anche la coscienza che, a questo punto, il paese, è ridotto al regime delle capitolazioni che si sono scrollato di dosso i popoli arabi e stanno scrollandosi di dosso i popoli africani. e allora, onorevoli colleghi , se il patto atlantico non è più quello che era nel 1949, perché il nostro Governo ci chiede una adesione senza riserve? e perché, onorevoli Deputati della maggioranza, il voto dell' aprile del 1949 dev' essere considerato da voi — che diceste in termini espliciti di non volere avventure politiche e soprattutto militari — impegnativo al punto di impedirvi di adattare la politica del nostro paese alle situazioni nuove che si vanno delineando? offro alla meditazione dei colleghi questo pensiero del cancelliere Bismarck: « nessuna grande potenza può a lungo rimanere inchiodata al testo di un trattato che sia in contradizione con gli interessi del proprio popolo. e alla fine essa è forzata a dire apertamente: i tempi sono mutati, io non posso più questo. nessuna potenza consentirà mai a condurre il suo popolo alla rovina attaccandosi alla lettera di un trattato sottoscritto in altre circostanze » . a noi pare che tempi e circostanze siano profondamente cambiati dal 1949, e che stia maturando l' ora in cui la nostra nazione dirà: « io non posso più questo » . ma, senza chiedere all' attuale maggioranza di assumere una posizione radicale, ritengo che abbiamo per lo meno il diritto di chiederle di rifiutare ogni interpretazione estensiva del patto atlantico e di introdurre nella politica estera quel tanto di gioco dei contrappesi necessario, se vogliamo difendere i nostri interessi nazionali . onorevoli colleghi , tre di questi interessi preminenti sono stati enunciati dal presidente del Consiglio nelle sue dichiarazioni programmatiche . egli ha parlato dell' ingresso all' Onu, della revisione del trattato di pace , di Trieste e del Territorio Libero di Trieste . sono problemi che si trascinano da anni; uno di essi, quello di Trieste, e arrivato ad una fase in cui sentiamo tutti che le cose non possono restare al punto in cui sono. ritengo che questi problemi siano stati seriamente compromessi dall' azione passata del Governo, dalla sua politica pregiudizialmente anti-russa e dalla sua politica atlantica. credo che, se non vi fosse stato nel 1947 un rovesciamento della nostra politica estera , noi, fin da allora, saremmo all' Onu in condizioni di far sentire la nostra voce e di difendere i nostri interessi. credo che, se non avessimo ostacolato, fin dal 1948 e più decisamente nel 1949 e nel 1950, l' organizzazione giuridica ed economica del Territorio Libero di Trieste sulla base dello statuto annesso al trattato di pace , oggi la situazione sarebbe migliore. certo, Trieste non farebbe ancora parte di diritto dello Stato italiano, ma di fatto sì. e non vi sarebbero i titini nella zona B , non vi sarebbero gli anglo-americani nella zona A . se avessimo seguito la politica della libertà dagli impegni e della neutralità, ritengo che la questione della revisione del trattato di pace avrebbe fatto maggiori progressi, pur rendendomi conto che le difficoltà non sono poche. errore fondamentale della nostra politica estera , di fronte a questi problemi, è stato di inserirli nella controversia ovest-est, mentre potevamo avvicinarci alla loro soluzione soltanto nella misura in cui mantenevamo la nazione come tale, se non i singoli partiti e i cittadini, fuori da questo conflitto. codeste cose noi le diciamo da tre anni e si è sempre preteso che avevamo torto. in questi giorni ho letto sull' organo ufficiale dell' Azione Cattolica Il Quotidiano un articolo dal quale estraggo le parole seguenti: « ... è proprio qui il pericolo maggiore per l' Italia, che Trieste diventi una moneta di scambio nel duello fra Oriente e Occidente » . purtroppo, signori, ciò è già avvenuto, ed è avvenuto per colpa vostra; purtroppo il problema posto in questi termini, è diventato, se non irrisolvibile, certamente di soluzione assai difficile. ho avuto occasione, l' anno scorso , allorché abbiamo discusso la mozione socialista su Trieste, di denunciare, insieme con la oppressione titina nella zona B , la corruzione del dollaro nella città e nella zona A . in questi giorni il sindaco democristiano di Trieste, in una intervista con un giornale americano, denuncia a sua volta la corruzione del dollaro, e il fatto che l' amministrazione militare anglo-americana assuma sempre più funzioni di Governo. poche settimane or sono Il Corriere della Sera ha lanciato una grande campagna su « ciò che succede a Trieste » , come se ciò che succede non fosse, in parte almeno, la conseguenza di una, politica che ha sempre ricevuto il consenso del grande organo dei conservatori lombardi. il giornale non esita a denunciare, tra le conseguenze della occupazione militare, anche il crescente successo del movimento indipendentista a Trieste. onorevoli colleghi , un anno fa, parlando appunto di questa questione, mi astenni, per pudore di italiano, dal dire che, se lasciavamo marcire la situazione, ci esponevamo a sorprese anche in campo elettorale. oggi Il Corriere della Sera scrive che, a Trieste, il dilemma è fra italiani democratici e italiani indipendentisti; oggi il sindaco democristiano di Trieste prende posizione contro « la massa grigia » dei suoi amministrati che accusa di vedere con favore gli anglo-americani. onorevole De Gasperi , saremmo arrivati a questa situazione se nel 1948, o al più tardi nel 1949, avessimo chiesto l' applicazione dello statuto di Trieste? prendo atto della sua dichiarazione e gliene lascio la responsabilità. vuol, dire che, per il capo del governo , l' avere a Trieste un governatore straniero, ma un governo italiano e una Assemblea costituente italiana in grado di difendere efficacemente la causa dell' italianità nella città e in tutta l' Istria e peggio che avere Tito a Buie e gli anglo-americani a Trieste. beninteso, onorevole De Gasperi , io mi rendo conto che molte cose, che erano possibili fino al 1950, sono diventate oggi più difficili. e così mi spiego il discorso che il ministro Sforza pronunciò a Genova nel maggio scorso ponendo in maniera ufficiale il problema della, revisione del trattato. suppongo che egli ubbidisse alla preoccupazione di allargare il problema, per disincagliarsi dalla posizione polemica impossibile nella quale si era messo facendosi mallevadore della validità non della « dichiarazione » ma della « raccomandazione » del marzo 1948. non so se in quel momento il ministro Sforza venisse a vedere « il dì della lode » . un giorno glielo domanderemo, giacché è importante sapere che cosa lo mosse e lo determinò in quel momento. temo tuttavia che al presidente del Consiglio abbia legato il di della lapidazione. certo è che se l' onorevole De Gasperi dovesse tornare da una conferenza, internazionale portando nel suo bagaglio una nuova promessa di carattere morale, si esporrebbe davvero al rischio di essere lapidato! ora, l' ostacolo dov' e, onorevoli colleghi ? l' ostacolo è che la soluzione del problema di Trieste, come, la soluzione del problema della revisione del trattato per tutto quanto si riferisce alla zona adriatica, passa per Belgrado. ed anche voi, onorevoli colleghi , avete contribuito a ciò, anche voi avete portato il vostro granellino di sabbia alle fortune politiche del Capo dello Stato jugoslavo. nella misura in cui ponete i problemi europei nei termini drammatici di una lotta mortale fra il mondo cristiano e il nuovo mondo degli infedeli, nella misura in cui orientate i vostri spiriti, e non soltanto i vostri spiriti, ma la vostra politica, verso la crociata del mondo cristiano e occidentale contro quello che chiamate il mondo scristianizzato dell' Oriente, voi contribuite positivamente alle fortune di Tito. il Pentagono americano ragiona in termini di strategia; si tratti di Tito, si tratti di Franco, si tratti dell' Arcangelo Gabriele e di Belzebù, i generali americani pesano tutto e tutti su una bilancia che il generale Bradley ha detto l' altro giorno essere quella dei valori strategici. nell' ambito della politica americana l' amicizia di Tito non ha, purtroppo, prezzo. per i militari americani Tito è l' uomo che ha fatto arretrare la cosiddetta linea della civiltà cristiana ed occidentale dall' Adriatico al Danubio. e questo agli occhi loro conta più della valutazione onesta ed obiettiva dei nostri interessi a Trieste. per la verità, onorevoli colleghi , insistendo sul « pericolo mongolo » e altre piacevolezze del genere, voi fate il gioco di Tito come la socialdemocrazia fa quello di Franco. ed è inutile che il giorno dopo, in nome di Trieste e degli interessi italiani nell' Adriatico, voi prendiate posizione contro gli appetiti o le sopraffazioni di Tito, o che la socialdemocrazia invii al dipartimento di Stato dei telegrammi, per deplorare gli accordi con Franco. occorre agire sulle cause, non sugli effetti. onorevole presidente del Consiglio , noi non cederemo alla tentazione di rallegrarci che le cose siano arrivate a questo punto, prima di tutto perché non c' è nessuna ragione per noi di rallegrarcene, e poi perché siamo di fronte a problemi che riguardano la patria e la collettività nazionale e nei confronti dei quali noi ci augureremmo di aver torto, se voi foste in grado di trovare una soluzione. dico di più: dico che, se potessimo concorrere, in una misura qualsiasi, alla ricerca di una soluzione sodisfacente per la nazione, siamo pronti a farlo, giacché consideriamo il problema di Trieste e dell' Istria al disopra delle nostre contese di politica interna e di politica sociale . non possiamo, però, rinunciare al nostro dovere, che è quello di dire al paese che, senza una nuova politica generale e senza una nuova politica estera , questi problemi si aggroviglieranno ancora di più e da difficilmente solubili, che sono nel momento in cui parliamo, potranno diventare insolubili o essere rivolti contro di noi. ed eccomi alla politica interna . nell' ordine del giorno dei gruppi parlamentari socialisti, al quale mi sono già riferito, noi domandavamo una politica interna « di difesa e di consolidamento della democrazia, nel rispetto della Costituzione repubblicana » e di « attuazione delle sue garanzie di libertà e dei suoi postulali sociali » . ciò comportava, a giudizio nostro, il rovesciamento della politica che porta il nome del ministro Scelba. le elezioni di primavera sono state una condanna per la politica di tutto il Governo, ma lo sono state, in modo particolare, per la politica del ministro dell'Interno . del resto, onorevoli colleghi di parte democristiana, voi avete rilasciato di ciò una regolare ricevuta, quando nel vostro convegno di Grottaferrata avete approvato un ordine del giorno , nel quale si rileva che « la conquista del potere da parte del bolscevismo continua ad essere la minaccia più grave che incombe sulla vita politica italiana » . non so in che misura voi credete a questa affermazione; però essa è assai curiosa. voi non siete più soltanto al Governo del paese, ma da tre anni in qua esercitate il potere, nel senso più assoluto del termine. il ministro Scelba ha avuto tutti i poteri, e quelli che non ha avuto se li è presi. egli costa al contribuente italiano per spese di polizia 105 miliardi e 659 milioni di lire . ha al suo attivo — o al suo passivo, a giudizio nostro 90 mila arrestati in 3 anni per delitti di azione politica o sindacale, e di questi 8 mila soltanto condannati (troppi, ma notate la sproporzione fra arrestati e condannati se volete avere un' idea degli arbitri ai quali i servizi del ministro dell'Interno si sono abbandonati). i suoi bollettini di trionfo contro il « culturame » contro la « feccia sociale » , squillano ancora nelle nostre orecchie. e voi dite al paese: « non siamo riusciti a nulla, dobbiamo ricominciare tutto » . ma con quale spirito volete ricominciare? con quali direttive? la dichiarazione governativa si è iniziata con un bollettino di vittoria: l' interdizione della partecipazione dei giovani italiani al Festival di Berlino . ho letto stamattina che 1500 giovani italiani sono sfilati ieri a Berlino fra gli applausi di tutta la popolazione. bisognerà che voi ringraziate di ciò il ministro Scelba senza del quale la partecipazione dei nostri giovani al Festival di Berlino non avrebbe avuto alcun particolare rilievo. se capisco bene, il nostro buon Tonengo vuol dire che anche ai tempi di Hitler e di Mussolini non bastava togliere i passaporti per impedire alla gente di fare quello che credeva di dover fare. inoltre la dichiarazione del Governo enuncia tutta una serie di minacce che vanno dalla restrizione della libertà di stampa alla incriminazione degli oppositori della politica estera del Governo in base all' articolo 244 del codice penale . avant' ieri l' onorevole Togliatti ha pregato il guardasigilli di applicare l' articolo 244 ai Comitati civici ; io approfitto del fatto che il neoguardasigilli, mio conterraneo, è al banco del Governo , per rivolgergli un' altra preghiera: applichi l' articolo 244 del codice penale al suo collega ministro della Difesa , il quale, nel corso delle recenti elezioni, ha potuto esprimersi sul conto di un paese straniero in questa forma elegante: « venga Baffone in Italia che gli taglieremo i baffi! » . è vero, onorevole Zoli, che il ministro Pacciardi, dette queste storiche parole, crollò sulla tribuna svenuto. non so se sia un' attenuante, comunque ritengo che il presidente del Consiglio sarà d' accordo con noi almeno per deplorare che il ministro della Difesa tenga un simile linguaggio. ma c' è, onorevoli colleghi , una minaccia nella dichiarazione governativa, che non si presta allo scherno, non si presta allo scherzo, che è di natura ben più grave, ed è quella che riguarda la, libertà dello sciopero, e in particolare le condizioni fatte ai dipendenti dello Stato. lo sciopero recente dei funzionari pubblici è stato equiparato nel discorso del presidente del Consiglio ad un atto di sabotaggio della produzione. il presidente del Consiglio ha sollecitato le Camere ad approvare la legge Piccioni che aggrava le pene previste dagli articoli 459, 508 e 623 del codice penale , i quali si riferiscono appunto ai reati di sabotaggio economico, occupazione di terre, occupazione di aziende. ora, anche a questo proposito, mi consenta il ministro guardasigilli di rivolgergli un' altra preghiera: non attenda dalle Camere l' approvazione del disegno di legge del ministro Piccioni, proceda immediatamente in base ai sopraindicati articoli del codice penale . sono sicuro che non troverà un magistrato, un giudice, che voglia rendersi complice e responsabile di una tale infamia giuridica e morale. infine, il presidente del Consiglio ha annunciato un ordinamento giuridico del lavoro destinato, secondo le sue parole, a favorire la rappresentanza sindacale dei lavoratori liberi negli organi propulsori della produttività. che cosa vuol dire questo strano linguaggio, onorevole presidente del Consiglio ? di quali rappresentanze sindacali libere si parla? dopo aver introdotto una discriminazione tra gli Stati, dopo aver introdotto una discriminazione tra i cittadini, pretendete dunque di introdurre una discriminazione tra i sindacati? oserete sostenere che liberi lavoratori sono quelli che aderiscono alla Confederazione bianca, mentre sarebbero degli schiavi le centinaia di migliaia, i milioni di lavoratori che aderiscono alla Confederazione generale italiana del lavoro ? se pretendete qualche cosa, di questo genere (ed io vorrei augurarmi di interpretare male il vostro discorso), assumetevi allora la responsabilità di uno stato di permanente agitazione nel mondo del lavoro , il quale non può accettare discriminazioni di tale natura e di tale portata. onorevoli colleghi , la mancanza in Italia di una politica interna e la sostituzione ad essa di una politica di polizia, mai sono state così evidenti come nei casi che concernono il movimento neofascista. l' onorevole De Gasperi ci ha sollecitati ad adottare la legge-Scelba, che e dinanzi al Senato e che conferisce al Governo, sul piano nazionale, ed ai prefetti su scala locale la facoltà di sciogliere le organizzazioni neofasciste, una volta che queste siano state denunciate alla magistratura, e in attesa del giudizio della magistratura. credo che fossero presso a poco dello stesso tenore gli emendamenti alla legge del 3 dicembre 1947 proposti alla Costituente dai nostri colleghi Schiavetti e Gullo e respinti dalla maggioranza, su proposta dell' onorevole Bettiol. vedremo la legge, la discuteremo, proporremo gli emendamenti che riterremo necessari. in ogni caso non saremo noi a negare al Governo, anche a questo Governo nel quale non abbiamo fiducia, i mezzi di cui esso crede di aver bisogno per attuare la disposizione XII della Costituzione. però, credo vi siano tre osservazioni da fare. la prima è che la legge attuale contro le mene fasciste sarebbe bastata, sempre che il Governo avesse voluto applicarla. la seconda è che non è stato serio da parte del ministro Scelba presentare la legge solo quando il movimento « missino » ha finito per costituire una minaccia elettorale per il suo partito. la terza — la più importante — è che, se può essere eccezionalmente necessario dare al Governo mezzi di polizia adeguati perché sia rispettata la disposizione XII della Costituzione, ciò che per noi costituisce un imperativo morale e politico, non è però con dei mezzi di polizia che si vince la lotta contro il tentativo di resurrezione del movimento fascista. non è avvenuto per caso, onorevoli colleghi , che la disposizione della quale discutiamo figura fra le norme transitorie della Costituzione, e non nel corpo stesso delle norme permanenti della Carta Costituzionale . ciò vuol dire che noi costituenti, quando discutemmo il problema, pensammo che il mezzo valido per impedire qualsiasi resurrezione di spirito o di attività fascista fosse quello di consolidare il costume democratico, applicando integralmente la Costituzione repubblicana. guai a noi se, fidando su una legge di polizia, non ci rendessimo conto delle ragioni politiche che hanno provocato l' efflorescenza di spirito neofascista! allorché il sesto gabinetto De Gasperi si presentò alla Camera, io sorpresi alcuni colleghi dicendo che andavamo verso una situazione in cui avremmo sentito parlare più spesso di neofascismo e di movimento monarchico. ciò è avvenuto, ed è avvenuto per le ragioni che indicai allora, perché abbiamo fatto una politica estera di umiliazione dei valori nazionali; perché il Governo non ha fatto verso i ceti medi e verso i ceti intellettuali del nostro paese quel che doveva fare, sicché essi appaiono nella attuale struttura sociale italiana come l' asino paziente e bastonato; perché non si è fatta la riforma della burocrazia e non si è restaurato il pieno valore morale e professionale della funzione pubblica . ora, se non si pone rimedio a queste cose, inevitabilmente, per una via o per l' altra, avremo un ritorno dei giovani alle forme istintive di negazione dei valori e della vita democratica , ed avremo la minaccia, la sola da temersi, che le forze della destra economica e politica mettano la mano su questi movimenti giovanili per servirsene a difesa non tanto e non solo dei loro interessi, quanto dei loro privilegi. e in materia di politica interna ho ancora due questioni da porre al presidente del Consiglio . la prima riguarda le elezioni amministrative . debbo ancora capire perché si è ricorso al sistema che è stato chiamato delle elezioni « a singhiozzo » . taluno si è richiamato al precedente del 1946, evidentemente non valido, in quanto se allora noi dovemmo fare le elezioni a scaglioni fu perché non avevamo neanche le matite di cui fornire gli uffici elettorali e meno che mai avevamo un servizio minimo di polizia (del quale del resto non sentivamo il bisogno) per garantire lo svolgimento delle operazioni elettorali. tutta questa materia, signori, è regolata dal decreto legislativo del 7 gennaio 1946, il quale dispone tassativamente che allo scadere del quadriennio le amministrazioni siano rinnovate. ed è vero che nel febbraio 1950, in assenza di ogni iniziativa da parte del Governo, il nostro vicepresidente onorevole Targetti prese l' iniziativa di presentare un disegno di legge — che fu approvato — di proroga dei consigli comunali fino alla nomina dei nuovi, ma allo scopo, e lo disse, che l' intero Consiglio comunale potesse rimanere in carica anche allo scadere del quadriennio, e tutti i poteri non andassero al sindaco o alla Giunta, o, peggio ancora, ad un commissario. tuttavia già allora il ministro dell'Interno , su un punto almeno d' accordo con noi, prese l' impegno che le elezioni si sarebbero fatte al più presto. si sono fatte, parzialmente, un anno dopo, perché questa discussione avveniva nell' aprile del 1950 e le elezioni sono state indette nel maggio-giugno del 1951. come fa il Governo a lasciare intendere che, giacché il 4 novembre vi sarà il censimento, non si faranno le elezioni amministrative nelle regioni del centro d' Italia dove non sono avvenute, cioè nel Lazio e nell' Umbria, e nelle province meridionali ed insulari? quale legge lo autorizza ad un tale arbitrio, se non la paura dell' elettore? orbene, come non abbiamo voluto la discriminazione tra gli Stati, quella tra i cittadini, quella tra i sindacati, così non vogliamo la discriminazione tra i comuni e facciamo formale proposta al Governo perché completi le elezioni amministrative comunali e provinciali entro l' anno, e più precisamente nell' autunno prossimo. ma vorrei che il presidente del Consiglio sodisfacesse un' altra mia curiosità, che riguarda la legge elettorale politica. si sente dire (sarà vero, non sarà vero, non sono in grado di appurarlo) che, al Viminale, dei soloni di diritto o di imbrogli elettorali lavorano giorno e notte per scovare un sistema di voto che sia alla misura delle attuali difficoltà della Democrazia Cristiana . onorevoli colleghi , una delle cause di discredito degli istituti parlamentari è nella frequenza con cui maggioranze occasionali creano, inventano leggi elettorali alla misura, appunto, delle loro esigenze momentanee. ogni sistema ha le sue leggi: il sistema della democrazia parlamentare , in un paese come il nostro, a multipli partiti, trova la sua legge nella proporzionale. il leader spirituale della maggioranza, don Luigi Sturzo è stato il più coerente difensore della proporzionale e, nella sua vigorosa polemica, egli ha negato, sovente con grande efficacia, che i mali della democrazia moderna fossero imputabili al sistema della proporzionale. del resto, avete fatto, onorevoli colleghi , l' esperienza degli apparentamenti; non credo ne siate eccessivamente sodisfatti: Saragat lo è ancora meno di voi. e le prospettive, per quanto riguarda l' ultimo turno delle elezioni, sono per voi ancora più sfavorevoli. ma, onorevoli colleghi , c' è sotto gli occhi di tutti un esempio davanti al quale non è possibile chiudere gli occhi: parlo della Francia, dove i partiti di terza forza , per dare stabilità al Governo col sistema degli apparentamenti, hanno ridotto la Francia senza Governo dalle elezioni del 17 giugno in poi. no, onorevole Saragat, per tenere De Gaulle lontano dal potere sarebbe bastato e basterebbe che socialisti e democratici non considerassero figli di nessuno i cinque milioni di elettori comunisti. in verità — e Saragat lo sa — la vera crisi francese incomincia adesso con la Camera introuvable, e l' umiliazione dei mal élus i quali mancano della « buona coscienza » democratica di cui ella, onorevole Saragat, è alla ricerca, e senza della quale, come giustamente ha detto, non si può affrontare la battaglia politica. ci risparmi quindi il Governo ulteriori manipolazioni elettorali; il miglior sistema di voto è quello della proporzionale. esso esige una certa dose di intelligenza politica, di cui ci si illude di poter fare a meno quando si dispone di una maggioranza assoluta . ma, in verità, anche le maggioranze assolute subiscono le crisi, come lo dimostrano i casi attuali della Democrazia Cristiana . poche parole per quanto riguarda il programma governativo in materia economico-finanziaria, giacché su questo punto il pensiero del nostro gruppo è stato espresso (e non poteva esserlo in termini migliori) dall' onorevole Riccardo Lombardi. anche qui vorrei ricordare il testo stesso della deliberazione con la quale domandavamo « la difesa del tenore di vita dei lavoratori, l' assorbimento della disoccupazione, lo sviluppo dei beni strumentali oggi sacrificati al riarmo, il controllo dei monopoli come avviamento alla loro nazionalizzazione » . vale a dire che ci facevamo propugnatori di una politica economica finanziaria che ha vasti consensi anche all' interno della Democrazia Cristiana , ma che non sappiamo in che misura diventerà la politica del nuovo Governo. forse, solo la risposta del presidente del Consiglio ci permetterà di capire alcune cose. per esempio: l' onorevole Pella, contro chi ha vinto o da chi è stato vinto? non lo sappiamo ancora, dato che la politica dell' onorevole Pella era, attaccata da due lati: dai fautori del piano della Confederazione generale italiana del lavoro , e, in genere, dai fautori di una politica finanziaria di più ampio respiro e più elastica; ma anche da elementi i quali rimproveravano al ministro del Tesoro (oggi ministro del Bilancio , senza chiare funzioni) di aver opposto resistenza al riarmo. perché l' onorevole Campilli è ministro dell' Industria e commercio quando tutto quello che abbiamo letto delle discussioni svoltesi nei convegni parlamentari ed extra parlamentari della Democrazia Cristiana portava a credere che la Democrazia Cristiana , o una larga frazione di essa, volesse a quel posto l' onorevole Fanfani? perché l' onorevole Fanfani è all' agricoltura e l' onorevole Segni all' istruzione pubblica? se l' onorevole Fanfani è all' agricoltura per passare dallo stralcio della riforma agraria alla riforma agraria : egli può contare sul nostro appoggio: se fosse all' agricoltura per insabbiare anche lo stralcio della riforma agraria , ci sarebbe da domandarsi per quali mai ragioni egli è potuto apparire fino ad oggi il rappresentante delle correnti sociali più avanzate della Democrazia Cristiana . se l' onorevole Segni va al ministero dell' Istruzione pubblica per ridare alla scuola pubblica il prestigio e l' autorità di cui ha bisogno, egli avrà il nostro concorso; se ci va per attuare la riforma Gonella, che gli specialisti sono concordi nel considerare non soltanto sbagliata, ma pericolosa, anche per lui vale il dubbio se meglio non avrebbe provveduto al suo prestigio restando fuori del Governo. voglio comunque richiamare ancora una volta la Camera alla scelta, di fronte alla quale noi l' avevamo già posta due anni or sono, tra investimenti per opere produttive e civili e la corsa agli armamenti al di là di un certo limite. in verità, il presidente del Consiglio ha scelto. e noi dovremmo essergli grati di averlo fatto senza tentare di nascondersi dietro le esigenze della difesa del paese, delle quali ha sovente parlato, e qualche volta addirittura abusato, nella sua propaganda elettorale. egli ha detto che il suo Governo vuole che l' Italia sia un socio « sicuro e valido » dell' Alleanza Atlantica . sta bene. ma allora, onorevole presidente del Consiglio , non dica subito dopo che « le spese militari (io aggiungo: spinte al di là di un certo limite) non arrestano le riforme economiche e sociali, non rendono impossibili le provvidenze indispensabili, non vengono riversate sulle spalle dei più deboli » . se questo fosse vero, le richieste degli statali sarebbero state in larga misura già sodisfatte; se questo fosse vero, le domande dei pensionati dello Stato e della previdenza sociale avrebbero trovato favorevole accoglienza. se questo fosse vero, il Governo non lascerebbe languire in una situazione di cose che diventa ogni giorno più intollerabile 2 milioni di disoccupati e 2 milioni di lavoratori che non hanno nessuna garanzia, se non saltuaria di lavoro. se l' onere delle spese militari nei limiti fissati dall' America non dovesse gravare sulle spalle dei più deboli, nel programma del Governo avremmo trovato almeno il progetto di una tassazione straordinaria del capitale, il progetto del controllo dei consumi di lusso, quello della limitazione dei dividendi, come è applicata in Inghilterra. non abbiamo trovato niente di lutto ciò e non abbiamo purtroppo speranza di sentirci promettere e, soprattutto, di veder fare qualcosa in questo senso. in tal caso, nessuno sui banchi del Governo o della maggioranza si illuda che le cose possano durare a lungo quali sono, senza squilibri molto seri dell' apparato statale e della vita civile della nazione. ed ora posso rispondere all' onorevole Saragat. avevo già qualcosa da dirgli anche se non mi avesse direttamente interpellato. quello che dirò a lui vale non solo per i suoi compagni, ma anche per le sinistre della Democrazia Cristiana ; soprattutto per quei vasti ceti medi che si interrogano con ansietà sulla prospettiva e la possibilità di un cambiamento nella vita politica del paese che non sia la rivoluzione. non farò perdere tempo alla Camera sugli aspetti personali e di natura psicologica di una parte del discorso dell' onorevole Saragat. ho l' impressione che, parlando di un mio scetticismo, egli abbia un po' sovrapposto se stesso a me. scetticismo è lo stato di spirito di chi sta alla finestra. io alla finestra non ci sono stato mai. del resto non era scettico neanche l' onorevole Saragat all' epoca cui si riferisce, quindici-sedici anni or sono. io ricordo il suo strazio morale: il termine non è inesatto. viveva in una specie di esilio nell' esilio, in un piccolo paese della Provenza, un po' lontano da tutti. assisteva allo scandalo della democrazia (quella socialdemocratica e quella democristiana) nei confronti della Spagna. mi scriveva di faticare per respingere la tentazione di andare alla più vicina sezione comunista per chiederne la tessera; e in quella sua indignazione morale era il riflesso della sua costante preoccupazione per le sorti della libertà. non credo che la socialdemocrazia, che abbiamo insieme combattuto allora, sia oggi migliore. credo sia peggiore, molto peggiore. se facessi il raffronto fra gli uomini, ciò risulterebbe assolutamente evidente. meglio sarebbe fare il raffronto sul pensiero e sul linguaggio. non solo i socialdemocratici di oggi non hanno quasi più nulla in comune con l' originario pensiero della socialdemocrazia europea, ma non ne hanno più neanche il linguaggio. stare in mezzo a loro è una mortificazione per chi conserva il pensiero e il linguaggio socialisti; è come sedere fra stranieri di cui non si capisce la lingua. se è vero ciò che l' onorevole Saragat ha detto di una notevole parte dei democristiani, che essi in materia sociale sono soltanto dei liberali della vecchia scuola, a ugual ragione si può dire dei socialdemocratici di oggi che, anche nei confronti delle frazioni più moderate della socialdemocrazia di un tempo, essi appaiono come un riflesso lontano e indefinibile di qualcosa che fu e non è più. però, tutto ciò interessa poco; soprattutto, non interessa la Camera. la socialdemocrazia esiste. è una forza in Inghilterra e nei paesi scandinavi, dove dirige la politica di lavoratori. è una forza nella Germania occidentale . in Francia è una debolezza. in Italia è soltanto la debolezza di una debolezza. però, per chiunque abbia un' abitudine di pensiero e di analisi socialista dei fatti ciò che esiste va preso in considerazione; e lo sforzo dev' essere di estrarre da ciò che esiste tutto ciò che di meglio può dare. per queste ragioni, del discorso dell' onorevole Saragat prenderò atto soltanto della parte positiva. ci interessa e ci fa piacere che egli abbia preso posizione contro la legge sindacale democristiana; ci trova consenzienti la sua appassionata denunzia dello scandalo della evasione dei capitali e delle evasioni fiscali; ci conviene la presa di posizione in favore della riforma agraria e del controllo dei monopoli; ci rallegra trovarlo, quattro anni e mezzo dopo la scissione, in istato di sfiducia nei confronti delle possibilità del centro democratico cristiano di fare una politica sociale corrispondente alle esigenze del paese; sul patto atlantico la sua posizione è inaccettabile per noi del partito socialista italiano. ma è già qualcosa che egli non sia sulla linea dei « clericali » o dei « crispini » del patto, che si proponga di evaderne, che ci stia come si sta in una stazione ferroviaria per prendere il treno verso altri lidi che non siano più quelli della guerra, per fare quanto è possibile, o per lo meno quanto dipende da noi, onde superare l' attuale stato di cose . onorevole Saragat, se non istallarsi nel patto atlantico vuol dire per i socialdemocratici italiani combattere, come fa la sinistra inglese del labour party , come fa l' ex ministro Bevan, contro l' oltranzismo americano; se non installarsi nel patto atlantico — vuol dire impedire che la corsa agli armamenti travolga ogni possibilità moderna di vita civile e sociale; se non installarsi nel patto atlantico vuol dire contrastare la politica americana in Spagna non soltanto con un telegramma ma con una azione, ebbene noi avremo allora molte occasioni di confondere i nostri voti insieme e di confondere insieme la nostra azione. se l' accusa che Saragat rivolge alla Democrazia Cristiana di asservimento alla destra economica è una cosa seria non solo sul piano individuale e morale, non solo cioè come fatto di coscienza ma come fatto politico, se egli e i suoi amici vogliono sul serio la democrazia economica di cui ha parlalo (e senza della quale, siamo d' accordo, la democrazia parlamentare è una lustra e sovente una menzogna) ebbene, anche in questo caso, caro Saragat, ci troveremo a camminare sulla stessa strada. noi saremo avanti di una lunghezza, e non sarà male: ma vi daremo la voce quando si approssimerà la meta che vogliamo raggiungere. il vero problema è quello di sapere se la socialdemocrazia italiana vuole sul serio le cose che dice di volere. questo non è solo il dramma, della Democrazia Cristiana ma è anche quello della socialdemocrazia, la quale non riesce ad essere sul serio quello che dice di volere essere, e cade quindi anch' essa nell' immobilismo. manca ai socialdemocratici la Virtù, con la iniziale maiuscola, di cui scrive Machiavelli, che Marx e Lenin hanno praticato, e che consiste nel volere i mezzi che concorrono a raggiungere il fine. chi parla di dittatura? se l' onorevole Saragat vuole la democrazia nelle fabbriche, egli non potrà rifiutare di marciare insieme con gli operai della fabbrica, anche se questi sono comunisti, contro il suo desiderio. se vuole condurre a fondo la lotta contro l' evasione fiscale dei capitali e contro i monopoli, non può rifiutare di lottare insieme con quella vasta parte della massa popolare che fa capo al partito comunista . se vuole la riforma agraria , non può rifiutare la collaborazione, sul piano dell' azione quotidiana, coi braccianti dell' Emilia o delle Puglie e coi mezzadri della Toscana, anche se sono comunisti. questo è il problema, e così credo di avere già risposto al processo che l' onorevole Saragat faceva, assai sommariamente, delle mie responsabilità. se io avessi seguito Saragat nella scissione a destra del 1946, oggi sarei qui a dire le stesse cose che egli ha detto, sarei qui a confessare che la collaborazione non ha sortito nessun effetto, a manifestare alla Camera le mie « grandi perplessità » . ma che se ne fa la Camera delle nostre perplessità? con le perplessità non si manda avanti la ruota della storia. con l' azione unitaria, qualche cosa è andato avanti e qualche cosa andrà avanti. per venti anni cosa abbiamo fatto. noi antifascisti? appartenevamo alle tendenze più diverse, dà don Sturzo fino a Togliatti, dai socialisti fino ai liberali di destra; avevamo poco in comune come prospettiva avveniristica, avevamo da combattere in comune la lotta contro il comune nemico, e lo abbiamo vinto. conclusa la battaglia, sono naturalmente riapparse le diversità, ma intanto una tappa era stata superata. Saragat mi ha accusato di porre al movimento popolare finalità inaccettabili e irraggiungibili. ma quali finalità, onorevole Saragat? le mete del movimento popolare non si identificano affatto con gli scopi finali del partito comunista o di quello socialista; il movimento popolare in Italia lotta per le stesse cose che sono state sostanzialmente reclamate sabato scorso dal collega Saragat: una riforma agraria sul serio, la lotta sul serio contro i monopoli, la trasformazione dei rapporti sociali. deciderà la storia se, realizzate queste riforme, il mondo del lavoro si orienterà in un senso o in un altro; se si orienterà, come desidera Saragat, verso una concezione socialdemocratica della vita, o verso ma concezione sovietica della vita: lo deciderà la storia, ma intanto quello che è necessario è muoversi per raggiungere nuove tappe: e non e possibile farlo senza e contro le masse lavoratrici . quali mete, dunque, dobbiamo raggiungere? oggi, per noi, tutto è nella formula: « la Costituzione e niente altro che la Costituzione » . e se uno dei colleghi democristiani mi facesse il cattivo scherzo di chiedermi se ciò sta scritto nel patto di unità d' azione, io dovrei pregarlo di rivolgersi al mio amico Saragat che è stato il principale redattore del patto: egli sa meglio di me quello che c' è scritto o non c' è scritto; io ne conosco soprattutto lo spirito, che mi interessa più della lettera. il patto di unità di azione non è il protocollo che regge i rapporti tra le due frazioni della socialdemocrazia, e le immobilizza tutte e due in attesa che si dividano di nuovo. il patto di unità d' azione è una politica che non interessa soltanto i lavoratori socialisti e comunisti, ma interessa tutto il paese, interessa tutti i ceti sociali progressivi. e a me non importa niente che Saragat non voglia rapporti organici col partito comunista o magari non ne voglia con noi: quello che mi importa è che egli, i suoi amici, il suo gruppo, i ceti che rappresenta lavorino nella direzione della democrazia economica e della pace, il che basterà a determinare convergenze le quali poi troveranno l' espressione politica e organizzativa che ad esse e al paese convengono. il discorso vale per Saragat, vale anche per i colleghi della Democrazia Cristiana , assai numerosi, i quali non pensano che la Democrazia Cristiana abbia come unica formula di Governo quella prospettata dall' onorevole De Gasperi col suo settimo gabinetto. vorrei dire a questi colleghi che gravi sono le nostre responsabilità, ma gravi sono anche le loro. noi risolviamo il problema delle nostre responsabilità offrendo il nostro aiuto a chi cammina in avanti, un aiuto che offriamo senza nessun sottinteso, senza nessuna manovra, senza nessuna intenzione di creare organizzazioni di superpartito. noi siamo pronti ad aiutare qualsiasi corrente di pensiero e di azione democratica e progressiva. noi daremo il nostro concorso a tutte quelle forze politiche che vogliono spezzare il monopolio della destra economica e della destra politica. questo è il problema di oggi, onorevoli colleghi , ed è un problema che impegna la responsabilità delle correnti progressive della, Democrazia Cristiana . io non ho il diritto di entrare nella vita intera della Democrazia Cristiana se non nella misura in cui quello che avviene nella Democrazia Cristiana incide profondamente nella vita generale del paese. ora, che cosa avviene? voi siete, onorevoli colleghi della Democrazia Cristiana , soggetti ad una pressione che, per essere sotterranea, non e meno formidabile, e tende a spingervi su posizioni di estrema destra ; tende ad imporvi, sotto colore di solidarietà nazionali, la collusione col neofascismo; tende a portarvi su delle posizioni alla Salazar, se non alla Franco. queste cose non le dico io solo. queste cose, in un momento di sincerità, le ha dette il presidente del Consiglio . io sono sorpreso dello scarso rilievo che hanno avuto nella stampa le parole del presidente del Consiglio al convegno dei segretari della Democrazia Cristiana a Firenze, allorché disse: « la battaglia presentemente aperta è quella delle pressioni » , e quando ricordò la sua drammatica esperienza del 1923-1926 allorché la Democrazia Cristiana di allora, il Partito Popolare , fu spezzato per interventi esterni, onde costringerlo alla capitolazione dinanzi alla dittatura di Mussolini. in quel suo discorso l' onorevole De Gasperi non ha esitato a fare accenno agli « uomini della Chiesa » che allora condussero l' azione per disgregare il Partito Popolare . che cosa rappresenta l' articolo del signor Gedda, di cui oggi tutta la stampa parla, se non questo: che una organizzazione, quella dei Comitati civici , che finora ha agito nascostamente, ormai si è svelata come promotrice della involuzione a destra della Democrazia Cristiana ? si preme sulla Democrazia Cristiana per farle rompere ogni legame non soltanto con noi, i reprobi per eccellenza, ma anche con quelle forze democratiche e laiche che non si identificano al 100% con la politica del 18 aprile. di questo pericolo vorrei che l' onorevole presidente del Consiglio , come ha parlato ai segretari del suo partito, parlasse al paese dalla tribuna parlamentare. e vorrei che di ciò parlassero gli uomini più fedeli alla democrazia repubblicana e più aperti alla democrazia economica, del partito al potere. se noi ci ponessimo di fronte allo stato attuale delle cose con lo spirito del cupio dissolvi , noi, dopo tutto, potremmo anche dire: « affar loro! » . preferiamo dire: affare di tutti; anche affare nostro. affare della vostra responsabilità, ma anche della nostra. noi non siamo fuori della nazione o fuori della democrazia: noi siamo dentro la nazione e fedeli alla patria, noi siamo dentro la Repubblica e fedeli alla Costituzione. è proprio per questo, che in un momento in cui avvertiamo la gravità della crisi della democrazia, noi ci rifiutiamo, onorevoli colleghi , di considerare preclusa ogni possibilità di distensione internazionale. voteremo, quindi, contro il Governo, del quale onestamente diciamo che non sappiamo se sia coscientemente già acquisito al complotto della destra economica e politica, ma che per la sua composizione e per il suo programma, ci appare organicamente incapace di realizzare la condizione pregiudiziale di una nuova politica; di associare, cioè, le masse popolari allo Stato ed alla nazione, con un vincolo di fiducia nella lealtà del Governo, e di tutti verso gli interessi generali della nazione e verso la Repubblica, che, sorta per volontà di popolo, vive della fedeltà del popolo, e con voi, senza di voi, magari contro di voi farà quello che deve fare: avanzerà cioè sulla via della pace, della libertà e della democrazia economica.