Pietro NENNI - Deputato Opposizione
I Legislatura - Assemblea n. 618 - seduta del 22-12-1950
Sull’amministrazione della giustizia
1950 - Governo II Prodi - Legislatura n. 15 - Seduta n. 267
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , la mozione presentata e illustrata dall' onorevole Giavi ha ripreso il testo di un paragrafo di una mozione già discussa e respinta dalla Camera e che, presentata dal gruppo parlamentare socialista, conteneva appunto l' invito al Governo di cogliere tutte le occasioni che si fossero presentate per arrivare ad una mediazione della crisi coreana, ponendo fine, il più rapidamente possibile, al conflitto. in tali condizioni è evidente come da parte nostra non vi fosse motivo alcuno perché non ci associassimo, come effettivamente ci associamo, all' invito in essa rivolto al Governo o di indirizzare la sua azione diplomatica verso soluzioni concordate, negoziate, tali da allontanare o attenuare le difficoltà in mezzo alle quali attualmente si dibatte non soltanto l' Estremo Oriente , ma, ben può dirsi, tutto il mondo. e, se noi avessimo questa sera sentito nelle parole del ministro degli Esteri e nelle sue dichiarazioni sulla recente conferenza di Bruxelles una nota nuova, una nuova impostazione, magari soltanto un accento nuovo, saremmo lieti di cogliere l' occasione di chiudere con un voto di unanimità, un dibattito, sotto molti aspetti, assai interessante. senonché vorrei sapere in base a quali fatti concreti possa il Governo asserire che la mozione in discussione non fa che ribadire il principio al quale esso ha ispirato tutta la sua azione politica, tutta la sua azione diplomatica. onorevoli colleghi , sta di fatto che negli ultimi tempi il Governo ha avuto almeno due occasioni che gli consentivano di dare alla sua politica un accento diverso e di sottolineare la volontà di favorire soluzioni negoziate e di compromesso. ha avuto questa occasione quando gli è stato chiesto, anche da onorevoli colleghi della maggioranza, di riconoscere il governo della Repubblica popolare cinese e di entrare con esso in relazione. il Governo non solo non ha colto l' occasione, ma di recente, dando un' interpretazione inaccettabile degli avvenimenti dell' Estremo Oriente , ha respinto l' invito di riconoscere la Cina accusandola di nutrire non si sa quali propositi aggressivi. la Camera ricorda che il ministro degli Esteri , rispondendo ad un' interruzione del collega Pajetta, ebbe a dichiarare come egli stesse per riconoscere la Cina quando da tale pensiero ed iniziativa fu dissuaso per l' appoggio, allora soltanto morale, dato dai cinesi al popolo coreano . v' è stata un' altra questione, forse più importante, e comunque più sensibile alla nazione, che poteva offrire occasione al Governo di dimostrare come la sua politica non sia puramente e semplicemente ricalcata su quella degli USA; accenno alla questione del riarmo della Germania. il paese avverte il rischio che il riarmo tedesco fa correre alla pace del mondo, dell' Europa, dell' Italia. il Governo no; ed anche di recente, preparando l' azione diplomatica che il ministro degli Esteri avrebbe dovuto svolgere alla conferenza atlantica di Bruxelles, esso ha se mai accentuato l' aspetto inconsiderato della sua adesione al riarmo germanico. come è allora possibile, onorevoli ministri; com' è possibile, onorevole presidente del Consiglio , asserire (quando non sia per puro espediente polemico) che i principi a cui si ispira la mozione Giavi sono quelli ai quali il Governo si è attenuto finora nella sua attività diplomatica? onorevoli colleghi , noi abbiamo ascoltato questa mattina un deputato della maggioranza sostenere lo slogan dei bellicisti americani « meglio Dunkerque che Monaco » . si tratta di una monumentale sciocchezza, di un riferimento del tutto arbitrario a fatti sui quali il giudizio della storia è ormai definitivo. al momento di Dunkerque, l' Inghilterra non aveva alcun modo di chiudere la guerra con una pace degna di uomini liberi; gli americani in Corea potevano, dopo di aver raggiunto il 380 parallelo — e possono oggi, malgrado la rotta delle loro divisioni — chiudere onorevolmente il conflitto coreano. sarebbe stato criminale da parte dell' Inghilterra trascurare nel tragico 1940 la possibilità di una pace onorevole, ove questa possibilità fosse esistita; non esito a considerare criminale il rifiuto opposto dall' America al ritiro delle sue truppe e di ogni soldato straniero dalla Corea. e l' altro termine dello slogan (Monaco) quale rapporto ha con l' odierna situazione? che cosa è Monaco nella storia? non un negoziato, non una trattativa, e neppure un compromesso: sibbene una capitolazione; un tradimento inteso a distogliere il potenziale aggressivo della Germania hitleriana dall' Occidente per dirigerlo verso l' Oriente. non vedo, in verità, quale rapporto l' onorevole Paolo Treves trovi tra la capitolazione di Monaco e il nostro invito ad una pace negoziata in Corea. comunque Dunkerque non c' entra, né si tratta di fare una nuova Monaco. il problema è un altro; il problema e di sapere se si vogliono delle soluzioni di forza o delle soluzioni di giustizia. lo slogan « meglio Dunkerque che Monaco » è un modo come un altro per respingere le soluzioni di giustizia. se quindi, onorevoli colleghi , noi non possiamo ravvisare nel « sì » del Governo alla mozione in discussione altro che un espediente di tattica parlamentare, mi consenta tuttavia la Camera di rallegrarmi per le dichiarazioni che abbiamo udito e, prima di tutto, per le nobili parole dell' onorevole Giordani. è un segno dei tempi cogliere sui più diversi settori della Camera l' espressione, più o meno aperta, delle ansie, dei dubbi, delle esitazioni di larghi strati dell' opinione media di fronte alla politica estera del Governo. quanto hanno detto l' onorevole Giavi, l' onorevole Giannini, l' onorevole Chiostergi, e quanto ha detto lo stesso onorevole Calosso — a prescindere dalle punte polemiche contro di noi che non costituiscono la sostanza del dibattito — sta a dimostrare come anche in Italia — dove si era tanto in arretrato rispetto ad altri paesi nella coscienza di ciò che ha da essere una politica europea — si cammini verso una valutazione nuova e moderna degli interessi dell' Europa, abbandonando l' utopismo federalistico o il sogno del Governo unico mondiale, per valutare concretamente la diversa e antitetica posizione che America ed Europa sono indotte ad assumere di fronte alla eventualità di una terza guerra. il giorno in cui i nostri colleghi andranno al fondo dell' autocritica che hanno intrapreso arriveranno a quelle posizioni neutralistiche di terza forza che stanno prendendo tanta consistenza non soltanto in Francia e nei paesi europei , ma financo in America, come dimostrano recenti dichiarazioni e clamorose polemiche tra i più alti esponenti del Congresso e della stampa d' oltre Atlantico. in che consiste, onorevoli colleghi , a mio giudizio, l' antitesi fra la politica che noi possiamo praticare nei confronti di una eventuale terza guerra e la politica americana? sto infatti facendo una dichiarazione di voto . dichiarare il proprio, voto sarebbe l' esercizio più facile e più meccanico, se non comportasse il dovere di una chiara anche se concisa motivazione. poteva avvenire; signor presidente , che nessun intervento da parte nostra fosse necessario in sede di votazione, se le dichiarazioni del Governo fossero state diverse e reali. dicevo dunque che noi attribuiamo una grande importanza al fatto che si vada risvegliando nei ceti medi e intellettuali la coscienza del senso diverso che ha per l' Europa e per l' America l' eventualità della terza guerra. per l' America, l' Europa occidentale è soltanto uno spazio strategico, un avamposto e in una certa misura una fascia di protezione. dietro questo spazio strategico o questo avamposto, l' America ha due linee sulle quali dare battaglia: ha quella che il generale Donovan a chiama la « linea mediterranea » , cioè l' Africa col suo prolungamento naturale verso il cuore dell' Asia attraverso il Medio Oriente ; ed ha la linea, e all' occasione il vallo, dell' Atlantico e del Pacifico. per noi la situazione è completamente differente, giacché qualunque sia il giudizio che portiamo sulla situazione attuale e sulle cause che l' hanno determinata, per noi la terza guerra sarebbe la distruzione fisica, la fine dell' Europa, e a maggior ragione dell' Italia. ecco perché ci compiaciamo di dichiarazioni come quelle dei firmatari della mozione Giavi, dichiarazioni ancora nebulose, ma che nel loro inesorabile sviluppo conducono allo sganciamento dall' America; alla coscienza che per noi italiani ed europei il dilemma nella guerra non sarebbe « essere difesi od essere liberati » perché difesi e liberati potremmo essere solo a prezzo della distruzione fisica del nostro paese. si potrebbe cioè liberare soltanto un cadavere chiamato Europa o chiamato Italia, non la vivente Europa o la vivente Italia che amiamo e ci interessano. così, quando dai banchi della Democrazia Cristiana si accenna, come fu fatto ieri, alla eventualità della occupazione come a cosa provvisoria, noi abbiamo l' impressione di avere a che fare con dei pazzi o, se volete, con dei mistici, i quali non riescono a valutare in termini concreti le cose di cui discorrono con fatua leggerezza. voglio fare ancora due osservazioni. la prima e questa: ho l' impressione che nella attuale discussione si sia sopravalutato il rischio immediato della guerra e sottovalutato il fatto, più reale e concreto, che siamo entrati in una crisi sociale e politica sulla cui gravità penso che nessuno si faccia la benché minima illusione. si è detto del riarmo germanico che c' est la guerre! può essere vero. i moventi che hanno indotto uomini delle più diverse opinioni politiche ad enunciare questo timore sono già stati illustrati, né ho l' abitudine di tornare sulle cose già dette e dimostrate. penso, tuttavia, che vi possa, essere qualche cosa, se non di peggio della guerra, almeno di più immediato come pericolo, cioè una fase, anche assai lunga, senza pace e senza guerra. molti colleghi ricordano forse il discorso pronunciato da questi stessi banchi nel 1920 dall' onorevole Claudio Treves quando, di fronte all' ingiunzione « o fate la rivoluzione subito o lasciateci tranquilli » volta ai settori della destra, annunciava che non vi sarebbe stata né la rivoluzione né l' ordine, ma l' espiazione, come inesorabile corollario del crimine della guerra. ebbene, una situazione del genere sta delineandosi dal 1947 in Europa come conseguenza della politica americana del patto atlantico ed è destinata ad acuirsi a seguito delle deliberazioni testé prese a Bruxelles. noi andiamo verso un periodo, che sarà probabilmente assai lungo, in cui non avremo la pace e non avremo la guerra, ma una lunga serie di crisi interne ed internazionali che metteranno a durissima prova le istituzioni democratiche o anche soltanto liberali. la corsa al riarmo, signori, è destinata a scavare sotto i piedi della società borghese un vortice forse altrettanto insondabile e profondo quanto la guerra. non credo, onorevoli colleghi , di esagerare asserendo che, armandosi, l' Europa si disarma; intendo dire che cedendo alla folle illusione e di proteggersi buttando ogni sua risorsa nel riarmo e andando a combattere il bolscevismo — come essa dice — in Corea o sul Reno, essa lo suscita in casa sua; altrimenti detto, cercandolo di fronte rischia di esserne come avvoltata ed accerchiata. è una prospettiva che l' ottimismo superficiale respinge come respingeva quella di Claudio Treves; ma è tuttavia una prospettiva di cui ognuno scorge i sintomi nella situazione interna italiana, in quella francese, e in ognuno dei paesi dove la tensione è maggiore e a proposito dei quali ben può dirsi che gli anarchici, i nichilisti, i sovvertitori sono i fautori della corsa al riarmo, e i soli conservatori intelligenti sono coloro che rimangono fedeli alla politica della pacifica coesistenza in Europa e nel mondo dei due sistemi sociali e politici e che al bellicismo americano oppongono una neutralità che tenga il paese fuori della terza guerra. la seconda osservazione che voglio fare — innanzi di concludere — è questa. onorevoli colleghi , avete valutato l' elemento tempo? oggi, un certo vecchio mondo europeo, pieno di rancori per quanto è successo negli anni 1943-45, s' affida, per rinascere o sopravvivere, al riarmo della Germania e al confluire tempestivo delle divisioni americane in Europa. ma, onorevoli colleghi , quanto tempo, ci vorrà? gli uomini del mestiere prevedono che per riarmare la Germania, a parte ogni valutazione sulle difficoltà politiche, ci vorranno tre o quattro anni; il capo della socialdemocrazia tedesca, Schumacher, conferma che si deve prevedere un periodo minimo di tre anni. d' altro canto la gente del mestiere considera che, prima che l' America sia in grado di schierare in Europa una forza militare efficiente per una guerra offensiva, dovranno passare almeno due o tre anni. allora, io vi pongo il problema: l' America può sopportare per tanto tempo lo sforzo a cui si sottopone con lo stato di emergenza e con la trasformazione della sua economia di pace in economia di guerra? taluni rispondono no, altri rispondono sì...... ed è materia opinabile. sicuro è invece che l' Europa non è in grado di sopportare un simile sforzo, e meno che mai è in grado di sopportarlo l' Italia, che, nella scia della politica americana, prepara a se medesima le più tristi ed amare disillusioni. l' opposizione non può quindi accogliere la versione ottimistica che della politica del Governo ha dato il ministro degli Esteri , come se essa fosse diretta a ristabilire e consolidare la pace ricreando le condizioni della collaborazione dell' Occidente con l' Oriente. onorevole Sforza, in questi giorni, leggendo i Venti anni di vita politica del senatore Albertini, mi ha colpito l' analisi penetrante e sufficientemente spregiudicata ed obiettiva che il fu direttore del Il Corriere della Sera fa delle condizioni nelle quali l' Italia si lasciò irretire nella Triplice e offri il collo al cappio dell' alleanza con la Germania. degne di meditazione per lei, per noi, per tutti mi sono sembrate le considerazioni di uno dei suoi predecessori, Visconti Venosta , il quale, pronunciandosi contro l' alleanza, giustamente reputava che, se fossimo stati attaccati dalla Francia, la Germania sarebbe venuta in nostro aiuto anche se non le eravamo alleati, mentre ad esserlo l' Italia correva il pericolo di doverla seguire non tanto come una alleata, quanto come uno sgherro. come vorrei che ella facesse tesoro delle parole di un uomo che le fu, credo, maestro nella iniziazione alla carriera diplomatica! e come vorrei che la maggioranza comprendesse alfine che, se l' ipotesi che è alla base di tutta la politica estera del Governo, la sola che la spiega pur senza giustificarla, se l' ipotesi da noi scartata come innaturale ed impossibile di una aggressione dell' Italia da parte dell' Unione Sovietica dovesse verificarsi, l' aiuto dell' America e della Gran Bretagna all' Italia è scritto nelle cose senza bisogno di patti e di alleanze. l' alleanza invece crea a voi una situazione già divenuta insostenibile, espone il paese a rischi mortali, apre un insanabile conflitto interno, vi spinge in conseguenza a ricercare mezzi polizieschi di repressione che stanno distruggendo lo Stato democratico , riserva a voi e al paese il ruolo di sgherri. noi approviamo l' invito a negoziare la pace coreana contenuta nella mozione Giavi, sottoscriviamo l' invito alla riunione a « quattro » per risolvere la questione tedesca e a « cinque » per risolvere i problemi dell' Estremo Oriente , ma consideriamo una menzogna l' adesione del Governo una menzogna consapevole che ad esso è imposta dalla necessità in cui si trova di ingannare il paese sulle conseguenze di una politica, di un metodo, di atti che fanno del Governo e vorrebbero fare del popolo lo sgherro degli USA.