Pietro NENNI - Deputato Opposizione
I Legislatura - Assemblea n. 581 - seduta del 07-11-1950
Informativa urgente suglisviluppi del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani
1950 - Governo II Prodi - Legislatura n. 15 - Seduta n. 143
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , la mozione che il gruppo socialista ha presentato il 26 settembre, benché venga discussa a sei settimane di distanza, nulla ha perduto — io credo — della sua importanza e della sua attualità. presentata all' indomani della riunione a New York della V sessione del Consiglio atlantico , essa era stata concepita e redatta in termini che hanno dovuto in seguito essere meglio precisati con l' emendamento di cui è stata data or ora lettura in quanto, dopo di allora, il problema dell' esercito unico atlantico è stato ampiamente dibattuto dalla stampa internazionale e negli altri parlamenti. alla riunione dei ministri degli Esteri ha fatto seguito di recente, quella dei ministri della difesa, le cui deliberazioni lasciano ritenere si sia entrati nella fase esecutiva con la designazione in pectore del capo dell' esercito unico, che sembra debba essere il generale americano Eisenhower, e con una certa ripartizione dei diversi contributi nazionali al costituendo esercito unico. in tali circostanze mi pare evidente come non possa reggere e non regga la tesi della cosa giudicata, alla quale avevano fatto accenno alcuni giornali, quasi prospettassero l' intendimento del Governo e della maggioranza di considerare l' adesione al patto atlantico come definitiva e impegnativa non solo per quanto si riferisce all' applicazione degli impegni che esso effettivamente comporta, ma anche in rapporto agli eventuali suoi sviluppi e superamenti. ora in regime di democrazia parlamentare non vi è mai una materia della quale si possa dire che è cosa giudicata una volta per sempre, e quand' anche si volesse considerare, come ritiene il Partito di maggioranza , che sull' adesione e la ratifica del patto atlantico non ci sarà motivo e occasione di ritornare, resta pur vero (vero non solo per noi, ma, penso, anche per la maggioranza) quanto è stato detto da un autorevole parlamentare di parte democristiana, e che cioè non vi è un solo modo di promuovere gli interessi del paese nell' ambito della comunità atlantica. del resto, onorevoli colleghi , non era e non è negli intendimenti del gruppo parlamentare socialista riaprire la discussione generale sul patto atlantico . ciò verrà fatto a suo tempo davanti al popolo, il quale, su questa materia estremamente delicata, non ha mai avuto occasione di pronunciarsi e non ha dato alla maggioranza parlamentare , e quindi meno che mai al Governo, il mandato di sottoscrivere accordi di carattere militare, che, anzi, su codesta questione esso è stato ingannato nelle elezioni del 18 aprile, in occasione delle quali i partiti di maggioranza non lasciarono neppure supporre che stessero per coinvolgere la nazione in una politica di alleanze militari. l' opposizione non può che prendere atto della dichiarazione dell' onorevole Gonella, ministro-segretario del partito, e cioè che la Democrazia Cristiana considera che l' adesione al patto atlantico non sia più materia di discussione. una simile dichiarazione ha probabilmente un valore assai relativo per la stessa Democrazia Cristiana ; comunque, non ne ha per il paese, e a maggior ragione non ne ha per noi che l' adesione non l' abbiamo mai data. la nostra riserva vale anche per le recenti dichiarazioni che in questa materia sono state fatte dal presidente del Consiglio davanti al gruppo democristiano della Camera, dove egli ha sostenuto avere l' adesione al patto atlantico presentato un carattere tale di necessità da far sì che Governo e maggioranza non potessero sottrarvisi, ha negato ogni fondamento alle riserve che ha chiamato « del senno del poi » e ha dichiarato che la neutralità non esiste, per ragioni geografiche, strategiche e morali. per parte nostra intendiamo ribadire che consideriamo l' adesione data dalla maggioranza al patto atlantico come determinata non da uno stato di necessità, ma da una impostazione di politica estera sulla quale hanno influito più il fanatismo di parte che non una serena valutazione degli interessi del paese e degli obblighi che si assumevano in suo nome. così, e per la stessa ragione, non possiamo convenire con la critica del presidente del Consiglio , « al senno del poi » , riferita evidentemente a quanti uomini della maggioranza, nel Parlamento o nel paese, dopo aver aderito al patto atlantico in uno stato di isterismo anticomunista, si reggono conto oggi dell' errore compiuto e della responsabilità assunta facendo ricadere sul paese obblighi che, a prescindere da ogni altra considerazione, esso non è in grado di sopportare e di sodisfare... infine è ovvio che noi respingiamo l' affermazione del presidente del Consiglio sulla neutralità impossibile per ragioni geografiche, politiche o morali. a più di un anno di distanza dalla ratifica del patto atlantico , ritengo sia più che mai evidente come la neutralità dello Stato (che è cosa diversa dalla neutralità degli individui o dei partiti, questa sì, moralmente impossibile) non soltanto fosse possibile ma fosse la sola forma valida di garanzia della sicurezza internazionale e interna del paese che una classe dirigente cosciente delle sue responsabilità doveva ricercare e promuovere. ciò è tanto più vero oggi che un anno e mezzo fa, in quanto si sa con certezza che la maggioranza, se avesse seguito una politica estera impostata sul principio della neutralità, avrebbe potuto ottenere sia la garanzia degli USA che quella dell' Unione Sovietica e dell' Onu evitando al paese le difficoltà nelle quali, presentemente si trova. né. io credo, onorevoli colleghi , si possa prendere sul serio l' argomento di cui si valse il ministro della Difesa , in sede di discussione del bilancio della guerra, allorché disse che se avesse presentato alla Camera il bilancio di una Italia neutrale, si sarebbe trovato nella necessità di chiedere al Parlamento ed al paese sacrifici cinque o dieci volte più gravi. il ministro della Difesa deve sapere che, per un paese come l' Italia, la garanzia della, sua sicurezza alle frontiere è più un problema politico che strettamente militare, o meglio di garanzie politiche che non di garanzie militari. non è affatto vero che se la maggioranza avesse seguito una politica di libertà dagli impegni militari la nazione si troverebbe a dover sopportare un peso militare cinque o dieci volte superiore all' attuale. anzi, a giudizio nostro, la maggiore responsabilità del Governo, e della maggioranza parlamentare , è proprio quella di non avere tentato nulla nel senso da noi indicato, compromettendo il paese, in maniera sempre più irreparabile nella lotta degli USA contro l' Unione Sovietica , lotta che, secondo i termini di cui si è servito, inaugurando i lavori del Consiglio della difesa, il generale Marshall, è appena cominciata. ed è vero, onorevoli colleghi , questa lotta è appena cominciata. è appena cominciata. in Asia, dove noi ci sbagliammo, allorché mossi da profonda ammirazione per lo sforzo, eroico del popolo coreano sperammo che esso, fosse in grado di ricacciare in mare le truppe americane, ma dove un errore di proporzioni maggiori è, stato compiuto da voi, signori della maggioranza, che avete troppo presto gridato vittoria e considerato che tutto fosse finito e liquidato, sol perché la superiorità militare degli USA su quel piccolo paese aveva capovolto la situazione sul 38° parallelo . niente è finito! la pagina, aperta in Asia con l' intervento americano, non è ancora da voltare, e gli avvenimenti dimostreranno quanto si è detto da noi fin dall' inizio, e che cioè la spedizione punitiva degli americani contro i coreani rischiava di riaprire tutta le questione asiatica. la lotta è appena incominciata in Europa. ed è singolare come, in tali condizioni, il Governo bruci dal desiderio di gettarsi in un conflitto che ha un senso, per l' America, ma non ne ha alcuno per l' Italia, ove si considerino le cose non in base ai sentimenti o risentimenti di questo o di quella parte politica , ma lo sguardo fisso all' interesse fondamentale della nazione, al suo presente ed al suo avvenire. onorevoli colleghi , è nel quadro dello sviluppo della lotta appena iniziata che una volta ancora invitiamo la maggioranza a riflettere seriamente sugli impegni che il Governo ha assunto o sta per assumere ed a valutare se non si presenti l' occasione se non di rovesciare di un tratto la politica fin qui seguita, almeno di fissarne i limiti inderogabili al Governo. che si tratti di una situazione nuova, credo non occorra dimostrarlo. è molto probabile che gli stessi USA un anno e mezzo fa non pensassero all' esercito unico e considerassero il patto atlantico , nei suoi aspetti politici, come sufficiente alla politica che chiamavano del containment. noi abbiamo detto allora le ragioni per cui consideravamo pericolosa quella politica e assurdo ed impossibile che l' Italia con essa si compromettesse. l' errore fatale della politica del containment e la causa del suo insuccesso sta, a nostro giudizio: in ciò: che gli USA non volevano contenere un espansionismo dello Stato sovietico il quale mettesse in pericolo la loro sicurezza o quella dei loro alleati (Inghilterra, Francia, Italia), volevano invece contenere ciò che nessuna forza può contenere, e cioè l' azione liberatrice dei popoli coloniali e semicoloniali dell' Asia e l' azione delle masse popolari e proletarie europee che non mette in pericolo la sicurezza degli USA, ma — semmai — un determinato sistema politico e sociale. gli USA hanno assunto una, vera e propria funzione di gendarmi del mondo: gendarmi di sistemi sociali e politici consunti e condannati, gendarmi dell' imperialismo in Asia e in Africa. il problema dei rapporti di sicurezza fra i due maggiori Stati contemporanei, l' Unione Sovietica e gli USA, erano e rimangono di relativamente facile soluzione, e la soluzione era già stata trovata a Yalta e a Potsdam. altra cosa è invece la garanzia che oggi si ricerca contro i rischi delle rivoluzioni interne. ed è talmente vero che si tratta di ciò, e non della sicurezza degli USA o della Gran Bretagna o della Francia e dell' Italia, che, allorquando il generale Marshall (il quale non per caso è alla testa dell' organizzazione militare degli USA, dopo di aver dato il suo nome al piano dei « generosi » aiuti) quando il generale Marshall vuole individuare il nemico col quale l' America e in lotta parla del comunismo, adopera un linguaggio politico, ideologico, di religione, nel comunismo identificando le forze che hanno battuto l' imperialismo in Cina e lo affrontano in questo momento in Indocina, che hanno combattuto e combattono in Corea, le forze che hanno impedito che l' Asia, dopo essersi liberata dell' imperialismo europeo, diventasse un mercato aperto alle mercanzie e ai capitali degli USA! il generale parla del comunismo, non dell' Unione Sovietica , non di questo o quel determinato paese! so bene, onorevoli colleghi , che tra i movimenti di liberazione in Asia, tra le lotte di classe o politiche in Europa e l' Unione Sovietica v' è un rapporto ideale e di fatto. è il rapporto creato 33 anni or sono dalla rivoluzione di ottobre, alla quale va il nostro commosso saluto! un rapporto, signori della maggioranza, che potrei chiamare anch' io di religione; il rapporto tra il grande movimento universale di riscatto e di liberazione del proletariato, col paese dove il socialismo è già vittorioso. ora, gli sviluppi della politica atlantica di fronte ai quali ci troviamo, da cosa derivano, onorevoli colleghi ? a mio giudizio derivano dal fatto che il patto atlantico si è rivelato uno strumento inefficace, onde l' America è costretta a passare ad uno stadio più avanzato della lotta, ad uno stadio, il quale (v' è motivo di temere) precede la guerra preventiva ; lo stadio dell' organizzazione sotto il suo comando dell' esercito unico atlantico. il ministro Sforza, qualche giorno fa, alla Commissione degli esteri fece una osservazione, sulla cui importanza ho avuto per parte mia motivo di riflettere. disse che un anno e mezzo fa, allorché si preparava il patto atlantico , il non automatismo degli impegni fu voluto dagli USA, i quali non volevano troppo impegnarsi in Europa. ebbene, oggi, gli USA sono pronti, a quanto si dice, ad inviare alcune divisioni in Europa, e ciò solo basterebbe ad indicare di quanto in breve spazio di tempo la situazione si sia aggravata. come è possibile allora sostenere che l' esercito unico costituisce uno sviluppo puro e semplice del patto atlantico , tale da non comportare oneri nuovi e più gravosi impegni, sui quali il Parlamento e il paese debbono pronunciarsi in piena conoscenza di causa? io esaminerò, assai rapidamente, questi nuovi impegni dal triplice punto di vista della sovranità nazionale, del loro automatismo, dei rischi e sacrifici che comportano per l' Italia. onorevoli colleghi , la sovranità nazionale non è un mito per i socialisti, non è qualcosa di inalienabile. la civiltà va verso forme di convivenza e di organizzazione plurinazionali e internazionali, e nessuno ha più contribuito del socialismo a rompere gli schemi nazionalistici. senonché, il problema è di stabilire per quale fine si chiede la limitazione della sovranità nazionale, e a beneficio di chi e di che cosa. la nostra Costituzione consente limitazioni della sovranità nazionale nel solo caso in cui ciò sia considerato necessario per realizzare un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, ripudiando — secondo stabilisce l' articolo 11 — « la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali » . si può arzigogolare fin che si vuole: nessuno in buona fede potrà stabilire un nesso fra la limitazione della sovranità nazionale quale è contemplata dall' articolo 11 della nostra Costituzione e l' esercito unico, la cui azione, già in tempo di pace — ecco la novità — sarà diretta da un organismo plurinazionale, nel quale il comando toccherà agli USA, e dove avranno voce in capitolo gli Stati maggiori dei maggiori alleati: Inghilterra, Francia, Canadà. ancora più evidente appare il fatto che la formazione dell' esercito unico fa cadere la non automaticità degli impegni contemplati dal patto atlantico . io ho sempre sostenuto che l' automaticità delle cose sarebbe stata più forte della non automaticità degli impegni, così come erano contemplati nel patto. ma la mia tesi ha sempre incontrato la più aperta ed assoluta disapprovazione del presidente del Consiglio , del ministro degli Esteri , del Governo nel suo insieme, della maggioranza, i quali tutti hanno affermato che l' adesione italiana al patto atlantico fosse stata data soltanto in quanto appunto si trattava di impegni non automatici. allorché si trattò di ratificare il patto, la maggioranza dette il suo voto dopo una dichiarazione del presidente del Consiglio , nella quale egli dichiarava come il patto escludesse perentoriamente che si potesse « sparare subito » prima che il Parlamento venisse convocato per decidere se sussistesse l' attacco e quindi l' obbligo dell' intervento. nella medesima occasione il Governo pubblicò un comunicato ufficiale in data 19 marzo 1949, che diceva così: « non è previsto l' intervento automatico. l' esclusione della automaticità è dettata dalla necessità di rispettare le prerogative dei parlamenti. il governo italiano è in grado di dichiarare che quanto sopra è conforme all' interpretazione ed alla volontà dei sette Stati promotori » . per sostenere la sua tesi il Governo si fondava sulla interpretazione degli articoli 3, 5 e 11 del patto. non vi è dubbio, infatti, che l' articolo 3 lascia sussistere una alternativa fra azione separata o congiunta e che l' articolo 5 ribadisce tale alternativa, ed in una certa misura ne amplifica la portata, là dove dichiara che le forme dell' intervento, « ivi compreso l' impiego delle forze armate » sono lasciate alla decisione dei singoli contraenti. inoltre l' articolo 11 del patto stabilisce che le disposizioni del trattato verranno applicate dalle parti conformemente « alle rispettive regole costituzionali » , cioè, per quanto ci riguarda, conformemente all' articolo 78 della nostra Costituzione, che conferisce alle Camere, e ad esse soltanto, il diritto di dichiarare lo stato di guerra . senonché, onorevoli colleghi , cosa diventa l' alternativa fra azione separata o congiunta; cosa diventa la facoltà teorica che l' articolo 5 ci lascia nelle forme e i modi di un eventuale intervento; cosa ne e dell' articolo 78 della nostra Costituzione, se la maggioranza, sanzionando col suo voto l' adesione. data dal Governo all' esercito unico, la organizzazione e dislocazione del quale già in tempo di pace e affidata ad un comando straniero, metterà praticamente la nazione alla mercé delle decisioni impegnative ed irrevocabili di codesto comando? mi si risponderà probabilmente che una via di uscita v' è, in quanto resterà pur sempre da definire chi è l' aggressore e chi l' aggredito. è un' assai vecchia storia che ha dato luogo a dispute storicamente mai risolte e meno che mai risolte sul terreno dei fatti, fin da quando, dal Grozio in poi, v' è un diritto internazionale . una quarantina di anni or sono l' ambasciatore. Barrère diceva al ministro Prinetti che delle guerre è responsabile più sovente chi le provoca che chi le dichiara. comunque, dove sia la provocazione non mi pare dubbio, se sulla base dei fatti nuovi ci domandiamo per quale ipotesi l' Italia potrebbe trovarsi in guerra; dobbiamo escludere l' aggressione diretta e ritenere che l' obbligo dell' intervento nascerebbe per il nostro paese automaticamente dall' impiego dell' esercito unico, o di uno dei suoi reparti in uno qualsiasi dei settori contemplati dal patto nord-atlantico. il giorno in cui ciò avvenisse, chi può sostenere con un minimo di buona fede che esisterebbe non dico per il Parlamento, ma per lo stesso Governo, la possibilità di sganciamento alla quale fece riferimento il presidente del Consiglio in sede di discussione della ratifica del patto atlantico ? in verità l' intervento ci verrebbe imposto dalle cose. nella misura in cui l' esercito unico sarebbe impegnato nella guerra, lo sarebbero i paesi che concorrono alla sua formazione, ed ogni via di salvezza, ogni ricorso alla vecchia tesi della non automaticità degli impegni, cadrebbe di fronte alla guerra in atto prima di qualsiasi intervento del Parlamento o anche soltanto del Governo. quanto al capitolo dei sacrifici e dei rischi noi abbiamo parlato chiaramente un anno fa, e del nostro grido di allarme si amò dire che fosse dell' allarmismo dettato da speculazioni politiche. ma può la maggioranza rifiutarsi ancora di accettare la discussione su questo aspetto del problema? purtroppo l' epoca dei sacrifici non è più di la da venire, non è un' ipotesi, non è una creazione della nostra immaginazione o un espediente per tenere in istato di ansia e di preoccupazione il paese, ma è il fatto dominante della vita nazionale. il Parlamento si trova già di fronte al problema di un ulteriore aumento delle spese militari ed alla incidenza che tali spese avranno sull' attività generale, economica e sociale del paese. con rammarico e anche un poco con sdegno, alcune settimane or sono abbiamo visto intervenire nella discussione il signor Dayton, che non so se si consideri proconsole o governatore americano in Italia, e che comunque si dà le arie del protagonista di uno dei nostri romanzi, Il padrone sono me . egli non si è peritato di intervenire sui temi fondamentali della nostra vita economica e sociale, con l' evidente intento di spingere il Governo su una via sulla quale — se sono esatte le cose che si dicono — esso incontra delle notevoli resistenze in seno allo stesso gabinetto. vedete (bizzarria delle cose): la Repubblica muove i primi passi ed abbiamo, come il regno ai suoi primi passi , i nostri megalomani e i nostri micromani. agli albori del regno, era definito un micromane il conservatore Stefano Jacini che, insieme con i primi socialisti, prendeva posizione contro la politica degli armamenti sostenendo l' esigenza politica e sociale che l' Italia, prima di affrontare i problemi di potenza, risolvesse quelli di esistenza. allora i megalomani erano Crispi e i primi nazionalisti i quali, indifferenti allo spettacolo della miseria italiana, credevano che il problema preminente della nazione fosse quello di darsi una struttura e una forza militare per inserirsi nel giuoco delle grandi potenze. la caratteristica del megalomane è il desiderio bruciante di strafare ed è la sproporzione tra i fini che si propone e la realtà delle forze nazionali. il ministro Sforza, in occasione di una nostra recente polemica, si rallegrò che lo avessi definito megalomane (ed aveva ragione, dopo tanti anni che si sentiva tacciare di rinunziatario!). ma veda, onorevole Sforza, tra spirito di megalomania e spirito di rinunzia il passo è breve e si fa presto a superarlo. tanto è vero che , proprio mentre l' onorevole ministro degli Esteri tornava da New York tutto fiero degli impegni assunti, proprio allora si esercitava sul Governo una forte pressione alleata affinché si facessero altre concessioni a Tito, e all' Onu si avviavano a soluzione i problemi del lavoro italiano in Eritrea in modo da far temere che stia per accrescersi notevolmente il numero dei profughi del Africa, che costituiscono una piaga dolorosa della nazione. megalomane appunto è la tendenza a far assumere alla nazione impegni e obblighi che, a prescindere da ogni valutazione di carattere morale, storico o politico, sono sproporzionati ai nostri mezzi. io non so come nel Consiglio dei ministri si sia risolta la controversia tra il neo-micromane ministro Pella, e il ministro Pacciardi, che impersona il personaggio del neo-megalomane; per quanto io tema, e preveda, una soluzione a favore del secondo, più aderente alla logica della politica generale del Governo. comunque, il problema è grosso, e lo sente la maggioranza, e, più che la maggioranza, lo sente il paese; direi che lo sentono anche gli uomini più qualificati del Governo, a cominciare dal presidente del Consiglio , il cui discorso alle Acli ha mostrato, a mio giudizio, la perplessità della sua coscienza di fronte alla coincidenza fra gli impegni assunti dalla Democrazia Cristiana dinanzi al popolo relativamente alle riforme sociali (costose prima di diventare redditizie) e la necessità di provvedere affrettatamente e avventatamente al riarmo. la maggioranza è sembrata per un certo tempo incline all' ottimismo mostrando di credere o di sperare che si sarebbe potuto avere secondo dice il vecchio proverbio contadino la botte piena e la moglie ubriaca. ma così non è, e la maggioranza dovrà scegliere fra la sua timida politica di riforme sociali (a giudizio nostro, tragicamente al di sotto delle esigenze sociali e politiche del paese, benché pur sempre preferibile al niente) e il riarmo che, in mancanza di soluzioni drastiche, divorerà nei prossimi due anni tutte le risorse della nazione. io penso che, se la maggioranza non avrà la forza di svincolarsi, mentre ancora è possibile, dagli impegni militari, dovrà poi seguire la china fino in fondo, fino a sacrificare non solo le riforme, ma addirittura il già bassissimo livello di vita delle masse popolari , e ad aggravare le contraddizioni interne nelle quali ci dibattiamo. penso che, se non dice basta e non delinea nettamente il limite dei suoi impegni, la maggioranza finirà per accettare ogni cosa e il paese sarà risospinto sulle vie battute fino al 1943, in fondo alle quali trovammo la duplice invasione e la distruzione dei tessuti morali della nazione, ricostituiti dopo di allora a forza di enormi sacrifici ai quali più o meno tutti abbiamo contribuito. dove va a finire, onorevoli colleghi della maggioranza, la tesi della guerra difensiva, così come era stata prospettata al paese: esclusiva difesa delle nostre frontiere? a questo proposito, il Governo non aveva mai dato una risposta sodisfacente ai nostri quesiti; non aveva mai detto in quali condizioni, dove e come potesse nascere una minaccia alle nostre frontiere, e da parte di chi; non aveva neppure tentato di corredare la tesi della minaccia sovietica non dico di una prova, ma neppure di una induzione o presunzione la quale si fondasse su una certa logica o una certa verosimiglianza; non era mai riuscito a dimostrare come, perché e in quali condizioni un' Italia decisa a tenersi fuori dalle competizioni imperialistiche dovesse temere di essere aggredita. un esponente del partito liberale chiese invano al Governo di chiarire, con i mezzi normali della diplomazia, le relazioni con Mosca in rapporto alla sicurezza dell' Italia. il Governo non l' ha fatto, e non lo farà, anche per l' eccellente ragione che è difficile dare corpo alle sue ombre e alle sue paure. noi pretendiamo che nessuno minacci la sicurezza e l' indipendenza del paese e che il rischio di una guerra, per noi, nella realtà del mondo quale è, nasca soltanto dalla adesione al patto atlantico e si accresca con la partecipazione all' esercito unico, che distrugge perfino la parvenza del non automatismo degli obblighi precedentemente assunti. noi domandiamo quindi al Governo se, in base all' adesione all' esercito unico, potranno truppe o comandi stranieri soggiornare in Italia e truppe italiane essere trasferite all' estero, per esempio sull' Elba. domandiamo se già in tempo di pace i reparti dell' esercito atlantico (si è parlato di quattro divisioni entro il 1951) dovranno tenersi a disposizione del comando unico per l' impiego tattico da esso deciso. domandiamo se i nostri porti ed aeroporti (si è parlato dei porti di Augusta e di Napoli e dell' aeroporto di Foggia) saranno già in tempo di pace e, a maggior ragione, in tempo di guerra basi operative dell' esercito atlantico. domandiamo se il Governo non consideri, in conseguenza, già create o in via di crearsi condizioni di fatto che chiamino la guerra in Italia, facciano di noi dei belligeranti, espongano il paese a prevedibili e tragiche rappresaglie. so bene che alcuni uomini del Governo e della maggioranza si illudono che la gravità degli impegni militari possa via via attenuarsi per il sopraggiungere di nuovi fattori, vuoi politici, vuoi militari. si è tentato di persuadere il paese che i piani strategici degli USA stanno per essere modificati, che l' urto non avverrà sul, Reno ma sull' Elba, con minore rischio, quindi, per la Valle Padana . sono conti da fare e rifare molte volte, giacché nessuno conosce l' attuale rapporto delle forze in presenza , e meno che mai il rapporto delle forze di qui a un anno o due, se la deprecata eventualità di una terza guerra dovesse realizzarsi. un simile calcolo mi sembra inficiato da molta superficialità, per non dire da molta incoscienza. ancor più grave è la tendenza di chi fatalisticamente sembra abbandonarsi al destino, pensando che, qualunque cosa avvenga, anche se, l' Italia in un primo tempo dovesse soccombere, sarà poi liberata. noi abbiamo già fatto una volta l' esperienza della liberazione! sappiamo di quante miserie, di quanti dolori, di quante sofferenze e distruzioni è materiata. e non abbiamo neanche bisogno di chiederci che cosa gli americani escogiteranno per eventualmente liberarci. il generale Eisenhower non ha che da aprire il suo cassetto e tirar fuori il famoso piano che nel 1943 mostrò al maresciallo Badoglio, dove la nostra penisola era disegnata da concentriche linee di diversi colori, ognuna delle quali indicava, con la sola esclusione della Città del Vaticano ; gli obiettivi affidati all' aviazione statunitense. i piani sono pronti. senonché noi ci domandiamo che cosa di umano sopravvivrebbe all' orrore di una simile liberazione. e qui mi assale il dubbio di aver troppo calcato sull' ipotesi della, guerra, così da ingenerare il dubbio che per noi sia cosa decisa, è in via di fatale compimento. no! nessuno di parte. nostra crede la guerra inevitabile. consideriamo la situazione come estremamente grave, guardiamo ai prossimi anni con grandi preoccupazioni, ma non accettiamo l' idea della fatalità o inevitabilità della guerra, che pure è alla base della politica del Governo, che pure e la sola sua giustificazione davanti agli uomini e alla storia. ma, proprio se si fa l' ipotesi contraria, se si ritiene che malgrado tutto gli USA non arriveranno alla guerra preventiva ed esiteranno prima di scatenare la terza guerra mondiale , se si pensa, come noi pensiamo, che le forze di pace nel mondo sono in grado di fronteggiare i pericoli di guerra (per gravi che essi siano), allora la politica del Governo appare ancor meno comprensibile e giustificabile e assume gli aspetti di una avventura e di una provocazione. lo spirito di avventura è del resto connaturato alla politica atlantica. come diversamente possiamo qualificare la deliberazione americana, che ha incontrato il pieno plauso del nostro ministro degli Esteri , di riarmare la Germania e di chiamare i generali di Hitler a difesa dell' Occidente cristiano? cinque anni dopo la fine della guerra imposta da Hitler, tre anni dopo lo spettacoloso processo di Norimberga, gli USA si presentano con il cappello, in mano ai generali di Hitler scampati all' impiccagione. ed è sorprendente, per non dire scandaloso, che il Governo abbia dato la sua adesione a un tale progetto e il ministro degli Esteri lo abbia patrocinato, malgrado le perplessità inglesi, la opposizione francese (che su questo punto ha fatto fallire la conferenza dei ministri della difesa), e le profonde divergenze e diffidenze che il riarmo solleva all' interno della stessa Germania. onorevoli colleghi , io non credo ai popoli eletti e ai popoli maledetti, ed essendo uno dei tanti che portano il lutto della delinquenza hitleriana non ho mai dei nostri lutti reso responsabile tutto il popolo tedesco ; non ho mai creduto che si potesse legare automaticamente il nome del popolo tedesco , nel suo insieme, alle guerre aggressive di Guglielmo II o di Hitler, od ai campi di sterminio di Auschwitz, di Buchenwald o di Dachau. però, signori, questo è successo; questa è la pagina più terribile della storia contemporanea; una pagina, onorevoli colleghi , che non potrà essere voltata finché le stesse classi sociali, se non addirittura gli stessi uomini, siano al potere nella Germania occidentale , e gli stessi ordinamenti sociali rischino di provocare analoghe manifestazioni di delinquenza politica e razziale. ora, ecco gli americani che vogliono conferire a questa Germania il bastone del comando in Europa. eccoli a mettere in movimento forze che essi non saranno, e l' Europa non sarà, in grado di controllare e dominare. il riarmo tedesco e prima di tutto un delitto contro. la Germania, che rischia di essere risospinta verso il disonore e l' orrore dei tempi hitleriani; è un delitto contro l' Europa, la quale vede risorgere la minaccia di un nazionalismo esasperato, che le recenti disfatte hanno reso meno che mai capace di controllo e di riflessione; ed è anche un delitto contro di noi, onorevole Sforza, contro la nazione italiana, nella misura in cui compromette i soli risultati positivi che avevamo tratto dalla prima e dalla seconda guerra liberando la nostra frontiera dalla pressione verso il sud delle genti tedesche. la Francia ha compreso e cerca di divincolarsi, per quanto lo faccia con una politica illogica, e contradittoria. la Cecoslovacchia e la Polonia, vicine alla Germania, hanno compreso tanto che, me ne dispiace per gli onorevoli colleghi della maggioranza, mai come ora in quei paesi si è affermata l' unanime volontà dei comunisti e dei cattolici contro la minaccia del militarismo tedesco. l' Unione Sovietica ha compreso e ha fatto delle proposte che stanno di fronte ai « quattro grandi » e di fronte ai popoli, assai più inclini dei governi a prenderle in seria considerazione, come dimostrano le polemiche in corso in Francia, in Inghilterra e da noi, dove e assai largo il proposito di discutere con l' Unione Sovietica e di cercare una soluzione di compromesso. i migliori tedeschi hanno compreso: hanno compreso i socialdemocratici, i quali non possono aver dimenticato la loro esperienza del 1919, quando, per fronteggiare i moti spartachiani, si misero nelle mani del generale Groner, il quale, mentre li difendeva, preparava le forche, alle quali appendere la Repubblica di Weimar . hanno compreso il pastore evangelico Neomuller, i protestanti, e perfino il vecchio Zentrum cattolico, che ha preso nettamente posizione contro il riarmo. solo il nostro Governo pare considerare con gaiezza la eventualità del riarmo tedesco, quasi ignorasse che lo si pagherà anche in moneta italiana, e lo si pagherà, soprattutto, in moneta di libertà, in quanto comporterà la sconfitta di ogni tentativo di organizzare la Germania occidentale su basi democratiche. un giornale della capitale, che non chiamerei neofascista ma fascista, ha scritto che « si tratta di una vecchia, idea gabellata per nuova » , di una delle più caratteristiche idee di Hitler, quella che il Fuhrer accarezzò nelle ultime settimane della sua raccapricciante esistenza: l' unione degli alleati alle forze tedesche contro la Russia sovietica . ed è purtroppo vero! siamo a questo punto, cinque anni dopo la fine della guerra e l' episodio conclusivo di essa: la liberazione di Berlino ad opera degli eserciti rossi! non credo che i deputati della maggioranza siano tutti indifferenti a questi problemi. non credo che quanti tra loro hanno partecipato alla Resistenza non avvertano l' assurdità del riarmo tedesco. qualunque cosa succeda, sia che gli USA portino a fondo la loro politica e si scontrino militarmente con l' Unione Sovietica , sia che si ritirino dall' Europa, essi avranno col riarmo della Germania creato in Europa un pericolo che renderà meno agevole il compito nostro e delle generazioni che verranno dopo di noi. il capitolo dei rischi non è solo di ordine politico e militare ma anche sociale, ed è sottolineato dalla compromissione in atto di tutte le posizioni democratiche in Europa: le inglesi, le scandinave, le francesi, le nostre, dove un solo passo indietro nelle riforme della struttura sociale, o un ulteriore abbassamento delle condizioni materiali di vita delle masse, rischierebbe di far crollare l' edificio instabile della democrazia parlamentare . onorevole presidente del Consiglio , anche stavolta avvicinandomi alla conclusione mi rivolgo a lei. mi ha colpito un passaggio del suo discorso in Campidoglio, un discorso ch' ella non avrebbe dovuto pronunciare non essendo conforme agli interessi del paese tentare di mettere una parte dei partigiani contro loro fratelli di sacrificio, di lotta e di morte. di quel discorso mi ha colpito il riferimento alle ripercussioni della guerra di Corea in Italia. è vero, onorevole presidente del Consiglio : si è potuto pensare ad un certo momento che il 38° parallelo passasse nella coscienza di ognuno di noi; si è potuto pensare che il 38° parallelo fosse la linea gotica , ritornata di tragica attualità. è vero che ci siamo divisi, in sudisti e nordisti, come se si fosse trattato del sud e del nord del nostro paese. ma, onorevole presidente del Consiglio , quando si è indotti a fare una tale constatazione e si dirige la politica di un paese, bisogna saper trarre alcune conseguenze. l' America può permettersi il lusso di tutti gli spropositi; la sua politica in Europa e in Italia è di un dilettantismo grottesco, quando non è soltanto stupida (come abbiamo constatato qui a Roma; alcuni giorni or sono, con la gazzarra giornalistica organizzata attorno al letto di malato del collega ed amico onorevole Togliatti); l' America può fare queste cose e poi lavarsi le mani dinnanzi alle conseguenze. il governo italiano non può farle! il Governo non ha il diritto di sbagliare! è la conseguenza da trarre dal fatto che ella ha sottolineato, dal fatto cioè che sia bastato che la guerra si accendesse in un punto assai lontano geograficamente dal nostro paese, perché anche noi ci sentissimo moralmente trascinati nel conflitto? l' insegnamento da trarre è uno solo, quello sul quale tante. volte ho richiamato l' attenzione della maggioranza, del Governo, del paese; e cioè che, se la terza guerra dovesse scoppiare, sarebbe quella che voi chiamate una guerra di religione , quella che noi chiamiamo, con linguaggio più realistico, una guerra civile ! se voi non vi rendete conto di ciò, e se non vi sforzate, come è dovere di ogni maggioranza, di tener conto anche dei sentimenti dell' altra parte del paese, voi precipiterete nell' avventura, e vi accorgerete allora quanto siano fragili le barriere dell' ordine sulle quali tanto contate. sono d' accordo con il ministro della Difesa : ce ne accorgeremo anche noi. ce ne accorgeremo tutti, e se ne accorgerà soprattutto il paese! ora, io chiedo al Governo se esso non abbia l' obbligo morale, prima ancora che l' obbligo politico, di sforzarsi di creare nell' interno un' atmosfera e condizioni di cose che riavvicinino fra di loro gli italiani, invece di separarli. io non sono di coloro i quali pensano che niente vi sia più da fare. fino all' ultimo minuto credo si possa fare qualcosa per porre la coscienza italiana al di sopra di quella che il ministro Sforza ha chiamato la « coscienza atlantica » ; qualcosa che ci consenta di trovare le basi di un onesto compromesso interno il quale, mentre assicuri alla patria il concorso di tutti i suoi figli (se essa fosse direttamente attaccata), non impegni ulteriormente la nazione in una lotta nella quale essa ha tutto da perdere. la maggioranza dia al popolo, se non a noi, le garanzie che chiediamo e un grande passo sarà fatto verso l' affermarsi della sola forza sulla quale una nazione può reggersi in caso di pericolo, quando giungesse l' ora di quelle grandi decisioni di cui ha parlato a Modena il presidente del Consiglio ; la forza che conta più degli eserciti, più delle polizie: l' unita degli spiriti, nella coscienza di un comune destino e divenire.