Alcide DE GASPERI - Deputato Maggioranza
I Legislatura - Assemblea n. 488 - seduta del 10-06-1950
Riduzione debito estero dei paesi a più basso reddito
1950 - Governo II D'Alema - Legislatura n. 13 - Seduta n. 750
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

l' onorevole Sforza ha risposto anche, in parte, alla interpellanza per tutto quel che riguarda, mi pare, spirito e mentalità armistiziale. vorrei aggiungere qualcosa con riferimento alla situazione interna, per la parte pedagogica, direi. in realtà, io che ho preso parte, insieme con altri colleghi, alla conferenza della pace: sostengo, con documenti alla mano, che noi ci siamo difesi sempre con estrema dignità, e che, se ci fu necessario talvolta ammettere errori del regime passato, lo abbiamo sempre fatto con la salvaguardia più assoluta della dignità e della fierezza del popolo italiano . d' altro canto non si può — mi pare superare lo « spirito armistiziale » seppellendo semplicemente il passato per non parlarne. seppellire il passato nel senso della pacificazione, di non cercare tutti gli elementi di contrasto e di non farli rivivere per rendere possibile una collaborazione nazionale, — una ricostituzione dell' unità morale del paese, questo è giusto, è doveroso per un Governo; ma non parlare del passato o velare gli errori passati, questo è anche un metodo antipedagogico, un metodo pericolosissimo per la gioventù che viene su e che non conosce questo passato. e non è che debba ricordare semplicemente la parte negativa. io riconosco che si debba anche esaltare tutto ciò che fu buona fede , che fu eroismo, che fu entusiasmo giovanile, ma dico che bisogna d' altra parte mettere in rilievo gli errori e le conseguenze di questi errori, la fatalità di una certa marcia che ci ha condotto alla distruzione dello Stato, che ci ha condotto al conflitto delle nazioni, fatalità che non è stata semplicemente degli italiani, ma europea, mondiale: una passione, un impeto nazionalista, nazista, fascista, che ha preso, ha dominato i popoli in un certo momento conducendoli ad aberrazioni. per questo abbiamo il dovere, come Governo, ma più ancora come società, come intellettuali, come uomini responsabili di cultura, di ricordare la storia e niente altro che la storia. noi dobbiamo desiderare vivissimamente che i giudizi passionali, che per forza di cose sono intervenuti nell' immediato dopoguerra, oggi lentamente lascino il posto a un' ampia considerazione storico-obiettiva, il più possibile serena, lontana da passioni e dalla necessità di prendere partito. questo è il nostro vivissimo desiderio, ma è anche — credo — il nostro interesse, l' interesse di tutte le parti rappresentate dai diversi settori, l' interesse di portare i giovani a meditare sopra gli errori che, abbiamo commesso. diciamo al plurale, « che abbiamo commesso » , perché vogliamo comprenderli tutti, appunto perché si impari. perché se riuscissimo o volessimo semplicemente seppellire il passato per non fare il processo al passato, per non trarne le conseguenze, ciò possiamo fare per quanto riguarda le responsabilità individuali (questo periodo sarà presto chiuso), ma non dinanzi ai compiti che ci impone la storia. sarebbe grave delitto del Governo se non avesse il coraggio di dire, di ripetere che gli errori che si son commessi sono dovuti non semplicemente agli uomini del passato, ma anche a teorie, a dottrine che si sono inoculate nelle vene del popolo italiano , in modo da renderlo così facile alla seduzione e alla suggestione. questo dovere lo abbiamo, e io dico onestamente: per parte mia non v' è considerazione elettorale che possa distaccarmi da questo senso morale della storia. guai agli uomini e guai ai partiti che indulgessero (ne abbiamo avuta l' esperienza nel passato), a facili perdoni o a facili dimenticanze, e non sapessero imprimere nella coscienza popolare il senso della responsabilità. su questo si fonda il progresso. io ciò dico non in saio di penitente parlando a nome dell' Italia, ma per tutte le nazioni. quello che è intollerabile è l' essere giudicati da nazioni le quali si trovano nelle stesse nostre condizioni, o peggio, e che, in ogni caso, non hanno avuto dalla storia questa legittimazione di giudicarci così severamente. nella relatività di questa posizione gli animi non solo dei giovani, ma anche dei vecchi si risvegliano e protestano. ma quando si tratta di considerazioni interne, fra noi, quando si tratta di pensare ai nostri figli, allora dobbiamo far sì che gli errori non si ripetano, dobbiamo far sì che non si dica che « la guerra non è perduta, perché la guerra continua » . no! no! la guerra non continua, la guerra è cessata e deve essere cessata. un grande sforzo deve essere fatto, non per dimenticare gli ammaestramenti e gli ammonimenti che riguardano la preparazione e la necessità di difesa, ma soprattutto nello smorzare nei giovani qualunque istinto a credere che la guerra possa salvare qualche cosa, che essa sia una fatalità. siamo convinti (l' esperienza insegna) che se la guerra provoca un rivolgimento momentaneo, magari anche di decenni, in realtà essa non risolve i problemi tra le singole nazioni. ecco il fondo morale della nostra posizione di fronte alla Jugoslavia! non ci si accusi di debolezza, di viltà, di mancanza di fierezza; io non ho mai sentito tanto la fierezza di questa posizione pacifica come giorni fa a Udine, in mezzo a una grande raccolta di gente, gran parte della quale era formata da partigiani, da coloro che avevano sofferto, dato i loro figli alla patria, da uomini che avevano combattuto in trincea, durante la guerra, anche contro gli jugoslavi. non ho mai sentito come questa tesi di pacificazione, questa buona volontà di ritrovarsi fra i popoli fosse così conciliabile con tutto quel che questi uomini avevano sofferto e con lo spirito di fierezza di un popolo. proprio in questa occasione mi dicevano: qui vi sono partigiani, al di là vi sono partigiani: lasciamo che ciascun popolo si governi come meglio crede, ma procuriamoci almeno la possibilità di una convivenza civile; ricordiamoci che siamo uomini; la via della pacificazione sarà difficile, ma bisogna raggiungerla; questa è l' unica strada, non ve ne è un' altra. la guerra potrebbe forse portare a rapide conquiste, non alla soluzione di questi problemi. ora, una soluzione attraverso l' eroismo e lo spirito di sacrificio può attrarre i giovani, è vero: è un fatto psicologico naturale del quale possiamo avere piena considerazione; ma il nostro dovere di uomini, di gente invecchiata in mezzo alle guerre, è quello di inculcare l' amore della pace: non indifesa, non stagnante, ma della pace attiva, ricostruttiva. questo mi pare sia il compito di un partito che si rispetti, il compito di una maggioranza, il compito di tutti i partiti. mi auguro che anche il futuro partito dei malcontenti e il futuro partito dei delusi non debbano fondersi sopra richiami del passato, ma sulla visione ricostruttiva dell' Europa. e in questa conclusione siamo pienamente d' accordo con l' onorevole Giannini anche se le precedenti sue considerazioni possono essere discutibili. d' altro canto bisogna pensare che questa mentalità, direi, antiarmistiziale conduce fatalmente al pensiero della guerra. abituiamoci invece a non pensare soltanto alla nostra nazione, alla nostra gioventù, alla nostra preparazione, ma a riflettere che siamo una parte dell' Europa, che siamo una parte del mondo e che gli stessi argomenti della fierezza, della dignità, della guerra, si coltivano altrove, e disgraziatamente si coltivano micidialmente contro di noi. mi veniva in mente questo, leggendo una relazione abbastanza recente, relazione nella quale appare cosa si pensi di Sforza all' estero. Sforza in questo momento non è una persona; rappresenta una politica: rappresenta l' antagonista nella polemica italo-jugoslava. qui da noi il nome di Sforza una volta è passato sotto il titolo di rinunciatario, di uomo debole, di uomo che vuole la pace a qualunque costo. ecco che cosa scrive la stampa jugoslava del nostro ministro degli Esteri , riferendo e riassumendo tutta la sua attività e, direi, tutta la sua attività letteraria, nonché riesaminando i fatti di Rapallo e tutta l' azione allora svolta. leggendo questo articolo dell' organo del Fronte popolare croato, trovate conclusioni come queste: « è vero, Sforza ha combattuto Mussolini, però, in fondo, tutti e due vogliono la stessa cosa: italianizzare, cioè, gli slavi. Mussolini lo faceva con la violenza, con la guerra; Sforza, in fondo, che cosa consiglia? il metodo pacifico, machiavellico per giungere allo stesso scopo: quindi, uomo molto più pericoloso di chi è stato uomo della violenza » . ed il giornale continua dicendo: « non crediate che ci lasceremo illudere, che torneremo all' uomo di Rapallo. non crediamo che quest' uomo pensi anche agli interessi jugoslavi e cioè che la sua azione sia ispirata soprattutto ad un pensiero di conciliazione. tenendo presente l' affermazione di Sforza, secondo la quale la zona B è italianissima, ci si potrebbe attendere che egli chieda a noi di regalargli amichevolmente quella zona e forse anche qualche altra parte dell' Istria, perché si sa che il suo appetito aumenta sempre in quanto, come dicono gli italiani, l' appetito viene mangiando » . quando poi si arriva, alla definizione del pensiero jugoslavo, allora si ricade proprio apertamente nel ragionamento bellico. leggendo questo giornale, mi pare che la situazione non sia affatto cambiata da quella che esponeva Kardelj di fronte a noi nelle trattative a Londra e a Parigi. le stesse conclusioni: abbiamo fatto la guerra, abbiamo vinto noi, l' Italia è vinta, quindi non ha diritto di parlare! « non è la Jugoslavia, ma l' Italia che è stata sconfitta in questa guerra della quale pure essa porta una gran parte di responsabilità. è stata l' Italia quella che ha fatto tanto male agli jugoslavi con il trattato di Rapallo, con i saccheggi, con il comportamento inumano durante la seconda guerra mondiale , con l' occupazione di enormi territori, con incendi e uccisioni che la storia non dimentica. infine, a Roma non dovrebbero dimenticare che l' armata jugoslava ha liberato la Venezia Giulia . inoltre, la Jugoslavia ha accettato il trattato di pace che l' ha mutilata soltanto per contribuire in qualche modo all' organizzazione della pace postbellica e suoi territori sono rimasti oltre i confini con l' Italia e non territori italiani entro i confini della Jugoslavia » . e la conclusione (anche le parole sono uguali): « alla fine si dovrà giungere a un accordo tra la Jugoslavia e l' Italia; e vi si giungerà quando anche Roma si sforzerà di creare le condizioni favorevoli, quando comprenderà finalmente la realtà e quando rinunzierà ai metodi di generosi diktat di amicizia dell' antiquato Sforza » . ora, bisognerà che ci consigliamo a vicenda , reciprocamente, in questa bilateralità e universalità delle nostre considerazioni: non possiamo citare solamente i sentimenti nostri; vi sono reazioni internazionali. quando parliamo di politica estera , quando parliamo di spirito pacifico o bellico, converrà che lo consideriamo in tutta Europa: perché non vi sarà una guerra italo-jugoslava; se scoppiasse, essa sarebbe universale. a noi preme, sovrattutto, che quello spirito pacifico, che deve rinascere nella nostra gioventù, sia spirito ricostruttivo della pace generale, e perciò spirito europeo, sovrattutto di ricostruzione europea. a noi interessa moltissimo che lo stesso pericolo, che abbiamo noi, che nella gioventù si riformi lo spirito guerriero, non si manifesti sempre più crudo, perché così avviene, in Germania, in Francia, in Inghilterra, altrove. a noi interessa che lo stesso spirito non costituisca la ragione, la scintilla del conflitto mondiale. ecco perché queste conversazioni che facciamo tra noi, e queste considerazioni non riguardano semplicemente una pedagogia nazionale, ma riguardano un problema generale. bisogna che leviamo lo sguardo e che dall' esperienza passata capiamo e vediamo questa universalità dei problemi e questa connessione fatale fra l' uno e l' altro, e diciamo, alla nostra gioventù: considerate i problemi non soltanto dal punto di vista delle nostre esigenze morali e delle nostre legittime rivendicazioni di orgoglio nazionale, ma in tutto il loro complesso. vogliamo veramente tornare al periodo della fatalità della guerra, che portò alla soluzione che conosciamo? crediamo in questo? se non vi credete — e non potete credervi, perché la storia, che dovete studiare ed esaminare, ce lo insegna — allora non vi è che l' altra soluzione: la volontà pacifica; volontà che deve essere, senza dubbio, in connessione perfetta con un senso di fierezza e di dignità nazionale, ma che deve prepararci ogni sacrificio: tutto deve essere dato da noi come esempio, prima di essere invocato dagli altri. cosi si creano i presupposti per la pace; altrimenti, il pericolo è imminente. e allora io dico ai miei amici ed a tutti gli altri: questo ideale, che è così grande, è così essenziale per la vita d' Italia e per tutta l' Europa e l' umanità — sovrattutto per l' Italia è cosa essenziale, per questo popolo il quale non ha sufficienti elementi di vita entro i propri confini e deve contare sopra la collaborazione del mondo — è così essenziale, che merita bene di avere il coraggio di affrontare spiriti e masse elettorali, non ancora educate ed elevate. è qui che: senza dubbio, la classe dirigente , la classe politica ha un dovere assoluto: assumere un atteggiamento morale, che deve guardare, più che agli effetti immediati, al destino della nazione e alla fatalità degli eventi. la mia parola è poco suggestiva, ma ho una convinzione profonda, venuta dall' esperienza e dalla vita: dobbiamo considerare il dopoguerra come una malattia e dobbiamo superarlo questo dopoguerra; superarlo per i riflessi del passato, per le inimicizie, per le ostilità e per le ingiustizie che esso ha lasciato; ma superarlo, sovrattutto, nel nostro spirito, nel senso di guarire, guarire noi e guarire la nostra gioventù. altrimenti: si tratta di una malattia che ci corrode; occorre superarla, nel senso che vogliamo costruire la pace e, volendolo, dobbiamo condurre ad essa e verso di essa soprattutto lo spirito. ha ragione l' onorevole Giannini! il Governo fa poco per quest' opera di stampa, di pubblicazioni, di educazione. è verissimo! nessuno più di me sente che facciamo poco, ed è per me un' angoscia perché sento la responsabilità verso le generazioni di domani. ma, ditemi voi, con il meccanismo che abbiamo creato (perché era quello che ci si presentava secondo le tradizioni o le forme che avevamo disponibili), ditemi voi, con quei problemi che ci sono capitati addosso, e non soltanto quelli relativi alla ricostruzione interna ma quelli connessi ai problemi dell' economia internazionale, che cosa si poteva fare? i ministri stanno oggi qui, domani a Parigi, a Londra; essi non possono fermarsi, e questi contatti sono utili, necessari. ho citato il nostro meccanismo parlamentare e democratico, perché tutti i problemi amministrativi sono legati a una legittima e giusta responsabilità, e tutte le attività del giorno prima sono legate a questo metodo. il fatto stesso che voi siate assorbiti da questa attività legislativa lo dimostra e spiega che non vi è gran dovizia di uomini, e che alla gioventù manca quella scuola, quell' educazione, quella esperienza storica che, se vi fosse modo, si dovrebbe portare ad essa. sono problemi ai quali accenno — e sono molto lontani da quella che può essere l' urgenza dell' ora — non per giustificare, ma per dire che il Governo dovrebbe fare di più e dovrebbe istituire un ufficio, un ministero di propaganda nonché avere pubblicazioni proprie. ma la democrazia si fonda su questo: che ogni singolo partito, ogni singolo movimento possa liberamente svolgere la propria attività, ed i partiti ed i movimenti stessi assumersi questa responsabilità, cosicché, se devo accettare un rimprovero, devo rispondere con questa espressione: che il Governo farà tutto il possibile per illuminare la situazione e per giovarsi dell' esperienza passata, ma fa appello soprattutto alla solidarietà di coloro che sentono la missione di scrittori, di storici, di giornalisti per questo compito. non si può negare che molte pubblicazioni che sono venute fuori in questi ultimi tempi hanno rivendicato le passioni della gioventù, la passione della suggestione nazionale; hanno creato, cercato di ricreare dei miti i quali non avevano ragion d' essere. come io sono contrario alle parole di odio, alle parole di risentimento, e a un criterio troppo assoluto nel giudicare le responsabilità passate, così si deve essere contrari ai tentativi di ricostituzione dei miti, che sono così dannosi, così fatali all' educazione della nostra gioventù. e qui il mio appello va proprio agli uomini della stampa, alla loro responsabilità: che rinuncino alle 10 mila copie in più o in meno, pensando che chi legge deve; avere davanti soprattutto la storia e la realtà: speriamo che l' appello rivolto a questi uomini che sanno la storia faccia sì ch' essi assumano questa missione così necessaria per l' Italia. badate, le parole che io dico vengono, dal cuore, non sono preparate, non rappresentano un programma di Governo . abbiamo questo senso di responsabilità verso l' esperienza del passato, perché dobbiamo averlo verso l' avvenire d' Italia. in genere avviene questo: i discorsi che vengono qui, e sono materassati di cifre, di fatti, trovano molta distrazione e molta indifferenza, passano stampati e non formano oggetto di considerazione e di studio. così si ripetono — qualcuno potrebbe fare questo calcolo — inutilmente quasi ogni mese le stesse cose e le stesse obiezioni. sulla nostra situazione economica , sui nostri metodi di affrontare i problemi economici si è discusso tanto, e tutti cercano la formula (la cerca anche l' onorevole Giannini). in genere, le formule più semplici sono quelle tendenti a trovare l' alternativa di ridurre tutto a due poli. ora questo mi pare non esatto, oltre che non accettabile. io non credo che esista un polo che si chiami liberalismo, e quindi liberismo assoluto, e che all' altro polo esista il comunismo, il sistema statalista-comunista, come lo ha definito l' onorevole Giannini. vi sono enormi differenze fra un intervento statale anche eccessivo e il comunismo come tale. come vi è una enorme differenza fra un controllo anche spinto e la socializzazione. in ogni caso non è prudente riferirsi all' alternativa liberismo o totalitarismo. in tutta l' Europa occidentale , nei paesi cioè che hanno sistema parlamentare, esiste oggi qualcosa di intermedio, intermedio a diversa gradazione, se volete, a diversa misura di intervento, a diversa misura di libertà economica. ora qui molte volte abbiamo insistito su questo nostro programma. e badate che non è un programma che derivi dalla dottrina: la dottrina può venire a confermarlo, ma è un programma questo che nasce dalla vita. in Europa noi abbiamo due esempi caratteristici: da una parte l' esperimento laburista, dall' altro l' esperimento, in genere, italiano (dico italiano, ma non è solo italiano). l' esperimento laburista vi dice che vi è un estremo sforzo di controllo e di disciplina nazionale per condurre a quei risultati pianificati, a quei risultati programmatici che rappresentano una tendenza ben nota e consapevole. questo sistema economico è tenuto in piedi contemporaneamente, mescolato e quasi garantito dal sistema parlamentare tradizionale inglese fondato sopra la libertà della democrazia. il quesito che è ancora aperto è, nella sua evoluzione, nel vedere se questo sistema, spinto innanzi alle sue ultime conseguenze, trovi veramente una strada, una misura di conciliazione fra questi due circoli concentrici, di cui il centro dell' uno è la libertà e il centro dell' altro è la giustizia sociale . a da sperarsi che l' esperimento conduca a questa conciliazione dei due centri e alla loro unificazione: ma l' esperimento è ancora in corso . il metodo che seguiamo noi è un metodo che è corrispondente senza dubbio alla vita politica italiana , alle esigenze e al temperamento italiano. non bisogna dimenticare che il regolamentare i consumi, il limitare i consumi, eccetera porta a ritornare al blocco e alla regolamentazione delle leggi di guerra. vi domando se vi sarebbe stato mai un Governo di sinistra o di comunista, eccetera che avesse potuto introdurre — dopo che tutta la guerra di liberazione era stata fatta in nome della libertà economica, eccetera — un sistema consimile anche da noi. abbiamo penato, quando si trattava dei grammi di pane, ma più il là non abbiamo potuto andare, e appena appena è stato possibile abbiamo fatto un tentativo di ritornare verso la maggiore libertà possibile, e l' abbiamo fatto. e anche nella nostra vita economica seguiamo questo criterio: riconoscere che specialmente nel periodo ricostruttivo l' iniziativa privata ha una importanza prevalente, e cercare quindi di svilupparla, di integrarla dove è necessario, di rettificarla dove non agisce secondo l' interesse pubblico, dove vi è la tendenza egoistica di talune classi dirigenti , industriali, produttive, eccetera; dare una legislazione che intervenga correggendo la rendita e la proprietà. ecco il nostro concetto di riforma, che è ancora da svilupparsi per quanto riguarda la terza fase. cioè si hanno ancora da affrontare sul serio i problemi della distribuzione, specialmente della proprietà, della ricchezza, eccetera: una prima prova è la riforma agraria , la quale trova nel suo complesso tecnico molte aderenze ed opposizioni; e non è da meravigliarsi, perché si tratta veramente di un tecnicismo molto complicato e che ha, come tutte le situazioni economiche in genere, un aspetto poliedrico, dei vantaggi evidenti, mentre talvolta si possono temere anche dei danni. a questo riguardo l' onorevole Pella ha fatto una relazione (che è stata stampata), una lunghissima relazione, esplicata in tutte le sue procedure, che vi dà la sensazione di questa terza soluzione, che è la soluzione, secondo noi, della realtà positiva la quale ci conduce verso una giustizia sociale autentica, sia pure più lentamente di quanto potrebbe fare una evoluzione economica in cui questi cambiamenti avvengono secondo un piano ordinato e impresso da autorità politiche. quella che mi pare di non dover accettare è la eccessiva euforia dell' onorevole Giannini, quando dice che bisogna imprimere al motore economico un ritmo più allegro: è troppo presto per stare allegri in questa materia! non si possono aumentare gli investimenti senza una misura molto riguardosa a quello che può essere il valore della moneta; e cosi per quanto concerne il fatto di sollecitare l' aumento dei consumi a qualunque costo. non si possono trovare senz' altro delle soluzioni immediate in un paese come l' Italia, dove lo sviluppo industriale non porta al New Deal come in America, ma il ritmo è diverso. anzitutto il Governo deve affrontare il problema degli investimenti; ha preparato un piano decennale che sarà il banco di prova della nostra attività e anche della nostra capacità statuale e organizzativa. quindi, investimenti, sì; ma occorre ricordare anche i prezzi; altrimenti la moneta perde la sua forza di acquisto. e soprattutto occorre ricordare che non bisogna distruggere totalmente il ceto medio : è un problema che ancora esiste in Italia e non so se esisterà sempre. questo è passatismo? io so che si tratta di un problema presente e che non bisogna perderlo di vista; noi, nella nostra politica, non lo perdiamo assolutamente di mira. concludendo, se in questo discorso vi sono state idee che si possono considerare come elementi di discussione, come elementi di suggestione, io non mi sentirei di dire che si debba cambiare totalmente politica, o che si debba accettare il metodo del motore allegro. io ho un' enorme paura che questo motore ci possa condurre, all' impazzata, in un precipizio. e questa responsabilità, probabilmente, la sentirebbe anche l' onorevole Giannini, se fosse a questo posto: ha diritto di sentirla solo in parte o di non sentirla affatto stando a discorrere da un altro banco. ecco che io concludo per quel tantino che potevo concludere: io credo che né l' onorevole Giannini né la Camera sarebbero disposti ad accettare in pieno una discussione programmatica su tutti questi problemi che furono oggetto di altre considerazioni. però avviene questo (non so se ciò avviene in tutti i parlamenti): che nel nostro Parlamento, quando si discutono i bilanci il che vuol dire sistematicamente tutta la politica amministrativa ed economica di un settore — l' interesse dimostrato dalla Camera è molto esiguo. talvolta può accadere anche questo. ma, se ciò accade, io credo che bisognerà rivedere il nostro metodo di lavoro. sono due mesi che ci troviamo in queste condizioni. e, la discussione dei bilanci dovrebbe essere la sede dove l' opposizione ingaggia la sua battaglia col Governo e la maggioranza l' affronta per sostenerlo; dovrebbe essere il momento in cui l' attività parlamentare. può veramente essere collaborazione anche fra opposizione e maggioranza. in quella sede sono gli argomenti positivi che si potrebbero addurre. quando vi è, per esempio, la discussione sul bilancio del Tesoro, è lì che dovrebbe avvenire la grande battaglia circa l' indirizzo del Tesoro. allora io credo che si incomincerebbe a sedurre anche il pubblico. non dico questo per farlo partecipare alle nostre sedute ma perché ciò sarebbe utile, forse, per l' educazione del nostro popolo, perché esso stesso faccia quello sforzo, che viene richiesto ai deputati, di approfondire, di guardare a fondo nei problemi di carattere economico e nella responsabilità economica. auguriamoci che tutto questo ci insegni a manovrare una attività parlamentare ben diversa da quella che oggi, per una certa fatalità, dobbiamo subire. qui io mi guardo bene dal fare il minimo rimprovero ai colleghi o dal voler difendere o sottrarre me, o noi stessi, o la Presidenza della Camera a questa corresponsabilità con coloro che lavorano e si affaticano nelle Commissioni. però, diciamolo, è un interesse di tutti, delle istituzioni parlamentari e democratiche e, soprattutto, del popolo italiano , che impariamo ad essere studiosi del problema economico nella sua completezza, e soprattutto studiosi di quel che può condurre a responsabilità e a direttive. non interrogazioni passeggere, non risposte saltuarie, sul genere di quella che ho potuto dare io oggi su questo tema particolare, ma discussione e voto sui problemi a seconda del settore di responsabilità.