Pietro NENNI - Deputato Opposizione
I Legislatura - Assemblea n. 487 - seduta del 09-06-1950
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)
1950 - Governo II Prodi - Legislatura n. 15 - Seduta n. 76
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi ! la mozione del gruppo parlamentare socialista, inscritta all' ordine del giorno di oggi, non è che la continuazione della interpellanza da me svolta nella seduta del 21 aprile scorso e trasformata in mozione per la insodisfacente risposta del ministro degli Esteri . posso quindi svolgerla evitando gli argomenti polemici affrontati nella discussione della interpellanza ed attenendomi ad una forma quanto più possibile stringata. innanzitutto, onorevoli colleghi , perché questa mozione? perché abbiamo considerato che dopo lo svolgimento delle interpellanze sulla questione di Trieste alla Camera ed al Senato, il dialogo col Governo, su tale questione, era pressoché esaurito, e diventava necessario un voto orientativo della Camera che confermasse l' indirizzo attuale del Governo nella questione di Trieste e del Territorio Libero , oppure desse direttive nuove o suggerisse metodi nuovi. in tali condizioni è necessario essere nella discussione estremamente precisi, indicare nel modo più esatto che cosa si chiede e si vuole, evitare gli sconfinamenti nel campo del sentimento e in quello della politica generale. Fedele a questo metodo darò le più esatte spiegazioni politiche e tecniche sulla mozione del gruppo socialista sul suo significato, sulla sua portata. il primo punto della mozione constata l' insuccesso dei tentativi di accordo diretto con la Jugoslavia per la delimitazione della frontiera tra i due paesi. orbene, malgrado il presidente del Consiglio , anche nel suo recente discorso di Udine, e il ministro degli Esteri , in tutte le sue dichiarazioni su tale argomento, abbiano ribadito la loro fiducia nelle trattative dirette con la Jugoslavia, devo ripetere come non esistano oggi le condizioni per l' esito felice di un negoziato italo-jugoslavo sulla questione della frontiera. tentativi in questo senso furono fatti, in migliori condizioni, nel 1946-47; e, falliti allora, non offrono oggi alcuna possibilità di essere ripresi. a tale conclusione il Governo era già arrivato alla fine del 1946, all' indomani dei negoziati italo-jugoslavi svolti a Parigi e a New York , allorché, dovendo nominare la delegazione che si recò a Belgrado, ebbe cura di non legare in modo assoluto i negoziati che stava per aprire alla pregiudiziale soluzione della questione territoriale. ciò perché eravamo giunti alla convinzione che nella questione della frontiera quanto potevamo fare di meglio era di subire la deliberazione dei « Grandi » , non essendo in grado il nostro paese, né la Jugoslavia, di assumere, di fronte alle rispettive collettività, nazionali, la responsabilità di un compromesso destinato a scontentare tutti. non occorre, credo, che io rinnovi la dimostrazione, già data in sede di interpellanza, delle difficoltà infinitamente maggiori che esistono oggi in confronto al 1946-47, e ciò a seguito della rottura di Tito con Mosca, del rovesciamento della politica estera della Jugoslavia, della situazione di fatto che si è creata all' Onu e fuori dell' Onu. del resto, se qualcuno avesse avuto delle illusioni su questo punto, se le aveva il Governo, il tono della polemica jugoslava delle ultime settimane, dopo il discorso estremamente moderato del nostro ministro degli Esteri a Milano, deve aver convinto tutti che non esiste per il momento la possibilità di affrontare, con speranza di successo, un negoziato con Belgrado sulla spinosa questione della frontiera. l' accordo è possibile soltanto sulla base del reciproco riconoscimento del Territorio Libero , rinviando a tempi migliori, a situazioni cambiate, la questione dei confini. il secondo punto della mozione socialista è teso a sottolineare il carattere imperante della dichiarazione del 20 marzo 1948, con la quale gli anglo-americani raccomandavano il ritorno alla sovranità italiana, del Territorio Libero di Trieste . anche su questo punto ho l' impressione che ogni discussione sia diventata, completamente oziosa. parlando al Senato, il ministro degli Esteri ha dichiarato come egli non abbia sollevato a Londra la questione della validità dell' impegno tripartito del 20 marzo 1948, giacché avrebbe considerato umiliante mettere in discussione quella che considera la carta migliore della sua politica adriatica, e anche perché ritiene di non avere motivo di dubitare della lealtà dei suoi alleati. posto cosi il problema, potremmo anche essere d' accordo con il ministro, senonché: le cose vanno considerate da un altro punto di vista . il problema non è di sapere se i tre firmatari della dichiarazione del 20 marzo 1948 si ritengano o no vincolati alla loro raccomandazione; il problema è di sapere se essi abbiano o no i mezzi, la volontà e la capacità di rendere operativa la dichiarazione. ora, i fatti parlano un linguaggio talmente chiaro che mi parrebbe mancanza di rispetto alla Camera l' insistere sulla impossibilità in cui i firmatari della dichiarazione del 20 marzo si trovano di dare ad essa la vita che non ha, il carattere che non ha, di trasformarla cioè in qualche cosa più di una raccomandazione, rimasta dal 1948 ad oggi assolutamente inoperante. ciò è tanto vero che, allorché si cerca, con l' uno o l' altro di costoro, di serrare il problema più da presso, allorché si cerca di uscire dal generico per venire al concreto, essi ci dicono quello che già nel 1946 ci dicevano il ministro Molotov o il segretario di Stato Byrnes; ci dicono cioè: « mettetevi d' accordo con la Jugoslavia » . in altri termini, essi ci accompagnano ai piedi dell' ostacolo delle trattative dirette e lì ci piantano in asso con un grazioso inchino e un affettuoso saluto. col terzo punto della nostra mozione noi abbiamo voluto sottolineare l' aspetto tragico della situazione in cui si trovano gli italiani della zona B , dopo i fatti compiuti dell' accordo doganale e monetario e delle elezioni del 16 aprile scorso. anche su questo punto io non intendo riaprire una discussione dolorosa, alla quale hanno nell' aprile scorso partecipato colleghi di tutti i settori, e che al Senato ha trovato gli accenti del più alto patriottismo nelle parole di Vittorio Emanuele Orlando . non ripeterò quindi cose già dette qui e al Senato. voglio soltanto ricordare alla Camera come, sia nel dibattito che si svolse qui, sia al Senato, il ministro degli Esteri annunziasse di aver preso l' iniziativa di passi energici, nei confronti della Jugoslavia, e presso i « tre » , per far cessare nella zona B lo stato attuale ed intollerabile delle cose. ora, i passi diplomatici del ministro degli Esteri , per energici che fossero, non hanno avuto alcun risultato. anzi, dopo le elezioni, si è verificato nella zona B il fatto forse più clamoroso e nello stesso tempo più doloroso per noi: alludo alla leva forzata dei giovani con destinazione a campi di lavoro in Serbia. alla Commissione degli esteri, il ministro si abbandonò, a questo proposito, ad una divagazione sul carattere delle mobilitazioni per il lavoro e sugli aspetti seducenti che possono presentare agli occhi della odierna gioventù. il problema non è questo. nessuno contesta alla Jugoslavia il diritto di procedere, entro i suoi confini, alla mobilitazione per il lavoro. ciò che neghiamo è che misure del genere possano essere applicate nel Territorio Libero di Trieste , anche limitatamente alla parte del Territorio sottoposta all' occupazione provvisoria delle truppe jugoslave, giacché quel Territorio non fa parte di diritto, e non dovrebbe nemmeno farne parte di fatto, dello Stato jugoslavo, né possono esservi applicate le leggi del Parlamento o del governo di Belgrado. in verità, onorevoli colleghi , la situazione è talmente seria che, mentre il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri fanno sfoggio di ottimismo, si verifica nella zona B l' esodo della popolazione italiana, con conseguenze che possono rapidamente divenire irrimediabili. infatti si può dire che per ogni italiano che parte dalla zona B la Jugoslavia segna un punto al suo attivo modificando, starei per dire fisicamente, le caratteristiche etniche del territorio. in tali condizioni si impone la constatazione che, con il metodo finora seguito e con l' indirizzo attuale, il Governo non è stato in grado di tutelare gli interessi italiani nel Territorio Libero ed in modo particolare nella zona B . il quarto punto della mozione socialista riafferma il diritto dell' Italia alla revisione del trattato di pace . per parte mia non ho mai considerato che le note del Governo del 4 novembre 1946 e del 20 gennaio 1947 dovessero essere considerate come gesti simbolici. a mio giudizio l' Italia pose allora un principio al quale abbiamo il dovere di rimanere fedeli, il principio cioè della revisione del trattato, allorché le condizioni lo consentiranno, con negoziati diretti con i paesi interessati. si trattava e si tratta di un principio la cui attuazione non dipende soltanto dalla nostra volontà, essendo indispensabile che innanzi tutto si modifichino le condizioni dalle quali scaturì il trattato e nelle quali il trattato fu elaborato. si tratta di uno di quei principi ai quali si addice il motto di Gambetta: « pensarci sempre, parlarne mai » o parlarne il meno possibile. si tratta, comunque, di un principio che noi non legammo all' idea della revanche militare, ma che affidammo per il suo trionfo ad un pacifico sforzo verso i paesi con i quali abbiamo questioni territoriali aperte, e quindi non soltanto con la Jugoslavia. infine, il quinto ed ultimo punto della mozione socialista si concreta nell' invito che facciamo al Governo di esigere dai quattro dall' Onu la stretta applicazione, dello statuto permanente del Territorio Libero di Trieste , così da consentire alla popolazione di darsi un' Assemblea costituente ed organi autonomi di Governo capaci di tutelarla, sotto la garanzia dell' Onu, contro ogni, sopraffazione straniera. pare a me che, nel momento attuale, il dilemma si ponga nei termini seguenti: o lasciar andare le cose come vanno, o chiedere l' applicazione dell' allegato VI del trattato di pace e cioè dello statuto permanente, le cui disposizioni generali sono: garanzia da parte dell' Onu dell' unità del territorio; demilitarizzazione e neutralizzazione di esso; ritiro di tutte le truppe di occupazione; organizzazione democratica del territorio con organi di governo che l' articolo 9 dello statuto permanente designa nel governatore, nominato dal Consiglio di sicurezza dell' Onu, nel Consiglio di Governo, formato dall' assemblea popolare e responsabile di fronte ad essa, dell' Assemblea costituente eletta dal popolo, e nel corpo giudiziario. onorevoli colleghi , se io cerco di immaginare quale sarebbe oggi la situazione del Territorio Libero ove avessimo promosso, per quanto stava in noi, ed ottenuto l' applicazione dello statuto permanente, credo si possa dire ch' essa sarebbe infinitamente migliore dell' attuale. non avremmo gli americani a Trieste, e neppure i titini a Capodistria; avremmo un territorio ricostituito nella sua unita etnica e politica, senza zona A e senza zona B ; avremmo un governatore responsabile nei confronti dell' Onu e una assemblea legislativa eletta dal popolo, con un Governo espressione del popolo, il quale, se non avrebbe (come effettivamente non avrebbe) il potere di modificare la situazione giuridica creata dal trattato di pace col distacco del Territorio Libero dalla sovranità italiana, avrebbe però piena capacità giuridica e politica per tutelarne il carattere italiano. a tale proposito, la faziosità politica ha creato negli ultimi tempi una serie di leggende alle quali basterà accennare per denunciarne il carattere arbitrario. poiché, nel momento in cui si riunì a New York il Consiglio dei quattro, era al potere un governo di CLN e poiché di quel Governo io ero ministro degli Esteri , si è preteso che la responsabilità delle decisioni prese dai « quattro » ricade su quel Governo e su quel ministro; come chi dicesse che, essendo l' onorevole De Gasperi presidente del Consiglio e ministro degli Esteri al momento della conferenza dei ventuno, su lui personalmente ricade la responsabilità del trattato di pace ! ho appena bisogno di ricordare come alla conferenza dei ventuno e al Consiglio dei quattro la decisione fosse in mano altrui. ciò malgrado il Governo non restò con le mani in mano e ottenne alcuni successi: per esempio, che la funzione del governatore fosse limitata a quella di garantire il rispetto di una Costituzione liberamente adottata dal popolo triestino e che, in conseguenza, fossero attribuiti maggiori poteri all' assemblea popolare che al governatore; che fosse scartata la proposta jugoslava dell' unione doganale e monetaria del Territorio Libero con la Jugoslavia (che è poi quanto, contro il testo dello statuto permanente, è avvenuto nella zona B ); che fosse respinta la proposta di Belgrado di scegliere il governatore fra i cittadini jugoslavi; che la guarnigione jugoslava nel Territorio Libero , di cui purtroppo si ammise la presenza limitatamente al periodo (che si supponeva estremamente breve) tra la ratifica del trattato e l' entrata in funzione dello statuto permanente, non risiedesse a Trieste ma nella zona B . purtroppo la richiesta italiana dello sgombero delle truppe jugoslave dal Territorio Libero fu respinta con una dichiarazione del dipartimento di Stato americano ; secondo la quale esso non aveva i mezzi per fare allontanare, le truppe jugoslave, dichiarazione che oggi può suonare strana, ma che si inquadra nel principio allora adottato che le truppe restassero là dove si trovavano al termine della guerra. per lo stesso motivo non fu accolta la nostra richiesta che contingenti dell' esercito regolare e delle formazioni partigiane italiane, che avevano combattuto a fianco degli alleati, potessero prendere stanza nel Territorio Libero fino al ritiro di tutte le truppe. a questo punto, così rapidamente come ho illustrato la mozione, desidero prendere in considerazione le obiezioni che ci sono state mosse per mostrarne la fallacia, il carattere puramente polemico, l' assoluto distacco dalla realtà delle cose. in primo luogo è stato detto dall' onorevole De Gasperi , ed è stato ripetuto dal ministro degli Esteri , che se la nostra proposta fosse stata accettata, che se il Governo si impegnasse in tal senso, ciò equivarrebbe al riconoscimento del trattato di pace e alla sua integrale esecuzione. mi consentano gli onorevoli De Gasperi e Sforza di dire che il loro è un argomento puerile. le sorti della Venezia Giulia non sono state decise con lo statuto permanente del Territorio Libero , ma con il trattato di pace (articolo 11). le sorti di Trieste e del Territorio Libero sono state a loro volta decise con l' articolo 21 col trattato di pace . ora, l' articolo 11 e l' articolo 21 sono applicati dall' inizio, del 1947. potrei aggiungere che il Governo, il quale oggi si inalbera di fronte alle nostre proposte, suggerite da sollecitudine per gli interessi italiani, è lo stesso che ci chiese la ratifica anticipata del trattato, in un momento in cui ciò non sembrava urgente né indispensabile. è in ogni modo evidente come le misure che hanno un carattere obbrobrioso per la collettività nazionale non siano contenute nello statuto permanente del Territorio Libero ma nel trattato di pace , il quale ha avuto piena e integrale applicazione anche indipendentemente dalla nostra ratifica. in secondo luogo si è detto dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri che accettare oggi la nostra proposta vorrebbe dire fare un passo indietro sulla dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948. siamo nel giugno del 1950 e dal marzo 1948 ad oggi la situazione degli italiani nel Territorio Libero , e segnatamente nella zona B , non ha fatto che aggravarsi, non fa che aggravarsi. ho già richiamato l' attenzione della Camera sulla misure di disitalianizzazione che sono in corso nella zona B . voglio aggiungere che, se l' argomento che ci si oppone avesse un minimo di validità, tale validità conserverebbe in ogni caso. così come è sempre valida per noi la dichiarazione che Tito fece a suo tempo circa l' italianità di Trieste, egualmente la dichiarazione tripartita conserverebbe il suo pieno valore anche se si procedesse all' organizzazione del Territorio Libero prevista dallo statuto permanente. infine, nell' ultima riunione della Commissione degli esteri il ministro degli Esteri ha dichiarato di essere convinto che alla lunga l' organizzazione del Territorio Libero , così come disposta dallo statuto permanente, potrebbe pregiudicare la causa di Trieste. è un' opinione certamente assai discutibile alla quale, in ogni modo, si oppone non l' opinione nostra, ma la constatazione che non alla lunga, ma « alla corta » (se così posso esprimermi) l' attuale stato delle cose porta ad uno sbriciolamento della resistenza italiana e pregiudica per oggi, per domani, per sempre la soluzione del problema di Trieste. non mi consta che ufficialmente siano state formulate altre obiezioni le quali possano sollecitare il nostro interesse, la nostra presa in considerazione, sia pure per respingerle. senonché l' argomento polemico al quale si è attribuito maggior peso è quello formulato da diversi giornali secondo i quali una decisione dell' Onu per il ritiro delle guarnigioni straniere di stanza nel Territorio Libero potrebbe determinare una situazione paradossale e mettere in pericolo la pace, per esempio col rifiuto di Tito di ritirare dalla zona B le truppe jugoslave. peggio ancora, si è affacciata l' ipotesi, anzi si è sbandierato il pericolo, che una misura di tal genere possa costituire per Tito l' incentivo a effettuare una marcia su Trieste così come, in altra epoca ed in altre circostanze, D'Annunzio aveva fatto la sua marcia su Fiume. io non ignoro, onorevoli colleghi , che Tito ha oggi nel suo giuoco carte migliori per ostacolare una soluzione italiana della questione del Territorio Libero di quante non ne avesse due anni or sono, allorché non faceva parte del Consiglio di sicurezza dell' Onu. tuttavia penso non vi sia alcuno il quale prenda sul serio l' argomento secondo cui una deliberazione dell' Onu, potrebbe urtarsi al rifiuto di Tito di eseguirla. Tito si trova oggi in una situazione di forte privilegio nei confronti del nostro Governo; è lungi pero dal potersi sottrarre ad una decisione dell' Onu, privo, come è, di ogni appoggio dall' est. a mio giudizio, insistere su una simile tesi è un sintomo di malafede ed un indice di cattiva coscienza. siamo di fronte al tentativo di suscitare uno spauracchio per impedire al paese di vedere la realtà delle cose. in un caso come quello prospettato non vi sarebbe neanche bisogno di interventi italiani pur sempre possibili. la situazione obiettiva nella quale la Jugoslavia si trova nei confronti dell' ovest e dell' est, rende impossibile al governo di Belgrado di ribellarsi ad una eventuale deliberazione dei « quattro » e dell' Onu. rimane un argomento, anzi l' argomento degli argomenti, ed è che noi socialisti non siamo soli a sostenere la tesi dell' applicazione dello statuto permanente. sono d' accordo su questo punto i comunisti e — obbrobrio degli obbrobri! — è favorevole l' Unione Sovietica . onorevoli colleghi , ho avuto occasione molte volte di ammonire la Camera sull' impossibilità di fare una politica estera degna di un popolo libero, se assumessimo come assioma di dover dire e fare il contrario di ciò che dice e fa l' Unione Sovietica . noi abbiamo sperimentato anche di recente che cosa questo significhi; lo abbiamo sperimentato a Tripoli dove: per non colludere con la politica estera sovietica, abbiamo considerato come inesistente la sua proposta di un mandato collettivo per Tripoli ed abbiamo finto di non accorgerci che in un determinato momento l' Unione Sovietica era favorevole anche ad un mandato italiano, pur di uscire dalla situazione attuale. la conseguenza sta sotto i nostri occhi: nell' avventura tripolina abbiamo perduto tutto, forse anche l' onore, certo la serietà, dopo la sorte toccata al famoso compromesso Bevin-Sforza. se applicassimo lo stesso sistema alla questione di Trieste, peggio che un errore, commetteremmo un vero e proprio tradimento verso gli interessi del paese e quelli delle popolazioni istriane. d' altro canto, onorevoli colleghi , nulla vi è di sorprendente, di, misterioso, nel fatto che l' Unione Sovietica sostenga a Trieste la piena applicazione del trattato, quando questa è la linea generale della politica sovietica in Europa ed in tutto il mondo; atteggiamento del tutto naturale per un grande paese il quale, assalito, costretto ad entrare in guerra, invaso, ha vinto la guerra ed ha, col sacrificio di milioni dei suoi figli, risolto alcuni dei suoi fondamentali problemi di sicurezza; quei tali problemi che erano stati risolti nel 1918 dai pirati imperialisti contro i popoli sovietici, impegnati allora in una cruenta guerra civile all' interno. un argomento di tal genere non fa onore alla stampa né alla maggioranza, e non potrebbe essere fatto proprio da alcun uomo responsabile. del resto, nell' ultima riunione della Commissione degli esteri, allorché ho fatto carico all' onorevole Sforza di essere l' ispiratore di tale campagna di stampa, egli ha protestato che no; e quando gli ho chiesto se ravvisasse in simili argomenti polemici un minimo di serietà, egli ha dovuto riconoscere che no, che sono argomenti privi di serietà. ed allora, onorevoli colleghi , qual è l' ostacolo? ho l' impressione che se, una volta tanto, Governo e maggioranza parlassero a cuore aperto, arriveremmo facilmente al cuore della questione, la quale per me si pone nei termini seguenti: quale disturbo deriverebbe alla organizzazione militare degli USA dall' applicazione dello statuto permanente del Territorio Libero ? in altre parole, quale importanza strategica ha la base navale di Trieste nei piani dello stato maggiore americano ed atlantico? tutto il problema sta qui. nel dicembre del 1946, l' allora segretario di Stato Byrnes, sollecitato da parte italiana in favore di alcune modifiche allo statuto permanente: dette press' a poco questa risposta: che gli USA ne avevano fin sopra i capelli della questione di Trieste e desideravano soltanto di farla finita e di andarsene. ciò significa che nel 1946 il dipartimento di Stato ed il Pentagono non attribuivano alla loro permanenza a Trieste alcuna importanza militare e strategica. poi le cose sono cambiate. dopo la politica di Byrnes; v' è stata quella di Marshall col suo piano; e dopo la politica di Marshall, v' è la diplomazia totale di Acheson e il patto atlantico . la chiave della situazione sta tutta qui. sono le autorità militari americane, sono i dirigenti del patto atlantico a tal punto militarmente interessati alla base di Trieste da considerare impossibile abbandonarla? se sì, abbiamo in ciò la causa della mancata applicazione dello statuto permanente del Territorio Libero . ma in tal caso abbiamo anche il dovere e il diritto di chiedere al nostro Governo di non avallare col suo silenzio e la sua complicità una simile situazione, di far valere e prevalere l' interesse italiano il quale esige lo sgombero di Trieste. ciò, onorevoli colleghi , perché se non si sgombera Trieste, non si sgombera Capodistria. è inutile girare attorno al problema; è vano tentare di dissociare i due termini indissolubili della situazione. coloro che propugnano, o accettano, la presenza delle truppe americane a Trieste, implicitamente divengono responsabili della presenza delle truppe titine a Capodistria: le une non se ne andranno se le altre non se ne vanno. i due termini del problema sono inscindibili e non è possibile proteggere, com' è nostro dovere, gli italiani della zona B se non ci assumiamo la responsabilità di chiedere l' applicazione integrale dello statuto permanente e se, quindi, non poniamo il problema dello sgombero contemporaneo di tutte le truppe di occupazione dal Territorio Libero . io, che non ho una competenza specifica in materia militare, non riesco a convincermi della necessità strategica (anche dal punto di vista della comunità atlantica) della presenza degli americani a Trieste. tuttavia nei confronti di una esigenza del genere il nostro dovere è di preoccuparci della sorte degli italiani del Territorio Libero e non delle esigenze strategiche dello stato maggiore americano. altrimenti, cosa dovremmo concludere, se non che il Governo lega le sorti di Trieste e del Territorio Libero alla terza guerra mondiale ? idea scellerata in sé, e tanto più scellerata in quanto esso corre il rischio di puntare sul cavallo perdente. nulla infatti sarebbe più problematico della vittoria americana ed occidentale, senza dire come gli eventi abbiano giocato un tiro beffardo alla politica che il nostro stato maggiore ha imposto a Palazzo Chigi , da quando Tito ha mutato fronte, acquistando di colpo sul mercato occidentale della diplomazia e della guerra un valore che il nostro Governo non ha più. queste sono le obiezioni, questi gli argomenti di cui ci si è valsi contro di noi. un collega, al quale converrebbe l' appellativo di « ultra » , mi ha chiesto in Commissione degli esteri cosa vi fosse dietro la nostra insistenza. ho potuto rispondere assai tranquillamente come dietro la nostra richiesta e la nostra insistenza vi siano, oggi, le medesime ragioni per cui nel 1947 e fino al 1948 il Governo del suo cuore aveva ritenuto, con noi, che il meglio da fare fosse dare rapida e integrale esecuzione allo statuto permanente. prima di concludere sento l' obbligo di constatare come, nonostante che il Governo non opponga altra soluzione alla nostra se non quella di lasciare le cose andare alla deriva e di lasciar marcire la situazione, da nessuno dei settori della Camera sia venuta una proposta la quale meriti di essere presa in considerazione. il gruppo monarchico e il gruppo del Msi chiedono la denuncia del trattato di pace , cioè un gesto, un colpo di spada nell' acqua (dopo di che la compattezza del liquido si ricompone e le cose restano come prima e forse anche peggio di prima). il partito repubblicano storico e anche il partito liberale propongono il plebiscito, senza, a mio giudizio, rendersi conto che una cosa era parlare di plebiscito nel 1946, prima che i confini fossero tracciati, e un conto è parlarne oggi. un plebiscito esteso a tutta la Venezia Giulia avrebbe confermato la validità della frontiera detta « linea Wilson » . in un tale plebiscito i voti di Fiume, di Zara, di Spalato, dell' Istria orientale sarebbero intervenuti a rafforzare le posizioni italiane dell' Istria occidentale e avrebbero neutralizzato i voti croati e sloveni del retroterra istriano. un plebiscito limitato al Territorio Libero si risolverebbe contro la nostra causa. ragione per cui, più penso a questo problema, più cerco i mezzi e la via per sostenere e tutelare la resistenza degli istriani, e più mi rendo conto dell' errore fatale del Governo che, lusingato dal miraggio della dichiarazione tripartita , ha lasciato pregiudicare lo strumento che gli offriva l' annesso VI al trattato di pace . onorevoli colleghi , in una materia così grave desidero rinunciare alla drammatizzazione polemica e all' appello ai sentimenti. voglio soltanto far giungere alla Camera l' eco delle parole di una donna italiana della zona B : « qui si muore goccia a goccia » . onorevoli colleghi , di questa lenta morte siamo tutti responsabili giacché siamo i legislatori della Repubblica italiana ; di questo morire goccia a goccia siamo responsabili, ognuno nell' ambito delle nostre possibilità. a qualunque settore noi apparteniamo, sia che sediamo sui banchi del Governo o su quelli dell' opposizione, la nostra responsabilità è tanto più grande in quanto la tutela delle popolazioni italiane del Territorio Libero ci incombe esattamente nella misura in cui , per essere esse state poste fuori della sovranità nazionale, le sentiamo tanto più presenti e partecipi della collettività italiana.