Palmiro TOGLIATTI - Deputato Opposizione
I Legislatura - Assemblea n. 44 - seduta del 10-07-1948
Sulle dimissioni dei ministri Longo, Nicolazzi e Romita
1948 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 135
  • Attività legislativa

signor presidente , signore, onorevoli colleghi , singolare destino quello di questo dibattito parlamentare per l' approvazione o meno dell' accordo bilaterale fra il governo italiano e il governo degli USA circa l' applicazione del cosiddetto piano di ricostruzione europea! singolare mi pare il destino di questo dibattito, perché si è parlato nel paese da un anno a questa parte di questo piano ad ogni occasione, si è suscitata attorno ad esso l' attenzione, direi, perfino, in certi momenti, la passione dell' opinione pubblica ; si è impostata sopra di esso la campagna elettorale del 18 aprile; si è promesso tutto ciò che si può promettere a un popolo che vive di stenti; si sono presentati al popolo italiano miraggi di benessere e, per lo meno, un miraggio di rapida uscita dall' attuale sua situazione angosciosa. la vita politica italiana , in sostanza, dal giugno dell' anno passato volge attorno a questo pernio. si sarebbe potuto attendere, dopo tutto ciò, un maggiore interesse da parte della Camera dei Deputati per questo dibattito. invece, no. discutiamo perfino in assenza dei principali rappresentanti del Governo a Camera semivuota, tra una indifferenza generale dei partiti della maggioranza governativa . l' onorevole Corbino ha voluto trovare una spiegazione, che a lui pare logica, a questa evidente indifferenza. ha detto: perché dovremmo discutere e appassionarsi poiché già siamo schierati? ci siamo schierati nel corso della battaglia elettorale pro o contro la politica del Piano Marshall . nulla può cambiare adesso. e anche l' amico Pietro Nenni, nel suo nobile intervento di ieri, ha voluto lasciare da parte completamente la discussione dei particolari, degli aspetti tecnici della questione, i quali lungi dall' essere di secondaria importanza manifestano, anzi, la sostanza dell' accordo, e si è limitato, come aveva fatto l' onorevole Corbino prima di lui, all' impostazione generale della questione. singolare situazione — permettetemi di ripeterlo — e tanto più singolare in quanto è bensì vero che la politica del nostro paese è stata legata negli ultimi tempi particolarmente alla lotta attorno a questo cosiddetto « piano » , ma in circostanze nelle quali il paese stesso, concretamente, nei particolari, in quei particolari che ho già detto essere tali da rivelare di per sé la sostanza dell' accordo, non sapeva esattamente come stessero le cose, non sapeva di che si trattasse, ed era quindi disposto a credere a tutto quello che gli si diceva, a tutte le promesse, a tutte le esaltazioni, più o meno controllate, più o meno sostenute da una documentazione oggettiva, anzi nella maggior parte non sostenute da nessuna documentazione oggettiva. si è creato, in questo modo, il mito di questo piano, così come si è creato il mito del fondo lire. il Piano Marshall è diventato il toccasana per tutti i mali, « l' apriti Sesamo » del benessere e della ricostruzione. al fondo lire poi tutti aspirano; tutti aspettano qualche cosa: il Mezzogiorno ne attende la sua rinascita, i lavoratori ne dovrebbero attendere la ripresa delle loro fabbriche, i pensionati l' aumento delle pensioni che permetta loro di sfuggire alla miseria e alla fame, gli industriali il credito che si è voluto negar loro negli ultimi tempi, gli impiegati uno stipendio decente. tutti, insomma, attendono qualche cosa da questo fondo lire. si è così creato un mito, ma lo si è creato senza, ripeto, informare il paese esattamente di come stanno le cose, e anche oggi, quando qui siamo riuniti per deliberare — permettetemi di richiamare un argomento che è stato sollevato ieri dal collega onorevole Giolitti, quando ha detto che nella documentazione fornita ai membri del Parlamento italiano manca il documento fondamentale — vediamo che manca alla nostra informazione la legge degli USA del 3 aprile 1948, senza la quale non sono comprensibili né la convenzione dei Sedici né l' accordo bilaterale, perché tanto nell' accordo bilaterale, quanto nella convenzione troviamo, mascherato, modificato in senso alcune volte demagogico, altra volta nella direzione dell' ipocrisia, quello che in questa legge è invece detto apertamente. questo è il documento essenziale che voi dovevate darci e sul quale doveva impegnarsi il dibattito. nemmeno oggi, invece, questo documento è a disposizione nostra. è a disposizione solo degli eletti che possono, per vie traverse, procurarselo... non è stato però distribuito ai deputati. io non rimprovero al ministro degli Esteri di servirsi di documenti più o meno stampati; rimprovero al Governo di non aver fornito questo documento, stampato o manoscritto che fosse, alla Camera, ai rappresentanti della nazione, affinché sapessero per fonte diretta di che cosa si trattava. ecco qual è il nostro rimprovero. la cosa rientra in quel costume di svalutazione del Parlamento e del dibattito parlamentare che ormai è proprio di questo Governo e di questa maggioranza, conseguenza inevitabile, del resto, del risultato del 18 aprile, del modo come venne ottenuta da voi quella vittoria, del modo come avete allora impostato la lotta e come impostate ora le prospettive politiche del nostro paese. bene che questo rilievo venga fatto da noi qui all' inizio, soprattutto perché non ritengo essere vero che il paese si disinteressi di questo dibattito. al contrario. il paese è stato incantato, affascinato, ingannato da prospettive e miraggi che gli sono stati presentati nel corso della campagna elettorale prima di tutto dal presidente del Consiglio e poi da tutti gli altri al suo seguito; ma oggi è preoccupato e perplesso, perché comincia a capire che la nostra opposizione e lotta su questo terreno non è stata per niente una opposizione pregiudiziale che si richiamasse a principi astratti comunisti o socialisti o che so io. no! la nostra lotta partiva e parte dalla conoscenza delle cose come stanno; e dalla considerazione attenta, quindi, soltanto nell' interesse delle singole categorie della nostra popolazione e della nazione italiana nel suo complesso. il paese oggi è preoccupato e perplesso; incomincia a veder chiaro, incomincia a capire. perplessi sono gli industriali, i quali si riuniscono, discutono, e non si decidono a comperare le merci offerte dal « piano » ; preoccupate e perplesse le classi lavoratrici , non solo in quella parte che già è convinta della giustezza della nostra opposizione, ma anche in quella parte che prima del 18 aprile si lasciò attrarre dal quel miraggio e oggi incomincia a scorgere la realtà. la realtà è la chiusura in serie di molte piccole e medie officine, la realtà è la minaccia di licenziamenti a centinaia e a migliaia dalle grandi officine. la realtà è il primo cosiddetto « piano » ricostruttivo non ancora presentato dal Governo a noi, ma soltanto all' opinione pubblica , il cosiddetto « piano » del ministro Fanfani, in cui la sola originalità è una cosa così poco originale che risale al 1926, quando il fascismo decise di autorità, dall' alto, per legge e senza alcuna consultazione o trattativa sindacale, la riduzione prima del 10 e poi del 20 per cento delle mercedi operaie. tutte queste sono cose che aprono gli occhi alle masse della popolazione anche meno esperte. quindi bisogna discutere largamente qui, e dopo questo dibattito sarà necessario discutere ancora nel paese, illustrare in modo sempre più attento e preciso, sulla base di esperienze sempre più convincenti, quale è la sostanza del contrasto che ci divide. così verranno dispersi, prima ho detto i miraggi, ora dirò le menzogne ad arte diffuse e la maggioranza del popolo comprenderà quale sia il suo interesse e come voi l' abbiate turpemente ingannato. a noi è stato, però, anche fatto osservare che, dopo aver rimproverato l' assenza di informazione, ciò nonostante ci manifestavamo contrari. come potevamo farlo, se non si sa ancora di che si tratta. argomento poco perspicace, ma che può aver una certa presa fra i propagandisti di villaggio. la questione è che le misure di cui stiamo discutendo ora sono da più di un anno al centro non soltanto della situazione del nostro paese, ma di tutta la situazione europea, anzi della situazione mondiale. ed è giudicando secondo il metro, con cui abbiamo giudicato e giudichiamo dello sviluppo di questa situazione, che siamo giunti alla ferma convinzione che in questi accordi vi è il danno del nostro paese, non il vantaggio; alla convinzione della necessità di una opposizione e di una lotta conseguenti contro provvedimenti che oggi ci si chiede di approvare. non so se per comprendere bene le cose sia necessario risalire al modo come la situazione internazionale d' Europa si è configurata subito dopo la seconda guerra mondiale , e al modo come essa si è venuta progressivamente aggravando sino al momento attuale, in cui, anche se non si vuole credere ai titoli della stampa gialla, e alle campagne di panico lanciate dalle agenzie americane e sostenute in Italia dai giornali, che appoggiano in pari tempo il nostro Governo, anche se non si vuole credere a tutto questo, la situazione internazionale è però arrivata ad un punto estremo di tensione. dalla seconda guerra mondiale il mondo, ed in particolare l' Europa; sono usciti in uno stato di profonda crisi, che è crisi oggettiva e crisi soggettiva, crisi delle masse popolari e dal basso, dunque, e crisi delle classi dirigenti , cioè crisi dall' alto della società. il capitalismo europeo, nel suo sistema, quale era esistito nel periodo fra le due guerre mondiali , è stato profondamente scosso; si può anzi affermare che per gran parte esso è crollato. il sistema europeo del capitalismo non è però stato scosso in conseguenza della forsennata distruzione di vite umane , e quindi di viventi forze produttive, e della altrettanto forsennata distruzione di beni materiali, di apparati industriali, di risparmio popolare, di altri beni accumulati da secoli. il capitalismo europeo è stato oltre a ciò profondamente ferito nella sua struttura organica, perché molto è crollato di ciò che formava questa struttura. è crollato il capitalismo tedesco, il quale fu la principale colonna del capitalismo reazionario e imperialista europeo fra le due guerre mondiali . la tendenza di esasperato espansionismo del capitalismo tedesco ha portato quel disgraziato paese a quella rovina, cui tutti oggi assistiamo. ma è crollato in pari tempo il sistema dei rapporti fra l' Europa e i paesi extraeuropei; paesi come l' Inghilterra, la cui prosperità era fondata sui rapporti di dipendenza coloniale tra una piccola metropoli e un grande impero di popoli saggi non europei soggiogati e sfruttati, attraversano una crisi profondissima, da cui non sanno ancora come potranno uscire. in pari tempo, profonde modificazioni ha subito, se pure per fortuna non ancora è crollato, il sistema stesso dei rapporti esistenti fra l' una e l' altra parte dell' Europa, fra la parte occidentale, che voi chiamate Europa e non è che una parte di questo continente, e la parte orientale, che anche i fascisti, prima di voi, avevano cercato di escludere dal continente europeo e dalla civiltà europea, senza peraltro riuscirvi, come voi sapete. i paesi dell' Europa orientale o, almeno, una gran parte di essi, quelli il cui nome soccorre in questo momento alla mente di tutti noi, hanno modificato profondamente la propria struttura economica e sociale, si sono staccati dalla vecchia tradizionale struttura agraria arretrata, hanno già realizzato profonde riforme che li hanno fatti passare da un regime feudale o semifeudale ad un regime di piccola e media proprietà coltivatrice nelle campagne, mentre si sono posti sulla strada di una rapida industrializzazione attraverso l' espropriazione dei vecchi gruppi monopolistici e attraverso piani di rapido sviluppo industriale che oggi sono tutti in corso di ottima attuazione. una sola parte d' Europa è sfuggita a questa crisi organica delle proprie strutture, l' Europa socialista, la quale, è vero, ha subito distruzioni di uomini e di beni forse, anzi certamente superiori a quelli di qualsiasi altro paese europeo, ma ha dimostrato nonostante questo, e nonostante un' atroce guerra di quattro anni, di avere una struttura organica capace di resistere a quella prova cui non hanno resistito le strutture dell' Europa capitalistica. la struttura economica e sociale di quella parte dell' Europa che dal 1917 è socialista, che da più di trent' anni lavora all' edificazione di una società nuova, di liberi e di eguali, è la sola che ha resistito, nonostante l' attacco sferrato contro il paese del socialismo dalle forze più reazionarie del capitalismo europeo e mondiale. dall' altra parte, fuori dell' Europa, nel cosiddetto Emisfero Occidentale , l' ultima guerra ci ha fatto assistere, non dirò al progresso, ma per usare quella che secondo noi marxisti è la corretta espressione, ad un vero e proprio salto in avanti del capitalismo americano, il quale raggiungendo le percentuali di produzione di cui tante volte si è parlato, il 60 per cento della produzione industriale di tutto il mondo per esempio, ha violentemente spezzato i quadri del preesistente equilibrio economico e contribuito così a sconvolgere definitivamente le vecchie strutture capitalistiche europee. tutti questi fatti, però, non esauriscono ancora il quadro della crisi in cui il mondo è entrato dopo la seconda guerra mondiale . credo, anzi, che sbaglierebbe profondamente chi, limitandosi all' analisi dei fattori oggettivi, non vedesse che la seconda guerra imperialistica ha fatto crollare qualcosa di molto più importante ancora delle strutture materiali della vecchia società: ha fatto crollare in milioni di uomini la fiducia nel regime capitalistico stesso, ha convinto milioni di uomini, sulla base dell' esperienza, che il capitalismo non può offrire più al genere umano altra prospettiva che quella di miserie e di rovine. per cui noi abbiamo assistito e assistiamo, in questo secondo dopoguerra, in misura molto più larga che non nel primo dopoguerra in modo tale che dà al progresso verso regimi nuovi un carattere completamente diverso da quello che ebbero i convulsi movimenti del 1919-21, un carattere di serietà e di sicurezza in se stessi , abbiamo assistito e assistiamo, ripeto, al fatto grandioso di una nuova parte dell' Europa la quale riesce a rompere le catene della servitù e dello sfruttamento, della miseria e della guerra, e si mette sulla strada della edificazione di economie nuove, non più capitalistiche, non ancora pienamente socialiste, né immediatamente collettivistiche, nel senso affermato dall' onorevole Corbino, ma di tipo intermedio in quanto realizzano il passaggio dall' una all' altra forma sociale: dal capitalismo a un regime socialista. anche in quei paesi d' Europa, poi, in cui questa rottura della catena della schiavitù e dello sfruttamento capitalistico, pur essendo più che matura nelle cose, non ha potuto essere compiuta, come da noi, come in Francia e in Inghilterra, fra le masse anche le più arretrate la coscienza della impossibilità di andare avanti, di continuare a vivere secondo i vecchi modi, diventa sempre più diffusa, e il movimento che da essa sgorga non può essere né compresso né contenuto. no, signori della maggioranza democristiana, nessuna vittoria elettorale del tipo di quella del 18 aprile cambia sostanzialmente, per questo aspetto, il corso delle cose. una simile vittoria elettorale, ottenuta con quegli indegni mezzi che voi sapete, pone un ostacolo al progresso oramai inevitabile, obbliga ad una lotta più dura, condanna a maggiori dolori la collettività nazionale, ma non risolve nessuno dei problemi del momento presente... nessuno di quei problemi di trasformazione delle vecchie strutture sociali che nel nostro paese, come in tutta l' Europa occidentale , si pongono con altrettanta e talora anzi con più impellente necessità che altrove. l' onorevole Corbino ha impostato la sua analisi dell' odierna situazione internazionale da lui fatta del resto con ampio respiro — sulla contrapposizione esclusiva tra quella che ha chiamato economia liberale, e l' economia collettivistica. non accetto completamente la sua distinzione, onorevole Corbino. teoricamente vorrei che ella fosse più preciso. direi che ai due poli estremi stanno, da un lato una economia socialista, dall' altro lato una economia la quale non ha nulla a che fare con la economia liberale dei suoi sogni, ma è una economia imperialistica, dominata da grandi monopoli industriali e finanziari, una economia la cui struttura era ignota ai tempi del capitalismo liberale. tra questi due poli, in mezzo, stanno, fuori d' Europa, paesi e popoli, i quali cercano di liberarsi dall' asservimento coloniale, in Europa popoli e paesi che cercano di non lasciarsi ridurre a siffatto asservimento, ma di aprirsi la strada verso la edificazione di strutture economiche e sociali nuove. di qui la fioritura di questi regimi di democrazia nuova, i quali, pur essendo diversi tra loro, hanno tuttavia un punto in comune perché realizzano tutti lo sforzo di liberarsi dal capitalismo e dall' imperialismo, di costruire società che avanzino nella direzione del socialismo. a questo punto sorge la domanda alla quale sembrano oramai esser legate le nostri sorti: fra i due estremi, fra questo capitalismo degli USA, arrivato alla fase esasperata dell' imperialismo e che ha fatto questo balzo in avanti nello sviluppo delle sue forze produttive, ed i paesi socialisti o che tendono al socialismo dall' altra parte è possibile una coesistenza? e possono questi diversi regimi non solo coesistere, ma collaborare? non vedo l' onorevole De Vita il quale, essendosi forse ridotto, in seguito al nuovo orientamento del partito repubblicano negli ultimi tempi, a istruirsi su queste questioni con la lettura dei bollettini parrocchiali, è venuto a dirci che noi comunisti affermano essere impossibile tanto la coesistenza quanto la collaborazione. vorrei dare a lui, all' onorevole Corbino, e a tutti coloro i quali hanno avvertito che in questo dibattito questo è il problema più profondo su cui occorre fare chiarezza, una informazione un po' più corretta, onesta e precisa. lasciate da parte i bollettini parrocchiali e la stampa gialla che li ispira o che essi ispirano. lasciate parlare il movimento comunista internazionale, attraverso la parola dei suoi esponenti più autorevoli, a proposito di questo problema della possibilità o meno della coesistenza e della collaborazione di regimi così diversi. ecco i documenti, o per lo meno alcuni tra di essi. ecco l' intervista di Stalin col signor Stassen del 4 marzo 1947, nella quale, postagli la domanda se è possibile una collaborazione tra gli USA e l' Unione Sovietica , nonostante questi regimi siano così profondamente diversi per la struttura economica e per la loro realtà sociale, egli risponde: « non è possibile che due sistemi economici non possano collaborare. l' idea della collaborazione fu espressa da Lenin stesso. io posso aver detto che uno dei sistemi è riluttante a collaborare; ma ciò riguarda soltanto una delle parti. quanto all' idea della collaborazione, io aderisco al pensiero di Lenin, che espresse non soltanto la possibilità, ma il desiderio della collaborazione. la stessa posizione trovate espressa nel discorso del ministro degli Affari esteri dell' Unione Sovietica , Molotov, in data 7 novembre 1947: « essi (cioè l' Unione Sovietica e gli USA) possono certamente collaborare; le differenze esistenti tra di loro non sono d' importanza essenziale per quanto riguarda la loro collaborazione. i sistemi economici vigenti in Germania e negli USA erano simili, eppure la guerra scoppiò fra questi paesi; i sistemi economici degli USA e dell' Unione Sovietica sono diversi, eppure questi paesi non si combatterono, ma collaborarono durante la guerra. se due sistemi così differenti hanno potuto collaborare durante la guerra: perché non dovrebbero poter collaborare in tempo di pace » ? infine, ecco un ultimo richiamo alla stessa questione nelle dichiarazioni recentemente fatte da Stalin in risposta alla nota lettera aperta del signor Wallace, nella quale si proponeva l' inizio di uno scambio di idee tra il governo sovietico e il governo degli USA, per veder di trovare una via d' uscita all' attuale tensione della situazione internazionale; si proponeva cioè un mezzo che, forse ancora oggi, è l' unico che possa garantire questa via d' uscita perché gli altri possono tutti fallire. ancora una volta, dico, postagli la questione, Stalin risponde: « il governo dell' Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche considera che, nonostante la differenza dei sistemi economici e delle ideologie, la coesistenza di questi sistemi e il regolamento pacifico delle divergenze esistenti tra l' Unione Sovietica e gli USA non soltanto sono possibili, ma sono assolutamente necessari nell' interesse della pace del mondo » . a Berlino la parte sovietica lotta per la pace, perché lotta contro quella divisione in due della Germania che è un atto di aperta preparazione alla guerra. ad ogni modo, onorevoli colleghi , questa e la nostra posizione, questa è la posizione del movimento comunista mondiale, di quel movimento comunista che si vanta di essere ed è la parte più avanzata del fronte democratico e del fronte socialista internazionale. a questa posizione del resto ha corrisposto nel periodo immediatamente successivo alla guerra e corrisponde tuttora la nostra politica tanto nei paesi di nuova democrazia, quanto in questi paesi di vecchio regime capitalistico. in entrambe le situazioni noi abbiamo fatto una politica di unita, la quale è coerente con la posizione testé indicata, anzi discende da essa in modo diretto. noi non vogliamo l' urto tra i due poli estremi. comprendiamo la possibilità e affermiamo la necessità della loro coesistenza e della collaborazione, perché negare questa possibilità e questa necessità vuol dire spingere oggettivamente il mondo verso un abisso di cui nessuno ancora ha misurato la profondità. ma appunto perché affermiamo questa possibilità e necessità di coesistenza e collaborazione, appunto per questo, abbiamo presentato e difeso un piano politico di collaborazione fra diversi gruppi sociali e fra i partiti diversi nonostante le contrastanti ideologie, per trovare insieme quella strada, probabilmente diversa per ogni paese, che potesse avviare al superamento delle vecchie strutture capitalistiche, alla costruzione di una società fondata sopra strutture nuove, corrispondenti alle nuove necessità e aspirazioni delle masse popolari lavoratrici. questa coerenza fra la nostra politica unitaria in questi paesi rimasti capitalistici e l' affermazione della possibilità di coesistenza dei due opposti regimi sociali è stata compresa anche da uomini lontani da noi per la loro ideologia. cito dalla rivista cattolica francese Esprit dove in un acuto scritto dedicato all' esame degli aspetti americani del Piano Marshall , esaminata la posizione degli elementi democratici dell' America, i quali pure sono convinti della possibilità di coesistenza dei due diversi poli, si riconosce l' esistenza di un legame stretto tra questo problema e quello della collaborazione tra correnti diverse in uno stesso paese. sarebbe in effetti possibile, — si dice a conclusione — , mantenere nei paesi occidentali questa cooperazione mediante governi di larga coalizione i quali propugnassero, durante tutto il periodo di ricostruzione, l' ideale comune nato dalla guerra. si tratta di una rivista cattolica, ma l' autore dimostra in questo passo di aver compreso la coerenza delle nostre posizioni, e come la nostra lotta per una politica d' unità democratica sia strettamente legata alla interpretazione che noi diamo di tutta la situazione internazionale, e sia l' espressione del nostro desiderio profondo di evitare al mondo nuove sciagure. ben diversa dalla nostra è stata ed è la posizione degli esponenti e dirigenti il capitalismo americano e di coloro che si sono messi al loro servizio. ad un desiderio di collaborazione e ad una politica di pace, si contrappongono provocazioni parole e atti gravi della minaccia di una nuova guerra, si contrappone la aggressività imperialistica della stessa natura di quella che abbiamo conosciuto prima dalla seconda guerra mondiale . la spinta a questa nuova aggressività, è senza dubbio da cercarsi nelle cose stesse, in quell' impetuoso sviluppo economico che alimenta e scatena nei gruppi dirigenti degli USA quella volontà di potenza, quella aspirazione confessata al dominio unico di un solo Stato su tutto il mondo che altra volta noi abbiamo conosciuto... e che gli imperialisti americani hanno espresso chiaramente con la loro formula che il ventesimo secolo debba essere il « secolo americano » . assurda follia, che un proposito qualsiasi di dominio mondiale non può portare ad altro che ad una nuova guerra mondiale , alla fine della quale non so che cosa rimarrebbe della nostra civiltà, tanto europea, quanto americana. la realtà è che siamo giunti a un punto tale dello sviluppo di rapporti di forza dei popoli, che se vogliamo mantenere una prospettiva di vita civile per le masse di uomini e di donne di questa e delle nuove generazioni, dobbiamo adoprarci e combattere affinché il secolo ventesimo sia il secolo non del dominio impossibile di un popolo solo, ma della collaborazione internazionale tra i popoli del mondo intero. a questa posizione nostra, ripeto, è stata opposta l' aggressività espansionistica e imperialistica che ispira la politica degli USA dalla morte di Roosevelt fino ad oggi, e che sempre più si va accentuando. così gli USA sono arrivati a proporsi e realizzare la conquista con tutti i mezzi di basi e posizioni economiche, politiche, strategiche nel mondo intero, per cui non si sa più dove siano le frontiere di questo paese, dove finiscano le sue sfere di influenza , i suoi « spazi vitali » , di cui ancora una volta si viene parlando. così gli USA sono stati portati ad intervenire attivamente nella politica interna di altri paesi; rompendo quegli accordi di non intervento conclusi alla fine della guerra e che erano il risultato di una benefica, provvidenziale collaborazione realizzata nel corso della guerra stessa. così, essi sono stati portati a rompere l' uno dopo l' altro i patti conclusi per regolare la situazione internazionale evitando conflitti e motivi di guerra. così la loro politica è diventata di giorno in giorno più aggressiva, provocatoria, violenta. qual è, quale può essere il punto di approdo di una politica simile? l' onorevole Corbino è stato molto chiaro; ha detto: « o un crollo economico, o la guerra » e l' alternativa è davvero assai poco confortante. io dico — poiché sono certamente meno scettico dell' onorevole Corbino circa la possibilità che i popoli facciano valere il loro desiderio e il loro bisogno di pace — che o si fermeranno i gruppi imperialistici americani in questa corsa pazzesca verso la rottura del mondo in due e verso un terzo conflitto mondiale, oppure effettivamente le sorti dell' umanità nessuno di noi potrà prevedere e perché — ripeto — il fondo dell' abisso verso il quale ora in certi momenti ci sentiamo trascinati non è stato esplorato ancora. l' onorevole Corbino si è ad un certo punto servito, per rendere più evidenti certi suoi non so se consigli o previsioni, dell' esempio brillante delle due flotte di guerra che guardano l' una all' altra, rimanendo chiuse entrambe nelle loro basi fortificate. l' una teme il rischio e l' altra pure. lo scontro, quindi, non avviene. però, invidioso forse degli allori non so quanto gloriosi dell' ammiraglio Jellicoe, ha ammonito noi di stare attenti, perché la situazione non è stabile, e ad un certo momento la lotta si potrebbe anche arrischiare. non so a nome di chi ci abbia ella rivolto questo ammonimento severo, ma in qual modo e impegnando quali lotte pensa ella che si tratti oramai di arrischiare? sul piano internazionale, vi è stato già qualcuno che ha arrischiato, e per arrischiare ha lanciato la parola d'ordine dell' unità di tutti i conservatori e di tutti i reazionari di tutto il mondo capitalistico, allo scopo di fare la guerra santa contro il socialismo. qualcuno l' ha preceduto, in questa direzione, e vi sono stati degli atti che già una volta hanno segnato la strada di una simile politica. questi atti si chiamarono il « patto anticomintern » , l' asse Roma-Berlino e il « triangolo Roma-Berlino-Tokyo » ; predecessori e del Piano Marshall e del blocco occidentale e della dottrina del signor Truman. il battistrada di questa politica si è proprio chiamato Adolfo Hitler. quanto al campo interno, la tentazione è anche più grave, perché qui non si vedono subito tutte le conseguenze di una politica rispondente a quella intenzione, cui ella accennava, di affrontare il rischio della lotta aperta. ma anche in questo campo vi è stato qualcuno che l' ha già voluto affrontare, questo rischio; qualcuno che, di fronte all' ondata del movimento popolare che avanzava rivendicando qualcosa di più di quello che non fosse stato fino allora rivendicato, si è proposto di respingerlo indietro con tutti i mezzi: con l' inganno, con la violenza, con la forza bruta, con le armi. il precursore, in questo campo, è stato Benito Mussolini, è stato il fascismo; dove sia finito Hitler non lo so, come non lo sa l' onorevole Nenni; però sappiamo dove è finito il fascismo, e sappiamo anche molto come è finito Mussolini. attenzione quindi: attenzione a non coltivare queste che sono le più pericolose tra le illusioni che si fanno le vecchie classi dirigenti , quando tentano, col ricorso alla forza nel campo internazionale e alla violenza nel campo interno, di potersi conquistare la possibilità di sopravvivere molto tempo al di 18 di quell' ora che per esse il quadrante della storia già ha segnato. questi tentativi sono un ostacolo nuovo al progresso sociale ; cui possono per un po' di tempo rallentare il movimento e causare all' umanità maggiori dolori, ma tutti sono destinati a fallire. convenite, inoltre, che la giustizia della storia si manifesta oggi in termini molto più rapidi di quanto non si manifestasse nel passato. ad ogni modo, signori, questa è la sostanza vera del dibattito a proposito delle misure che sono proposte alla nostra approvazione. questa fu la sostanza del dibattito che ebbe luogo a Parigi nel giugno e luglio del 1947, e dal quale parte tutta la successiva tensione della situazione internazionale. in quella conferenza infatti, pure essendo i rappresentanti degli USA ufficialmente assenti, nel modo più chiaro venne alla luce la sostanza del cosiddetto « piano » americano di ricostruzione europea. questa sostanza è da cercarsi, da un lato, nel proposito di difendere fino all' ultimo quello che rimane in Europa delle decrepite strutture capitalistiche, dall' altro lato, nella precisa volontà dei circoli dirigenti imperialisti americani di affermare nel mondo la loro potenza, e realizzare la loro volontà di farsi padroni del mondo intero. a questo duplice punto di partenza occorre sempre riferirsi per comprendere tutti i dibattiti successivi. vero è che il nostro ministro degli Esteri , che fu a Parigi per quelle trattative, non si accorse di nulla. ingenuo candore di un ministro degli Esteri abituato a dare interpretazioni freudiane dei più gravi contrasti internazionali! singolare destino, quello d' un paese dove problemi di questa importanza sono dibattuti da un uomo il quale passa tra questi problemi come le pecorelle dantesche che « è perché non sanno » ! triste destino del nostro paese, di aver avuto allora un Governo il quale non ha compreso che al momento delle trattative di Parigi si offriva all' Italia una grande occasione: l' occasione non soltanto di affermare di nuovo, dopo la catastrofe del 1943, la propria indipendenza e autonomia pur nell' ambito della collaborazione con gli altri Stati; ma l' occasione di presentarci come fattore autonomo di politica internazionale , di far sentire ai dirigenti, della politica internazionale , di far sentire ai dirigenti della politica. imperialistica americana, che il popolo italiano non vuole una politica che spaccando l' Europa in due crea una delle premesse di una nuova guerra, e che difendendo la propria indipendenza e autonomia economica, l' Italia difende in pari tempo una politica di pace per sé, per tutta l' Europa, per il mondo intiero. se l' Italia a Parigi, nel luglio del 1947, avesse saputo dire queste cose, si sarebbe messa nelle prime file dell' opinione pubblica europea; avrebbe ripreso a fare una sua politica estera di pace e di indipendenza... nulla di questo si fece, e, fu un fatale errore della nostra politica estera . di lì sono partiti, infatti, i contrasti più gravi. tutti gli accordi precedenti di collaborazione, internazionale sono stati rotti. si è arrivati al punto di tracciare una frontiera in mezzo all' Europa, frontiera che non è mai esistita prima, né per quello che riguarda gli Stati, né per quello che riguarda i popoli, né per quello che riguarda la civiltà; una frontiera che è esistita soltanto nella povera fantasia dei nazisti e dei fascisti, ma alla quale si riferiscono oggi, senza nemmeno arrossirne, i farisaici paladini dell' europeismo occidentale. a Parigi non venne però soltanto presentata e difesa la posizione americana, quale risulta dagli accordi che ora stanno davanti a noi. anche un' altra posizione ivi fu espressa, quella sovietica. ricordo di aver letto in una riunione della Commissione di politica estera dell' Assemblea costituente i punti in cui quella posizione veniva riassunta; e siccome la lessi prima di dire di qual documento si trattava, trovai il consenso di tutti i presenti, che si affannarono a dirmi che quello era precisamente quello che tutti volevano. la proposta sovietica infatti prevedeva la collaborazione organizzata dei paesi europei nella utilizzazione degli aiuti americani, e precisamente nel sollecitarli, nel distribuirli, nell' utilizzarli. essa però, per il modo come tutte le questioni eran poste e risolte, non consentiva ai gruppi dirigenti imperialisti americani di approfittare della condizione di necessità del loro aiuto in cui si trova oggi l' Europa, per troncare o soffocare le possibilità di sviluppo dei paesi europei verso nuove strutture economiche e nuove situazioni sociali. essa non consentiva ai gruppi dirigenti dell' imperialismo americano di intervenire nei paesi europei subordinando l' economia di questi paesi alle loro necessità di espansione imperialistica. essa non consentiva ai gruppi dirigenti dell' imperialismo americano di intervenire nella vita interna dei popoli e degli Stati d' Europa per rompere quella unità di forze democratiche popolari che faticosamente si sta, va costruendo e spingerli così verso il disordine, verso profonde rotture politiche e sociali, preparazione e preludio di una nuova guerra. nei paesi di nuova democrazia l' unità delle forze democratiche si è mantenuta, ma non meravigliatevi se per mantenerla si è dovuto, nelle nuove condizioni create dall' aggressività imperialista americana, difenderla con mezzi energici. questa è la legge di regimi i quali vogliono marciare sicuri verso un avvenire di benessere, di indipendenza e di libertà. infine, le proposte che vennero fatte a Parigi dalla parte sovietica prevedevano che tutta la collaborazione economica tra i paesi europei fosse sviluppata nell' ambito dell' Organizzazione delle Nazioni Unite . non ho ancora sentito da nessuna parte una critica concreta di queste proposte, non ho ancora sentito nessuno che mi abbia detto che queste proposte fossero inaccettabili, non ho ancora sentito nessuno spiegarmi perché non lo fossero. quindi dimostrato che il dissenso non sta nell' accettazione o meno di una cooperazione economica europea sulla base del necessitano aiuto degli USA. il problema è un altro. il problema è quello di un paese che con la sua espansione imperialistica tende ad assicurarsi il dominio del mondo intiero, e per questo interviene negli affari interni degli altri popoli, ne lede la libertà, ne vuole calpestare gli interessi, vuole subordinare all' interesse proprio il loro sviluppo economico , ne approfitta, per realizzare i suoi piani di espansione e di aggressione, dello stato di necessità in cui oggi si trova gran parte dei popoli europei . il problema, cioè, è di una politica, — di cui questo accordo i bilaterale non è che uno degli aspetti — , la quale, come dimostra la realtà degli ultimi mesi, fatalmente spinge l' Europa e il mondo verso esiti catastrofici. è possibile tornare indietro? noi lo speriamo fermamente. noi vogliamo che si torni indietro. tutta la politica dei comunisti, nel mondo intero, tende a questo scopo, in tutti i suoi aspetti, anche in quelli che forse voi non comprendete a prima vista; tende ad offrire una possibilità di distensione, tende ad eliminare i motivi di conflitto, tende al contatto comprensivo e alla collaborazione fra i poli estremi, affinché le cause di conflitto siano eliminate e un lungo periodo di pace sia assicurato all' Europa e al mondo intero. questa, signori, è la nostra politica! altri sono purtroppo gli scopi che in questo momento voi, consapevoli o non consapevoli, ciechi o veggenti, perseguite. essi sono gli scopi dei gruppi dirigenti dell' imperialismo americano che, provocando ad arte una rottura dell' Europa e del mondo, vogliono stimolare e aggravare tutti i conflitti internazionali, con prospettive che non voglio definire perché a tutti sono chiare. in questi scopi, nei documenti che sono presentati alla nostra approvazione e in quella legge americana che precede questi documenti, e ha fornito la trama sulla quale tutto il resto è stato tessuto, non troviamo traccia di una. politica che corrisponda al nostro interesse nazionale . gli obiettivi economici e politici che qui sono indicati con sufficiente chiarezza perché tutti possano capire, non corrispondono in questo momento ne agli interessi della nazione italiana, né all' interesse della pace dell' Europa e del mondo intero. essi sono persino in contrasto con la nostra legalità costituzionale. tanto la legge americana del 3 aprile, quanto l' accordo bilaterale che ci si chiede di approvare, incominciano infatti col definire questi obiettivi in modo che è da respingersi, sia per ragioni di politica internazionale , sia per ragioni di politica interna . si parla qui infatti prima di tutto del « ripristino » dei principi della libertà individuale nei paesi europei . che cosa vuol dire questo? si tratta di cacciare Franco dal potere? si tratta di sopprimere la dittatura di Tsaldaris? oppure si tratta, com' è evidente, di preparare una offensiva economica e politica contro quei paesi democratici dell' Europa orientale che si stanno ponendo su una via che porta al socialismo? di che cosa si tratta? ditecelo chiaramente, perché coloro che leggono e comprendono questo testo, coloro che confrontano questo testo col testo americano, dove le cose sono dette più chiaramente ancora, e da esso risalgono alla dottrina di Truman e tengono presenti le affermazioni di uomini americani responsabili o irresponsabili con cui apertamente è stata accompagnata tutta la campagna per il « piano » di ricostruzione europea negli USA e nel mondo intero, hanno diritto di essere estremamente preoccupati. voi ci dite che volete fare una politica di pace, ma l' affermazione contenuta all' inizio stesso della convenzione ci segnala senza possibilità di malintesi una politica di guerra. nel seguito si parla del « mantenimento » di questi stessi principi che in altri paesi si tratterebbe di « restaurare » . qui la cosa interessa evidentemente anche noi. vediamo dunque ancora una volta di quali principi si tratta. il dubbio non è possibile: si tratta di quei famosi principi su cui è fondata la vita economica americana e a cui il signor Truman si riferiva quando parlava della difesa con tutti i mezzi della « libertà di impresa » ? ma, signori, noi abbiamo invece approvato una Costituzione nella quale è sancita la necessità per il popolo italiano di intaccare il principio della libertà di impresa. articoli espliciti della nostra Costituzione affermano la necessità di limitare il capitalismo monopolistico con delle riforme di struttura nel campo agricolo e industriale. questi articoli sono in contraddizione con questa formulazione. che cosa prevarrà, come guida del nostro Governo: l' impegno costituzionale per una ripresa industriale o l' impegno diplomatico con gli USA che vieta questa riforma? oppure significa questa formulazione, come testo approvato dal nostro Governo successivamente alla Costituzione cui del resto la maggior parte dei ministri non ha voluto giurare fedeltà, che il Governo stesso ha l' intenzione di lasciare la Costituzione in un canto senza occuparsi in nessun modo dell' applicazione di quei nuovi principi per cui nell' Assemblea costituente tanto si è combattuto? gli obiettivi politici, siano di politica estera che di politica economica , che la convenzione prevede, non sono quindi accettabili. ma questi obiettivi, sin dall' inizio indicati, appaiono via via più chiari quando si esaminano le singole clausole dell' accordo e dappertutto si trova ripetuta o richiamata l' affermazione fondamentale secondo la quale tutto ciò che è fatto in applicazione di questo accordo deve essere in coerenza con la politica estera degli USA. nessuno può negare che questa affermazione è qui contenuta in tutte lettere. ciò vuol dire: noi, approvando questi accordi, leghiamo la nostra politica estera alla politica degli USA per un tempo indeterminato . approviamo tutto quello che gli USA stanno facendo per provocare una rottura dell' Europa e preparare una guerra. stringiamo, in sostanza, un patto di soggezione politica ad una potenza che sta facendo nel modo più attivo una politica di aggressione che non ha nulla in comune con i nostri interessi. le clausole economiche concrete dell' accordo, e prima di tutto quelle clausole le quali limitano l' esportazione di beni prodotti in Italia con materie prime provenienti dagli USA, — e chi potrà decidere quali saranno questi beni e quali dei beni prodotti nel nostro paese potranno essere esclusi da questa caratteristica? — , sono coerenti con questo criterio dall' accettazione della politica estera americana e non sono coerenti con una politica estera italiana. siamo quindi costretti a dire che ci troviamo di fronte ad impegni politici e ad un contenuto politico di questi accordi che dobbiamo respingere. qui si afferma e proclama una coerenza con la politica estera degli USA. noi chiediamo invece al nostro Governo, o, per lo meno, noi vogliamo un Governo il quale sappia essere coerente con gli interessi permanenti della nazione italiana che oggi non coincidono, anzi sono, in profondo contrasto con la politica di guerra che viene condotta dai gruppi imperialistici che dirigono il governo americano . però, si dice a questo punto, dollari ce ne danno. e questo è l' argomento a prima vista più allettante per gli ignari di grosse questioni economiche e politiche, l' argomento dell' onorevole Adonnino e di quegli altri colleghi, che non hanno voluto, o forse non hanno saputo scavare un po' sotto questa esteriorità, del « generoso » dono. dollari ce ne danno, e dicono perfino che si tratta di far sparire la miseria, e cercano di collegare questo obiettivo con quello della lotta contro il comunismo, affermando che il comunismo avrebbe come condizione per il suo sviluppo quello che regni la miseria e non fiorisca il benessere. sia detto di sfuggita che questo legame nasconde un errore, anzi un profondo errore. non è vero che comunismo e miseria vadano di pari passo. guardate l' Italia, dove le regioni più misere sono quelle che non hanno ancora saputo scuotere la supremazia democristiana. esaminate le condizioni del nostro sviluppo nelle differenti regioni italiane; esaminate nella storia nostra e in quella di tutti i paesi capitalistici, come si sviluppa il movimento rivoluzionario della classe operaia e vi convincerete che si tratta di una enorme sciocchezza. noi ci sviluppiamo non con la miseria, ma con la formazione e con lo sviluppo di una coscienza civile e di una coscienza di classe tra i lavoratori. ma torniamo agli obiettivi economici dichiarati del « piano » che stiamo esaminando, quali risultano da questa convenzione. qui si afferma che i paesi aderenti all' accordo dovrebbero, entro un certo periodo di tempo , rendersi indipendenti dall' assistenza economica straordinaria esterna, anzi, che dovrebbero acquistare questa indipendenza entro il periodo di validità del presente accordo che, credo, scada il 1951. qui sorgono i problemi economici cui hanno fatto allusione l' onorevole Corbino e altri colleghi del nostro e di altri settori. da parte di coloro che hanno avuto la iniziativa della preparazione dell' ERP è stato individuato essenzialmente uno degli aspetti della crisi del capitalismo europeo: la fame di dollari. è anche l' aspetto che più da vicino interessa gli americani. il deficit della bilancia europea dei pagamenti ammonta per l' anno 1947 a 7 miliardi e mezzo di dollari. precisiamo, però: sei miliardi e mezzo di questa somma si riferiscono all' Occidente, ai paesi quindi che sono interessati a questo accordo, e di questo deficit dell' Occidente, il settanta per cento è un debito verso gli USA. questa è la realtà, dalla quale risulta, cioè, che vi è una parte d' Europa la quale incomincia a sottrarsi a quella che ci viene presentata come una oggettiva fatalità di soggezione all' economia americana. lascio da parte questo tema che richiederebbe ampi sviluppi e torno alla questione principale. e perché esiste questo debito dell' Europa verso paesi non europei? l' analisi delle cifre è molto interessante. da essa risulta che la bilancia commerciale europea nei confronti degli Stati non europei era in deficit anche prima della guerra. vi erano, però, entrate invisibili che provvedevano a colmare il deficit e portavano al pareggio la bilancia dei pagamenti . queste entrate invisibili erano, prima di tutto, il frutto di capitali investiti all' estero; e poi i noli, le spese dei turisti, eccetera. ho voluto ricordare questa situazione perché essa ci richiama alle leggi fondamentali di sviluppo del capitalismo nel periodo imperialistico. i paesi imperialistici europei sono stati costretti, nel corso della guerra, a liquidare i loro investimenti all' estero e una gran parte li hanno liquidati contro la loro volontà. sono stati gli USA, per lo più, che li hanno costretti a questa liquidazione, il che è uno degli elementi che ha permesso loro di fare quel salto in avanti per cui si sono collocati al posto di dirigente dell' economia capitalistica mondiale, e hanno fatto scoppiare tutto il precedente quadro di questa economia. ma come uscire da questa situazione? ho con attenzione letto e studiato documenti, rapporti di Commissioni, discorsi e materiali vari a questo proposito. non sono riuscito a vedere come si conti di uscirne. ho trovato che tutti coloro i quali hanno affrontato seriamente il problema alla fine sono stati costretti a dire che con i mezzi indicati dal « piano » famoso l' uscita non v' è, e alla fine del « piano » , se le cose andranno bene, l' Europa starà forse un po' meglio di prima, ma non sarà per niente guarita. così dicono i più fiduciosi. quanto agli scettici, che in questo caso sono forse i soli sinceri, essi dicono che tutto andrà come oggi e forse peggio. dato, infatti, che una nuova esportazione di capitali dai principali paesi europei non è concepibile oggi, e che le importazioni non possono contrarsi, se non si vogliono affamare le popolazioni e le industrie, la sola soluzione sarebbe nell' accrescere le esportazioni dei prodotti industriali. ma questo sarebbe possibile solo nel caso che il capitalismo americano accettasse una cosa che non accetterà mai, cioè di importare tanto quanto esporta. se facesse ciò, la sua, supremazia attuale nel confronto degli altri paesi capitalistici sarebbe ridotta, tenderebbe a sparire, ed è proprio questo che gli americani non vogliono. è proprio per sfuggire a questa eventualità che tutto questo « piano » è stato messo assieme. in questa direzione va il « piano » e vanno gli espliciti avvertimenti fatti mentre il piano veniva elaborato. abbiamo ripetute dichiarazioni di dirigenti degli USA, le quali mettono in guardia, per esempio, contro lo sviluppo dell' industria in Europa, in particolare contro lo sviluppo dell' industria dell' acciaio e — meccanica, perché temono la concorrenza per la propria industria. abbiamo le famose espressioni del messaggio di Truman al Congresso americano , dove si chiede la riduzione delle costruzioni navali europee. abbiamo l' affermazione esplicita della commissione del Congresso, la quale ha riferito sulla legge del 3 aprile, secondo la quale è necessario ottenere un rinvio delle costruzioni navali in Europa per 6 milioni e 200 mila tonnellate. abbiamo quella significativa clausola della necessità dei trasporti su navi americane, che fa rivivere quell' atto di navigazione sulla base del quale l' Inghilterra costruì e poggiò per lungo tempo gran parte della sua potenza economica nei confronti degli altri paesi d' Europa. quali le prospettive, dunque, per l' Europa capitalistica e in particolare per la sua industria. le prospettive sarebbero aperte e favorevoli soltanto se si accettasse di eliminare completamente quella frontiera famosa che oggi sarebbe diventata frontiera d' Europa, e che in realtà e soltanto frontiera della zona d' influenza dell' imperialismo americano; se i paesi d' Europa, i quali stanno al di qua, riuscissero a diventare fornitori dell' industrializzazione dei paesi che stanno al di là ed in pari tempo ne ricevessero in cambio i prodotti agricoli? questo è il vero problema che sta dinanzi all' Europa d' oggi e che corrisponde a quelle modificazioni strutturali dell' organismo europeo, di cui parlavo all' inizio. ma è proprio la soluzione di questo problema che gli USA non vogliono; è proprio contro questo che essi si sono garantiti con la formulazione di questo « piano » e si garantiscono continuamente con nuove dichiarazioni e con nuove misure. risolvere questo problema vuol dire, infatti, mantenere l' unità dell' Europa, liquidare le vergognose campagne antisovietiche e anticomuniste, rinunciare alla politica di rottura dell' Europa e di preparazione di una nuova guerra. tolta questa possibilità, la prospettiva è quella indicata da una rivista inglese, (il New Statesman and Nation ), la quale afferma che « perfino la completa effettuazione del programma europeo di ricostruzione non darà all' Europa occidentale la possibilità di bilanciare per il 1951 il proprio commercio, né di alzare il proprio livello di vita » . lo scritto da cui tolgo queste parole risale però ad un periodo in cui la cifra definitiva dell' aiuto americano non era stata ancora fissata, ma si era su quella strada, che portò dai 22 miliardi di dollari proposti dai Sedici ai 19 della commissione Harriman ai 6, 8 della proposta della commissione del Congresso, e infine alle cifre attuali. nemmeno dunque, quando ancora si contava in qualcuna delle precedenti cifre, una attenta, spregiudicata, spassionata analisi economica lasciava prevedere che alla fine dell' attuazione del « piano » l' Europa potesse aver risolto il problema indicato dal deficit della sua bilancia dei pagamenti . la prospettiva rimaneva quella di una stagnazione per gli uni, di un aggravamento per gli altri. ma la stessa cosa è per quello che si riferisce al livello di esistenza delle masse in Europa, nei paesi partecipanti al « piano » . a questo proposito le affermazioni fatte nel rapporto della commissione Harriman sono precisissime. esse dicono che alla fine del « piano » il livello di esistenza delle masse popolari europee raggiungerà a stento il livello del 1938. il dipartimento di Stato per conto suo afferma che « anche un tale miglioramento del livello di vita in Europa non è raggiungibile » . del resto, se si analizzano le cifre, si vede che il paragone fra il 1938 e il 1951 è errato; bisogna risalire più indietro per avere un punto di riferimento esatto. infatti, per quel che riguarda i cereali, mentre il consumo annuale per testa nei paesi partecipanti al « piano » era nel 1934 di 192 chili in media, mentre nel 1950-51 sarebbe soltanto di 179 chili; per i grassi il rapporto è da 24 a 23; per lo zucchero da 27 a 25; per la carne da 43 a 38. vi è un aumento solo per le patate, ma noi non è, siamo un popolo mangiatore di patate, e per nostra fortuna! quindi, non è raggiungibile il necessario livello della produzione industriale , non è raggiungibile il livello di esistenza dei lavoratori nel 1938. questo mentre abbiamo in Europa un paese, come la Russia sovietica , che già oggi ha raggiunto e superato il livello di produzione industriale e agricola di prima della guerra; e nonostante le spaventose distruzioni di cui è stato vittima, sta superando il livello del tenore di esistenza delle masse di prima della guerra. questo mentre sulla stessa strada procedono oramai tutti i paesi che stanno al di là della famosa « cortina di ferro » , con maggiore o minore rapidità di evoluzione, secondo i problemi più o meno gravi che ciascuno di essi deve risolvere. concludiamo dunque che, secondo il metodo che con questo « piano » viene proposto, l' Europa capitalistica rimane in ogni modo legata a quella crisi, che e crisi delle proprie strutture economiche ed in particolare della propria industria e le masse lavoratrici rimangono legate ad una grave situazione di sotto consumo. però, ripete a questo punto con compiacimento il nostro onorevole Adonnino, i dollari ad ogni modo ce li danno, e i dollari sono una gran bella cosa. si ignora che parecchie volte è avvenuto, che avveniva anzi continuamente nel regime capitalistico, che un paese regalasse qualcosa ad altri paesi, quando voleva rendere più facile a sé di soffocare l' una o l' altra. branca della loro economia. questo sistema era chiamato dumping e dall' applicazione di esso i paesi i quali comprendevano che la cosa — per quanto dicessero il contrario i coriacei liberisti alla Bastiat — non era sempre vantaggiosa per colui che riceveva questo non disinteressato regalo, si difendevano con barriere doganali e con altre contromisure adeguate. la convinzione che si ricava dallo studio di tutta la questione del « piano » americano per l' Europa, nel suo complesso, è che ci troviamo dinanzi ad un colossale e originale dumping di nuovo tipo, organizzato con mezzi nuovi e su forme nuove, in modo corrispondente alla attuale situazione economica europea e americana. il metodo è diverso: il risultato è lo stesso. esso però viene raggiunto ad una scala in altri tempi non immaginabile, tale che ha per risultato di attribuire ai gruppi dominanti dell' imperialismo americano una funzione non solo di controllo ma di direzione nella vita economica di tutti i paesi che aderiscono al « piano » americano e ne accettano le condizioni. in questo quadro rientrano la limitazione e, in taluni casi, la distruzione di ogni autonomia economica di questi paesi. anche questo è contrario alla nostra Costituzione. abbiamo scritto nella Costituzione che accettiamo limitazioni della sovranità nazionale allo scopo di favorire la collaborazione tra i popoli. abbiamo però aggiunto che questo deve essere a condizione di reciprocità. questa condizione di reciprocità qui non esiste, ed anche là dove, ipocritamente, si parla di una reciprocità essa è la reciprocità del povero e dello straniero, che si vedono messi assieme di fronte ad una impresa economica, mentre qualcuno: dice loro ch' essi sono uguali, che essi hanno uguali « possibilità » . in questo quadro rientra il programma stesso dei rifornimenti, americani, da noi proposto ma da altri deciso. in questo quadro rientrano le possibilità di limitazioni di questo programma possibili senza nemmeno l' intervento nostro nella decisione, ma unicamente con l' intervento del ministro degli Esteri degli USA. in questo quadro rientra la questione dei prezzi, determinati non, secondo le leggi del libero mercato delle merci ma dalle misure che il governo americano ha preso, sta prendendo e prenderà per regolare i prezzi, a seconda di ciò che serva agli scopi della propria politica economica e per la difesa della propria industria e ai danni della nostra. data questa politica io comprendo gli industriali italiani i quali protestano perché si impongono loro questi prezzi, si rivolgono al ministro del Tesoro e chiedono venga loro scontato almeno quel tanto che gli americani hanno aggiunto al prezzo del mercato per fare i loro interessi. qui si tratta non dei prodotti finiti ma delle materie prime , per cui tenendo alto il loro prezzo si accresce il costo di produzione della nostra industria e quindi si ottiene lo stesso risultato. dal punto di vista tecnico noi ci troviamo di fronte ad un mercato controllato, quello americano, e ad un controllo dei prezzi che viene esercitato per ostacolare lo sviluppo della nostra industria e la conquista da parte nostra di nuovi mercati. ricevere dollari per comperare merci, quando ciò è legato a queste determinate condizioni e nel quadro di quella politica ch' io ho criticato quand' ella non era presente, è un netto svantaggio per la nostra economia nazionale. nello stesso quadro rientrano i limiti e il controllo sulla utilizzazione del fondo lire, per cui, dati i rapporti che esistono fra le due parti, e che non sono rapporti di parità perché l' una di esse si impegna a seguire in ogni caso le direttive di politica estera degli USA, già si vede quale sarà l' interesse che prevarrà. nello stesso quadro rientrano tutto il sistema dei controlli generali sulla nostra economia, l' organizzazione dello spionaggio economico — anche questo senza parità — a favore di una potenza straniera, i venti miliardi per la propaganda, e così via . tutto questo significa intervento diretto nella nostra vita economica, nella direzione di essa, nella fissazione dei criteri della politica economica del nostro Governo, fine, quindi, della nostra indipendenza e libertà, asservimento a un interesse straniero. per tutti questi motivi, signor presidente , noi voteremo contro il progetto di legge di ratifica della convenzione bilaterale. noi votiamo contro non per fare una manifestazione propagandistica ma consapevoli di compiere un atto di politica nazionale concreta. chiediamo alla Camera di votare contro, chiediamo al paese, non appena ne avrà possibilità, di pronunciarsi contro questi accordi, perché essi significano una politica estera , una politica economica ed una politica interna che sono contrarie all' interesse nazionale italiano. le prospettive che voi imponete all' Italia con questi accordi sono le stesse che ci si sono presentate quando abbiamo discusso dei risultati della battaglia elettorale del 18 aprile: prospettive di stentata vita economica di lenta degradazione della nostra economia; di accentuata offensiva contro le masse lavoratrici attraverso le misure più diverse, sia economiche che di polizia, prospettive di ingiustificata limitazione e abbandona della nostra indipendenza nazionale per legare la nostra politica estera alla politica di guerra dei gruppi dirigenti imperialistici degli USA, prospettive di guerra, che noi deprechiamo. in tutto questo è il germe di una nuova catastrofe nazionale di cui è difficile rappresentarsi in questo momento le forme. si partirà da una crisi economica sempre più acuta, si arriverà — come diceva l' onorevole Corbino — a un vero crollo provocato da altri crolli in campo internazionale ; vi sarà il tentativo di trascinare direttamente l' Italia nella guerra, oppure, il che è forse più probabile. si farà di tutto per trasformare sempre di più il nostro paese in base di guerra di un imperialismo straniero? oggi non sappiamo ancora come le cose andranno, ma tutte queste prospettive sono esiziali, sono tragiche, sono, per l' Italia e per il popolo italiano , prospettive di catastrofe. contro la politica che le rende inevitabili noi combatteremo con tutte le forze. quando si parla di guerra, si parla di una cosa seria, onorevoli colleghi . alle volte, quando osservo la vostra politica e vedo con quale leggerezza e sconsideratezza voi affrontate problemi che sono di vita o di morte coprendo una realtà tragica con banali e insulse superficialità, del tipo di quelle che il conte Sforza ci servì l' altro giorno in quest' Aula, penso che molti di voi forse non percepiscono ancora la gravità dello sviluppo politico cui assistiamo in questo momento e che tutti uniti noi dovremmo cercare di fermare, per dare un altro corso alla storia del nostro paese, alla storia dell' Europa e del mondo. quando mi accorgo che non scorgete tutto questo e andate ciecamente in quella direzione in cui andate, veramente mi chiedo, alle volte, se non sia vero per voi il vecchio detto secondo il quale colui che Dio vuol perdere lo fa diventar pazzo. non siamo però né leggeri né sconsiderati noi. quando parliamo di guerra noi comunisti sappiamo di parlare. di una cosa seria e sentiamo qual è il nostro dovere. il nostro dovere è oggi di chiamare tutto il popolo italiano a combattere per la pace d' Italia, di Europa e del mondo intiero...... rifiutando tutti quegli atti politici che sono legati ad una politica di preparazione della guerra, facendo uscire dall' Italia una voce di pace che freni, gli imperialismi di altri paesi. questo è il nostro obiettivo oggi. desidererei dirvi però anche un' altra cosa: ed è che se il nostro paese dovesse essere trascinato davvero per la strada che lo portasse a una guerra, anche in questo caso noi conosciamo qual è il nostro dovere. alla guerra imperialista si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace della indipendenza, dell' avvenire del proprio paese! sono convinto che nella classe operaia , nei contadini, nei lavoratori di tutte le categorie, negli intellettuali italiani, vi sono uomini che saprebbero comprendere, nel momento opportuno, anche questo dovere. scusatemi, onorevoli colleghi , se ho portato il dibattito su temi da: altri non toccati, ponendo questioni che investono tutto l' avvenire del nostro paese... l' ho fatto, perché la leggerezza estrema di cui in questo stesso momento voi state dando un' altra prova, perché la colpevole sconsideratezza con cui voi avete, respinto quella politica di unità e di collaborazione che vi veniva proposta dai rappresentanti più autorizzati delle classi lavoratrici ... perché il fatto, soprattutto, che voi siete diventati strumento diretto di forze reazionarie nazionali e internazionali, hanno legato l' Italia ad una politica di divisione dell' Europa e di una nuova guerra, in modo tale che alle cose più gravi, ormai, dobbiamo essere preparati. per ciò vi è in questo momento tanta serietà nelle nostre parole; per questo abbiamo il dovere di far sì che nulla rimanga oscuro davanti al popolo, circa il nostro orientamento di oggi e del futuro. questo non vuol dire che noi siamo presi da nero pessimismo. al contrario. le forze di pace sono oggi nel mondo certamente più forti di quelle che preparano la guerra. si tratta infatti prima di tutto di un grande paese socialista, l' Unione Sovietica , dove vivono 260 milioni di uomini i quali lavorano e combattono per salvare la pace di tutta l' umanità.... con la stessa convinzione, fede e decisione con cui durante la guerra combatterono per schiacciare i nemici della nostra civiltà. si tratta dei paesi di nuova democrazia, ove le forze della pace sono assai più forti che nei paesi ancora capitalistici. noi vogliamo la collaborazione con tutti i paesi e con tutti i popoli sul terreno economico e politico. respingiamo, però, una « collaborazione » che non è tale, ma è, invece, soggezione del nostro popolo alle forze della guerra. possa essere risparmiata all' Italia la sciagura che questa soggezione prepara. possa il popolo italiano trovare in sé la forza necessaria per respingere una politica che distrugge la sua indipendenza, la sua libertà, la sua pace. noi abbiamo fiducia nel popolo italiano . esso vi impedirà di compiere quello che sarebbe un delitto contro la nostra patria.