signor presidente , onorevoli colleghi , allo scopo di dare fin da principio una impostazione obiettiva a questa mia critica, comincerò con una citazione: « dove andremo a finire? andremo a finire che quando un partito decide nella direzione di uscire dal Governo, i deputati e il Parlamento è come se non esistessero. il Governo si compone e si scompone nel Parlamento. se le decisioni vengono prese fuori delle Camere, nessuna meraviglia che, come si è visto, ci possano essere interventi anche fuori dello Stato » . è una citazione che risale ad alcuni mesi fa, esattamente al 6 giugno 1949: ed è molto autorevole, la più autorevole, perché sono parole testuali pronunciate al congresso di Venezia dal presidente del Consiglio . il presidente del Consiglio , evidentemente, cinque mesi fa aveva un' opinione diversa intorno allo sviluppo di una crisi: intorno al modo di comporre e scomporre un Governo, intorno ai rapporti tra Governo e Parlamento, intorno ai rapporti tra Parlamento e paese. comunque, gli diamo atto di aver perfettamente antiveduto cinque mesi fa ciò che egli avrebbe fatto cinque mesi dopo, perché è accaduto proprio così: le decisioni, ancora una volta, sono state prese dagli esecutivi dei partiti e sono state sancite da quell' esecutivo degli esecutivi di alcuni partiti, che è il Governo attuale. ora, signor presidente del Consiglio , che la critica alla partitocrazia venga da questa parte della Camera è perfettamente naturale. io ho avuto recentemente l' occasione, in un discorso sul bilancio dell' Interno (discorso che in verità ognuno ha interpretato, come sempre accade, a modo suo), di puntualizzare questa critica e di estenderla a tutto il sistema democratico parlamentare che soffre soprattutto di due mali, uno dei quali si chiama partitocrazia e l' altro assenza delle forze del lavoro in quelle che dovrebbero essere le rappresentanze qualificate. ma dovrebbe essere ancora più naturale e più logico, proprio da parte vostra, proprio dal vostro punto di vista , proprio nel vostro interesse e nell' interesse di quel sistema democratico parlamentare che voi ritenete vivo e che noi riteniamo spento, fare non soltanto una critica alla partitocrazia che nel sistema rappresenta un abuso, una specie di fungo mostruoso, ma combattere contro gli abusi e le degenerazioni della partitocrazia per difendervi contro questi abusi e queste degenerazioni. il presidente del Consiglio giustamente rilevava, qualche giorno fa, che la Costituzione non ha risolto questo problema, perché essa non ha dato uno stato giuridico ai partiti. si assiste così a questa specie di paradosso che domina, avvilisce ed avvelena tutta la vita politica italiana : sul piano costituzionale i partiti non esistono; sul piano politico non esistono che i partiti. ho accennato alla Costituzione, ma non ho alcuna intenzione di impostare questa mia critica al recente operato del Governo su un piano costituzionale. le dispute valgono quel che valgono: soprattutto lasciano il tempo che trovano e non chiariscono nulla. esattamente un giornale ha osservato che si tratterebbe di discutere invano sul sesso degli angeli. non è questo che dobbiamo fare, non è questo che il paese ha il diritto di attendersi dal Parlamento. noi abbiamo il dovere di orientarci e di orientare in modo responsabile l' opinione pubblica in due modi: attraverso un chiarimento dei rapporti tra Governo e Parlamento; attraverso un chiarimento dei rapporti tra Governo e paese. da un punto di vista quantitativo, si potrebbe anche dire che la recente crisi o « crisetta » ha pesato in maniera assai relativa su tali rapporti. evidente che l' assenza dei deputati saragatiani dal blocco governativo non modifica la posizione parlamentare del Governo dal punto di vista della quantità, ed è ancora più evidente che l' assenza del partito saragatiano (se vi è oggi un partito saragatiano in Italia) dal blocco governativo modifica ancor meno la posizione del Governo di fronte al paese. le recentissime elezioni di Castellammare, centro operaio, centro in cui quel tal socialismo si sarebbe pur dovuto affermare, hanno dimostrato che quel tal socialismo è precipitato proprio lì, mentre — lo dico di sfuggita, ma è un dato sul quale vorrei che i colleghi riflettessero — le stesse elezioni hanno confermato l' ascesa inevitabile e continua del nostro partito. ma è anche evidente, e non potete contestarlo, che qualitativamente qualche cosa è avvenuto, e che qualche cosa è cambiato. io conosco la vostra risposta, la risposta del Governo; l' abbiamo letta ampiamente su tutti i giornali governativi ed indipendenti: la formula del 18 aprile è tuttora valida. la formula del 18 aprile è riconosciuta valida dagli uomini che ne furono gli assertori, dai partiti che ne furono i sostenitori. voglio anche ammettere che, in sede politica, voi abbiate perfettamente ragione; voglio anche ammettere per un momento (dopo ne discuteremo) che gli esecutivi dei quattro partiti che costituivano il Governo, fino alla recente « crisetta » , siano d' accordo in pieno su questo; ma se anche volessimo ammettere ciò, è evidente un' altra considerazione: qui non stiamo parlando di formule politiche, ma stiamo parlando di formule governative, e in buon italiano formula governativa vuol dire composizione governativa, e la composizione governativa è mutata, sostanzialmente mutata, e non vi è alchimia verbale che possa dimostrare il contrario. né mi pare che si possa, come ha fatto il presidente del Consiglio , sostenere il paragone da lui avanzato, tra le dimissioni dei membri saragatiani e le dimissioni, avvenute qualche mese fa, di Merzagora. a parte il fatto che tale paragone non è riguardoso nei confronti dei ministri, dei sottosegretari e del vicepresidente del Consiglio che hanno lasciato drammaticamente il Governo; a parte questo, è evidente la sproporzione, e non solo la sproporzione, ma la differenza di qualità, tra quell' evento e questo che, sia pure al diminutivo, è stato definito crisi dallo stesso presidente del Consiglio . dobbiamo, quindi, affermare che la formula del 18 aprile, intesa come composizione governativa post-18 aprile non esiste più e che esiste al suo posto un' altra formula, ed è intorno a questa formula che il Governo ci deve parlare, è su questa formula che il Governo ci deve illuminare e dire le ragioni vere che l' hanno indotto a sceglierla, è intorno a questa formula che il Governo deve dare chiarimenti al paese! del resto, ho detto prima che io potevo concedere solo per un istante la validità politica della formula del 18 aprile, perché neanche da questo punto di vista possiamo essere d' accordo con le troppo facili e semplicistiche affermazioni della stampa governativa. per un motivo molto banale, e cioè che in questo momento nessuno ci può dire come si risolverà, se si risolverà, quali sviluppi potrà avere e a quali risultati potrà portare nel paese, in Parlamento, nel Governo, la crisi del partito saragatiano. questa è la carta che manca al vostro giuoco, la carta che non potete giocare, che nessuno è in grado di poter giocare, e non potete più dare chiarimenti sostanziali in merito a questo aspetto della crisi, non potete oggi dirci neppure che in sede politica la formula del 18 aprile è tuttora valida e destinata a rimanere valida nel paese e nel Parlamento! questa perplessità, d' altronde , l' avete dimostrata, l' avete documentata involontariamente anche voi, e balza evidente dalle contradittorie o, almeno, contrastanti dichiarazioni pubblicate in questi giorni sulla vostra stampa. trovo una abbondante documentazione su Il Popolo ; talvolta, attraverso le dichiarazioni degli uomini responsabili, il vostro giornale ha risposto: sì, la formula è valida; altre volte ha risposto: no. ad esempio, Il Popolo del 2 novembre dice: « validità sempre attuale dello schieramento democratico » ; ma, subito dopo, il 3 novembre, il presidente del Consiglio dice, e ripete — perché e una sua tesi spesso sostenuta — che i partiti non hanno una posizione giuridica, il che equivale a creare dei dubbi validissimi su una formula che è basata sull' accordo fra i partiti. il 3 novembre l' onorevole Saragat dice: « restiamo fedeli alla formula del 18 aprile » ; e quel plurale non so se sia un pluralis maiestatis o un atto di presunzione. il presidente del Consiglio lo stesso giorno diceva: « i matrimoni diventano più temprati quando sono messi in pericolo » . ora, noi dobbiamo far rilevare che qui il matrimonio non solo è stato messo in pericolo, ma si è già arrivati alla separazione consensuale o, per usare un linguaggio più caro e più consueto al presidente del Consiglio , la cordata e già rotta in un punto. ma, subito, in un' altra dichiarazione del 1° novembre, il presidente del Consiglio auspica che non gli venga meno la collaborazione personale degli uomini che lasciano il Governo. e qui scendiamo di nuovo dal piano della, collaborazione fra i partiti al piano della utilizzazione delle persone, al di fuori dei partiti. e, infine, l' 8 novembre — e questa è, tra tutte, la dichiarazione più importante che, senza dubbio, apre la vera crisi, o per lo meno sottolinea l' aspetto più importante e più sostanziale della crisi nel pensiero e nelle intenzioni del presidente del Consiglio — l' onorevole De Gasperi esprime la sua sodisfazione per la unificazione economica verificatasi nel Governo. qui, onorevole De Gasperi , non siamo più al transitorio, non siamo più all' interinato, ma siamo al definitivo: qui non si sostituisce temporaneamente un ministro a un altro, ma si esprime la propria sodisfazione per aver potuto sostituire una determinata impostazione politica ad un' altra impostazione politica. e se sodisfazione si esprime, ciò vuol dire che si è sulle linee di un mutamento radicale del Governo o, direi, dell' indirizzo governativo. in sostanza, che cosa è, al di là delle formule, questo interinato? è una soluzione transitoria, d' accordo; ma, come tutte le soluzioni di passaggio, è transitoria nei confronti della precedente, nei confronti della seguente, ma, in se stessa e nei nuovi rapporti che stabilisce fra Governo e Parlamento, fra Governo e paese, è una nuova situazione. voi avete attuato la prima fase di quanto fu da voi, se non deciso, per lo meno preannunciato nel vostro congresso di Venezia del giugno scorso. allora, in seguito alle dichiarazioni, insolitamente energiche nei confronti dei minori partiti della coalizione, del presidente del Consiglio , e alle molto più drastiche, e addirittura dure, dichiarazioni del ministro dell'Interno , la crisi — ricorderete tutti — stava per scoppiare. vi furono polemiche fra il presidente del Consiglio — garbate polemiche, ma sempre polemiche — e il vicepresidente Saragat, e la direzione liberale. vi furono accenni da parte saragatiana e da parte liberale di voler uscire dal Governo. la crisi fu scongiurata; ma, sotto sotto, essa stava maturando. adesso è scoppiata. può darsi anche che sia scoppiata quando voi non la ritenevate opportuna, ma è chiaro che la crisi v' era già. ed è anche chiaro che quella era una situazione per cui la crisi doveva assolutamente scoppiare. è inutile, di fronte ad una situazione di tal genere, che il segretario della Democrazia Cristiana ci dica che il suo partito non desidera un Governo monocolore. può darsi benissimo che il suo partito non lo desideri in questo momento, che desideri di fronte alle elezioni provinciali e regionali del prossimo anno — avere in quei frangenti dei compagni di cordata ; ma è anche vero che (a parte la opportunità contingente) la tendenza al Governo monocolore, la tendenza al governo di partito, è insita nel risultato del 18 aprile e nello stato d'animo che è risultato al congresso di Venezia. vediamo di esaminare ora i rapporti Governo-paese, e vediamo che cosa può rappresentare per il paese questa situazione, vista nei suoi aspetti presenti, ma vista anche retrospettivamente; perché, come dicevo, ai risultati presenti si è giunti attraverso un successivo slittamento politico. che cosa ha rappresentato, per il paese, la formula del 18 aprile? da parte del Governo, essa ha rappresentato apertamente, esplicitamente, ufficialmente, un solenne impegno. anzi, ha rappresentato l' unico sostanziale impegno che il Governo abbia voluto prendere di fronte al paese. leggo un passo delle dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio alla Camera nella seduta del 1° giugno 1948, quando egli ci presentò il Governo del 18 aprile. egli disse: « richiamare questo manifesto, ricordare come esso, pur non impedendo la libera gara dei vari gruppi, rispecchiatasi poi nei risultati elettorali, sopravvisse quale espressione sempre valida di uno schieramento esperimentato, equivale a spiegare perché il Governo da me presieduto, sorretto da oltre 16 milioni di voti, si presenti alle Camere, sia pure con alcune modificazioni nella sua compagine, a chiedere la vostra fiducia » . il manifesto del 18 aprile equivaleva, dunque, al programma di Governo e quindi era comprensivo della intera responsabilità di Governo. impegno, quindi, fondamentale. non solo v' era questo impegno, ma da parte vostra v' era, o almeno veniva espressa, una fiduciosa aspettativa circa la validità, oltre che morale e politica, direi anche temporale, della coalizione. nel discorso che l' onorevole Cappi pronunciò in quella occasione fu detto a questo riguardo: « lo sfaldamento della compagine governativa non avverrà neppure per corrosione interna » . domandiamoci adesso, dopo tale impegno: come vi siete valsi di quella coalizione? ve ne siete serviti a buon uso, o ne avete fatto un uso pregiudizievole per il paese e anche per voi? il nostro evidente parere — evidente per il fatto che siamo sempre stati e restiamo all' opposizione nei confronti del Governo è che non ve ne siate serviti bene. e vorrei obiettivamente chiarire e documentare il mio punto di vista attraverso il rapido esame di tre discorsi che, in certo senso, sono stati programmatici proprio per il loro difetto di un programma e che hanno rivelato come la formula del 18 aprile non sia stata efficiente per la ricostruzione morale e materiale del paese. il discorso di un liberale, di uno dei più autorevoli liberali, il ministro Grassi, ha fatto sentire tutte le esigenze, attraverso l' illustrazione della politica del suo dicastero, ma meno di ogni altra ha fatto sentire l' esigenza liberale, tanto vero che, di fronte alle nostre richieste insistenti di abrogazione delle leggi eccezionali, di fronte alle numerose insistenze, non soltanto nostre, per la proclamazione dell' amnistia e dell' indulto, egli ha opposto una resistenza tenace. egli faceva e ha fatto, dunque, una politica suicida ed oggi il partito liberale ne subisce le conseguenze e ne subiscono le conseguenze coloro i quali chiedono ora le amnistie, mentre, quando noi chiedevamo l' abrogazione delle leggi speciali, si voltarono ferocemente contro di noi e soltanto oggi si accorgono, magari controvoglia, che quella nostra istanza rispecchiava e rispecchia un' esigenza fortemente sentita nel paese. altro discorso che ho ascoltato con molta attenzione e quello del ministro Ivan Matteo Lombardo, sebbene io non esiti a confessare la mia scarsa competenza in materia. l' ho ascoltato, perché io mi aspettavo da un ministro socialista dei lumi sociali, un po' di educazione socialista in pillole, mentre mi sono sentito riprodurre dei vecchi, stravecchi schemi liberali. così come è accaduto per il ministro liberale Grassi, il ministro socialdemocratico Lombardo ha fatto in quel momento la politica del Governo, la politica del suo Governo, ma ha fatto nel tempo stesso una politica suicida di fronte a quella che dovrebbe essere la sua idea, di fronte a quello che dovrebbe essere il suo partito. e ne sta subendo le conseguenze, perché non si può essere socialisti a metà, come non si può essere liberali a metà: quando si abbraccia una di queste idee, bisogna essere coerenti sino alle estreme conseguenze. altro discorso: quello di Scelba sul bilancio dell' Interno. no, il ministro Scelba non si è affatto suicidato; ma di fronte alla sua responsabilità governativa in atto, in mezzo a queste due istanze, non sentite e non seguite, che cosa fa? quale via sceglie? amministra. ma amministra pigramente, amministra — non vi offenda l' avverbio che non vuol essere offensivo — bassamente, cioè mediocremente. io dissi già, rispondendo al ministro Scelba, che avevo avuto una mortificazione, quella cioè di parlare o di tentare di parlare, con la modestia dei miei mezzi e della mia parola, al ministro dell'Interno e di averne, come tutta la Camera ha avuto, la risposta di un funzionario del ministero dell'Interno . questa mi pare, in sintesi, la situazione governativa: in mezzo ad istanze genericamente affermate, ma mai sostanzialmente attuate, la politica della normale amministrazione, la politica — come dissi una volta e ripeto — dei direttori generali, che sono i veri padroni del nostro paese e del nostro Governo. ne è derivato il progressivo svuotamento interno e la parallela progressiva svalutazione esterna della formula del 18 aprile. in verità voi ve ne siete accorti per tempo e a Venezia avete fatto squillare il campanello di allarme. sembravano, attraverso le deformazioni e le amplificazioni propagandistiche, degli squilli di tromba, ma erano scampanellate allarmistiche e basta. allora, però, non aveste il coraggio o non riteneste opportuno di arrivare fino alle logiche conseguenze: non aveste il coraggio o non riteneste opportuno di governare da soli, di assumere da soli tutte le vostre pesanti responsabilità di fronte al Parlamento e al paese. adesso, anche riluttanti, anche negandolo, anche contestando che sia vero, state a poco a poco arrivandovi. e vi dico francamente, non come rappresentante di un partito, ma come uomo politico , come deputato, come cittadino, che preferirei che il Governo lo dicesse e che si presentasse a viso aperto con tutte le sue responsabilità di fronte al giudizio nostro e del popolo italiano . anche perché ciò sarebbe, se non sbaglio, nel vostro interesse, poiché comportandovi come state facendo vi attirate l' odiosità di quella soluzione e non ne ricavate i vantaggi. concludendo a proposito della questione dell' interinato, a me pare che qualsiasi debba avverarsi, delle tre ipotesi che si possono fare, cioè tanto se l' interinato dovesse essere tale sul serio (ipotesi, secondo me, poco probabile, in base alla quale i saragatiani rientrerebbero al Governo, magari negli stessi posti precedentemente occupati, nel mese di gennaio), tanto se la situazione che ora è transitoria dovesse trasformarsi in una situazione durevole oltre il gennaio (Governo a tre oltre gennaio), tanto se si dovesse arrivare — come sembra più probabile e logico ad un Governo monocolore nel gennaio o subito dopo, vi è oggi, fin da oggi, la necessità di chiarire l' orientamento della politica governativa. perché voi potrete tenere il Governo nel regime interinale, ma non potete tenervi il paese: per il paese non possono esservi soluzioni di continuità. non si può dire al paese, per mesi e mesi, e neppure per quindici giorni, che ciò è provvisorio. già da troppo tempo il nostro Stato attuale viene definito (e ciò nuoce, lo sapete bene, al prestigio del Parlamento non solo, ma alla solidità dello stesso Stato) come uno Stato provvisorio: la Repubblica del « provvisorio » . e se tutti noi rimproveriamo, e in particolare voi rimproverate, ai socialcomunisti la tattica dello sciopero a « singhiozzo » , non credo che voi vogliate imporre al paese la tattica dei governi a « singhiozzo » , che sarebbe assai più pregiudizievole, assai meno sostenibile e non so a chi sarebbe utile. certo neppure a voi. a nulla vale, d' altra parte, dare delle assicurazioni simili a quelle che si leggono sui vostri giornali secondo le quali, in ogni caso, il ritmo delle riforme sociali non subirà rallentamenti. prima di tutto, ciò non è vero: e tanto poco vero che la legge sindacale che doveva essere presentata dal ministro Fanfani allo scadere del famoso 31 ottobre non è stata presentata proprio perché uno dei ministri dimissionari, Tremelloni, non e più al Governo. si deve rifare il comitato e si deve perdere altro tempo; ma il tempo non lo perdete voi, lo perde il paese, lo perdono i lavoratori. secondariamente, non si tratta di garantire al paese che il ritmo delle riforme rimarrà immutato o addirittura sarà — cosa che, del resto, noi ci auguriamo — accelerato; qui si tratta di garantire al paese, o per lo meno di chiarire, se la strada resta quella che era stata intrapresa o se diventa un' altra più confacente agli interessi nazionali ; si tratta di precisare al paese su quale strada volete mettervi; si tratta di dare una buona volta chiarimenti completi. tali chiarimenti non li avete dati il 18 aprile. allora il presidente del Consiglio , presentando il nuovo Governo al Parlamento, come accennavo poc' anzi , disse che in sostanza la formula governativa chiariva tutto da sola, era di per sé sufficiente, che la campagna elettorale , così come era stata condotta, era già un programma di Governo esposto a tutto il paese. e si passò oltre. da allora non avete mai fornito altri lumi né in sede di discussione dei bilanci, né l' anno scorso , né quest' anno, essendo sempre stata usata quella tal modernissima procedura inventata proprio per eludere le discussioni programmatiche. quante volte i deputati, anche dei partiti di maggioranza, l' anno scorso e quest' anno, durante le discussioni sui bilanci, hanno rilevato questo inconveniente! noi abbiamo sempre parlato senza alcuna possibilità di modificare con emendamenti validi gli stanziamenti previsti, non solo per quella famosa inviolabile saracinesca dell' articolo 81, ma anche perché tutti i capitoli del bilancio del Tesoro erano stati approvati preventivamente, in tutta fretta. e neppure in sede di discussione politica noi abbiamo mai avuto modo di ascoltare dal Governo delle complete dichiarazioni programmatiche ; in tutte le occasioni più opportune, i deputati hanno dovuto prendere essi stessi la parola per i primi ed i membri del Governo si sono limitati a delle risposte inorganiche, senza dare i necessari chiarimenti orientativi. adesso, per la verità, voi non vi siete sottratti a questa discussione parlamentare; tuttavia, a meno che il discorso finale del presidente del Consiglio non ci dia la gradita sorpresa — che io mi auguro — di un' ampia, veramente responsabile trattazione, mi pare che l' impostazione con la quale il Governo ha accettato questa discussione riguardi piuttosto la forma, gli sviluppi e la legittimità della crisi, che non l' opportunità di presentare a noi e al paese il programma del nuovo Governo. non venitemi a dire, onorevoli colleghi della maggioranza, che questo Governo non ha nulla di nuovo; una simile argomentazione sarebbe per voi dannosa, oltre che insincera. io non so che cosa pensi di una simile affermazione il vicepresidente del Consiglio dimissionario, che cosa ne pensino i due ministri socialdemocratici, il rappresentante italiano all' OECE ed i vari sottosegretari che sono usciti dal Governo. in questo modo, voi dimostrate di considerare questi vostri ex colleghi, questi vostri compagni di cordata , come amate dire, ancor meno di quanto li considerasse l' opposizione. noi li valutavamo ad una cifra politica piuttosto bassa, ma non potevamo supporre che voi li valutaste ancor meno. ammettete dunque che qualche cosa è cambiato, altrimenti noi dovremo ritenere che era uno strano Governo il precedente, ché in esso alcuni uomini contavano meno che nulla: signori della maggioranza, non vi conviene una simile tesi. ma riprendiamo l' argomento. è evidente che, continuando a mancare i chiarimenti ufficiali, il paese, inevitabilmente, cercherà di interpretare da sé la situazione e voi non vi potete lamentare se tali interpretazioni sono talvolta eccessive in sede polemica e se possono andare certamente oltre il segno di quella che è la situazione che a voi interessa far conoscere alla nazione. l' interpretazione che il paese dà è quella che risulta dalle parole del presidente del Consiglio che mi è accaduto di citare, quella che risulta dalla sodisfazione ostentata dal presidente del Consiglio per l' unificazione, per il coordinamento ora ottenuto nel campo economico sotto il ministro Pella. questa è la verità sostanziale che balza agli occhi del paese. e l' interpretazione che di tale mutamento si dà discende dal contemporaneo verificarsi, in campo interno e nel campo internazionale , di eventi che sul piano economico hanno fondamentale portata. alla Camera abbiamo discusso ed approvato due giorni fa la legge di delega, al Governo per le nuove tariffe doganali risultati dalla conferenza di Annecy, la quale è rimasta un po' misteriosa, ma non tanto da impedirci di coglierne il senso politico preciso. a Parigi, all' OECE, è stato preso un orientamento molto diverso e lontano dai precedenti orientamenti; un indirizzo voluto dall' America e annunciato in maniera sensazionale dalla stampa di tutti i paesi. l' uscente ministro Tremelloni ha avuto occasione di fare all' OECE la seguente dichiarazione: « l' Italia è ed è sempre stata pronta e disposta ad andare il più avanti possibile sulla strada della liberalizzazione del commercio europeo, quale è stata delineata dal signor Hoffman » . dunque, l' unificazione economica avviene sotto questa insegna, sotto l' insegna della liberalizzazione totale, sotto l' insegna della politica del signor Hoffman! a me, onorevole Pella; ed anche agli amici del mio gruppo, non piacciono le frasi fatte, le montature propagandistiche, non soltanto perché ciò apparentemente ci schiererebbe insieme con altri coi quali non ci siamo mai schierati e coi quali non potremmo mai schierarci, ma anche perché tutto ciò ha del banale, del poco convincente e del poco convinto. ma vi sono verità che balzano agli occhi: cioè, che oggi l' unificazione della politica economica italiana, nelle mani dell' onorevole Pella, significa un determinato orientamento del tutto favorevole a questi orientamenti internazionali dei quali noi discutiamo in pieno la utilità e la tempestività per il nostro paese. e allora, per il paese, o almeno per noi che non sappiamo dal Governo le vere cause di questa crisi governativa e di questa impostazione, tutto ciò viene prospettato e proiettato in una luce equivoca. non possiamo dimenticare che non molti giorni or sono, reduce (come vogliamo chiamarlo?) dagli insuccessi dell' Onu, il conte Sforza ebbe a pronunciare una formula politica grave, estremamente grave, che non è stata rilevata abbastanza, che anzi mi pare non sia stata rilevata affatto. è stata pubblicata dai giornali una intervista ufficiale del ministro degli Esteri , il quale ha dichiarato: « la politica estera del nostro paese deve consistere nel rendere paralleli gli interessi del popolo italiano agli interessi degli altri paesi » . ciò significa che, per il nostro ministro degli Esteri e per il Governo che ne condivide la responsabilità, il dato fisso, permanente, immutabile, è costituito dagli interessi degli altri paesi, mentre il dato mutevole, il dato variabile, il dato che deve essere adeguato via via, attraverso quella che si chiama politica estera realistica e che è assenza di una nostra politica estera , è costituito dagli interessi del nostro paese! non vorrei che la stessa formula si nascondesse nel campo economico dietro questa vantata unificazione; non vorrei che anche qui si trattasse — come sembra — di rendere paralleli gli interessi della nostra economia agli interessi di altre economie; non vorrei che anche qui — come sembra il dato fisso, permanente, immutabile, la pietra di paragone, fossero gli interessi economici di altri paesi e il dato variabile, mutevole, secondario fosse rappresentato dagli interessi economici della nostra patria. tutti questi rilievi in merito alla crisi, ai suoi talvolta ridicoli sviluppi e al suo fortunoso svolgimento finale, li facciamo noi, per motivi parlamentari, forse per rivendicare al Parlamento, nel suo complesso, il suo prestigio e le sue funzioni? potremmo anche farlo, non a nostro nome, ma a nome di molti, forse, di quei deputati che sono qui presenti, raggruppati in partiti, o indipendenti. non so se abbiate notato il fenomeno dello sbriciolarsi progressivo di certi gruppi, e dell' aumento del numero, dei deputati indipendenti. è un fenomeno, questo, che vi dovrebbe far riflettere; si tratta di libere coscienze che si sentono private, attraverso il vostro procedere, delle loro prerogative. ma non è per questo che solleviamo tali questioni: le solleviamo perché abbiamo dinanzi agli occhi la situazione veramente grave del nostro paese e del popolo italiano . si è molto parlato qui dentro, e se ne è parlato ancor più fuori, dei fatti di Crotone. ancora una volta, signor presidente del Consiglio , a noi le frasi fatte, i luoghi comuni , le banali speculazioni demagogiche non piacciono, ed io non imbastirò certamente una speculazione intorno a questo motivo sul quale si è già tanto speculato. volevo solo fare osservare che la stampa ha rilevato, quasi stupefatta, quasi sorpresa, che uno di quei braccianti morti — Francesco Nigro apparteneva al nostro movimento, era iscritto) al Msi. la stampa se ne è meravigliata, e si è chiesta: « come, il Msi ha degli iscritti in mezzo ai braccianti? » . sì, signori. voi, come già dissi parlando sul bilancio del ministero dell'Interno , siete abituati a considerarci sotto una prospettiva che vi fa comodo, e fin qui niente di male, in quanto ognuno polemizza come crede con i propri avversari, dentro e fuori di qui, per combattere la sua battaglia, che spesso viene combattuta attraverso luoghi comuni . ma, quando si discende dall' artificio all' umanità, e noi vi discendiamo, allora si vede che il Msi è composto di povera gente , e ha tanti suoi iscritti fra i braccianti e fra gli operai. e non insegna a quei braccianti e a quegli operai la pratica, per essi suicida, della lotta di classe ; insegna loro, invece, la difesa strenua dei loro diritti, la difesa strenua dei diritti del paese. ma vi è un limite; vi è un limite di miseria e di disperazione oltre il quale non si può andare, oltre il quale la vita riprende i suoi diritti. ciò che è avvenuto in Calabria e che potrebbe avvenire altrove ci impone di dichiarare che nelle rivendicazioni dei diritti del lavoro, valutiate voi più o meno la nostra forza, ci troverete sempre alla testa. in quell' occasione voi siete intervenuti con provvedimenti che hanno visto la luce tardivamente, a cose fatte, a morti distesi sul terreno, tanto che il vostro modo di comportarvi mi ha, fatto ricordare una frase veramente singolare, veramente amena, pubblicata recentemente da un giornale romano il quale ha scritto che la « Celere » ha un senso solo: se è immediatamente seguita dalla giustizia sociale . noi pensavamo che avesse un senso quando fosse preceduta dalla giustizia sociale ! no, prima la « Celere » , poi, nel tempo, la giustizia sociale . così, esattamente cosi, si è comportato il Governo. spero che questo sia un accostamento casuale. d' altra parte, al di fuori degli aspetti più stridenti, più drammatici della crisi nella quale versa il nostro popolo, al disopra e al di là di ogni polemica e di ogni interpretazione di parte, vi è evidentemente una larga crisi politica nel paese, come avete rilevato tanto autorevolmente voi stessi da tutti i banchi di questa Camera. ciò dissero l' anno scorso , in una drammatica seduta, da un lato Togliatti e dall' altro il presidente del Consiglio : dissero che il paese è stanco di questa oziosa, sterile, vana e vuota alternativa, che il paese vuole colmare questo vuoto, il paese sente che esiste un vuoto. perché? perché il vuoto, secondo la formula del 18 aprile, lo dovevano colmare esattamente i partiti minori della coalizione governativa. era ad essi che spettava di andare incontro a determinate esigenze, largamente sentite, dell' opinione pubblica , anche se non concretati in forze politiche dominanti. era al partito liberale che spettava di andare incontro ad una certa esigenza di pace e di libertà: non lo ha saputo fare e non glielo avete lasciato fare. era al partito socialdemocratico che spettava andare incontro alle esigenze di giustizia sociale : non lo ha fatto; non credo glielo abbiate lasciato fare. non era possibile che lo facesse, del resto, con l' impostazione che i suoi uomini responsabili hanno assunto qui e fuori di qui. ed anche le solite, patetiche, romantiche, reciproche profferte di distensione a che servono? a colmare la noia di qualche seduta parlamentare, ma non di più. recentemente, dopo una tale profferta, il presidente del Consiglio diceva: « se sono rose, fioriranno » . qualche giorno dopo il segretario della Democrazia Cristiana rilevava: « le rose non sono fiorite » . non dicevano una novità né l' uno, né l' altro — a parte la banalità della frase perché nessuno si aspettava in Italia che quelle rose potessero fiorire, in quanto tutti gli italiani sanno che soltanto sterpi possono nascere nel clima che voi e gli altri, quando collaboraste assieme, avete creato nel paese. ed allora si pone un' alternativa: o il vuoto politico, che esiste al centro del paese, lo colmate voi con un programma politico nazionale; o, prima o poi, perché tale è la legge storica, perché tale è la necessità di difesa che l' opinione pubblica sente, che il popolo italiano non potrà non sentire sempre più imperiosa, prima o poi questo vuoto al centro del paese verrà colmato da una forza politica responsabile. quando noi vi chiediamo in questo drammatico momento un programma, è proprio questo che noi vogliamo sapere, ed è esattamente questo che il paese vuole sapere: se intendete e se potete attuare una politica nazionale, una politica che sia di pacificazione in sede morale (avete risposto di no, vogliamo sapere se vi ostinerete in questo no); una politica che sia di giustizia in sede sociale e non può essere la giustizia a strappi, la giustizia a singhiozzo, la giustizia dell' opportunità: deve essere la giustizia permanente; se intendete attuare una politica di dignità in sede internazionale (il vocabolo vi fa arricciare probabilmente il naso) e una politica di prestigio. badate bene: non intendo riferirmi alle forme, intendo riferirmi alla sostanza, e intendo sottolineare, in ogni caso, che non è mai lecito, quando si ha la responsabilità della politica estera , del proprio paese, quando si ha la responsabilità della difesa del proprio paese di fronte al mondo, di andare al di sotto della dignità. questo Governo, in sede di politica estera , v' è andato. tali sono le linee fondamentali, le grandi linee della politica che il popolo italiano desidera: saprete voi esporre tali linee? tenete presente che, se vi rifiuterete di esporle e se dimostrerete ancora a lungo di non sapervi avviare in sede morale, in sede sociale, in sede nazionale verso una politica che esprima veramente l' ansiosa aspettativa di tutta l' opinione pubblica , voi, a poco a poco, vedrete svuotarsi non soltanto, come ora si è svuotata già dopo breve tempo, la formula del 18 aprile, ma vedrete svuotarsi anche la vostra formula, la formula che lanciaste a Venezia quando diceste (fu una delle affermazioni più importanti e l' affermazione più polemica del presidente del Consiglio ) che « non c' è bisogno di collaboratori: la terza forza siamo noi; il paese siamo noi » . è ciò che vedremo attraverso i programmi che ora saprete esporre, voi che avete tutta la responsabilità. è ciò che vedremo, prima di tutto, dal modo come risolverete una questione che potrebbe sembrare formale, ma che è sostanziale: se, cioè, avrete il coraggio di affrontare il problema di fondo o lo eviterete ancora una volta; se il Governo, questa volta, si deciderà ad enunciare le linee sulle quali intende marciare, o vorrà soffermarsi in cavilli costituzionali che non hanno alcuna importanza, in questo momento, di fronte a situazioni di tanta gravità. ho citato precedentemente il discorso pronunciato, dopo il 18 aprile, dall' onorevole Cappi. egli disse allora: « l' esperienza insegna che uno Stato imbelle è il migliore battistrada della tirannide » . verissimo! ma l' esperienza insegna un' altra cosa: cioè, che uno Stato socialmente inerte è il miglior battistrada del comunismo. è, nostro dovere ed è nostra precisa funzione qui, in questo momento, che potrebbe anche essere più decisivo di quanto non appaia, ammonirvi che gli uni e gli altri — se continuerete a battere determinate strade troverete a sbarrarvi il passo il popolo italiano e, soprattutto, la gioventù italiana.