Pietro NENNI - Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
I Legislatura - Assemblea n. 143 - seduta del 30-11-1948
Misure per contrastare la crminalità a Bari
1948 - Governo II Berlusconi - Legislatura n. 14 - Seduta n. 381
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

onorevoli colleghi , il gruppo parlamentare socialista ha preso già alcune settimane or sono l' iniziativa di provocare alla Camera un dibattito sulla politica estera , animato dal desiderio. che la mozione che esso ha presentato possa dare al paese una precisa indicazione politica ed una designazione di responsabilità. gli avvenimenti successivi alla presentazione della mozione hanno fatto sì che essa assumesse un carattere ancor più importante di quello che aveva nel momento in cui fu presentata. ma, già allora, essa rispondeva ad uno stato di necessità, starei per dire ad uno stato d' urgenza. v' è nel paese — come del resto v' è in tutta l' Europa e, forse, in tutto il mondo — uno stato di profonda inquietudine che, lungi dall' attenuarsi, in questi ultimi mesi, in queste ultime settimane, è andato crescendo. v' è nei popoli, v' è certamente nel nostro popolo la coscienza che il pericolo di una nuova guerra, da virtuale che era, è diventato attuale, quasi a confermare l' antiveggenza di un deputato socialista, Claudio Treves, il quale, parlando da questi banchi trent' anni or sono, annunciava che eravamo entrati in una crisi secolare del capitalismo e che, più che di fronte ad una guerra, ci saremmo trovati di fronte ad una serie di guerre fra le quali sarebbero intercorsi degli armistizi più o meno lunghi. se ci soffermiamo sullo stato attuale delle cose del mondo, siamo costretti a non più sottovalutare, come forse abbiamo fatto in passato, il pericolo della terza guerra, a non più considerarlo come uno di quegli eventi che noi socialisti leghiamo meccanicamente alla vita del capitalismo, rifacendoci alla vecchia formula di Jaurès, del capitalismo che porta in sé la guerra come la nube porta l' uragano. se, onorevoli colleghi , consideriamo l' andamento della riunione, tuttora in corso , dell' Onu, in verità siamo indotti a porci il quesito se per caso molti dei ministri, molti dei diplomatici che hanno partecipato e partecipano al convegno parigino non abbiano ricevuto come vademecum il consiglio che Mussolini dette a Ciano quando quest' ultimo andò a negoziare il patto d' acciaio : parlare di pace e prepararsi alla guerra. noi constatiamo che, ormai, la realtà del mondo è fuori dell' Onu; che la sessione che volge melanconicamente al suo termine sembra più indirizzata a ricoprire con una pudica foglia di fico combinazioni di carattere militare che a ricercare soluzioni politiche e diplomatiche agli attriti che dividono gli Stati e i popoli. all' Onu si discorre di problemi certamente assai interessanti, ma nello stesso tempo a Washington, a Londra, a Parigi e nelle appendici di queste capitali, a Roma, a Madrid, ad Atene, si allacciano negoziati di ben altra natura: alleanze militari, nelle quali noi ci rifiutiamo di ravvisare un elemento di consolidazione della pace. l' Onu fallisce sul terreno stesso su cui fallì la Società delle Nazioni : sicurezza e disarmo. la sicurezza che ogni paese doveva trovare nell' ambito dell' Organizzazione delle Nazioni Unite la si cerca in sistemi di alleanze contrapposte o convergenti. quanto al disarmo, l' attuale sessione dell' Onu ha respinto la proposta sovietica di ridurre di un terzo gli armamenti, e i governi europei aspettano che nel gennaio prossimo il Congresso americano voti la legge degli affitti e prestiti: questa tipica legge di guerra che, per il solo fatto che oggi sia annunziata come un evento immediato, ci riporta nell' atmosfera della guerra. vi sono certamente — e per fortuna forze che frenano questo andazzo della politica europea e mondiale. il primo elemento di freno è rappresentato dalla volontà di pace dei popoli; è un elemento di freno la freddezza, la padronanza di sé, di cui danno prova i paesi dell'est e dell' Unione Sovietica ; sono un elemento di freno le contraddizioni interne nel campo imperialistico esplose in queste ultime settimane sulla questione della Ruhr e che hanno provocato l' atteggiamento un po' bizzarro del generale De Gaulle , il quale ha posto in discussione perfino la fedeltà della Francia al Piano Marshall . noi consideriamo come elemento di freno alle velleità belligere anche le recenti elezioni americane (l' elezione del presidente e l' elezione dell' 81° Congresso degli USA) non nella speranza che la politica degli USA stia per essere sostanzialmente modificata, ma perché in un certo senso, dopo queste elezioni, il presidente Truman appare un uomo nuovo, legato come è agli impegni elettorali che ha dovuto assumere, legato alla causa principale del suo successo che un acuto giornalista americano, Walter Lippmann, ravvisa nella intenzione di mandare Vinson a Mosca. cioè in una intenzione di distensione dei rapporti fra gli USA e l' Unione Sovietica . vedremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi se si è trattato di un artificio elettorale. comunque, le elezioni americane trascendono la stessa persona dei protagonisti della lotta e hanno un inequivocabile significato di volontà di pace e di fiducia nella pace. vero è che noi siano abituati ai giuochi elettorali, almeno in Europa. e non so se dobbiamo annoverare fra i trucchi elettorali il gran parlare che si è fatto nel nostro paese della volontà integerrima del Governo di salvaguardare comunque l' Italia da qualsiasi impegno di carattere politico e militare. ciò è stato detto pressoché da tutti i partiti, prima del 18 aprile e dopo il 18 aprile. ciò è stato detto in quest' Aula dagli uomini di Governo che hanno la responsabilità della direzione della nostra politica generale e della politica estera . il 10 giugno di quest' anno, presentando il suo nuovo Governo; il presidente del Consiglio onorevole De Gasperi dichiarava: « nulla è macchinoso e misterioso nel Piano Marshall ; nulla vi è che non corrisponda agli interessi del paese; nulla che non sia in armonia con la nostra politica estera , fondata sulla cooperazione internazionale » . e il ministro Sforza, il 2 luglio, riprendendo la medesima tesi, riconosceva legittima l' ansietà dell' opposizione, dominata — egli diceva — dall' idea che si comincia con una opera di pace e di collaborazione europea e poi inconsciamente, per quel seguito di scivolamenti che talvolta la storia vede, si finisce in impreviste compromissioni politico-militari. e ribadiva il programma del Governo con queste parole: « niente, nulla è stato mai chiesto né detto al governo italiano che adombrasse la minima correlazione fra la convenzione di collaborazione economica e i patti militari di Bruxelles o altri » . e concludeva perentoriamente: « e con ciò si chiarisce tutto » . lo stesso linguaggio il ministro Sforza teneva parlando dinanzi a questa Assemblea il 28 settembre. senonché a quella data gli « scivolamenti » erano già cominciati, benché all' insaputa del Parlamento. noi apprendemmo l' inizio degli « scivolamenti » solo perché ci giunse l' eco delle preoccupazioni, delle rivalità, delle gelosie dei ministri. apprendemmo l' esistenza del memorandum di Palazzo Chigi al Quai d' Orsay del 24 agosto soltanto perché fra giornali governativi, fra La Voce Repubblicana e l' Umanità, fra Il Popolo e Il Quotidiano , scoppiò una specie di lite in famiglia che mise sul chi vive il gruppo parlamentare socialista e l' indusse a domandare la convocazione della Commissione degli esteri, davanti alla quale il ministro degli Esteri dette finalmente lettura del memorandum del 24 agosto, che poi è stato integrato — dirò meglio diluito — nel memorandum del 27 ottobre, senza che — a mio giudizio — il memorandum del 27 ottobre tolga alcunché alla gravità di quello del 24 agosto. che cosa contiene di nuovo, in rapporto alla politica seguita nel passato, non solo da questo Governo, ma anche dai governi precedenti, il memorandum al Quai d' Orsay ? il fattore nuovo è rappresentato da due proposte: la prima, quella di dare all' OECE un carattere di organizzazione permanente, di stabilizzare cioè una situazione europea che noi dovremmo considerare come transitoria e pericolosa; la seconda, quella di creare un comitato politico dei Sedici per l' esame in comune delle questioni politiche internazionali. nel memorandum del 24 agosto come in quello del 27 ottobre non v' è il menomo accenno ad accordi di carattere militare, ma vi si leggono parole che hanno suscitato l' emozione di alcuni ministri e non mancheranno di impressionare l' opinione pubblica . udite: « l' accordo politico fra le 16 nazioni non esclude affatto l' esistenza, nel suo quadro, di una unione militare come quella di Bruxelles, cui anzi è augurabile che altri paesi possano aggiungersi, fino al giorno in cui l' unione generale europea conglobi ed unisca tutti gli sforzi concreti per la difesa della pace e della democrazia » . il ministro Sforza, nel suo recente discorso di Carrara, ha detto che questo memorandum ha segnato il passaggio da una posizione di passività della politica estera italiana ad una posizione attiva, da uno stato di sottomissione alle iniziative degli altri alla nostra iniziativa. in verità il ministro degli Esteri fa in tutto ciò la figura della mosca cocchiera , giacché è noto come l' iniziativa dell' accordo politico dei 16 non parta da Roma ma abbia il suo bravo brevetto americano. non da oggi, infatti, gli USA fanno pressione perché l' OECE si trasformi da organismo economico in organismo politico, cosa questa che non dà luogo a sorpresa, ognuno di voi: onorevoli colleghi non avendo in cuor suo mai creduto che il paese potesse assumere gli impegni di carattere internazionale che ha assunto aderendo al Piano Marshall , senza nel contempo legarsi politicamente all' America. ond' io mi permetterei di correggere la definizione del ministro Sforza e direi che col memorandum del 24 agosto non siamo passati da una politica passiva ad una politica attiva, ma siamo passati dal piano degli accordi economici, che ebbero sempre un sottinteso politico, al piano degli accordi politici, che hanno un sottinteso militare, oggi negato dal Governo, ma che, fra alcuni mesi, verrà confermato come la cosa la più ovvia e la più naturale. vale a dire, onorevoli colleghi , che siamo entrati in pieno nella politica dei blocchi . a questo proposito, noi dell' opposizione dobbiamo augurarci che questo dibattito sia sincero, che ognuno si assuma le sue responsabilità senza voti platonici, senza evasioni sul giardino d' infanzia delle illusioni federaliste. il Governo faccia la politica che crede di dover fare nell' interesse del paese: è il suo dovere, ma definisca chiaramente questa politica, ne indichi gli obiettivi e il metodo, non si trinceri dietro le parole, dietro le frasi a duplice o triplice significato; non si rifugi nel gesuitismo; assuma tutta ed intera la responsabilità dell' azione che intende svolgere. dopo di che si potrà discutere sulla base di cose positive, non rincorrendo fantasmi o farfalle sotto l' arco di Tito. il Governo ci dica anche che cosa c' è di vero nei dissidi attribuiti ai ministri i quali, in un governo parlamentare, non sono i ministri del presidente del Consiglio , ma hanno le sue stesse responsabilità politiche , sono collegialmente responsabili della politica estera come dell' attività di ogni altro dicastero. in mancanza di precise indicazioni noi brancoliamo nel buio. così può darsi che io stesso, nell' attribuire ad alcuni ministri questa o quella opinione, mi sbagli, ma non per colpa mia, sibbene perché gli interessati non hanno parlato chiaro al paese ed hanno lasciato che la politica estera , cioè la politica per eccellenza, restasse il monopolio di esigui gruppi di specialisti. si è detto — per esempio — che, nel Governo attuale, il ministro Sforza e il ministro Pacciardi rappresentano, diciamo così, l' estrema punta occidentalista, quella che vorrebbe senz' altro passare all' adesione al patto di Bruxelles o al patto atlantico . si è detto che l' onorevole Saragat non vuol sentir parlare del patto di Bruxelles né del patto atlantico , preferendo la formula ambigua dell' Unione Europea , che è poi la stessa cosa, sotto un nome diverso. l' atteggiamento dell' onorevole Saragat ci fa pensare a quel monaco francese che, volendo mangiare un coniglio in un giorno di magro, lo battezzò carpa. mise così in armonia la sua ghiottoneria coi dettami della Chiesa. però, anche battezzato carpa, il coniglio era un coniglio, così come, anche battezzata Unione Europea , l' alleanza occidentale rimane l' alleanza occidentale, cioè una formazione politico-militare che non unisce, ma divide l' Europa. si è detto che il ministro Giovannini sarebbe il fautore più aperto e conseguente della neutralità. si è detto, infine, che le fatiche del presidente del Consiglio sono volte a conciliare, come è suo compito naturale, le divergenze dei suoi ministri, che egli, del resto, precede nella tipica ideologica anticomunista che sta alla base della politica occidentalista. come uscire da questo ginepraio? come evitare o interpretare queste polemiche giornalistiche? in un modo molto semplice, cioè facendo giudice il Parlamento delle contrastanti opinioni dei ministri e dei partiti. fra queste polemiche si è inserito il viaggio dell' onorevole De Gasperi a Bruxelles ed a Parigi. personalmente, io diffido dei viaggi all' estero dell' onorevole De Gasperi . una volta mi lasciai convincere, molto ingenuamente — lo confesso — che l' onorevole De Gasperi andava al Forum di Cleveland per un discorso sulle basi morali della pace. ci accorgemmo, poi, che il presidente del Consiglio — lo avesse fatto apposta, o le cose fossero andate al di là delle sue previsioni, si era, sì, recato a Cleveland per illuminare gli americani sulle basi morali della pace, ma sopratutto si era lasciato illuminare a Washington sulla nuova politica italiana interna ed estera, accettando di sottoporla non ad una svolta, ma ad un radicale capovolgimento. avvenne così che l' onorevole De Gasperi , partito da Roma mentre esisteva, fra tutti i partiti, un accordo sulla politica estera che aveva il suo fondamento nella libertà da impegni verso qualsiasi coalizione o blocco, tornò a Roma avendo su tutto mutato avviso, convinto che bisognava dare un indirizzo diverso alla politica interna ed a quella estera; dal che poi derivarono le due crisi, del gennaio e del maggio 1947, le quali cambiarono fondamentalmente la fisionomia del governo repubblicano. il secondo viaggio a Bruxelles ed a Parigi mi sembra che non abbia né la stessa importanza, né lo stesso carattere; forse richiama, piuttosto, la vecchia favola dell' uva acerba. ho l' impressione che stavolta l' onorevole De Gasperi , dopo di avere parlato a Bruxelles delle basi morali, non della pace, ma della democrazia, e dopo di essersi fermato a Parigi con un certo piano in testa, si sia accorto che l' uva era ancora acerba ed abbia, quindi, rinviato a migliore occasione altri viaggi sulle basi morali di non so che cosa. comunque il viaggio a Bruxelles ed a Parigi non rappresenta una svolta, non rappresenta neppure una variante sostanziale della linea politica del Governo; esso ha il valore di un consolidamento della tendenza all' alleanza occidentale. ciò malgrado, dopo il viaggio di Parigi, e diventato assolutamente impossibile parlare di una politica estera fondata sul principio della libertà dagli impegni. dopo questo viaggio, dopo gli atti del ministro degli Esteri , è diventato impossibile al Governo trincerarsi dietro evanescenti propositi di equidistanza, cari ai congressisti cattolici di Pesaro ed a molti deputati della maggioranza. allo stato attuale delle cose, parlare ancora di ciò sarebbe — a mio giudizio una menzogna. ed io vorrei poter sempre dire del Governo del mio paese, che buona o cattiva che sia la sua politica, essa non è, però, intessuta di reticenze e di menzogne. da ciò l' esigenza della discussione, una discussione che noi socialisti affrontiamo sgombri da ogni preoccupazione immediata di crisi di Governo o di crisi di maggioranza. il paese, col voto del 18 aprile, si è dato una maggioranza alla quale compete governare; esso ha accantonato noi nel ruolo, non meno necessario, della opposizione. oggi sono in gioco gli interessi profondi e permanenti della patria, e ciò trascende il limitato orizzonte delle normali contese ideologiche o politiche. quattro ordini di considerazioni stanno alla base della cosiddetta politica occidentalista ed io mi propongo di dimostrare che non si tratta di ragioni, ma di pretesti e che da queste ragioni o da questi pretesti balza una esigenza diversa e contraria a quella rappresentata dalla politica generale e dalla politica estera dell' attuale Governo. questi quattro ordini di considerazioni si riferiscono alla revisione del trattato, alla ricostruzione economica del paese, alla difesa dal pericolo comunista, alla paura dell' isolamento. revisione del trattato. onorevoli colleghi , sulla necessità che le condizioni del trattato di pace subiscano una revisione, il paese è tutto concorde. noi, per parte nostra, non abbiamo esitato, nel momento in cui bisognava farlo, a parlare francamente, senza illusioni di successi immediati, ma con la certezza che, prima o poi, la giusta causa del paese avrebbe prevalso sugli egoismi dei vincitori. per attuare la revisione del trattato vi erano due metodi possibili: primo, quello da noi suggerito, che consisteva nel considerare il problema della revisione come problema di rapporti e di accordi bilaterali con i paesi con i quali c' è una controversia aperta. noi pensavamo che si potesse risolvere il problema di Trieste e del Territorio Libero , trattando con la Jugoslavia e con i paesi danubiani; ritenevamo risolvibile il problema della nostra frontiera occidentale mediante trattative con la Francia; pensavamo che il problema coloniale fosse essenzialmente un problema di negoziati con l' Inghilterra. pensavamo che, per i problemi concernenti le riparazioni, la consegna delle navi eccetera, i negoziati si dovessero svolgere con i paesi maggiormente interessati, che sono l' Unione Sovietica , gli USA e l' Inghilterra. dopo l' esperienza delle cose, io sono più convinto che mai che questo non è soltanto il metodo buono, ma il solo metodo possibile per giungere alla revisione. l' altro metodo era quello di mettere la revisione all' incanto, all' asta, per vedere chi ci offriva di più, e su chi offriva di più appoggiarci nella illusione di una soluzione globale. è il metodo seguito dell' onorevole Sforza, il quale, però, si presenta al Parlamento non soltanto con niente in mano, ma avendo compromesso più di un « atout » del serrato gioco che si svolge attorno alla questione della revisione. l' onorevole Sforza, nell' ultimo discorso pronunciato in questa Camera fece mostra di un grande ottimismo. al Senato il suo ottimismo si trasformò in euforia. quando lessi il suo discorso al Senato io mi precipitai ad ogni possibile fonte di informazione, nella speranza che egli avesse detto giusto e che la questione di Trieste potesse essere considerata virtualmente chiusa. come molti di voi, onorevoli colleghi , mi domandai se non fosse intervenuto qualche fatto nuovo, se non fosse un accenno di trattative fra l' Italia e la Jugoslavia o di intesa tra l' Italia e l' Unione Sovietica , per quanto l' Unione Sovietica abbia anch' essa in questa questione, un' influenza non diretta, ma indiretta. non vi era niente. tutte le fonti d' informazione furono concordi nel dire che non vi era niente. vera soltanto l' impegno famoso del marzo di quest' anno, di cui abbiamo sovente parlato in questa Aula, dimostrando che può significare tutto, come può non significare nulla, perché quando si ha bisogno, per la revisione, del consenso di quattro potenze e cosa assai arrischiata presentare come una vittoria il fatto che si è ottenuto il consenso di tre, specie se ciò crea una inibizione preventiva all' assenso del quarto. non c' era niente. c' era l' accordo di Torino, o meglio, il comunicato di Torino, sul quale abbiamo il dovere di non alimentare illusioni, giacché il paese sarà tanto più saldo nel mantenere le sue rivendicazioni quanto più avrà coscienza che si tratta di cosa ardua e difficile, raggiungibile soltanto col superamento delle condizioni in cui ci lasciò la disfatta del 1943. non occorre che io dica che non c' era niente, che non c' è niente per quanto riguarda la frontiera occidentale, come non c' era e non c' è niente per le colonie, secondo la constatazione che tutti hanno potuto fare in questi giorni. io non avrò il cattivo gusto di insistere su questo punto, né farò carico al ministro Sforza di un insuccesso che ha cause lontane. ma abbiamo bene il diritto di dire che della sorpresa e dell' emozione del paese (emozione in parte schietta, in parte finta) la responsabilità è di Sforza, è del Governo, che non dice la verità al paese e lo culla in puerili illusioni. non c' è nessuna difficoltà a dire al paese la verità, a dirgli che le cose sono difficili, a rammentare all' opinione pubblica che scontiamo le tragiche conseguenze della folle guerra fascista. onorevoli colleghi , tocco adesso un tasto che forse mi varrà delle interruzioni già previste, — e, quindi, già scontate — e che non esulano certo dalle normali consuetudini della vita parlamentare anche nei più educati paesi del mondo. tocco un tasto che può sembrare delicato. noi non siamo all' Onu. eppure il Governo che ci sta di fronte è, politicamente parlando, lo stesso che, in sede di Costituente, ci fece votare l' anticipata ratifica del trattato di pace , proprio per ottenere di entrare all' Onu, e che affrontò per questo l' anatema di un nobile vegliardo il quale gli scagliò contro una invettiva rimasta famosa. so, signori quel che potete rispondere, e cioè che la porta dell' Onu ci è interdetta dal veto dell' Unione Sovietica . però, che cosa ha fatto il Governo per mettersi in condizioni di far cadere il veto sovietico? si è mai alzato il nostro ministro degli Esteri per dichiarare che l' Italia, ove fosse all' Onu, sosterrebbe il diritto della Bulgaria, e della Romania di entrare a far parte dell' organizzazione unitaria delle nazioni, secondo un diritto che ha le stesse origini del nostro, il diritto di nazioni e popoli i quali hanno riscattato, col moto partigiano, le colpe delle loro vecchie classi dirigenti . questa parola, che poteva facilitare il nostro compito, che non ci costava niente, non è stata detta, mentre invece il presidente De Gasperi ed il ministro degli Esteri Sforza, mi perdonino l' espressione, stanno facendo fare al paese una indigestione di discorsi antisovietici. a questo proposito, crede dunque l' onorevole De Gasperi , crede l' onorevole Sforza che i loro discorsi di Trento e di Carrara abbiano facilitato il compito della missione La Malfa , impegnata a Mosca in trattative che interessano tutto il nostro paese? credono di avere aiutato il nostro ambasciatore a Mosca, facendo dei discorsi antisovietici, di cui potrebbero lasciare la privativa ai propagandisti della Democrazia Cristiana , i quali, per lo meno, con le loro parole impegnano, se mai, un partito, e non il Governo, e, al di sopra del Governo, la nazione. in verità, la politica del Governo in materia di revisione non ha giustificazione se non in un caso: se il Governo crede nella guerra inevitabile ed imminente e se pensa che la revisione sia il prezzo che l' Italia pone per il suo intervento nella guerra. ho l' impressione che stiamo facendo la politica del sonniniano patto di Londra, senza avere il patto, il che è veramente quanto di peggio può capitare al paese. signori del Governo, se voi rispondete che alla guerra inevitabile ed imminente non ci credete — come certo risponderete — allora la vostra politica estera ed il vostro modo di concepire i rapporti tra le nazioni diventano veramente inconcepibili. è essa giustificata, la vostra politica, se noi la consideriamo dal punto di vista del secondo ordine di considerazioni che voglio svolgere davanti all' Assemblea: cioè quello della nostra ricostruzione economica? onorevoli colleghi , noi abbiamo detto molte volte le ragioni della nostra diffidenza per il Piano Marshall nel quale vediamo lo strumento economico della « dottrina di Truman » e della politica di Wall Street , una politica che è stata sconfitta nelle recenti elezioni americane, ma che continua ad essere straordinariamente potente in America e nel mondo. se avessimo avuto torto nella nostra diffidenza, oggi non faremmo questa discussione; intanto circoli dirigenti ed opinione pubblica cominciano ad apprezzare in modo più concreto di quanto non lo facessero prima e subito dopo il 18 aprile, i risultati dell' ERP. ho scorso questa mattina la relazione del ministro Tremelloni. ho notato che il ministro prende tempo con un prudente accenno ad una « fase iniziale che, se non può qualificarsi depressiva non può, d' altra parte, essere considerata propulsiva » . naturalmente egli aggiunge che « il carattere di staticità che tuttora si può riscontrare nella nostra economia, mentre si ritiene da una parte necessaria una ascesa notevole, non deve preoccupare: è il passaggio obbligato per raggiungere uno stadio dal quale l' ascesa economica avverrà in un ritmo che compenserà largamente la stasi attuale » . vedremo se le previsioni ottimistiche del ministro Tremelloni si realizzeranno. per ora siamo in diritto di constatare che non si sono realizzate le previsioni di prima del 18 aprile. il giudizio americano è ancora più esplicito di quello del ministro dell' ERP. il New York Herald Tribune , nell' edizione di Parigi del 31 ottobre scorso scrive: « una delle maggiori cause di preoccupazione è il fatto che ci sono (in Italia) ben pochi segni di ripresa, malgrado che già merci per un valore di milioni di dollari siano state assorbite dall' Italia fin dalla scorsa estate. gli americani, incaricati dal Congresso di controllare l' andamento del Piano Marshall , hanno notato con preoccupazione che non vi sono sintomi di un aumento nel consumo di carbone e di petrolio, i due combustibili che sono gli indici dell' attività industriale. l' inverno che comincia sarà la pietra di paragone del successo del Piano Marshall » . e il giornale americano prevede un inverno di accentuata disoccupazione e di ulteriore riduzione del tenore di vita della massa. anche in questo campo, staremo a vedere, ma, oggi, molti in Italia temono con noi che, arrivati alla fine dell' inverno, ci accorgeremo come alcuni fondamentali inconvenienti del sistema ERP, invece di risolversi, tendono ad aggravarsi. sorvolo sulle cifre che non sono il mio forte. esse però, dimostrano, fra l' altro, che l' indice della produzione è in diminuzione rispetto al 1947; che molte merci, regalate dall' America, restano senza impiego e senza acquirenti; che il carbone si accumula nei « docks » . salta cosi agli occhi quanto avessimo ragione allorché mettevamo l' accento sul pericolo delle soluzioni facili, tipo Piano Marshall . oh, so bene! se di fronte ad un uditorio non preparato a questo genere di argomenti voi dite: l' America, il grano e il carbone, ce lo regala; per avere lo stesso grano e lo stesso carbone dall' Unione Sovietica , dalla Polonia o dall' Argentina lo dovremmo pagare, il comune mortale risponde: qui non c' è da esitare, quello che è dato gratis è dato due volte! e dato due volte, ma è dato a detrimento della nostra autonomia commerciale, è dato con grave pregiudizio del nostro avvenire... economico perché, onorevoli colleghi , ci priva del solo mezzo di vita autonomo che abbiamo e che è rappresentato dallo scambio di prodotti del nostro lavoro. se il ministro del commercio estero potesse annunciare all' Assemblea che egli è in condizioni di pagare il grano che riceve dall' America col macchinario prodotto dalle nostre fabbriche, allora il successo sarebbe pieno e completo, allora vorrebbe dire che uno dei problemi del nostro presente e del nostro avvenire è risolto. ma fino a quando noi non ci affrancheremo dai doni più o meno interessati, per ricreare il ciclo normale degli scambi fra prodotti lavorati e materie prime , fino allora la crisi sovrasterà la nostra vita economica. tanto più che il Piano Marshall scade nel 1952 e il 1952 non è una data cosi lontana della cui scadenza possiamo disinteressarci come di cosa di cui la competenza ricada sulle generazioni future. domandate, onorevoli colleghi , l' opinione degli uomini d' affari che tornano dall' America Latina ; essi vi diranno che non sono più in grado di vendere nulla perché non sono in grado di comprare nulla. ora, da che mondo è mondo, anche per uno come me, negato ai misteri dell' economia e della finanza, comprare e vendere sono due aspetti di una medesima operazione e di uno stesso ciclo produttivo . ma lasciamo l' aspetto puramente tecnico del problema sul quale non mancheranno occasioni di tornare nel corso di questa o di altre discussioni, è, però, diritto dell' opposizione — allorché si cerca di giustificare il progressivo scivolamento della politica estera italiana sul piano degli impegni politici — richiamarvi alle dichiarazioni col le quali, sempre, fino ad oggi, il Governo ha ingannato il paese, facendogli credere che l' adesione al Piano Marshall non comportava alcuna contropartita politica. rispettate, signori del Governo, le promesse fatte al paese ed al Parlamento! ed eccomi al terzo punto del mio discorso, eccomi alla cosidetta necessità di difesa dal pericolo comunista. onorevoli colleghi , tutta la politica del Governo è centrata su questo argomento, su questa esigenza, la sua politica interna non conosce altro argomento che questo; la sua politica estera non conosce altra esigenza. una volta io mi permisi di definire l' onorevole De Gasperi una specie di Pietro l' Eremita della crociata antibolscevica... caro Tonengo, c' era anche De Gasperi , assai prima di me e fu allora che, fosse disgrazia o fortuna, finimmo per crederci buoni amici. allorché leggo il discorso di Trento, sono tentato di vedere nel presidente del Consiglio un padre Lombardi che ha sbagliato vocazione... con la differenza che le esigenze di carattere religioso di padre Lombardi sono rispettabili, anche se discutibili. che codesto padre gesuita, il quale ha cura di anime, consideri conforme ai doveri del suo sacerdozio la lotta ideologica al comunismo, è una cosa che riguarda lui, riguarda la Chiesa a nome della quale parla, riguarda i cattolici come tal; ma il capo del governo non può, non deve essere il capo di una crociata ideologica, non deve, nell' esercizio delle sue funzioni, tutte materiali ed amministrative, preoccuparsi dei pericoli veri o reali che corre la Chiesa nel mondo, in conseguenza di una determinata dottrina. posti su questo terreno, non c' intenderemo più, perché non saremmo più un' assemblea politica. ci abbandoneremmo a controversie di filosofia; disputeremmo dell' immortalità dell' anima o del mistero della reincarnazione, tutte cose di un prodigioso interesse le quali, però, non sono di competenza del Parlamento. noi siamo qui per cercare tutti i giorni, nella realtà della vita internazionale, che è quella che è (e dove l' Unione Sovietica rappresenta ciò che rappresenta, sia che ciò ci faccia piacere, sia nel caso contrario); siamo qui per trarre dalla vita internazionale il massimo possibile di elementi favorevoli alle rinascita del paese. invece eccoci risospinti nell' atmosfera delle crociate ideologiche e delle guerre di dottrina. e la cosa che mi ha stupito ancora di più è che il conte Sforza si sia messo a questa scuola! lui, scettico ed elegante libero pensatore; uomo di larghissime esperienze, che sa quanto siano pericolose le barriere del dogmatismo e del fanatismo; lui è sceso sul terreno delle crociate parlando a Carrara come il presidente De Gasperi a Trento, facendo a gara a chi meglio si insabbia in una polemica ideologica che non ha niente a che vedere con gli interessi presenti e futuri del paese! signori, io parlo in un' Assemblea i cui membri hanno tutti vissuto la tragedia degli ultimi 30 anni; in una Assemblea che serba il ricordo vivo di analoghe controversie ideologiche; la quale sa, come la lotta al pericolo comunista si sia già concretata in una politica organica di cui stiamo pagando i conti. ricordatevi le tappe della fascistizzazione dell' Europa: Italia 1922, Spagna 1923, Polonia 1926, Lituania 1926, Jugoslavia 1929, Germania 1933, Austria 1944, Bulgaria 1944, Grecia 1936, Rumenia 1938. uno degli storici nostri — il Salvatorelli — sforzandosi di penetrare il senso degli avvenimenti or ora ricordati, ha scritto che essi furono il risultato dell' azione delle correnti di paura anticomunista. lo stesso scrittore che mi sembra vada perdendo un poco della sua passata lucidità... forse non era d' accordo con se stesso . lo stesso scrittore, dicevo, quando ha voluto definire le ragioni per le quali dal 1936 al 1938 le democrazie occidentali (e segnatamente l' Inghilterra e la Francia) assistettero indifferenti all' avanzare del fascismo, non ha trovato altra spiegazione se non la paura del comunismo. ora, signori, si rifà la stessa politica in Europa e nel mondo. di cambiato v' è soltanto la resistenza maggiore delle masse popolari ammaestrate dalle lezioni del recente passato. si fa la stessa politica in Cina, dove sino a ieri il capitalismo americano ha sorretto il regime corrotto di Ciang Kai Scek senza pertanto riuscire ad impedire che l' esercito contadino di Mao-Tse Tung pigliasse la sua rivincita ed assurgesse a grande protagonista della liberazione della Cina. si fa la stessa politica in Spagna. le resistenze del governo inglese ad accordarsi col regime di Franco stanno per essere travolte non soltanto perché così vuole l' America, ma perché, per colmo di ironia, così vuole perfino la Francia. si fa la stessa politica in Grecia ed è sotto gli occhi di tutti che questa politica sta maturando frutti di cenere, e torno in Francia dove la minaccia di una dittatura di tipo bonapartista sembra anch' essa da virtuale diventata attuale. sopratutto, signori, si fa questa politica in Germania. ed è questo il punto cruciale del dramma dell' Europa sul quale intendo richiamare l' attenzione della Camera e, al di là della Camera, quella del paese. apriamo una carta geografica . onorevoli colleghi , cosa è l' Unione Europea di cui parlano Churchill, De Gasperi e purtroppo anche Léon Blum? è la Germania alla testa dell' Europa. questo è il senso della politica americana in Europa: fare della Germania l' arsenale e la piazza d' armi della guerra di domani. l' onorevole De Gasperi ha avuto occasione di incontrarsi col ministro Schumann e di discutere con lui il problema tedesco. raramente due uomini si sono incontrati avendo una così profonda conoscenza dell' argomento che trattavano; De Gasperi , vissuto nel Trentino allorché il Trentino era una provincia austriaca; figlio il ministro Schumann della Lorena, uno dei territori alternativamente passati dalla liberazione all' occupazione. sarei curioso di conoscere la conclusione del loro colloquio. sarei curioso di sapere cosa pensa l' onorevole De Gasperi del ritorno della Ruhr a quegli stessi tedeschi che provocarono e sostennero per dieci anni il moto hitleriano. gli accordi di Yalta e di Potsdam comportano, sì, la resurrezione della Germania giacché la Germania ha diritto a risorgere — ma indicano una serie di misure preliminari, dalla denazificazione allo smantellamento del tempio di Krupp, che è il tempio della guerra. gli USA stanno violando senza ritegno gli accordi del 1945 e lo fanno perché, entrati già come siamo nella preparazione, non più spirituale ma tecnica, della terza guerra, essi sono alla ricerca dell' esercito di terra che dovrà sostenere l' urto di questa guerra. onorevole presidente del Consiglio , io vorrei credere impossibile che l' unico italiano, il quale non sappia valutare fin da ora le conseguenze della ricostituzione di una Germania militarista, sia proprio il trentino onorevole De Gasperi . voi sapete che il primo atto di una ricostituita Germania militarista sarebbe l' Anschluss, sarebbe di nuovo alle frontiere del Brennero la pressione verso il sud di una massa di 70 milioni di tedeschi; sarebbe la minaccia del territorio nazionale . noi abbiamo il diritto, su queste cose che non sono frutto di fantasia, ma sono per così dire legate alla storia del paese e al travaglio della nostra generazione, di chiedere al Governo spiegazioni chiare e complete. tanto più che non va dimenticato come una delle ragioni. la ragione di carattere nazionale, per cui i socialisti, non da ieri o avant' ieri, ma sempre, dal 1918 in poi, si sono stretti attorno all' Unione Sovietica è da ricercarsi proprio nel fatto che nell' azione di questo immenso paese hanno visto, per noi italiani un elemento di maggiore sicurezza. so bene che la nostra ferma opposizione al tentativo di isolare il partito comunista — all' interno e di spingerlo fuori della legalità democratica e contro la cospirazione capitalista sul piano internazionale, che tende a formare una coalizione antisovietica, so bene che questa opposizione è causa di molte critiche, di molte incomprensioni anche di molte calunnie alle quali siamo completamente indifferenti. senonché questo atteggiamento dei socialisti non data da oggi. può darsi che perfino sui banchi della Camera molti siano gli onorevoli colleghi , i quali pensano che la solidarietà socialista con l' Unione Sovietica sia una invenzione di quel pessimo socialista che io sono. ma, onorevoli colleghi , esattamente trenta anni fa, il 27 novembre del 1918, da questi banchi si alzava Claudio Treves e pronunciava le parole seguenti: « che sorte volete fare alla rivoluzione russa? se voi macchinaste di opprimere il primo esperimento comunista, nel timore che si diffonda, io vi dico che voi non pecchereste soltanto contro i 14 principi wilsoniani, ma contro i comuni interessi; perché, o signori, o l' esperimento è destinato a vincere — ed il beneficio sarà di tutti — o esso è destinato naturalmente a fallire, ed insegnerà col suo fallimento. ma se lo soffocate in rogo, da quelle fiamme tutti i proletari socialisti del mondo trarranno un simbolo, un giuramento di vendetta contro tutti i governi borghesi » . così parlava da questi banchi Claudio Treves, il quale non era uno scervellato estremista. e se voi mi domandate un documento più recente della continuità di questa politica, allora io non ho che da leggere un paragrafo del patto di unità di azione fra il partito socialista e quello comunista, del 1943. « nello svolgimento — vi si legge — della loro lotta e nel più vasto campo della comune aspirazione verso una pace, che rispetti le condizioni di vita e di sviluppo dei popoli, e la loro sovrana autodecisione, i due partiti riconoscono nell' Unione Sovietica l' avanguardia del movimento operaio ed il più sicuro alleato dei popoli nella lotta contro le forze reazionarie ed imperialiste » . questo documento porta la mia firma, la firma di un cattivo socialista; ma porta anche la firma del vicepresidente del Consiglio onorevole Saragat, che è buon socialista nonché quella dell' onorevole Zagari, che vedo su questi banchi. e so bene, onorevoli colleghi , che forse era più agevole dire queste cose nel 1943 che non nel 1948. ma fateci la grazia di credere che un partito non è una cosa seria se si mette a seguire i mutevoli capricci della moda. « il socialismo — diceva Claudio Treves nel già citato discorso — è una dottrina austera, che noi professiamo eguale nei giorni di sole ed in quelli di tempesta » . cari signori, il partito socialista intende la politica, che professa eguale nei giorni di sole o di tempesta, sulla base di imperativi morali dettatigli dalla coscienza, dei permanenti e generali interessi del mondo del lavoro . vengo all' ultimo argomento, il più grave, quello di maggior peso: la paura dell' isolamento. in tutta la storia d' Italia, dal 1870 ad oggi, non vi è espressione, slogan, stato d'animo che ci sia riuscito più fatale della paura dell' isolamento. si può dire che tutti gli errori della nostra classe dirigente in materia di politica estera hanno la loro matrice nel terrore dell' isolamento. è un antico stato d'animo di pavidi moderati contro il quale insorgeva Giuseppe Mazzini ( « il noto uomo politico dell' Ottocento » che non so come il ministro Sforza osi assumere a patrocinatore morale della sua politica) Mazzini, che già nel 1860 accusava i moderati di agire come se per loro l' Italia non fosse a Roma, a Milano o a Napoli, ma fosse a Vienna, a Londra od a Parigi; Mazzini, che in uno dei suoi ultimi scritti, nella famosa lettera ai suoi amici di Livorno, prorompeva in invettive contro la monarchia che accusava di aver ridotto l' Italia ad un servile avvicendarsi di influenze francesi e germaniche. cambiate i nomi e le cose tornano ad essere quel che erano! signori, molti di voi conoscono la polemica che all' inizio del regno oppose i « megalomani » ai « micromani » . megalomani erano i nazionalisti avant-lettre che, appena costituito il paese in unità e prima ancora che fossero, non dico risolti, ma affrontati i problemi della sua esistenza, volevano risolvere i problemi di potenza. micromani si dissero coloro che appartenenti alla destra storica o alla sinistra storica propugnavano la libertà dagli impegni internazionali — l' espressione è nata allora — le mani nette, le Mani Pulite , che fornirono poi motivo a molte ironie, non tutte ingiustificate. la lettura degli scritti dell' epoca (ed è lettura consigliabile per i deputati di questa legislatura data certa analogia di situazioni e di problemi) ci permette di apprezzare il senno di uomini, come, per esempio, il moderato lombardo Stefano Jacini che ravvisava già allora la migliore politica estera nel potenziamento della nostra economia all' interno. il successo arrise ad altre idee ed altri uomini. le cose andarono diversamente. e sotto la spinta della « passione misteriosa per il terribile continente nero » , come diceva l' Oriani, oppure sotto l' attrazione irresistibile di una politica di potenza nel Mediterraneo, avemmo il decennio crispino; nel corso del quale, dopo essere andati nel Mar Rosso a cercare le chiavi del Mediterraneo, ci ingolfammo in Africa chiudendo ad Adua la prima fase di una politica avventurosa. Adua del resto non ci guarì del male d' Africa, dove tornammo nel 1911, accompagnati stavolta, dall' illusione del Pascoli che l' Africa facesse dei nostri lavoratori « degli agricoltori sul suo, sul terreno della patria » . fu così poco realtà, onorevole Marchesano, che la marcia africana fu ripresa dal fascismo nel 36, e proprio quando, alla Camera e nel paese, si celebrava il risorto impero, proprio allora eravamo ad un passo dalla più grande disfatta che la nazione italiana abbia conosciuto. tuttavia, ciò che di peggio dovemmo al decennio crispino non fu Adua (che era cosa riparabile), fu la Triplice. noi andammo alla Triplice, come oggi dovremmo andare all' alleanza occidentale, per paura dell' isolamento; paura dell' isolamento che verso il 1882 voleva dire paura del Papa a Roma e della Francia clericale alla quale dovevamo lo « schiaffo di Tunisi » . signori, debbo io tracciare davanti all' Assemblea la storia dei trent' anni della Triplice? se vi accenno, è soltanto per desumerne una indicazione per oggi. la Triplice era appena conclusa, che già la classe dirigente cercava di correggerne il carattere rigido sollecitando accordi con l' Inghilterra nel Mediterraneo. più tardi, all' inizio del secolo, nei famosi giri di valzer del Prinetti, gli accordi collaterali furono estesi alla Francia, onde l' Alleanza finì per rassomigliare, come insegna, il Salvemini, ad una mosca impigliata in una ragnatela. né qui era tutto, giacché la Triplice come non copriva il settore più delicato dei nostri interessi, così non appagava la coscienza nazionale. lo disse Leonida Bissolati nel 1906 in quest' Aula definendola una cambiale che il popolo non avrebbe pagato alla scadenza, come in effetti non la pagò. ed aggiungeva il Bissolati, con un accenno all' eventualità che per via dell' alleanza con la Germania e con l' Austria si volesse portare il paese in una guerra contro la Francia: « in quel caso scoppierebbe la guerra civile » . e buon fu per lui che non era ministro della guerra il colonnello Pacciardi perché in tal caso il sergente Leonida Bissolati sarebbe stato minacciato di avere la testa schiacciata, come nel suo elegante linguaggio il ministro della guerra promette ai comunisti e a noi. onorevoli colleghi , come è vero che noi non fummo mai così esposti ai colpi della sorte come nella Triplice, così non fummo mai tanto disperatamente soli come quando ne uscimmo in piena guerra diventando sospetti a tutti: all' Austria e alla Germania, per le quali eravamo traditori da punire severamente; sospetti all' Banca Intesa perché già triplicisti. fu il dramma di Sonnino di non riuscire a districarsi mai da tali sospetti, dando l' impressione di stare aggrappato al suo patto di Londra ed ignorare tutta la più complessa realtà della guerra come se l' Italia si fosse schierata a lato dell' Banca Intesa con la riserva mentale e politica di tornare ad essere, dopo la guerra, l' alleata degli imperi centrali. non fu certo cosa che fortificasse il senso della responsabilità collettiva del paese, non fu cosa che aumentasse il rispetto per la nazione in Europa, codesto oscillare fra diversi gruppi di alleanze; non fu solo ottusità e colpa di uomini, di ceti, di istituzioni; fu la dimostrazione dell' organica nostra impossibilità di inserirci in un sistema rigido di alleanze. sotto questo aspetto l' esperienza della guerra del 1915 ci riserbò anch' essa delle amare delusioni. e avvenne che dopo di avere valorosamente combattuto, dopo di aver contribuito a sconfiggere l' impero germanico, a mandare in aria il mosaico dell' impero asburgico, dopo la realizzazione dell' unità nazionale , dopo cioè di aver vinto, finimmo con i fischi di Venezia e Milano agli alleati del Piave e con l' avventura dannunziana di Fiume, che fu il primo atto di ribellione al trattato di Versailles. il fascismo non ebbe più fortuna. anche esso, malgrado le sue borie, è soggiaciuto alla paura dell' isolamento. nel diario di Ciano v' è una frase sintomatica; è l' annotazione del ministro-genero (votato a così tragico destino) in data 24 ottobre 1937, il giorno della firma del patto anticomintern: « poche volte l' ho visto così felice — parla di Mussolini — ; non è più la situazione del 1935: l' Italia ha rotto l' isolamento ed è al centro della più formidabile, combinazione politico-militare che sia mai esistita » . purtroppo, non eravamo al centro della più formidabile combinazione militare mai esistita, ma al centro della più formidabile competizione imperialista. ed è curioso che Mussolini si illudesse di essere sfuggito all' isolamento, proprio mentre entrava nella zona tragica del più completo isolamento, facendo dell' Italia l' antemurale mediterraneo della Germania, come oggi della penisola si vorrebbe fare l' antemurale mediterraneo degli USA. da questa lezione nascono la nostra sorpresa e la nostra indignazione di vedere il ministro degli Esteri della Repubblica risospingere il paese verso il terrore dell' isolamento. ma, onorevole Sforza, noi saremo isolati, e nel modo più completo, il giorno in cui saremo o nel patto di Bruxelles , o nel patto atlantico , o in quello Mediterraneo, o nell' Unione Europea ; allora saremo isolati, e non oggi, che conserviamo ancora una certa possibilità di manovra. quando avrete concluso l' alleanza, forse qualcuno ripeterà col di Robilant del 1887: « adesso l' Italia è in una botte di ferro » . e non saremo, onorevoli colleghi , in una botte di ferro, saremo il vaso di creta che viaggia con i vasi di ferro: e non v' è bisogno di molta sapienza per sapere quale è il destino del vaso di coccio in compagnia dei vasi di ferro. signori del Governo, non noi, ma voi isolate l' Italia. anzi, quel che più conta, l' avete di già isolata da tutto l' est europeo, dove; indipendentemente dall' organizzazione politica che vi predomina, sono i nostri naturali mercati di scambio. che importa che voi cerchiate di negoziare all' est dei trattati di commercio, se la logica della vostra politica vi porta ad essere con l' est in istato di pre-guerra? e non solo voi ci isolate, nel mondo, ma ci avete divisi all' interno ed ogni giorno approfondite la scissione. che cosa si dovrebbe pensare, chiedo all' Assemblea, di un ministro degli Esteri il quale non tenesse conto del fatto che il paese è profondamente diviso, e non valutasse codesta divisione del popolo come uno degli elementi della situazione in cui ci tocca di agire? codesta divisione nasce dalle cose, più ancora che dalle ideologie, e mette in pericolo l' unità morale del paese. voi non ignorate, onorevoli colleghi , che noi potremo, qui, discutere, accapigliarci, offrire magari lo spettacolo non edificante di un pugilato, perché non siamo d' accordo su come un maresciallo dei carabinieri, un magistrato, un ministro intendono le loro funzioni; sono cose che non lasciano traccia, sono cose che, come si producono, in se medesime si esauriscono. non così quando si tratta dei problemi dei quali stiamo discutendo. non può quindi il Governo; nel determinare la sua politica estera , non tener conto di otto milioni di elettori che non ci hanno mandato qui a fare gli « eletti di nessuno » , come direbbe Turati, ma quali legittimi rappresentanti di un vasto settore del paese il quale ha una funzione preminente nel campo della produzione e del lavoro. tanto più che voi, signori del Governo, ci esponete a tutti i rischi di un' eventuale guerra e non avete niente nelle mani per garantire alla nazione un minimo di sicurezza. il ministro Sforza paventa i venti del nord e li esorcizza alla maniera dell' apprendista goethiano il quale invocava forze che non sapeva dominare. in questo modo voi la minaccia dell' est la create, non l' allontanate. credo di poter trarre dalla storia dell' Unione Sovietica degli ultimi trent' anni la certezza che un' Italia la quale non trasformi il suo territorio in piazza d' armi per altre potenze, i suoi porti in rifugi di flotte anglo-americane i suoi aeroporti in piste di lancio contro l' est non sarà mai attaccata dall' Unione Sovietica . diverso sarebbe il nostro destino ove diventassimo dei provocatori al servizio di interessi imperialistici stranieri. allora, come i fascisti per proteggersi dall' invasione occidentale la chiamarono, la resero inevitabile, così voi chiamereste e rendereste inevitabile l' invasione dall' est, contro la quale non avete neppure gli apprestamenti di difesa che il fascismo aveva predisposti; non avete niente. ecco perché, onorevoli colleghi , io ho parlato, in un discorso di alcuni mesi or sono, di disobbedienza civile come dell' inevitabile conclusione della vostra politica. non era e non è una minaccia; è un ammonimento. e voi sapete tutti, nessuno escluso, la forza, il vigore di questo ammonimento. voi sapete che come le vecchie classi dirigenti non riuscirono a trascinare l' Italia nella guerra della Triplice alleanza, così voi non riuscireste a portare l' Italia contro paesi che non minacciano la nostra indipendenza ed hanno in comune col nostro popolo la fede in una più alta giustizia sociale . a questo proposito, tengo a dire all' onorevole De Gasperi che se sente il bisogno di accusarci di antipatriottismo, lo faccia personalmente e non per l' interposta persona dell' onorevole Pacciardi..... il quale sa che tutta che tutta la storia del suo partito si erige contro la concezione dell' obbedienza passiva del popolo ad una politica decisa da correnti che rifiutino di tener conto della volontà popolare . da Giuseppe Mazzini ad Eugenio Chiesa, allo stesso Pacciardi (se valesse il conto d' invocarlo a testimone) molte volte i repubblicani non hanno esitato a fare appello alla diserzione ed alla insurrezione. in verità voi sapete, onorevoli colleghi , che se dovessimo formulare l' ipotesi che ci ripugna della terza guerra in atto, la vostra politica farebbe dell' Italia la Cina dell' Europa. ci pagherebbero, ci chiederebbero uomini e sangue giacché da grandi signori come sono i vostri alleati amano far fare la parte più dura della guerra agli altri, poi quando le cose volgessero al peggio vi pianterebbero in asso, come stanno facendo con Ciang Kai Scek e fra loro e l' avversario che vanno stuzzicando metterebbero il mare, che noi non abbiamo. ecco perché da tutti i punti di vista , da quello della pace, da quello della sicurezza, da quello del consolidamento interno delle nostre istituzioni, la sola politica estera possibile è quella della libertà da sistemi rigidi di alleanza. oggi la scelta che pongono i fatti è fra l' adesione al blocco occidentale e la neutralità; com' è stato riconosciuto da un autorevole organo cattolico quale è Cronache sociali . in tali condizioni la scelta non può lasciare incerto chi intenda salvare la coesione morale del paese. non aspettate, signori, a lanciare l' appello dell' unità nazionale quando sia troppo tardi e quando ciò suoni non invito all' unione ma ricatto. non dimenticate che siete maggioranza e che sotto questo aspetto avete la maggiore responsabilità, non solo della direzione della politica del paese, ma anche del mantenimento della sua coesione morale. noi socialisti, che non abbiamo fiducia nel Governo, vorremmo poter credere che su questo terreno almeno nulla di irreparabile sarà compiuto. noi che abbiamo constatato tante volte, nei primi mesi di vita della legislatura, che una specie di muro ci divide dalla maggioranza, vorremmo sperare che sopra il muro mani di italiani possono stringersi in un patto di pace. quando in queste ultime settimane abbiamo colto segni di ansietà in alcuni circoli cattolici o socialdemocratici, ce ne siamo rallegrati come di una prova di maturità della coscienza nazionale. onorevoli colleghi . ho qui un fascio di lettere, di telegrammi, di appelli, di ordini del giorno che consegnerò al presidente della Camera perché li faccia conservare fra gli atti della attuale discussione. sono attestazioni di fiducia di una infinità di organizzazioni, dell' Unione donne italiane , dei combattenti, dei partigiani, dei comuni, di cittadini di ogni partito e di ogni classe. io esorto il Governo a tener conto di queste testimonianze giacché non v' è errore peggiore di sottovalutare la potenza di alcuni sentimenti popolari, specie in una materia come questa. onorevoli colleghi , non mi sono finora occupato delle illusioni federalistiche, che dovrebbero servire per portare la discussione nella stratosfera delle utopie. il federalismo non è purtroppo una soluzione ma una evasione. è una fuga nell' astratto. oggi non è niente, quando non è la bandiera che copre il contrabbando imperialista. non realizza la sintesi dei contrari, è troppo piccola cosa ancora, per potere sperare di conciliare i giganteschi interessi che sono in urto. dobbiamo perciò avere il coraggio di prendere le nostre decisioni senza evadere dal reale nell' irreale. la decisione che noi proponiamo è di organizzare il paese: in libera democrazia autonoma; aiutare e favorire tutte le concrete iniziative di pace da chiunque proposte; creare le premesse di una possibile neutralità non assumendo impegni internazionali di carattere politico e soprattutto militare; mantenere relazioni amichevoli con tutti i paesi dell' Europa e del mondo; intensificare gli scambi e i traffici con l' ovest e con l' est, col nord e col sud. ciò non sarebbe l' isolamento dell' Italia ma il suo contrario. non è isolata nel mondo la Svizzera, che persegue una politica di neutralità; non è isolata la Svezia, che in questi giorni ha rifiutato di aderire al patto atlantico , benché sia in una situazione geografica sotto molti aspetti analoga alla nostra. non saremo isolati noi, non ci porremo fuori dell' Europa, se manterremo una posizione di indipendenza e se ci precostituiremo la possibilità di un rifugio nella neutralità. voi dite: chi rispetterà la neutralità italiana? nessuno lo sa, ma è stolto per tema di un ipotetico pericolo buttarsi nell' avventura. facciamo noi quanto è possibile per difendere sul piano europeo e mondiale gli interessi fondamentali del nostro paese. se non lo farete voi, signori del Governo, lo farà il popolo! v' è in noi la certezza che i popoli si rinnovano dal basso e che quando dall' alto i dirigenti vengono meno alla loro funzione, dal basso sorgono forze capaci di sostituirsi ai dirigenti incapaci e di prendere nelle loro mani, come hanno dimostrato di saperlo fare nelle lotte degli ultimi anni, i destini del loro paese, i destini della umanità! ho finito. se fossi riuscito a comunicare all' Assemblea, anche ai suoi settori più opachi che in questo dibattito si tratta di altra cosa che di una schermaglia fra partiti e gruppi; se fossi riuscito a fare la Camera partecipe almeno dell' angoscia che è alla base delle nostre convinzioni, avrei fiducia allora di aver reso un servigio sia pure modesto al Parlamento, alla democrazia, al paese ed al popolo.